CAPITOLO 5
Non prendevo sonno e forse non volevo neppure provarci, mi giravo e rigiravo nel letto speranzosa che avrei trascorso una notte diversa da quelle alla quale ero fin troppo abituata.
E nel tentativo vano di inviare un messaggio a Chloe e sperare fosse ancora sveglia per tenermi compagnia, dal muro della mia camera avevo sentito uno strano cigolio accompagnato da un tonfo.
Mi alzai di scatto guardando verso la mia finestra, una strana sensazione stava pizzicando la punta dei miei piedi tanto da dover lasciare il letto e scostare la tenda per affacciarmi.
Fuori era buio, non vi erano lampioni ad illuminare il viottolo, solo due alberi così vicini da sentire le foglie sfregare l'una contro l'altra al danzare del flebile vento.
Era fresco, aveva punto il contorno delle mie labbra non appena avevo alzato l'imposta per poter vedere oltre ciò che i miei occhi non vedevano, ma niente mi aveva insospettito, tranne che per una sagoma incappucciata appropriarsi di una bicicletta e pedalare verso la strada.
Un nodo si strinse insistente nella mia gola e una voragine fece inciampare il mio stomaco in una sensazione di impellente desiderio, quello che mi aveva spinta a passi leggeri ad uscire dalla mia stanza e introdurmi senza permesso in quella accanto.
Avevo aperto lenta la porta, con la paura di avere avuto solo una stupida sensazione e trovarmi Scott infervorato dal mio essermi introdotta nel suo posto senza permesso.
Era stato chiaro: non dovevo entrare nella sua camera, ma questa era anche casa dei miei zii e niente avrebbe potuto vietarmi di andare liberamente ovunque io volessi.
Sospirando a pieni polmoni, scoprii che la stanza era vuota e il letto non ancora disfatto. Gli occhi fecero una veloce panoramica: era tutto un disastro.
Vestiti ovunque, scarpe dimenticate agli angoli dell'armadio, pareti ritinteggiate di nero, odore di erba da sballare anche senza fumare.
Come poteva vivere un ragazzo in queste condizioni? Immaginai che neppure a zia Cinthia era concesso poter entrare, altrimenti non ci sarebbe stato tanto disordine.
Feci un respiro profondo, la tentazione di spalancare la finestra fu insostenibile ma cercai di reprimermi: quel forte odore era davvero pesante ed io sentivo la testa appesantirsi.
Guardandomi bene attorno, cercando di non toccare nulla, calpestai con il piede sinistro qualcosa di rigido e lucido.
Afferrai tra le mani un bigliettino il cui sfondo ritraeva un ring e due guantoni da boxe. Lessi la scritta in nero grassetto: questa notte si sarebbe tenuto lo scontro tra Scott Friedich e Holland Collens, in palio per il vincitore una grossa somma di cinquanta mila dollari.
Adesso sapevo anche il suo cognome e mi fu strano come zio Joe non avesse deciso di mettergli il proprio, forse era stato lo stesso Scott a decidere così.
Ed eccolo arrivare, quel nodo nautico in gola che mi vietò di respirare come avrei dovuto. Riposi il biglietto esattamente dove lo avevo raccolto, ben sperando che poi Scott non se ne sarebbe accorto, filai a grandi passi in camera mia e mi spogliai del pigiama per mettere su un jeans ed una camicia semplice.
Lasciai i capelli raccolti e tentennai su come avrei deciso di lasciare la casa dei miei zii senza che loro se ne accorgessero.
Feci più respiri e mi affacciai dalla finestra, anche io come Scott avrei potuto scavalcare la tettoia e calarmi sul viottolo, ma la paura di cadere e fare rumore mi spinse a cercare un'opzione meno pericolosa.
Così lasciai la mia camera a piedi nudi, la stanza di zia Cinthia era chiusa e dalle scale potevo vedere il buio del soggiorno. A piccoli passi scesi ogni gradino, avevo la via libera per avvicinarmi alla porta d'ingresso ed uscire.
Così fu.
Quando respirai l'aria fresca, mi accorsi di quanto folle era il mio piano ma adesso non potevo tirarmi indietro. Avevo dentro la voglia impellente di curiosare più a fondo sulla vita di Scott e non ne conoscevo il motivo.
Mandai giù il nodo in gola e camminai lungo il marciapiedi, ogni passo compiuto che mi allontanava dalla villetta era una nuova sensazione che era difficile spiegare perfino a me stessa.
Mi sentivo libera e ne volevo godere fino all'ultimo secondo.
***
Non conoscevo per nulla le zone di New York e seppur sul biglietto trovato in camera di Scott ci fosse l'indirizzo di arrivo, dovetti fermare più persone affinché mi dessero le giuste coordinate per il raggiungimento del luogo.
E alla fine, dopo svariati chilometri e minuti che avevo smesso di controllare, ero arrivata davanti un vecchio edificio che da fuori aveva tutta l'aria di essere abbandonato da chissà quanti anni.
Il muro esterno era ridipinto da murales neanche troppo estetici, quasi scarabocchiati sulle pareti per atti vandalici, il marciapiedi ricolmo di carte e immondizia varia, era suggestionabile trovarmi dall'altra parte a guardarlo.
Ma la gente era tanta, tutti giovani, esuberanti e nessuno aveva le mani vuote. Reggevano bottiglie di birra che mandavano giù senza nessuna difficoltà, mi feci prendere da un brivido di disgusto.
Pensando e ripensando all'enorme stupidaggine che avevo fatto nell'essermi presa di curiosità ad arrivare fino a qui, quasi mi feci tentare dalla voglia di lasciar perdere e ritornare a casa.
Mi guardai attorno e cercai di allontanare quel pensiero: avevo fatto tanta strada, perché tirarmi indietro proprio adesso?
Strinsi il jeans nei miei palmi e attraversai la strada sgomitando tra la folla che non faceva caso a me, passai oltre l'ingresso dell'edificio.
Non fu tanto complicato trovare il ring disegnato sul biglietto, lo avevo proprio davanti, quasi nascosto dalle teste di chi partecipava con schiamazzi ad uno scontro che era già cominciato.
Una campanella aveva rintoccato quattro volte, un suono veloce, davanti a me incitavano Scott a massacrare l'avversario ma c'era anche chi tifava per l'altro.
«Scusate», cercai di alzare la voce mentre penetravo più verso il centro:«Chiedo scusa», dissi ad un ragazzo a cui diedi per errore una gomitata sul fianco:«Dovrei passare», continuai così per altri passi fino a vederlo chiaro e illuminato.
Il ring era rinchiuso da una rete metallica alta svariati metri, la campanella aveva rintoccato di nuovo e sia Scott che il suo mastodontico avversario si erano alzati dalla sedia posizionata ai lati del quadrato e si stavano sfidando con lo sguardo.
L'avversario aveva un evidente livido sullo zigomo sinistro e l'occhio destro talmente gonfio da tenerlo chiuso, Scott non potevo vederlo in viso perché a quel momento mi dava le spalle.
Si muoveva con leggerezza, cosa che non sembrava fare l'altro che era più alto e più muscoloso di lui.
Accanto a me le urla si facevano sempre più acute, gridavano di attaccare, di sconfiggersi, scommettevano soldi per chi avrebbe vinto.
Il mio cuore martellava ad ogni finto pugno che i due si davano, fino a quando il viso di Scott non mi fu scoperto in dei lividi sullo zigomo e sotto gli occhi.
La sua espressione si fece sconvolta e rabbiosa, poi mosse la bocca in una parola che risuonava una minaccia velata nei miei confronti e nel motivo per la quale la mia presenza fosse di disturbo in quella battaglia.
In quello scambio di sguardi al velenoso sapore di distrazione, l'avversario prese la palla al balzo e colpì Scott in pieno viso.
Sussultai quando il suo corpo cadde di peso sul pavimento, non sembrava più muoversi, mi portai le mani davanti la bocca e mi avventai verso la via di fuga.
Non sarei dovuta venire, non avrei dovuto assistere, avrei dovuto ignorare la mia curiosità e provare a dormire.
Corsi per strada come se qualcosa stesse rincorrendomi e in un attimo mi ritrovai davanti la porta di casa, mi poggiai allo stipite cercando di recuperare il fiato abbandonato per la via e rientrai cercando di fare meno rumore possibile.
Ma quando mi avvicinai alle scale, sull'ultimo gradino, mi ritrovai davanti l'ombra di zio Joe per nulla sereno.
«Dove sei stata?» Il suo tono era in evidente stato di preoccupazione.
Inghiottii il nodo in gola, era secca e il fiato ancora corto:«Avevo bisogno di prendere un po' d'aria e conoscere il quartiere», dissi una bugia che mi fece sentire piccola ed egoista.
«Alle due del mattino?»
Mi sfregai le labbra:«A New Orleands uscivo spesso a quest'ora quando non riuscivo a dormire», lo raggiunsi.
Da questa distanza potevo vedere il suo volto contrariato:«Qui sei a New York, Leah. Niente di ciò che facevi lì, puoi fare qui».
«Hai ragione, mi dispiace».
E mi dispiaceva sul serio ma non volevo far altro che interrompere la conversazione e rinchiudermi in camera.
Quando gli passai accanto e mi avvicinai alla porta della mia camera, una sola frase mi fece ribaltare lo stomaco:«Leah, qui sei libera di fare ciò che vuoi ma ti pregherei di non seguire Scott in nessun posto da lui frequentato».
Zio Joe sapeva, mentirgli era stato da sciocchi ed io dove immaginarlo:«Va bene zio, non lo farò», lo congedai prima che potesse aggiungere altro.
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