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7 Marzo 2034

7 Marzo 2034
Ore 8:50

Nei tre giorni successivi, Manuel riprova insistentemente a chiamare quel numero fornito da Chicca. Tuttavia, la risposta è sempre vana: una serie di squilli e la segreteria telefonica con voce metallica che parte subito dopo.

Nulla di più.

Nemmeno i messaggi hanno una replica: su WhatsApp, addirittura, rimane una sola spunta grigia in fase di invio come se l'altro ragazzo nell'applicazione non ci entrasse da chissà quanto - solo che non è visualizzabile l'ultimo accesso, quindi non può saperlo.

A seguito di ogni tentativo andato a vuoto, quella mattina Manuel decide di presentarsi sotto casa di Simone - quella provvisoria, ma pur sempre sua.

Attende venti minuti in auto, fermo in doppia fila, sbirciando e analizzando la scena ogni qualvolta che il portone blu viene aperto; spera di vederlo uscire da lì, di poterlo fermare e parlarci. Non sa di cosa, non sa per quanto, però una strana sensazione lo ha avvolto a causa di quel silenzio.

Già una volta esso ha creato scompiglio tra di loro.

Non vuole che la storia si ripeta.

Al ventunesimo minuto, all'ennesima volta che il portone viene aperto e ne esce un volto sconosciuto, Manuel perde la pazienza e la calma.

Abbandona la Peugeot con uno scatto e la chiude con il telecomando a distanza mentre corre verso l'ingresso dello stabile, così da approfittare dell'uscita di un condomino per poter entrare lui.

L'androne di cui varca la soglia è ampio, con alti soffitti, rifiniture verde acqua e beige. C'è l'ascensore priva di eccessivi graticoli che spicca in mezzo alla tromba delle scale che ci girano tutto intorno.

Ecco, il problema sopraggiunge in quel momento poiché non ha la benché minima idea del piano dov'è Simone.

Deve andare a tentativi, pur risultando piuttosto molesto - è una casa presa per affitti brevi, pertanto il cognome non può esserci sulla targhetta del campanello.

Manuel comincia a suonare e bussare ad ogni porta di ogni piano che trova. Si becca qualche insulto, qualche imprecazione per aver disturbato la quiete dello stabile e persino un bicchiere d'acqua che una signora gli riversa addosso - per principio o per difesa, chissà.

La porta giusta la trova al quarto piano: è una blindata, diversa dalle classiche di legno a due ante del resto del condominio.

Suona il campanello che riporta la targhetta Mori. Oltre la soglia, tuttavia, ritrova il volto di Ivan, sul viso del quale si dipinge un mesto sorriso a denti stretti. «Sì?».

Manuel ha il fiatone: ha fatto le scale di corsa, in più è reduce dall'aver importunato più di una persona e dunque—

«Cercavo Simone» spiega, diretto. «Ce sta?».

Ivan mantiene la porta aperta solo di qualche centimetro. In tal modo, è difficilmente visibile l'interno dell'appartamento, nonostante Manuel cerchi di sollevarsi sulla punta dei piedi per guardare oltre le spalle dell'uomo e scorgere qualcosa - qualcuno.

«Sta dormendo» è la replica che sopraggiunge.

Non ci crede, ovviamente. Cerca ancora di intravedere l'interno della casa, con scarsi risultati. «Non lo puoi svejà?» dice. «È urgente».

«Mh— Non sai come diventa se lo sveglio prima che lo faccia da solo» Ivan è inquietantemente calmo. «Gli dico che sei passato».

Non ci crede, di nuovo.

Manuel manda giù a fatica della saliva. «Je puoi dì che gli ho mandato un messaggio?» raccomanda. «Se me può risponne a quello».

L'espressione di Ivan diviene seria per una frazione di secondo, in seguito il suo sorriso da denti bianchi, dritti e perfetti torna a comparire sul suo volto.

«Certo» afferma. «Buona giornata, Manuel».

La porta viene richiusa senza concedere a Manuel una reazione. Niente di niente.

Soltanto quel silenzio che voleva evitare.



7 Marzo 2034
Ore 17:51


«Oh, che faccia che hai! Pare che hai visto un morto».

Manuel è fermo dietro al bancone del Blue Butterfly quando la voce di Chicca lo tramortisce. Sbatte le palpebre più volte per notare la figura della ragazza oltre la superficie di legno lucida su cui ha appena appoggiato una confezione da sei bottiglie di birra da mettere in fresco. «Pensieroso?» domanda lei, appoggiando le mani sui fianchi.

«No» si affretta Manuel a rispondere. «Cioè, boh— Forse sì».

«Seh? E mica a che fare con un mezzo inglese?».

«Scozzese».

«Quel che è».

Sospira sommessamente e scrolla le spalle. «Non me risponne ai messaggi da tre giorni» spiega. «E se lo chiamo, cade la linea».

Chicca corruccia le labbra in una smorfia. «A volte a me sta pure 'na settimana senza risponne. Te preoccupi troppo».

Può essere.

Del resto, Manuel è stato anni senza ricevere alcuna replica. Tre giorni sono una barzelletta in confronto.

Eppure «Non lo so» bofonchia. «Me sento— Come se ce fosse qualcosa che non va». Si morde piano il labbro inferiore, nervoso. «Il tipo con cui sta non me convince».

A tale rivelazione, Chicca aggrotta le sopracciglia, perplessa e confusa. «Ma chi, Ivan?» esclama e le sfugge una risata. «È uno degli uomini più ricchi dell'Inghilterra o Scozia— Quel che è. Simone ha aperto le cliniche solo grazie a lui».

«Non è che se è ricco, automaticamente è una brava persona».

«No, certo. Ma non te convince solo perché sta co' Simone, mica pe' altro».

Se si fosse trattato di quello prima - non ricorda manco come si chiamava - forse avrebbe detto di sì, che era solo per quello. Stavolta, tuttavia, in questa particolare circostanza, Manuel non crede che il problema sia soltanto perché è il suo compagno.

«Potrebbe sta' co' chiunque, non me convince lo stesso» afferma. «E Simone è strano, io— Lo so che non ce vediamo da dieci anni, che forse le persone cambiano, ma lui è... Non è. È— Spento. Come se qua in Italia ce fosse tornato un fantasma».

Chicca non ne è convinta. Lei ha sentito Simone nell'ultimo periodo, hanno anche fatto una videochiamata poco prima di quel rientro e le è sembrato— normale. Il punto è che, per quanto siano amici, di sicuro non conosce il ragazzo come fa chi le è di fronte. «Magari sta solo passando un brutto periodo» tenta. «La vendita delle cliniche, il trasferimento— Non è che c'ha molta calma attorno».

A Manuel nemmeno quelle sembrano scuse valide. Il principio è che lui quella strana sensazione non riesce a levarsela di dosso; ha un doloroso fastidio addosso, qualcosa che gli puntella il petto e non lo fa stare sereno. E non crede di sbagliarsi.

Vorrebbe tanto, ma non è così.


7 Marzo 2034
Ore 22:50

Lavorare diviene arduo. Anche mostrare un sorriso ai clienti o ai dipendenti. Insomma, Manuel vorrebbe fuggire in quel preciso istante, mentre riempie tre boccali di birra da servire ad un tavolo, con le mani che gli tremano. Riesce a stento in quel gesto e con un cenno del capo indica a Giovanna dove va portata la consumazione.

È teso e si nota. Intorno scorge solo visi sfocati, immagini sbiadite; che tanti volti gli appaiono davanti, tranne quello di cui vorrebbe davvero vedere i tratti.

Delle volte, i desideri sono una trappola mortale - perché spesso si realizzano, ma in maniera diversa da quanto previsto.

Il volto di Simone gli appare davanti, tra altra gente che fa ingresso nel locale e alla quale Manuel non bada molto.

No, il suo sguardo si focalizza su quei tratti che ha tanto agognato.

Solo non così.

Sono pochi i metri che li separano, in una confusione statica dove ogni cosa pare muoversi a rallentatore.

Poca distanza, però sufficiente, frattanto che fa il giro del bancone al fine di raggiungere l'altro ragazzo, a Manuel per carpire e analizzare dettagli - quelli distorti, quelli stonati.

Soltanto qualche passo gli basta per essergli di fronte.

Simone ha un grosso ematoma violaceo che si estende da sotto il suo occhio destro e sullo zigomo, mentre un taglio compare sopra un angolo della bocca.

A quel punto, Manuel avrebbe duemila domande da porre, temendo incredibilmente la risposta. Eppure schiude le labbra e resta in silenzio.

«Possiamo parlare un attimo?» è la richiesta a stento udibile di Simone.

Manuel annuisce. Lancia uno sguardo fugace attorno, fa un cenno col capo e qualche gesto verso Fabrizio che ha appena finito di servire un tavolo, a fargli capire che deve allontanarsi e di prendere lui le redini del posto.

Non si preoccupa neanche di esser stato capito o no. In quel momento, la sua attenzione e preoccupazione è altrove.

Si ritrovano sul retro del locale, in una stanza di pochi metri quadrati dove, a ridosso delle pareti, spiccano degli scaffali di metallo, pieni di bottiglie d'alcol immacolate, casse di birra, di limoni e arance.

Manuel socchiude la porta per isolare quanto più possibile il chiacchiericcio esterno.

«Che hai fatto?» e allora la domanda sopraggiunge.

Si pone davanti a Simone, con le mani appoggiate sui fianchi e gli occhi ridotti ad una fessura. Cerca in tutti modi di incrociare il suo sguardo - perché quello non mente mai - ma i risultati sono nulli.

«Niente, sono caduto».

Cazzata.

Sebbene non ci sia esitazione in una simile risposta, non è quella la vera spiegazione, tant'è che schiocca la lingua sul palato per trattenere un urlo di esasperazione. Sta per aggiungere qualcosa quando viene frenato dall'altro ragazzo: «Tra qualche giorno ripartiamo» annuncia; «Le trattative sono finite, quindi— Non c'è ragione di restare».

Ecco. «Sei venuto fin qua pe' dimme che te ne vai?» bofonchia Manuel e stringe i pugni lungo i fianchi. È nervoso.

Simone si limita ad annuire.

In realtà, l'altro ragazzo neppure vuole battere sul fatto che di nuovo se ne sta andando, di nuovo lo sta abbandonando - poiché, in fondo, non ne ha alcun diritto. Pertanto, serra la mandibola e di nuovo: «Che hai fatto all'occhio, Simó?».

«Ti ho detto che sono caduto».

«Non te fai un livido del genere se cadi» incalza. Cerca il suo sguardo, tenta di far incastonare i loro occhi. Non ci riesce.

Perché gli occhi, forse, comunicherebbero troppo.

C'è poca luce lì dentro, ma il fatto che Simone si rabbui è lampante. Quest'ultimo, difatti, abbassa il capo. «Ti volevo solo salutare» soffoca e cambia argomento. «Non so se— Ci vediamo ancora prima che parto, non credo».

Nemmeno una parola viene ascoltata da Manuel, che lentamente avanza, inclina la testa su di un lato così da poterlo osservare meglio. Supposizioni le ha già fatte, tante e cattive, alcune troppo crudeli da poter esser prese in considerazione.

Quelle che non vorrebbe prendere in considerazione.

Il petto gli trema un briciolo. Manda giù a fatica della saliva. «Almeno ce potemo salutà bene stavolta?» lo chiede in un sussurro.

Non ti voglio salutare.

«Ci stiamo salutando».

«N'hai detto che parti tra qualche giorno? C'avemo ancora un po' di tempo».

«No, sistemo le ultime cose, non— Per questo sono passato ora».

«Nemmeno ora?» Manuel trattiene il fiato. Nella sua mente vengono vagliati mille scenari e in ognuno di essi una voce minuscola reclama più tempo.

Per tutto il tempo perso.

«Se me dai trenta secondi, dico due parole di là e ce ne possiamo annà».

Simone schiude le labbra. Il livido sotto l'occhio gli pizzica un briciolo. «Andare dove?».

«Me invento qualcosa. Ce va bene sempre ovunque tanto, no?». Manuel parla come se gli anni non fossero passati, come se in quel momento fossero ancora due adolescenti a cui andava bene un marciapiede e due birre in mano per stare in pace.

La vita è sempre parsa semplice da quella prospettiva.

«Ce stai?» insiste Manuel, con un briciolo di speranza nella voce.

Simone esita un minimo. Il chiacchiericcio in quella piccola stanza sembra un po' più forte. Poi torna il silenzio e lui annuisce.

7 Marzo 2034
Ore 23:32

Il posto non è importante.

Non c'è un marciapiede, ma una panchina di metallo verniciata di verde scuro.

C'è una bottiglia di birra di vetro tra le dita di Manuel e una lattina di Coca-Cola Light tra quelle di Simone.

La vita sembra più semplice in quel momento, in una strada qualunque e deserta di Milano, sotto la luce fioca e fredda di un lampione e il rombo dei motori delle auto in lontananza.

Loro due sono seduti uno accanto all'altro, con le spalle che a stento si sfiorano a produrre quel ridicolo e minuscolo contatto tra i loro corpi.

Di tanto in tanto, Manuel gli lancia uno sguardo, schiude le labbra perché vorrebbe parlare, vorrebbe insistere.

Vorrebbe avere una risposta.

Vorrei farti stare bene.

Stai bene, Simone?

Però tace.

Resta in silenzio poiché consapevole che una replica non la otterrebbe in quell'istante, che insistendo avrebbe l'effetto contrario, che è così che funziona.

«Sei sicuro che— non puoi restare n'altro po'?» usa vie traverse, magari quelle servono.

«Ti ho detto che...».

«Che le trattative só finite, ho capito, ma che devi fa' de così urgente in Scozia? Non è pe' annà a lavorá o perché hai qualcosa che se scongela in frigo. Puoi restà qua per un po'».

«Ho anche una vita in Scozia, Manuel».

«Un pezzo lo hai pure qui, però». Si pizzica la lingua coi denti a tale affermazione, che gli viene fuori in maniera spontanea. Cerca di dissimulare con: «Chicca non è riuscita a beccarte manco pe' du secondi».

«Le ho mandato un messaggio».

«O' sai che non è la stessa cosa». Manuel fa una breve pausa. Rigira la birra che mantiene tra le mani. La condensa sul vetro gli bagna le dita. Tiene lo sguardo basso su quelle minuscole gocce che si mescolano tra di loro.

Da tante, divengono una cosa sola, come una folla di gente che si accorpa e diviene un'onda.

Simone lo osserva sottecchi. La sua Coca-Cola zero è a metà. È una di quelle bevande che consuma senza troppi problemi. «Perché ti interessa tanto che resti?» domanda. «Non ci— vediamo e sentiamo da dieci anni in pratica».

Perché tu sei venuto a cercarmi, pensa Manuel.

Solleva gli occhi soltanto in quel momento, rivolgendogli l'attenzione. «Perché só du' volte che te chiedo che hai fatto e due volte me dici che sei caduto».

«Perché sono caduto».

«Seh, vabbè» soffia una risata, spenta e fiacca, scuotendo il capo e prendendo a fissare la strada che ha di fronte. Butta giù un sorso di birra.

Simone scruta bene quei gesti, aggrotta le sopracciglia. «Vabbè cosa?».

«Niente, lascia sta'».

«No, dimmi».

Questa volta, l'esitazione è da parte di Manuel. Trattiene il respiro. Poi spiega: «Non credo che só lividi che te fai cadendo». Ha quasi paura di una sua ipotetica reazione: un conto è fare una supposizione, un altro è mettere le carte in tavola in quel modo così repentino.

La paura di aver compiuto un passo falso è molto forte, tanto da paralizzarlo.

Il terrore fa questo, specie se si tratta di quello di perdere qualcuno. Una seconda volta.

Simone sbatte rapidamente le palpebre, forse a tentare di celare gli occhi che si sono fatti lucidi. «Che— Che vuoi insinuare?».

«Simó...».

«Simó un cazzo» la sua voce si alza un briciolo. Di poco, il tono rimane comunque abbastanza rauco, come se non fosse possibile averne uno più alto.

«Non sto insinuando niente, solo— Niente, lascia stare». Manuel non crede manco sia la soluzione ideale quella di lasciar perdere, anche perché appura in quel momento che del danno lo ha provocato.

Che Simone ha capito fin troppo: «Nemmeno lo conosci e t'inventi 'ste cose».

«Non me só inventato niente. Ce siamo visti tre volte, una avevi un labbro spaccato e mó un occhio nero. Che me devo inventà?».

«Niente! Perché se ti dico che sono caduto, stai zitto e vai avanti».

La reazione che Simone ha è spropositata, tanto da fargli arrossare le guance.

Manuel serra la mandibola, un po' nervoso. «Me stavo solo a preoccupà» cerca di spiegare. «Perché pure se non ce sentiamo da dieci anni, preoccuparmi per te non è 'na cosa che s'è cancellata, è 'na cosa che ce sarà per sempre».

«Nessuno te lo ha chiesto» Simone si alza in piedi con uno scatto, mollando la lattina in bilico sulla panchina. «Né adesso, né negli ultimi dieci anni».

Perché sei venuto a cercarmi?

Manuel prova a rimanere calmo, impassibile. «Non è una cosa che se controlla» bofonchia.

«Provaci di più» sentenzia Simone.

C'è un attimo, una frazione di tempo in cui i loro sguardi si abbracciano: lo fanno di sfuggita, con fare sconclusionato come se dovesse accadere per forza di corsa, così da non attirare occhi indiscreti.

Manuel si sente affogare quando quel breve contatto si interrompe. Ed è peggio pure dopo, quando Simone fa un passo indietro e piano mormora: «Torno a casa. Ciao, Manuel».

Si allontana e insieme ai piccoli sassi che sfregano sotto le suole, risuona anche quel ciao che comprende un addio, l'ennesimo che si scambiano senza mai dirselo in faccia.

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