Capitolo 1: Vatra Dornei
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
Sono a Hyde Park nei panni di Lucinda Mikel a ballare sotto le stelle, in mezzo alle lucciole, con Lucius. Sembro così felice e lui in pace con se stesso. Stiamo bene insieme.
Nonostante tutto ero felice, ma era un sogno.
L'odore dei pancake e il rumore delle padelle dalla cucina mi svegliano.
Mi metto una gonna, delle calze leggere nere e una maglietta a maniche lunghe nere e intanto penso a Lucius. Mi guardo allo specchio. Sospiro.
Sentirlo vicino... e non potergli parlare... Non poterlo toccare... Fa male...
Una strana ma piccola sensazione si impadronisce di me, come se sentissi un malore.«Stai bene?»chiedo ad alta voce pur sapendo che la mia domanda potrebbe non arrivare mai al destinatario, poiché non so nemmeno se la sensazione sia vera. Prendo tutti i fogli, li butto in uno zaino e apro la porta, diretta verso la cucina per fare colazione.
Gli esami di metà semestre sono passati e tutto procede come al solito. Ora mancano solo quelli finali. Mi sono iscritta al corso di teatro per avere un credito aggiuntivo e questo, come previsto, ha aumentato lo stress, poiché devo inventare una mia scena su un tema a scelta.
Mancano quarantacinque giorni allo spettacolo e questo mi manda in bestia.
Ho iniziato a studiare la mia tesina e sono in ansia. Ci ho lavorato molto: la costruzione della tesina non è stata per niente facile.
Ho deciso di scegliere un argomento ampio: l'impresa.
Introduzione
Privata, pubblica, cooperativa, grande o piccola, l'impresa è il principale motore che fa girare le società moderne. Produce beni e servizi, occupazione e reddito, crea ricchezza, e dove non c'è regnano il sottosviluppo e la miseria. Impresa significa, anche e soprattutto, concorrenza, eterna lotta per sopravvivere, rinnovarsi, crescere. Una guerra, il cui esito si misura con la capacità di stare sul mercato, fornendo prodotti di qualità a prezzi competitivi. Arbitri di questa gara sono i consumatori, che valutano e scelgono in rapporto a qualità e prezzo, selezionando le imprese più efficienti e alimentando un circolo virtuoso, da cui tutti traggono beneficio.
Ho iniziato così e poi ho collegato all'argomento Giolitti per storia, Pirandello per italiano, l'impresa nella costituzione per diritto, l'attività finanziaria e bancaria per economia aziendale e la funzione dei costi e ricavi per matematica.
Che strana cosa la maturità... Così posso definirla?
È la fine di un capitolo e l'alba di un nuovo inizio.
Hai quattordici anni quando varchi quella porta. Sei emozionato e trepidante per quello che ti aspetta, ti trovi in un posto nuovo e forse troppo grande per te, ti perdi tra quei corridoi fino a ritrovare la tua aula, ti siedi in ultima fila, se riesci, e osservi i tuoi compagni tra volti nuovi e quelli che conosci da una vita. Gli anni passano, ti senti più grande e non vedi l'ora di arrivare al quinto, guardi quelli più grandi di te con una sorta di ammirazione e finalmente arrivi all'ultimo anno. Non vedi l'ora di uscire da quella scuola per inseguire i tuoi sogni.
I mesi passano e ti rendi conto che stare lì non è poi così male. Certo, ci saranno giorni in cui vorrai buttare via tutto, ti incazzerai, te la prenderai con quei professori che sono stati ingiusti con te, manderai a quel paese i tuoi compagni, ci litigherai, ma in fondo sono loro che ti hanno accompagnato lungo questo percorso pieno di salite, discese e tanti ostacoli. Ricorderai sorridendo perfino i professori. Ora siete tutti sulla stessa barca ad affrontare una delle prove più grandi della vostra vita.
Grazie alla maturità, tu, studente, inizi ad apprezzare ogni momento che sai per certo che non rivivrai mai più. Poi, però, iniziano i giorni di crisi isterica per tutto lo studio accumulato, così credi di non farcela anche se ce la metti tutta.
Di tutti questi anni ricorderai le passeggiate per i corridori, le posizioni strategiche per poter copiare, le ore passate a parlare con i tuoi amici mentre i professori spiegavano senza essere seguiti, il panico prima di ogni compito, i cuori infranti, i compiti rimandati perché nessuno aveva voglia di studiare, le colazioni per poi entrare tardi, le feste, le sbronze, i sabati sera in giro e le domeniche a studiare, le corse per prendere l'autobus, la gita e infine l'ultimo giorno di scuola, quello che aspettavi da una vita. Poi ti svegli una mattina e ti trovi di nuovo a varcare quella porta, ma questa volta conosci tutti, anche ogni singola aula, e l'ansia è forte. Sai che stai per affrontare ciò che temi da tanto tempo: l'esame di maturità.
Arrivi lì dentro. Tutti tremano non perché non sanno cosa scrivere nei fogli delle tre prove, ma perché sanno che tutto sta per finire.
Sono sull'enorme palco marrone della scuola e l'insegnante di filosofia, l'insegnante di teatro e di filosofia, ascolta diverse persone discutere della loro scena. In totale siamo in venti. Ci sono anche Gabe e i suoi quattro amici.
«Lisandra, qual è il tuo tema?»mi chiede l'insegnante di teatro. Ha i capelli neri gellati e tirati verso sinistra e una cartelletta azzurra in mano. Indossa dei pantaloncini marroni lunghi fino ai polpacci e delle bretelle blu.
«Il filo», spiego.
«Vuoi farcelo vedere?»esorta alzando un sopracciglio.
«Va bene», sbuffo alzandomi dalla poltrona blu di stoffa. Alzo le spalle e faccio un grosso respiro.
Provai il mio testo davanti a tante persone, per la prima volta. Mi esposi in maniera incredibile. Ero riuscita a scrivere un pezzo veramente personale, pensando ormai a un pubblico specifico: diciotto. La mia età.
Più i giorni passavano, più la solitudine si impadroniva di me. Il buco nero, che rappresentava la mia parte sovrannaturale, cresceva sempre più, rendendo tutto più difficile.
C'erano, e ci sono momenti, in cui, nonostante io sia con i miei amici e mi stia divertendo, mi sento vuota. E quel vuoto ha un nome. Il suo. Lucius Romanov. L'unico uomo a cui sono destinata e che mi desidera solo per i miei poteri.
Più il tempo passava, più perdevo fiducia in me stessa. Mentre le altre ragazze combattevano per piacere al ragazzo più carino della scuola, io combattevo per piacere a me stessa. È così facile attirare l'attenzione con una scollatura e una gonna corta... Tutte le ragazze sono capaci di farlo, ma attirarla solo con la mente è una qualità che in pochi possiedono.
Quando tutti si fidanzarono mi sentivo più sola: Gabe si mise con una ragazza americana di nome Tiffany, Serafim con Adina, Ilie con una ragazza bassa con i capelli viola di cui non ricordo il nome e il nostro John Travolta con una ragazza con i capelli biondo cenere.
La solitudine mi rese più irritabile, perché mi dava modo di pensare molto. Quei pensieri mi divoravano sempre più, si radicavano nel mio profondo come le radici di una sequoia.
«Cos'hai?»mi chiese una volta Gabe avvicinandosi a me, lasciando la sua ragazza in disparte, mentre tutti stavano limonando sugli sgabelli del diner.
«Non devi venire vicino a me solo perché mi vedi sola o perché pensi che sia giusto così. So che credi che nessuno debba stare da solo, ma no, non voglio farti pena. Voglio qualcuno che desideri starmi accanto e capirmi, qualcuno che non debba controllare la sua agenda per trovare un minuto per me», risposi nervosa. Mi alzai e uscii dal locale.
Ogni mattina mi facevo sempre più paranoie sul mio aspetto.
Chissà come ci si sentiva a essere talmente belle da attirare lo sguardo dei passanti, il sabato mattina, con i capelli legati e senza trucco. Chissà come ci si sentiva a essere pieni di amici, ma di quelli veri, quelli a cui dici sto malee si presentano a casa tua un quarto d'ora dopo. Chissà come ci si sentiva a essere sempre la prima scelta, a non essere messi mai in disparte, a non essere mai inutili. Chissà come ci si sentiva a essere amati, ma amati sul serio, a essere protagonisti di uno di quegli amori che vengono scritti sui muri o tra le pagine di un libro. Quegli amori che ti mettono a soqquadro lo stomaco e che non ti fanno battere solo il cuore, ma tutta la gabbia toracica.
Già. Le mie giornate si concludevano con un chissà.
𝓛𝓾𝓬𝓲𝓾𝓼
«Stai scherzando?»sbotto furiosamente.
«Non si parlava di altro. Tra i corridoi si sentivano solo le sue urla», spiega mia moglie annuendo. Lei annuisce a testa bassa.
Porto una mano sul mento d'istinto e ragiono.
«Chi altro ne è a conoscenza?»chiedo placando la mia voglia di camminare avanti e indietro.
«Tutti i prigionieri», mi informa.
«Come lo sai?»esorto.
«Phoenix mi ha riferito tutto», afferma Milena.
Abbasso lo sguardo per cercare di pensare. Per tutto questo tempo lei è sempre stata sotto il mio naso. È sempre stata qui. È la figlia di una cacciatrice, però. È nata da un abuso.
«Il tempo è scaduto. Un anno è quasi passato. Spero che i Mikelaus abbiano trovato la loro figlioccia, altrimenti...»mormora.
«Altrimenti cosa?»incalza lei alzando un sopracciglio. «Ascoltami... Non ricordo dove, ma ho letto questa citazione di Lucrezia Beha: Lei era il sogno di lui, ma lui era l'incubo di lei. Se lei avesse voluto, sarebbe rimasta. Era spaventata, è normale. Chi non scapperebbe dopo tutte quelle trappole? Non sapeva cosa stesse accadendo ed è scappata. È più che logico», spiega cercando di mantenere un atteggiamento calmo.
«È una Feccia», ringhio a denti stretti.
«Davvero? L'hai vista combattere? Hai visto il luccichio, la lussuria che aveva negli occhi durante il combattimento? Dopo tutte le informazioni che hai su di lei la ritieni ancora parte della Feccia? Sappiamo entrambi che coloro che meritavano di essere Fecciasono sempre morti alla prima occasione», spiega. Rifletto.
Ha ragione. È per questo che la odio.
Ora ho due motivi per trovare quella ragazza.
«Penso che dovremmo andare tutti nel bunker. Credete di poterci accompagnare?»mormoro pacatamente.
Mi trovo in un laboratorio apparentemente simile a quello descritto da Shelley in Frankenstein. L'unica differenza è l'odore di sangue che è rimasto nel tempo. Quest'odore lo riconoscerei anche a chilometri di distanza: è lei. È suo il sangue crostificato sulle piastrelle bianche del pavimento. Un brivido mi percorre la spina dorsale, facendomi avvertire tutto il dolore che questa ragazza ha subito qui dentro.
«Cercavano di controllarle la mente. Oltre alla tortura, usavano una pozione per distruggerle le barriere mentali, ma lei ha resistito. Sempre. È sempre rimasta fedele», spiega serioso Costanzo, guardandosi in giro.
«Come funzionava?»chiedo. Tocco il sangue incrostato sulla parete con l'indice.
«La giovane strega aveva avuto un piano brillante: avrebbe fatto il doppio gioco. Avrebbe funzionato finché la madre, prima di scappare, non l'avesse uccisa. Lisandra veniva portata qui ogni due settimane circa», continua mia moglie.
«Di che genere di torture si trattava?»domando giocando con l'anello del clan.
«Flagellazione, elettroshock, stupri, sezionamento. Di tutti i tipi», sussurra Milena con fare dispiaciuto.
«Com'è riuscita a sopravvivere a tutto questo?»
Lei è umana. Ha un corpo umano, pur essendo più forte perché in parte ibrida.
Anch'io sono stato torturato, ma ero già un immortale al tempo.
«Costanzo ha detto che Lisandra si teneva ben salda a un ricordo, ma non ho capito quale. Qualche volta farfugliava nomi a caso, comeLucinda, ma non sapeva che tipo di significato potessero avere», continua mia moglie.
«Lucinda?»ripeto confuso.
Non riesco a darmi risposta. Troppe domande, ma l'unica cosa certa è che dobbiamo trovarla.
Mi infilo in diversi corridoi e vado nel buco che era stata la sua cella nell'ultimo anno.
«Anca, quale onore...»affermo per far notare la mia presenza.
La donna si volta, accenna un sorriso e ritorna con lo sguardo alle catene legate alla parete. Le vado accanto e intravedo nel suo sguardo una sorta di malinconia.
«Dove sono i tuoi fratelli?»mi chiede d'un tratto.
«A perlustrare le altre celle. Cercano indizi. Sai, mi sorprende che tu sia venuta. Non dovresti essere a casa a proteggere il tuo figliastro?»preciso.
«Io ho due figliocci», ribatte immediatamente Anca. «In questo caso, lei ha più bisogno di me. Quando l'avrai trovata, cosa hai intenzione di farne?»esorta.
«Cosa pensi che ne farò?»ripeto.
«Non lo so, ma sappiamo entrambi che tu sai qualcosa che noi non sappiamo su di lei, altrimenti non saresti qui di persona. Solo la ricerca di nuovi adepti e della tua Ateyo ti fa spostare dal tuo trono. Tuttavia, qui non vedo alcun potere che potresti sfruttare, perciò...»mormora Anca.
«Cosa?»ringhio.
«Lei è la tua Ateyo», sussurra rimanendo a bocca spalancata.
«Adesso che lo sai è cambiato qualcosa?»ribatto con sarcasmo.
«La vuoi per condividere il potere? È questo?»risponde alzando il tono di voce, facendolo diventare stridulo.
«Ho passato tutta la vita a cercare l'amore e non l'ho trovato. Non sprecherò altro tempo prezioso per colpa di alcune leggende che ti obbligano a rimanere fedele a una sola persona», borbotto evitando lo sguardo delle due donne.
«Ne sei già innamorato, altrimenti non saresti stato qui». La voce di Milena prorompe alle mie spalle. «Come, prego?»chiedo digrignando i denti.
«Ne sei innamorato», ripete mia moglie con eleganza e freddezza. Nel frattempo, la testa di Anca gioca a flipper tra me e Milena. «Se vuoi convincermi di non essere innamorato di lei, allora dimostramelo», ribatte sfrontata.
«E come, moglie?»ringhio enfatizzando la parola moglie.
«Credevi che io non ti seguissi tutte le volte in cui lasciavi il castello? Uscivi con la scusa di cercare nuovi membri del clan, eppure, inconsciamente, cercavi la tua dolce metà», ridacchia Milena.
«Che cosa stai blaterando?»abbaio furente.
«Io non sto blaterando nulla, dico le cose come stanno. Non ti sei mai avvicinato agli umani se non per ucciderli o trasformarli, eppure ci sono state delle eccezioni, ricordi?»Sul viso di Milena compare un sorriso beffardo.
«Di cosa stai parlando?»chiedo con voce gutturale.
«Lucinda Mikel, Darla Light, Denise Williams... ti ricordano qualcosa questi nomi?»suggerisce Milena.
«Chi sono?»domanda Anca.
«Che cosa aveva Lucinda di speciale affinché ballassi con lei, affinché la invitassi sulla tua carrozza, affinché parlassi con lei?»
Prima di dare una risposta, osservo la donna – mia moglie – davanti a me con attenzione: sembra sicura di sé e questo mi preoccupa.
C'è qualcosa che dovrei sapere?
«Aveva una strana luce negli occhi e... all'inizio la sua aura mi incantò. È una cosa che non si può spiegare», rivelo confuso.
«La stessa cosa è accaduta con Darla e la vecchia amica di Crina Mikelaus, o sbaglio?»chiede già sicura della risposta che sto per darle.
«Dici il vero», sostengo scontrosamente.
«Ciononostante, in un secondo momento quella sensazione che ti attanagliava spariva e loro non si ricordavano di te, compresa me».
«Dove vuoi arrivare?»chiedo intimorito. Anca fa dei piccoli passi indietro fino a giungere al muro di pietra.
«Non mi ricordavo del ballo. Non mi ricordavo nemmeno di essermi svegliata quella mattina. Era come se tutto quel giorno non fosse esistito e così fu per loro».
«Cosa intendi?»sollecito.
«Sono stata nell'ufficio di Michèlle. Sono riuscita a leggere degli appunti e, come ci aveva informati Costanzo, a Lisandra Mikelaus veniva iniettata una pozione viola. Essa serviva a distruggere le barriere mentali di una persona, ma allo stesso tempo ogniqualvolta se ne faceva uso quest'ultima si smarriva nel continuo spazio-tempo».
«Cosa vuoi dire? La mia figliastra si perdeva nello spazio-tempo?»domanda inquieta Anca, facendo un passo in avanti.
«Sì, ma no. È stata forte e veniva risucchiata in determinate epoche, all'interno di persone precise. Persone che tu avresti incrociato lungo il tuo cammino prima o poi», spiega Milena.
«Non capisco», mormoro confuso.
«Era lei. Era sempre lei. Era lei quando ballavate sotto il cielo nebbioso di Londra. Era lei quando camminavate tra i campi di grano. Era lei quella volta davanti alla porta dei Williams».
«Che cosa stai dicendo?»chiedo ormai disorientato.
«Malgrado il mio odio nei tuoi confronti, confidavi nel fatto che non ti tenessi d'occhio. Durante lo scontro non le toglievi gli occhi di dosso. Avevi uno sguardo diverso, lo stesso con cui guardavi quelle ragazze quando Lisandra era dentro di loro», risponde con una calma distaccata.
«Io...»inizio a dire, ma capisco di essere senza parole. È irreale una cosa del genere. Lei ha viaggiato nel tempo e nello spazio e ha posseduto corpi di ragazze che io avrei dovuto incontrare lungo il cammino. Quelle ragazze erano solo piccole fette della torta che aspettavo da tanto tempo e Lisandra era la torta.
«Io non...»balbetto.
«Io so dove si trova la ragazza», afferma Milena con totale distacco, sorprendendomi.
Anca trattiene il respiro e si irrigidisce, mentre io rimango con lo sguardo incollato a quello della mia coniuge.
𝓛𝓲𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪
Sono le quattro del mattino. Devo essere davanti scuola alle otto e non ho ancora chiuso occhio. Dopo essermi girata numerose volte, decido di alzarmi. Accendo la lampada sul comodino e vado ad aprire l'armadio. Tiro fuori la scatola che mi ha mandato Anca, la poso sul pavimento e la apro.
Avevo già tirato fuori i vestiti che aveva messo al suo interno, ma avevo lasciato perdere tutto ciò che non era abbigliamento. Ero già in lacrime e non ne volevo delle altre.
La prima cosa che trovo è una cornice. Pulisco il vetro in superficie e scopro che è una foto mia e di Jules. Le lacrime iniziano a scendere velocemente.
Mi alzo, vado verso la scrivania e vi appoggio la cornice. Mi siedo e la osservo. Abbiamo entrambe un sorriso smagliante. Eravamo felici. È stata scattata due giorni dopo il suo trasferimento nella mia casetta nel bosco.
Sorrido.
Prendo un foglio e inizio a scrivere una lettera per lei.
Cara Jules,
Pensavi che mi fossi dimenticata di te, eh? Come avrei potuto? So che sono le quattro del mattino, ma non potevo non pensarti in un giorno del genere.
Mi immagino come sarebbe stata la nostra vita se solo ci fossimo conosciute in un modo umano. Se solo fosse accaduto, ti avrei chiesto scusa per i miei atteggiamenti schizofrenici da maturanda. Ti rendi conto? Maturità...
Cosa stai facendo ora? Mi starai di sicuro rimproverando per i miei pensieri pessimistici.
Ti immagino al mio fianco mentre dici Come? La mia notte prima della maturità? Me la ricordo benissimo, come se fosse ieri, in modo tale da confortarmi. Lo so, lo so, non mi crederai quando ti dirò di goderti e assaporare ogni singolo momento di questi giorni infernali. Come lo so? Perché era esattamente quello che pensavo io. Non vedevo l'ora che finisse tutto. Ma ora, guardandomi indietro, capisco quanto mi sbagliassi, continui.
Ti immagino al mio fianco. Tu mi sussurri nell'orecchio queste parole di conforto, mentre io mi crogiolo nell'ansia.
La maturità è il primo vero passo verso il mondo degli adulti, un mondo che non è così bello come me lo sono immaginato per tutta la vita. D'altronde è la prima vera prova per dimostrare chi sei, per dimostrare chi vuoi essere. Ovviamente, non sto dicendo che il voto con cui si esce, sia esso 60 o 100, indica che persona sei. Sto dicendo, però, di combattere con le unghie e con i denti, di provare in ogni modo a mostrare a quella commissione che cosa è rimasto nella tua mente di questi cinque anni (nel mio caso uno solo). Devi dimostrare quanto sei maturato.
Magari, dove sei ora, anche tu stai facendo un esame di maturità.
In questi mesi, in quest'anno, sono successe così tante cose che non puoi immaginare. Ho iniziato a cantare, ho scoperto di avere una predilezione per il piano e per il violino, cosa che penso di aver preso da mio padre. Lui amava suonare. Come vedi, ho conosciuto nuove persone. Anche se in questo mondo umano la gerarchia non è definita, essa è presente.
Mi manchi così tanto.
Augurami buona fortuna.
La tua migliore amica.
Lisandra
L'ora della prima prova arrivò e allo stesso modo anche quella della seconda e della terza. In un battito di ciglia ero già fuori dalla porta dopo aver finito l'esame l'orale. Festeggiavo tra me e me e aspettavo il turno dei ragazzi.
Quando tutti ebbero finito, andammo direttamente a teatro per le prove generali. Alla fine ci eravamo affezionati tutti.
«Lisandra, tocca a te», mi disse qualcuno da dietro le quinte. Andai in scena e dopo il mio monologo i grandi fari del palco si spensero, sancendo la conclusione del mio discorso.
Il giorno dello spettacolo, dietro le quinte regna il caos: costumisti con spilli attaccati alle braccia, attori con il copione in mano in preda a una crisi di nervi che camminano avanti e indietro, il regista che urla contro gli scenografi.
«Ragazzi, silenzio. Ora il regista farà la presentazione iniziale. La sala è stracolma, in bocca al lupo», dice l'assistente del regista portandosi un dito davanti alla bocca.
Tutti si zittiscono e vanno nelle posizioni assegnate. La mia scena è nel secondo atto, così rimango lì ad ascoltare il discorso del regista.
«Buonasera e benvenuti a tutti. È un onore avervi in questo teatro. Quest'anno vi propongo, o meglio, vi proponiamo una sceneggiatura scritta dai ragazzi sotto la mia supervisione. Spero sia di vostro gradimento», afferma l'insegnante di teatro.
Le luci si abbassano e nell'aria si percepisce ansia ed eccitazione. È la prima dello spettacolo. Il sipario si apre e tutto comincia.
Tutti hanno creato delle scene sulla base di film e libri già esistenti. Solo io ne ho creata una da zero.
Al termine del primo atto, dietro al palco scoppia un pandemonio: ragazzi entusiasti della loro parte, costumisti attenti a non rompere nulla e attori che si cambiano velocemente per il secondo atto.
«Lisandra, vieni a metterti il costume di scena?»mi invita l'assistente.
«Certo», acconsento.
Vado in un angolino facendo spazio alla ragazza, che mi fa indossare un completo nero per la mia prima scena.
Seguo l'assistente. Dopo l'ultimo buio in scena, entro.
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