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CAPITOLO 8

«Hai smesso di cercarlo ancora?»

Rimasi spiazzata da questa domanda, tanto che guardai zia Cinthia con aria confusa:«Di cosa stai parlando?»

Lei redarguì con un tenero sorriso mentre rientrava nel camerino:«Da quando abbiamo incontrato Flinn, non fai altro che guardarti intorno per cercarlo con lo sguardo».

Sussultai in imbarazzo:«Non lo sto cercando e non mi sto guardando intorno per trovarlo».

E forse inconsciamente lo stavo facendo, non sapevo dirlo. Certo era che averlo rivisto a distanza di così tanti anni, sapere che nonostante tutto ancora si ricordava di me, mi aveva fatto un piacevole effetto.

Eppure, rimembrando nel mio passato, le volte in cui mi spingevo di più ad uscire fuori casa erano solo negli orari in cui il sole calava e il buio si precipitava a nascondermi non appena la mia pelle piena di lividi si esponeva all'aria aperta.

Anche lui sapeva che non era piacevole guardarmi, io avevo smesso di farlo, spesso mi evitavo allo specchio ancora adesso e se lo facevo non riuscivo per più di una manciata di secondi. I miei occhi sapevano giocare con la mia mente, disegnavano sulle mie guance le botte di quell'uomo.

Così viola e così grandi da coprirmi l'intero zigomo.

Ma Flinn mi aveva vista qualche volta e adesso mi stavo chiedendo se, guardarmi, avesse messo dentro di lui l'istinto di cercare se ce ne fossero ancora.

«Sarà pure come dici tu ma è innegabile che sia diventato proprio un bellissimo ragazzo», osservò mentre lasciava il camerino con l'abito color crema avvolto nell'avambraccio:«Già che ci siamo, perché non provi qualcosa anche tu per questa sera?»

Ci pensai un po':«Non credo mi serva, nell'armadio ne ho davvero tanti da mettere».

Ma non sembrava che a zia Cinthia importasse della mia risposta, difatti, la vidi dirigersi a grandi passi verso alcuni abiti meno eleganti del suo ma con delle scollature così ampie da far sbandare la testa perfino ad un non vedente.

«Cosa te ne pare di questo?» Chiese con entusiasmo.

Era un modello corto, sopra il ginocchio, gonna ampia sopra un corpetto stretto ma con lo scollo che scendeva fino all'ombelico. Ciò che mi piaceva era la fantasia: bianco con disegnate tante farfalle, uno degli insetti che sin da piccola mi dava gioia guardare.

Glielo tolsi di mano quasi in modo brusco:«Sei impazzita? Vado ad una festa in casa, non in uno strip club dove la spogliarellista sono io».

Ma lo guardavo, nonostante non avessi forza di indossarlo per l'occasione, il mio sguardo non riusciva a smettere di studiarlo e adularlo.

«Ecco brava, hai detto festa, non un convegno di monache di clausura». Obiettò lei:«Senza che tu faccia storie, il mio abito e il tuo vestito, verranno a casa con noi».

Senza che potessi replicare in alcun modo, afferrò il mio vestito e a grandi passi si affrettò a pagarli entrambi.

***

«Io legherei i tuoi capelli in una bella coda bassa, sai?» Osservò zia Cinthia mentre entrava in bagno.

Ero felice, sembrava che Scott non avesse nessuna intenzione di lasciare la sua stanza. Sentivo la musica ad alto volume, qualcosa di techno, un groviglio di suoni metallici da far venire il mal di testa.

La guardai dallo specchio mentre si accingeva a maneggiare la mia capigliatura bionda e folta, lunga sotto il seno, una lunghezza che avevo sempre amato portare e a cui non avevo mai pensato di dargli un taglio.

Quando li aveva legati nascondendo l'elastico da una ciocca larga, mi guardai il meno possibile senza nascondere i dettagli dell'abito che lei stessa mi aveva obbligato a portare a casa.

«Li vorrei sciogliere, almeno così coprirei la scollatura», borbottai accigliata.

Zia Cinthia sospirò, prendendomi dalle spalle mi aveva costretta a girarmi verso di lei:«Leah, smettila di crearti problemi dove non ci sono. Hai un bel corpo, un lembo di pelle fuori dai tessuti non ha mai fatto del male a nessuno», mi rimproverò ma senza essere davvero arrabbiata:«Sii gentile e cerca di divertirti, la scollatura del tuo vestito è solo l'ultimo dei tuoi problemi».

I miei occhi divennero lucidi al sorriso sincero di mia zia, sin da quando ero piccola aveva sempre avuto il potere innaturale di risollevarmi lì dove io non riuscivo ad alzarmi e a rendere i miei tormenti più leggeri e meno ossessivi.

«Leah, c'è qualcuno che ti aspetta», dalle scale la voce di zio Joe riuscì a sovrastare perfino quello della musica.

Zia ed io ci abbracciamo un'altra volta e quando scesi le scale, lo sguardo ammirato di zio Joe mi fece sorridere:«Allora? Come ti sembro?»

«Sei stupenda», ma non fu lui a rispondere.

Volgendo lo sguardo verso il salone, fermo con le mani dietro la schiena e il busto rigido, c'era Flinn.

Aveva gli occhi spalancati e la bocca schiusa, perfino la musica aveva smesso di riempire il corridoio, le mie guance emanavano calore e chissà se stavo arrossendo.

Mi avvicinai a lui che fece un sorriso rassicurante ad entrambi e lasciammo casa a passi piccoli ma spediti.

Una volta entrati in macchina e allacciato le cinture, stare al fianco di Flinn mi sembrò così naturale che gli argomenti di cui parlare furono quelli che si discutono tra amici che non si sono mai separati.

Ridere con lui, per lui, era un toccasana, aveva rimosso dentro di me ogni tipo di preoccupazione.

«Quindi ti sei trasferita a New York in via definitiva?» Mi chiese.

«Per adesso sì», commentai:«Per quanto possa amare New Orleands, non ho più niente che mi lega a quel posto».

«E Beth e Chloe?»

Sospirai:«Chissà, un giorno riuscirò a convincerle a cambiare città e a farle trasferire da queste parti».

«Buona fortuna, allora». Ridacchiamo, perché anche lui le conosceva grazie al mio avergliene sempre parlato e immaginava sarebbe stata una grossa impresa quella di smuoverle da lì per avvicinarle di più a me:«Eccoci, siamo arrivati», disse parcheggiandosi. Slacciandosi la cintura, si fermò a guardarmi:«Mi raccomando niente alcolici», roteai gli occhi sorridendo:«E se non ti dovessi trovare a tuo agio, avvisami e ti riporto subito a casa».

Annuii e scendemmo dalla macchina, già dal parcheggio riuscivo a sentire l'eco della musica e un brulicare di ragazzi entrare nella casa come in un formicaio.

C'era gente ovunque, perfino passare oltre l'ingresso mi fu complicato, ma il mio cuore perse un battito quando la mano di Flinn si incastrò alla mia per aiutarmi a raggiungere la cucina.

Quel tocco, quella sensazione, mi provocò una scarica elettrica così forte che non riuscii in nessun modo a divincolare il suo contatto.

Solo quando ci raggiunsero delle ragazze si ricordò di dovermi lasciare, prima di quel tempo aveva tenuto le sue dita lunghe e affusolate incastrate fra le mie piccole e sottili.

«Ciao Flinn, hai organizzato proprio una bella festa», disse una delle due.

«Ha fatto tutto Olive», rispose lui.

«Tua cugina è proprio la regina degli alcolici, ne ha messi a disposizione così tanti che ero indecisa su cosa bere per prima», rispose l'altra.

Erano entrambe alte poco meno di Flinn, un fisico da sballo ma così tanto svestite da non lasciare spazio all'immaginazione.

Io ero rimasta immobile, mi guardavo intorno, incapace di compiere anche il minimo movimento.

La ragazza castana, dopo altre chiacchiere sgallinate, parve accorgersi di me:«Hai portato un'amica, vedo».

Lo disse squittendo così forte da quasi strozzarsi:«Sì, lei è Leah», ci presentò Flinn ma nessuna di noi era interessata a scambiarsi la conoscenza.

Quando entrambe lasciarono la cucina, mi sforzai di fare un sorriso:«Poco appariscenti», commentai.

Lui ridacchiò:«Sono anni che cercano in tutti i modi di accalappiarmi».

«Nessun buon risultato?»

«Mi dispiace per loro, sono così belle ma così sbagliate che non le guarderei con quegli occhi nemmeno da nude... e giuro di averle viste anche in quel modo», scoppiò a ridere.

«Sarai di larghe pretese».

E poco a poco, senza che entrambi ce ne rendessimo conto, eravamo così vicini da sentirci, respirarci:«No, sono piuttosto semplice».

«Guardate chi è tornato a rianimare la festa», un gruppo di ragazzi corse scatenato in cucina strattonando amichevolmente Flinn contro di loro.

«Ed ha portato con sé una dolce donzella, volevi tenercela nascosta?» Ironizzò uno di loro.

E a turno, tutti loro, si presentarono. Il più spumeggiante si chiamava Collin e fu grazie a lui che riuscii a fare un passo oltre la cucina, mi aveva quasi costretta ad unirmi a loro per uscire all'esterno dove ad attenderci c'era una grande e ormai piena piscina.

Tutti quanti iniziarono a spogliarsi e a tuffarsi come dei pesci, si divertivano e lo stavo facendo anche io solo guardandoli.

Fino a quando, da lontano, la folla di gente iniziò a liberare il passaggio come se coloro che stavano calpestando l'erba sintetica fossero delle divinità indiscusse.

In marcia verso di me, li stavo vedendo: Scott e altri due suoi amici al seguito, con un andamento così lento e sinuoso da far sciogliere i ghiacciai.

Le due ragazze che facevano la corte a Flinn rimasero a bocca aperta, poi gli occhi di Scott dimenticarono ciò che gli girava intorno per concentrarsi solo su di me.

Si fermò solo quando non aveva altri passi da fare, a pochi millimetri dal mio corpo, con una camicia nera sbottonata fin sotto i pettorali, i capelli sempre più spettinati e un profumo diverso dall'erba che fumava come fosse la sua dose di ossigeno.

Mi leccai le labbra quando mi accorsi del modo in cui mi stava guardando:«Che cosa ci fai qui?» Gli chiesi balbettando.

«Mi piacciono le feste e mi piace chi è invitato», disse con voce bassa e seducente.

«Si ma qui ci sono io», mandai giù il nodo in gola.

«Non vedo il problema».

«Non eri tu a volere che ti stessi lontano?» Gli ricordai le parole che lui stesso teneva a ripetermi continuamente.

Ma Scott abbozzò un sorriso che mi fece battere il cuore così forte da bloccarmi il respiro:«E vietare ai miei occhi di vedere quanto cazzo sei sexy stasera?»

Sussultai appena:«Anche su questo avrei da ridire».

«Sono tutto orecchi».

«Avevi detto che non sarei stata il tuo tipo nemmeno da nuda», ancora una volta gli rammentai le parole che disse quando avevo messo il suo accappatoio dopo la doccia.

«Può darsi che abbia mentito». Il nostro scambio di sguardi lo costrinse ad avvicinarsi di un altro passo, sfiorando il mio naso con il suo:«Smettila di guardarmi così, biondina», sussurrò.

Schiusi la bocca:«Così come?»

Non reggevo più, il mio stomaco stava facendo capriole a mezz'aria.

«Con questi occhi», si avvicinò con la guancia contro la mia per arrivare dritto al mio orecchio:«E con questo vestito che mi sta facendo salire la voglia di scoparti».

Non mi diede il tempo di rispondere che mi lasciò lì, immobile, circondata dalla gente che continuava a tuffarsi in piscina come se niente fosse.

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