Libro 1: 18) Un passato da eroe
Ciò che vide quel giorno, il ventenne Jayce, lo sconvolse tanto da farlo rimanere senza parole per il terrore. Il suo laboratorio era stato completamente distrutto, i suoi colleghi erano stati brutalmente uccisi a colpi di laser e, l'oggetto più prezioso di Piltover, era scomparso: il cristallo arcano. Jayce, divenuto uno degli scienziati più conosciuti della città, non riusciva neanche a sopportare la vista di quel mare di sangue che bagnava il pavimento del laboratorio. Due anni di lavoro, due anni di esperimenti e due anni di sacrifici, per poter studiare quel cristallo, erano andati in fumo in una notte. I suoi stimati colleghi non c'erano più ed era troppo tardi per poter fare qualcosa. Jayce, ancora scandalizzato da quello spettacolo, cercò in fretta e furia la registrazione delle telecamere di sorveglianza del laboratorio. Doveva scoprire chi era il colpevole, chi si era macchiato le mani con il sangue dei suoi amici, chi gli aveva rubato il lavoro. Solo dopo averlo scoperto, sarebbe andato a denunciare il fatto alla polizia. Non appena vide il nastro, non volle credere ai suoi occhi. Un suo collega aveva compiuto tutto ciò. Un suo collega era entrato distruggendo l'ingresso e sparando laser dalle sue tre mani bioniche contro gli altri scienziati. Quel collega che più volte gli aveva chiesto informazioni sul cristallo arcano e sui suoi esperimenti.
« Viktor... »
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« Dovete fare qualcosa! »
Urlò il giovane Jayce infuriato contro lo sceriffo di Piltover. La polizia gli aveva detto che avevano le mani legate. Sebbene il colpevole fosse stato riconosciuto dal nastro di sorveglianza, loro non avevano potere su un criminale sotto la sorveglianza e la tutela della città di Zaun.
« Credi che rischieremo una guerra per uno stupido cristallo? »
A quelle parole, Jayce prese per il colletto lo sceriffo e lo alzò in aria. Era abbastanza muscoloso per essere uno scienziato ed aveva un fisico magro e tonico.
« Per uno stupido cristallo? Quell'arnese può distruggere Piltover se non te ne rendi conto! E che mi dite di tutti quei poveri morti? Con che coraggio direte alle loro famiglie che il colpevole passeggia liberamente per le strade di Zaun e che voi non volete fare nulla per arrestarlo? »
Jayce, con le lacrime agli occhi, lasciò la presa dallo sceriffo ed uscì dalla stanza, dirigendosi con grande velocità verso l'edificio in cui era custodito il suo laboratorio. La polizia era inutile in quel momento. L'unico a cui poteva far riferimento era se stesso.
« Se nessuno muoverà un dito per tutto ciò, allora ci penserò io! »
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Erano passati venti giorni da quando il cristallo arcano era stato rubato e nessuno si era mosso. Sia Piltover che Zaun rimanevano tranquille nei propri confini e Viktor non si era fatto vivo. Il giovane Jayce, invece, aveva speso quel tempo per poter ultimare un'arma straordinaria. Qualcosa che avrebbe potuto tenere testa al braccio meccanico di Viktor ed alla sua tecnologia. Un enorme martello di metallo e vetro, che conteneva un liquido particolare al suo interno. Jayce c'aveva lavorato giorno e notte su quel martello, perché lo voleva perfetto per lo scontro. Aveva due caratteristiche particolari: nel corpo a corpo, il liquido si colorava di giallo, donando al martello l'abilità di produrre scariche elettriche; nel combattimento a lunga distanza, invece, il liquido si colorava di celeste, permettendo a Jayce di poterlo usare tipo cannone sparando raggi laser dalla punta. Era la sua opera migliore e non riusciva a credere che era nata solo perché desiderava vendetta contro l'araldo delle macchine. Nonostante i consigli dello sceriffo e del sindaco, Jayce partì per Zaun. Lì, dove lo scontro con Viktor lo attendeva. Rimaneva solo un problema da risolvere. Il giovane scienziato doveva trovare il suo laboratorio segreto.
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Il combattimento era terminato da qualche minuto, con i due avversari ancora sul campo di battaglia. A terra, un ragazzo vestito da un completo stracciato blu e dal volto coperto, ansimava a fatica e non riusciva a rialzarsi per il lungo scontro. In piedi, invece, c'era un giovane coperto da una maschera grigia, che sembrava quasi l'elmo di un cavaliere. Indossava un completo nero a righe rosse ed aveva i capelli lunghi e neri. Non appena si accorse che lo scontro era finito, il ragazzo non riuscì a trattenere il proprio entusiasmo. Era la prima volta che riusciva a sconfiggere il suo compagno/rivale e, finalmente, era riuscito a dimostrare al proprio maestro chi era degno di essere il nuovo occhio del crepuscolo. Il nome del ragazzo in piedi era Zed, mentre il ragazzo ansimante si chiamava Shen, ed era il figlio del grande maestro Kusho.
« Si! Si! Si! Finalmente! Avete visto maestro? Ci sono riuscito! Sono degno di essere l'occhio del crepuscolo! »
Anche il leggendario Yi era li ad assistere allo scontro, seduto sulle sue ginocchia a terra, aveva osservato ogni mossa dei suoi due allievi e non riusciva a nascondere la preoccupazione che sentiva dentro il suo cuore. La stessa preoccupazione era segnata sul volto di Kusho. Zed si accorse che c'era qualcosa che non andava e non smetteva di fissare gli occhiali a sette lenti del maestro.
« Maestro... Cosa succede? »
Kusho, vedendo il proprio figlio a terra, quasi in fin di vita, fece segno ad un gruppo di curatori di prendersi in affidamento il povero ragazzo sconfitto. Mentre lui doveva parlare urgentemente a Zed.
« Quelle che hai usato... Sono le arti oscure. »
Disse deciso, paralizzando il giovane. Zed aveva ottenuto un immenso potere prima di quel combattimento. Era entrato in possesso di uno dei potei arcani tenuti sotto sorveglianza dal tempio sacro di Ionia. Sapeva che il suo maestro non l'avrebbe mai accettato, ma doveva assolutamente sconfiggere Shen per dimostrare la sua superiorità nell'arte Kinkou e solo con le arti oscure ci sarebbe riuscito.
« Si, maestro. Ma posso... »
Yi lo bloccò alzando la mano. Non volevano alcuna spiegazione. Le arti oscure erano proibite da secoli e nessuno era mai riuscito a domare quel potere in così poco tempo. Eppure, Zed riusciva perfettamente a controllare la propria ombra tramite quelle tecniche e ciò spaventava l'abile spadaccino del Wuju.
« Sai perfettamente che quelle tecniche sono state bandite secoli addietro. Come hai osato usare quel potere? »
Zed, abbattuto nel vedere che il proprio maestro e lo spadaccino del Wuju non gli davano l'appoggio sognato, incominciò a piangere. Si tolse la maschera per la rabbia e scoprì i suoi occhi nero pece ed il suo viso giovanile al proprio maestro.
« Dovevo batterlo! Shen è sempre stato il vostro prediletto! Il prescelto che doveva mantenere l'equilibrio. Non potevo sopportare l'umiliazione nel vederlo trionfare! Ho passato tutta la vita ad essere l'ombra di Shen. Ho dovuto animare la mia stessa ombra per poter oscurare la sua stella! »
La rabbia e la frustrazione del giovane aumentavano ogni secondo di più. Kusho, dopo essersi consultato con Yi, con una calma glaciale e spietata, alzò il braccio ed indicò l'uscita del tempio.
« Sei bandito da questo luogo. Hai portato vergogna e disonore al tempio, al tuo compagno ed al tuo maestro imparando le arti proibite. Non ti sarà più concesso di allenarti qui o di professare le arti Kinkou. L'equilibrio non ha bisogno della tua visione egoistica del mondo! »
A quelle parole, Zed uscì dal tempio rabbioso, sebbene le lacrime gli rigavano la candida pelle del suo viso.
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C'era voluta una settimana per poter trovare il nascondiglio di Viktor. Jayce aveva girato in lungo ed in largo tutta la sua villa, cercando nei posti più disparati un'entrata segreta o un luogo sospetto. Era arrivato quasi al culmine, tanto da perdere la speranza di saziare la sua vendetta. Finché non notò un particolare di quella villa: un cassonetto dei rifiuti posto proprio affianco al cancello principale. Nessuno ci buttava mai nulla dentro e nessuno veniva mai per svuotarlo ed era così da una settimana. Per questo, il giovane Jayce, volle tentare di vedere al suo interno. Con sua grande sorpresa, sotto alcuni sacchi neri per i rifiuti, trovò una botola.
« Trovato! »
Non appena l'aprì, si butto dentro quello che sembrava un tunnel di plastica che scendeva per un paio di metri nel sottosuolo. Non appena arrivò alla fine del tunnel, Jayce cadde in piedi, pronto per ogni evenienza. Come aveva previsto, c'erano delle sentinelle a fare la guardia all'ingresso. Dei robot combattenti pronti ad attaccare tutti coloro che non avevano la stessa temperatura corporea di Viktor. E dato che Viktor era ormai una macchina, nessuno poteva raggiungere la sua temperatura corporea. Nonostante i robot, ciò che fece sorridere il ragazzo fu la vista del suo rivale, che lo fissava in lontananza, quasi incredulo per la presenza del giovane nel suo laboratorio.
« Cosa ci fai qui? »
Gridò con la sua voce metallica allo scienziato che brandiva l'enorme martello, chiamato Mercurio da Jayce stesso.
« Sono qui per tutti coloro a cui hai fatto del male! »
Urlò puntandogli il martello che si era colorato di giallo. Dalla parte metallica del martello fuoriuscivano delle piccole scintille ed anche la sua arma non vedeva l'ora di iniziare lo scontro. Ma, prima di vedersela con l'araldo delle macchine, il giovane doveva sconfiggere le sentinelle. Alzando il martello verso l'alto, corse verso i robot con coraggio ed audacia, urlando e sbraitando per potersi dare la carica per portare a termine quella folle impresa.
« Per Piltover! »
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Lo scontro era arrivato ad un punto morto e nessuno dei due combattenti voleva dare segni di cedimento. Entrambi avevano ricevuto gravi lesioni a causa dell'avversario, ma erano ancora in piedi. Più volte l'armatura di Viktor aveva subito le martellate di Mercurio ed i suoi spari dalla distanza. La sua corazza meccanica era distrutta in più parti, ma la sua arma più letale era ancora integra: il terzo braccio meccanico che gli partiva dalla schiena. Anche Jayce non era uscito illeso dai colpi dell'araldo delle macchine. I campi magnetici e i laser di Viktor avevano messo a dura prova il suo giovane corpo che, sebbene protetto da un'armatura, non era abituato a combattere. Dopotutto lui era uno scienziato. Alle spalle dell'araldo delle macchine, c'era il cristallo arcano, custodito dietro una teca di vetro e posto sotto alcune luci ultraviolette. Più volte, nei momenti di pericolo, Jayce aveva ripensato alla sua scelta di vendicarsi. Più volte si era pentito per quel gesto tanto folle quanto stupido. E, sebbene Viktor paresse in condizioni più critiche di Jayce, entrambi sapevano chi stava dominando lo scontro. L'araldo delle macchine non sentiva il dolore, quindi non aveva limitazioni. Il giovane scienziato, al contrario, aveva un braccio rotto e dalla testa sgorgava un filo si sangue che gli copriva la vista all'occhio sinistro. La ferita doveva trovarsi in prossimità della fronte, dato che si accorse che anche i suoi capelli erano bagnati di sangue. Sul pavimento c'erano vari schizzi d'olio e di sangue, oltre alle macerie del laboratorio che, pian piano, veniva distrutto dai colpi dei due avversari. Viktor, stufo dell'ostinazione di Jayce, cercò più volte di metterlo con le spalle al muro per dargli il colpo finale. Ma Jayce era troppo veloce per i suoi movimenti meccanici. Proprio quando il giovane incominciava a vedere offuscato per via di tutto quel sangue, Viktor si lanciò contro di lui, afferrandolo per la gola con la sua mano meccanica.
« È finita! Tutti i tuoi sforzi sono stati vani! »
Esclamò sogghignando con la sua voce metallica. Jayce, non volendo darsi per vinto, tentò un ultimo colpo con Mercurio. La luce era diventata celeste e scagliò alla cieca una serie di raggi nel tentativo di colpire l'avversario che si trovava di fronte a lui. Con la vista offuscata, riuscì a colpire solo due volte l'avversario in pieno petto, ma non sembrava aver fatto gravi danni.
« Hai un ultimo desiderio? »
La presa di Viktor si fece sempre più forte, obbligando Jayce a lasciare la presa del suo martello. Mercurio, colorato ancora dalla luce celeste, cadendo sul pavimento lanciando, dopo l'impatto al suolo, un colpo. Quell'unico raggio, prese in pieno la teca del cristallo arcano e, come una reazione a catena, ci fu un'enorme esplosione all'interno del laboratorio. Facendo volare via anche lo stesso Viktor e Jayce.
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« Cosa è successo? »
Si chiese il giovane scienziato, ancora stordito dalla baraonda creata dall'esplosione. Vide attorno a se il laboratorio semi-distrutto ed in fiamme ed al posto della teca e del cristallo c'era solo polvere, mentre, il suo avversario era incosciente e spento al suolo. La maggior parte della sua armatura era stata carbonizzata dall'esplosione e non mostrava segni di vita. Jayce, fortunatamente, ne era uscito quasi incolume dall'esplosione. Il corpo metallico di Viktor gli aveva fatto da scudo e si era preso la maggior parte dei danni. Lui riportava solo qualche leggera ustione. Vedendo il corpo dell'avversario a terra ed il cristallo distrutto, Jayce si concesse un momento per sdraiarsi e respirare a pieni polmoni. Era stanco e stremato da quella lotta. Sapeva che con il suo intervento aveva salvato la su amata città dal pericolo. Sarebbe tornato da eroe a Piltover, sebbene era tutto merito di un colpo di fortuna. Nonostante tutto, però, la fortuna aiuta gli audaci. Se Jayce non avesse provato il tutto per tutto, a quest'ora Piltover sarebbe ancora sotto la minaccia costante delle armi di Viktor. Quella vittoria lo appagava come nient'altro. Si sentiva vivo come non mai e tutto quello scontro, quella frenesia provata in quel combattimento, gli era anche piaciuta.
« Piltover sarebbe molto più sicura con me come suo paladino... »
Disse alzandosi a fatica e portando sulle spalle i resti del suo avversario. Viktor era una macchina e finché il cuore ed il cervello erano in funzione, lui era vivo. Perciò, piuttosto che saziare la sua sete di vendetta, preferì portare il criminale a Piltover, dove avrebbe scontato a vita i suoi peccati. Dopo esser tornato a casa e dopo aver consegnato l'araldo delle macchine alla polizia di Piltover, Jayce fu acclamato come un eroe. Il suo nome venne scritto su tutti i libri di storia ed il suo scontro contro Viktor divenne leggenda. Da quel momento, i cittadini di Piltover acclamavano a gran voce la presenza del giovane scienziato che si era unito alla polizia di Piltover. Da quel giorno venne ricordato come "Il difensore del domani".
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Oscurità e freddo. Erano queste le uniche due compagne del giovane che studiava il percorso dei labirinti della piramide di Shurima. Era arrivato a quasi metà della mappa di quel labirinto e la stanchezza incominciava a farsi sentire. Il freddo della notte gli penetrava nelle ossa e gli aveva procurato anche un bel raffreddore.
« Caldo torrido di giorno e freddo gelido di notte... Che razza di posto! »
Pensò il biondo avventuriero che si addentrava sempre di più nell'oscurità con il solo aiuto di una torcia.
« Vai nel deserto di Shurima... Vedrai che ti divertirai... Vedrai che il labirinti delle piramidi saranno stimolati... Grazie tante Lux! »
Urlò pensando all'amica di Demacia che gli aveva consigliato di visitare quelle terre. Avrebbe preferito disegnare una mappa di Noxus piuttosto che stare li dentro. Le mura della piramide lo soffocavano ed odiava stare in posti chiusi per troppo tempo. Avrebbe preferito di gran lunga spazi aperti e vasti.
« E qui cosa abbiamo? »
Il piede di Ezreal toccò un mattone rialzato, solitario in mezzo al nulla.
« Che sia una trappola? »
Gridò contro le mura di pietra. Cercava di prendere in giro la banalità di quelle trappole di quella piramide, che si basavano solo sul fattore buio. Chi aveva una torcia, come Ezreal, difficilmente sarebbe caduto in una trappola del genere. Vagò in quel labirinto per altre due ore e si poteva dire che era quasi riuscito a completare la mappa. Per tornare indietro, si era legato alla vita una corda che l'avrebbe condotto all'uscita, così da non rimanere incastrato come una mummia dentro quella piramide.
« Ma dai... Un altro di questi! »
Urlò vedendo sempre la solita trappola del mattone rialzato solitario. Ma, questa volta, nel tentativo di evitarlo, la trappola scattò lo stesso. Da sotto i suoi piedi si aprì una voragine ed Ezreal fu costretto a reggersi alla corda ben tesa per non fare una brutta fine. Al di sotto di lui c'erano una distesa di aculei appuntiti pronti a far di Ezreal uno spiedino.
« Va bene... Questa te la concedo... L'unico mattone vero era quello rialzato... Bel tentativo. »
Esclamò parlando sempre ad un ipotetico spirito della piramide. La sua attenzione, però, si soffermò su un piccolo oggetto luccicante, posto in mezzo agli aculei.
« E quello cos'è? »
Ezreal cercò di mettere più a fuoco il piccolo oggetto che brillava al buio, fino a che non scoprì cosa fosse.
« Forte... Un diamante! »
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