31 Marzo 2034 - La paura
31 Marzo 2034
Ore 00:01
Ci sono dei momenti in cui il tempo perde la sua dimensione: è in fase di stallo, come se le lancette dell'orologio si fossero bloccate ed ogni cosa avesse smesso d'essere dinamica.
La realtà è fossilizzata, bloccata, una bolla che si ingigantisce e non scoppia.
Rimane in bilico.
Gli occhi di Simone e Manuel sono incastonati gli uni dentro agli altri prima di tale esplosione che corrisponde col momento esatto in cui il corpo del primo cede e cade al suolo.
Boom.
Manuel si maledice per non essere stato abbastanza veloce da spingersi nella sua direzione, da prenderlo al volo. Si accorge che le proprie mani, insieme a quelle di Ivan, sono ferme sul manico delle pistola.
Hanno lottato. In quella colluttazione, nessuno dei due ha avuto la meglio, ma una delle loro dita ha premuto abbastanza sul grilletto da aver fatto partire quel maledetto colpo.
Manuel rilascia la presa in quel preciso istante. Ivan barcolla all'indietro e l'arma si infrange sul pavimento.
Ci sono milioni di cose a cui dovrebbe pensare, lo sa, ma la preoccupazione di Manuel si focalizza su Simone, sulla pozza di sangue che inizia a propagarsi sulle mattonelle attorno a lui che giace supino, che cerca di frenare l'emorragia con una mano che gli trema.
«Cazzo, cazzo, cazzo» biascica Manuel. È nel panico, non sa che fare. È chinato al suo fianco, porta un palmo a premere sulla ferita al petto, il che scaturisce un sommesso lamento nell'altro ragazzo che soffoca: «F-fa male».
«Lo so, lo so, lo so, devo— Premere per fermare il sangue, mi— Mi dispiace, mi dispiace» Manuel si ritrova a singhiozzare. Il suo sguardo ricade su Ivan che è rimasto in piedi, inerme, gli occhi sbarrati.
«Devi chiama' n'ambulanza!» gli urla. «Muoviti».
Ma Ivan scuote il capo, fa ripetutamente cenno di no, mentre indietreggia.
«Muoviti!» gli ribadisce Manuel, la voce gli si spezza in gola. Il suo grido non viene sentito, non viene ascoltato.
Grande codardo e vigliacco, infimo e crudele, Ivan corre via da quell'appartamento, faticando ad aprire la porta e correndo poi giù per le scale.
A Manuel trema il petto - gli trema ogni cosa. Sta piangendo, se ne accorge ora. Non sa se sia per la rabbia, per il dolore, per che altro, ma i suoi occhi sono colmi di lacrime che gli rigano le guance.
Ha ancora una mano ferma a premere sulla ferita di Simone, mentre con l'altra si affretta a raccattare il telefono che tiene nella tasca posteriore dei pantaloni, a comporre il numero dell'ambulanza.
Fatica a dettare il proprio indirizzo, a chiedere aiuto.
Ci riesce, implora «Fate presto, vi prego». Dopo molla il cellulare a terra, con noncuranza.
C'è del contatto tra di loro: la mano di Manuel che preme vigorosamente contro il foro di un proiettile sul petto di Simone.
E Manuel ha immaginato tante volte come sarebbe stato toccarlo di nuovo, accarezzarlo, baciarlo ancora una volta. Non ha mai messo in conto che lo avrebbe toccato per non lasciarlo scivolare nell'abbraccio della morte.
«M-Manuel» biascica Simone. La sua voce si spezza, interrotta da un singhiozzo, una smorfia di dolore che deturpa i suoi tratti.
«Sto qui, sto qui, sto qui» cantilena Manuel. «Sta a' arrivà l'ambulanza, arriva tra poco».
«Non— Non v-voglio morire, non... Non voglio m-morire».
«Non succede, non succede» lo dice all'altro e, in contemporanea, cerca di convincere pure sé stesso.
Non ci capisce molto - non ci capisce niente - ma dalla quantità di sangue che vede spargersi sulle mattonelle, quella pozza rossa che continua ad allargarsi sul pavimento, è consapevole che è qualcosa di grave.
Come potrebbe non esserlo?
D'istinto, esercita più pressione sulla ferita, il che porta Simone a mugolare qualcosa di a stento comprensibile.
«Scusa, scusa, scusa».
Una mano tremante di Simone si posa sulla sua. «Mi— Dispiace».
«Non parlà, Simó, non— Sta a' arrivà l'ambulanza, possiamo...».
Ma non lo ascolta. È come se si rendesse conto che il tempo gli sta scivolando via dalle dita, come sabbia.
Si scioglie sui suoi palmi come la neve appena caduta.
Ed è forse questa amara consapevolezza, la realizzazione di essere prossimo ad un finale non lieto che lo porta a incurvare le labbra in un amaro sorriso, una piega dolorosa che stona con tutto il resto.
Ha le palpebre pesanti, vorrebbe chiudere gli occhi, ma ha davanti il volto di Manuel che, intanto, ha iniziato a piangere.
E Manuel non piange mai.
Quasi mai.
Simone pensa che sia una bella visione, quella.
Morire e avere davanti il viso dell'amore della sua vita.
È un bel modo per andarsene.
«Sei— Sempre stato tu» gli esce fuori di bocca, insieme ad un lamento che si mescola ad una risata, che si mischia a gioia per averlo esternato e tristezza per il fatto che non possa durare.
Perché le cose belle paiono averlo abbandonato, come se non fosse destinato a qualcosa di diverso dal dolore.
Pronuncia quella frase che vuol dire tutto e niente.
A te che ci sei ora e, in realtà, ci sei sempre stato.
Che non ha mai smesso di essere legato a lui, nonostante tutto.
E questo Manuel lo sa.
Che sono sempre stati loro.
«Abbiamo un— Un tempismo 'n po' der cazzo, Simó» singhiozza. Adesso piange e ride isterico insieme.
Simone annuisce. Tenta di ridere anche lui e pure quel tentativo viene smorzato da un gemito sommesso che corrisponde all'ennesima fitta scaturita dalla ferita. «Scusa» soffia.
Manuel scuote il capo. Ha il volto bagnato dalle lacrime. «No» sussurra. «Abbiamo il futuro, te ricordi? Io e te. Ce l'abbiamo tutto davanti».
Pare tanto una bugia.
Vorrebbe fosse la verità, ma potrebbe non esserlo. Si sta aggrappando ad una speranza evanescente.
Simone finge di crederci: ne hanno bisogno entrambi.
Le palpebre pesano ancora di più, il suo respiro produce un fischio. «Mi— Mi baci?» mormora. «Per-per favore».
Manuel desidera dirgli di no, che non vuole fare ora, in quel momento. Che vuole baciarlo mentre sono in piedi, uno davanti all'altro, quando starà bene.
Il problema è che, forse, quel momento non è destinato ad esserci.
Non lo bacia da anni.
Non lo bacia da dieci anni.
Si sporge nella sua direzione, sfiora le sue labbra secche che hanno cominciato a farsi violacee.
Non crede esista un bacio più doloroso, durante il quale vorrebbe donargli più ossigeno, vorrebbe donargli la propria vita. Quando si stacca, rimane comunque abbastanza vicino al suo viso per far sfiorare le punte dei loro nasi.
L'espressione di Simone è più serena. «Manuel...» soffia.
«Sto qui».
«Non— Non fa più male».
Le dita di Manuel sfiorano il suo viso, accarezzano piano la sua pelle. In tal modo, gli imbratta le guance pallide di rosso. «Só contento».
La sua voce roca è l'ultima cosa che Simone sente prima di arrendersi e chiudere gli occhi.
31 Marzo 2034
Ore 05:12
«Manuel? Manuel!».
La voce di Chicca giunge ovattata alle sue orecchie. Ha il suo volto davanti, lo vede, nonostante i suoi contorni risultino sfocati, poco nitidi.
È come se si trovasse in una dimensione differente.
Del resto, lui il contatto con la realtà lo ha perso cinque ore prima.
Non sa neppure come ci è arrivato in quel corridoio dalle pareti bianche e anonime. La luce dei neon è troppo forte, gli fa bruciare gli occhi.
O magari quello è a causa delle troppe lacrime versate o che ha sonno, dovrebbe dormire, ma ha paura di farlo.
Il suo corpo è abbandonato, seduto sulle sedie di plastica rigida blu scuro di una sala d'attesa.
«Manuel!» Chicca lo scuote, tenendolo per le spalle.
A causa di tal gesto, Manuel sbatte le palpebre, cerca di riconnettersi in qualche modo al mondo reale, sebbene non sappia più esso quale sia.
«Non— Non m'hanno detto ancora niente, non...» biascica.
Non so manco se è vivo.
Chicca annuisce, lo fa per circostanza. «Provo a cercà qualcuno, mh?». Osserva l'amico: ha le mani sporche di sangue ormai incrostato, stesso colore rosso scuro che appare sulla sua maglietta tinta panna; alcune tracce, degli schizzi, sono presenti sul suo viso.
Sa a grandi linee ciò che è successo, ha ricevuto una chiamata da parte di un inserviente dell'ospedale che non ha saputo spiegarle nei dettagli l'accaduto e immagina non possa venirne a conoscenza presto direttamente da Manuel.
Quest'ultimo continua a fissare il vuoto, i suoi occhi sono vacui.
A Chicca ricorda la versione di lui affetta da alcolismo, quella così distaccata dalla sua vera natura, quella assente, priva di vitalità.
Come se non fosse Manuel.
Si allontana a fatica da lui, cerca chiunque possa darle qualche informazione utile.
Chiunque che le faccia sapere qualcosa su Simone.
31 Marzo 2034
Ore 7:41
Ci sono infinite cose fuori posto in quella stanza.
C'è un fruscio continuo, fastidioso, interrotto da bip radi e continui.
Manuel ha sognato parecchie volte di sentire il cuore di Simone battergli in un orecchio. Non ha mai messo in conto di udirlo scandito da una macchina.
Ma almeno batte ancora.
Gli hanno dato un camice con maglia a maniche corte e pantalone verde scuro, per sostituire i suoi vestiti sporchi.
È seduto accanto al letto dove Simone giace in posizione supina: ha un tubo spesso che gli fuoriesce dalla bocca ed è quello che lo collega ad un macchinario che respira per lui.
Manuel non si sofferma sugli aghi che gli bucano le braccia e il dorso delle mani, neppure sul camice bianco con puntini blu scuro sul quale compare una macchia rossa al centro del petto - la medicazione va rifatta.
Chicca gli ha parlato, prima. È riuscita ad avere informazioni dai medici e gliele ha riferite.
Manuel le assimilate, ma una parte di lui si è rifiutato di comprenderle.
Come la mandi giù una cosa del genere?
Come metabolizzi che stai per perdere l'amore della tua vita, di nuovo?
Perché le loro parole son state glaciali.
I dottori devono essere brutalmente sinceri, in alcuni casi.
E lo son stati quando hanno esternato è una fortuna se arriva a domani.
Che ne è del loro futuro?
«Hai parlato con la polizia, Manuel?» Chicca glielo chiede con voce lieve. Si trova dall'altra parte del letto, rimane in piedi e immobile.
Manuel ci impiega un po' e poi annuisce. Ci ha parlato con gli agenti. È riuscito a spiccicare qualche frase di senso compiuto, ma quelle sufficienti che comprendono il nome di Ivan.
Lo ha sputato tra i denti.
«Forse sono stato io» soffia. I suoi occhi vuoti sono fissi sul volto di Simone.
Vorrebbe che la sua immagine fosse sufficiente a colmarlo quel vuoto, ma non funziona.
«Che?».
Manuel solleva lo sguardo, lo sposta sulla ragazza. «A premere il grilletto» soffoca. «Stavo— Cercavo di togliergli la pistola dalle mani ed è partito il colpo, ma avevo... Le mie dita erano su quella pistola. Potrei— Potrei averlo premuto io il grilletto, potrei averlo ridotto io così e...».
«Manuel...» Chicca lo interrompe con un sospiro. «Non— Non sei stato tu a portare un'arma in casa, non... Non devi pensare nemmeno per un secondo che sia colpa tua».
Razionalmente, Manuel lo sa. Non avrebbe mai fatto del male a Simone, ma la sola idea di una remota ipotesi che lo vede come artefice di ciò che è accaduto lo devasta.
Trema appena, tira su col naso. Torna a postare gli occhi stanchi su Simone. «Sta per morire e io non gli ho mai detto che lo amo ancora» biascica. «Quanto semo stupidi, Chi? Perdiamo 'n sacco de tempo pe' l'orgoglio come se— Come se cerca de sistemà 'e cose fosse 'na colpa. Poi rimaniamo solo coi rimorsi, pensando a tutte 'e cose che potevano succedere se».
Fa una breve pausa, lancia uno sguardo fugace all'amica. «Se non avessi— Annullato quel messaggio anni fa, se je avessi scritto prima, se...» cantilena.
«Non gli ho detto che lo amo ancora, Chì. Che non ho mai smesso, che— Il giorno che me só sposato, in chiesa vedevo lui, che ho scritto le promesse mie pensando a lui».
«Erano delle belle promesse» Chicca sussurra. Smorza un sorriso che stona con la sua espressione tesa e affranta.
«Gli sarebbero piaciute» attesta Manuel. «E magari sarei— Stato 'n marito migliore, pure».
«Non ho dubbi su questo» la ragazza sospira sommessamente. Scruta anche lei il viso del ragazzo a letto. Le parole dei medici le rimbombano ancora nella testa, la feriscono come lame.
«Digliele lo stesso» mormora. «Le promesse, intendo. Sono sicura che te sente».
Manuel non ne è sicuro. Preferirebbe parlargli guardandolo negli occhi, immergendosi in quelle due pozze scure, con la speranza di poter ridar loro un po' di luce.
Ma non può farlo.
E forse non potrà farlo mai più.
31 Marzo 2034
Ore 12:10
Manuel è rimasto solo.
Non si è mosso dalla sedia accanto al letto. Chicca gli ha portato un caffè e un panino.
Ha bevuto solo il primo, ha lo stomaco chiuso.
Il suo sguardo è rimasto fisso sul viso rilassato di Simone. Non ha osato stringergli una mano, neppure sfiorarlo in alcun modo, quasi non ne avesse il diritto.
Lo osserva e basta.
Gli è sufficiente quello.
Ripensa al consiglio di Chicca, anche se gli pare stupido.
Tanto te sente.
Dubita sia vero.
Avrebbe dovuto ascoltarlo cinque o dieci anni prima.
Finge un colpo di tosse, mentre si sfrega i palmi.
«Oggi è un giorno che mi fa paura» comincia a parlare, la sua voce si spezza. Passa lo sguardo dalle proprie mani al profilo dell'altro ragazzo. «Ma è anche— Un giorno in cui mi sento coraggioso e invincibile perché la paura scappa via se ci sei tu al mio fianco. Non c'è un cammino difficile e tortuoso che— Che non posso affrontare, se tu mi prendi per mano. Sono diventato coraggioso il giorno che t'ho incontrato perché è in quel momento che ho capito che dovevo smettere di fuggire».
Si interrompe a causa di un singhiozzo che gli smorza il respiro. «Ma se ci sei— Se ci sei tu, possiamo fuggire insieme, in uno spazio e in un tempo che creiamo e controlliamo noi. Ed oggi, proprio oggi, voglio urlarlo al mondo quanto sono coraggioso. Oggi che unisco la mia vita alla tua. Oggi il mio respiro diventa il tuo» si ferma, si morde piano il labbro inferiore.
«Oggi è il giorno in cui smetto di essere solo Manuel e divento Manuel e Simone. Smetto di essere io e divento noi. Due individui che diventano uno solo, senza più paura e con tutto il coraggio del mondo».
Soffia l'ultima frase.
Spera che Simone l'abbia sentita e pensa che il proprio respiro, cuore e anima vorrebbe donarglielo per davvero per vedere un'ultima volta i suoi occhi aperti.
Si solleva dalla sedia, quel che basta per sporgersi in avanti per poter depositare un bacio sulla sua tempia. Quell'unico contatto che si concede.
«Ce sta ancora er futuro nostro, Simó» sibila. «Io t'aspetto qui».
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