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3 Marzo 2034

3 Marzo 2034
Ore 21:21

Vivere a Milano non è mai stato nei suoi piani, anzi: Manuel si è sempre visto a trascorrere ogni minuto della sua vita, fino all'ultimo, a Roma. Non è mai stato importante in quale casa o con chi, però nella capitale sì, era una certezza.

Eppure, adesso sono quasi due anni che a Milano ci abita.

Si è stabilito lì quando ha deciso di affiancare Chicca nell'apertura di un locale sui Navigli della città: il Blue Butterfly.

È suo socio e la loro attività procede abbastanza bene, tanto - delle volte - da ospitare band emergenti a suonare e non avere neppure un tavolo libero.

Sua madre è stata contraria, all'inizio, perché un ex alcolista che lavora in un bar me pare un paradosso, Manuel.

Ma Manuel lo vede piuttosto come un traguardo poiché ha raggiunto un livello tale di autocontrollo per fare una cosa del genere.

Quella è una delle sere più tranquille, stranamente, è Manuel ne è addirittura grato. Vero che è, in pratica, padrone di sé stesso, ma pure che in fondo non lo è sul serio poiché Chicca è sempre molto autoritaria e se le cose non vanno come vuole lei, perde facilmente le staffe. Per fortuna c'è Ilaria a tenerla a bada, la sua compagna.

Sì, per Manuel è stata una sorpresa quando la migliore amica gli ha confessato di essere bisessuale e di averlo scoperto proprio con Ilaria, una ragazza dai lunghi capelli neri e occhi azzurri che è stata in grado di ammaliarla e rapirla, in ogni senso possibile.

Per cui, per quella sera, lui è libero e tranquillo, poiché Chicca non c'é - Ilaria l'ha trascinata a teatro a vedere uno spettacolo su Pinocchio da poco approdato in città - e al locale ci sono soltanto lui e Fabrizio, uno dei loro barman di fiducia che è stato assunto poco dopo l'apertura, e Giovanna, una delle cameriere che servono ai tavoli.

Manuel é dietro al bancone, ad asciugare uno ad uno i bicchieri di vetro dove di solito servono i cocktail. È ben attento a non lasciare nemmeno una goccia sulla superficie altrimenti si creano dei fastidiosi aloni - e non vuole sentire le lamentele di Chicca a riguardo.

C'è poca gente, come ha già appurato, per cui «Manué, ma non è che posso staccare un'oretta prima?» sente la voce di Fabrizio rimbombare nelle orecchie. Ha lo sguardo basso fisso su ciò che sta facendo e non gli occorre sollevarlo per poter vedere l'altro che lo ha affiancato, tenendo le mani sui fianchi.

«Considerando il pienone de stasera» esclama. «Te ne puoi annà pure mó».

«Davvero?» un sorriso è visibile attraverso la folta barba scura di Fabrizio. È a quel punto che Manuel gli rivolge un minimo di attenzione, mentre posa un bicchiere asciutto sullo scaffale apposito. «Seh, non me lo fa' ripete» esclama. «Però me devi un favore».

«Ah, sei un mito!» esulta il barman e già si è tolto il grembiule nero da attorno alla vita. «Dovrebbero avere tutti un capo come te».

«Non dirlo troppo forte che se te sente Chicca, te sbrana».

«Sarà un nostro segreto». Fabrizio saltella ancora, entusiasta per poter smettere di lavorare prima quella sera ed è poi rapidamente che si dilegua fuori dal locale nel giro di pochi minuti.

In quel silenzio inusuale per il posto, Manuel torna a pulire i bicchieri. Lo fa minuziosamente, sollevandoli uno ad uno per osservare la loro superficie controluce e assicurarsi non vi siano macchie.

Adesso ne tiene uno a mezz'aria, davanti a sé.

Quel bicchiere ha il vetro spesso: se si guarda attraverso di esso, la realtà risulta un briciolo distorta, con una lente che amplifica le dimensioni delle cose e spegne i colori.

Manuel strizza gli occhi per metter meglio a fuoco ciò che ha davanti.

Perché il vetro altera la realtà, fa da scudo tra la vista e il mondo esterno.

Perché quel vetro spesso crea una illusione statica che gli sembra di esser stato catapultato in un sogno fin troppo vivido - sente ancora il freddo del bicchiere, l'umido dello straccio che tiene nell'altra mano, il leggero chiacchiericcio di sottofondo che un po' rimbomba tra le mura in piede del locale.

La realtà risulta distorta se troppo simile ai sogni.

Lo ha immaginato tante volte un simile avvenimento negli ultimi dieci anni - o quasi; quello che è successo sei anni prima non ha molta rilevanza. Ha presupposto mille modi di reagire, altrettanti di sentirsi.

Ciò nonostante, ogni cosa è semplicemente in stallo, ferma ed immobile, mentre lui attraverso quel fondo di bicchiere di vetro scorge una sagoma fin troppo familiare, fin troppo conosciuta, sebbene diversa, scalfita dal tempo e da ricordi oramai grezzi.

Manuel deve sbattere le palpebre più volte per rendersi conto che davvero non sta sognando che Simone è in piedi proprio davanti a lui. Mette giù lentamente il bicchiere.

Non lo vede da sei anni, dal funerale di Dante, e già allora gli è parso diverso da quel ragazzino che conosceva. Adesso lo è ancora di più: i suoi capelli ricci sono corti e poco definiti, ha il viso pulito, privo di qualunque accenno di barba, porta dei cerchi piccoli di metallo ad entrambi i lobi; è decisamente più magro, il che è visibile anche al di sotto di quella felpa grigia che ha indosso, di almeno tre taglie più grandi e il jeans nero che gli fascia le gambe fin troppo gracili rispetto a come sono sempre state.

Persino il sorriso che sta forzando è differente, con la labbra curvate da un solo lato che lasciano intravedere gli incisivi superiori privi dello spazio minuscolo tra di essi che da sempre lo caratterizzava.

È Simone, ma una versione stravolta e cambiata di Simone Balestra.

«Chicca mi ha detto che il vostro locale era bello. Aveva ragione».

Persino la sua voce è diversa, più rauca e graffiata.

Manuel nemmeno comprende la ragione per cui gli fa quell'effetto.

Che sono passati dieci anni dalla sua dichiarazione e per alcuni momenti ha pensato di averla superata.

C'è il problema che alcuni rapporti non si spengono e basta, continuano ad ardere e consumarsi, anche per l'eternità, come una candela la cui cera non si esaurisce mai.

E lui, per tutto quel tempo, ha continuato a bruciare.

Manuel ha la gola secca. Manda giù a fatica della saliva. Ogni frase che gli viene in mente gli sembra fuori luogo. Non sapeva nemmeno che Chicca lo sentisse ancora, quindi è del tutto inaspettato trovarselo lì.

A Milano.

Dopo dieci anni.

«È merito suo» è la prima cosa che butta fuori, di getto. «Ha curato lei tutta la parte dell'arredamento».

Simone abbozza una risata, di circostanza, frattanto che prende posto su uno degli sgabelli alti, di legno opaco colorato di nero.

I suoi movimenti sono lenti, come avesse paura di fare troppo rumore. «Me lo fai un drink?» lo chiede in un sussurro a stento udibile.

Manuel si chiede come sia possibile parlarsi di nuovo dopo tutto quel tempo e far finta che la cosa non lo stia dilaniando. Ma forse, in quegli anni, Simone è andato così avanti che ha chiuso in un cassetto dell'esistenza quella parte di vita, in modo da entrare senza stralci del passato in un nuovo capitolo.

Non lo sa.

Magari pure lui dovrebbe scordarsi di ciò che è successo - del resto, gliene sono capitate di tutti i colori in quei dieci autunni.

Il punto è che Simone - o il pensiero di Simone - è stato costante, nonostante tutto.

Si morde piano il labbro inferiore e «Sì, uhm— Che vuoi?».

Un Bloody Mary.

«Un Bloody Mary».

Mi ricordo persino il tuo cocktail preferito.

Manuel annuisce. Di solito, i drink li prepara Fabrizio - è ben più preparato e veloce, però, in sua assenza, se la sa cavare. Recupera rapidamente ciò che gli occorre - anche se ha poco tabasco, devono fare rifornimento. Maneggia con fare abile il bicchiere dal collo lungo, ghiaccio e lo shaker.

Durante tutta la preparazione, il suo sguardo guizza spesso verso il ragazzo seduto al bancone, sul quale ha appoggiato le mani - ha le dita ossute e le unghie mangiucchiate.

«Che ce fai a Milano?» borbotta. «Gli inglesi non t'hanno più voluto?».

«Scozzesi».

«Seh, quel che è».

Simone accenna una risata e si stringe nelle spalle. «No, siamo— Qui per delle cose di lavoro» spiega.

Manuel versa il primo strato di Bloody Mary nel bicchiere, dove ha già messo tre cubetti di ghiaccio.

«Siamo?».

«Io e il mio compagno» replica Simone e l'ultima parola la soffia. «Ho— Siamo in trattativa per le cliniche, sai».

«Ah, le famose cliniche Balestra».

Manuel non l'ha sentito per nulla in quel periodo, ma per vie traverse le cose le ha sapute, come la sua laurea in medicina a pieni voti, il master a seguito e l'avvio di cliniche private in espansione in tutta Europa, sicuramente con qualche aiuto esterno, data la giovane età - che poi per dei mesi è stato su tutti i giornali e sarebbe stato pressoché impossibile non notarlo.

«Non sono così famose» biascica Simone.

«E perché le vendi?» Manuel domanda e inserisce un piccolo gambo di legno nel calice. «N'era il tuo sogno questo?».

«Ho altre priorità al momento». Simone non insiste troppo su un simile argomento, difatti lo cambia in maniera sapiente e repentina con «E tu?» mormora e inclina un capo su di un lato. «Non porti la fede al dito».

A Manuel scappa una risata. Il Bloody Mary è pronto e fa strisciare il bicchiere pieno sul bancone di legno lucido. «Ah, ho capito che non só fatto per i matrimoni» esclama. «Avemo divorziato dopo sei mesi».

«Tanto. Io avevo scommesso tre».

«Che stronzo».

Sta ridendo ancora. Un po' lo fanno entrambi.

Manuel cela il fatto che con Cecilia non ha mai funzionato perché nonostante fosse la ragazza perfetta, bellissima, con lunghi capelli biondi e occhi grandi e marroni, il suo cuore non le è mai appartenuto.

Così come non è successo con Sarah prima, con Luca o con Davide. Con ogni persona con la quale Manuel è stato, non ha mai funzionato - perché pensava ad altro, perché cercava in diversi individui un piccolo frammento della persona che davvero voleva al suo fianco. E non l'ha mai trovato.

Succede quando si cerca in altri una persona che non si può avere.

Sarebbe inutile esporlo in quel momento, specialmente considerando che Simone ha un compagno, vive ancora a chilometri di distanza e tutto il resto.

Può lasciar correre e comportarsi come farebbe con un amico di vecchia data.

È quel che sono in fondo, no?

Due amici che non si vedono da tanto e hanno tante cose da raccontarsi.

Nulla di più.

Finge un colpo di tosse. «Te fermi tanto?» chiede, con una punta di incertezza. «Qui a Milano, intendo».

«Qualche settimana» è la risposta di Simone, mentre beve un piccolo sorso del drink che ha ordinato. «Abbiamo affittato un appartamento in centro».

«Ah, certo. Sei ricco» lo sbeffeggia Manuel. «Ovvio che lo hai preso in centro».

«È solo più vicino alla clinica di qui».

«Seh, vabbè».

«È vero». Il tono di Simone cerca di essere scherzoso, allegro, ma qualcosa pare smorzarlo. Non che sia mai stato uno dalla battuta pronta, anzi, la sua natura è - per detta di Manuel - l'eterno musone.

Tuttavia, è più un velo di malinconia che lo avvolge, non è semplice spocchiosità nei confronti del mondo.

Manuel cerca di reprimere qualunque sorta di rancore lo possa mai avvolgere o sentimento ancora vivo che gli attanaglia il cuore.

Amici di vecchia data, no?

Siamo grandi per il rancore.

«Senti, uhm—» dice, allora, appoggiandosi al ripiano di metallo che ha davanti. «Stasera Chicca non ce sta, è— A teatro con la ragazza sua».

«Ilaria, giusto?».

«Sì».

«Mi ha mandato qualche foto, sono molto carine».

«Seh, c'ha pure Instagram pieno de foto loro».

«Ah, non— Ho cancellato il profilo, non ho visto lì».

Manuel quasi vorrebbe chiedergli il motivo di quel gesto, ma dura solo mezzo secondo, poi passa oltre. «Comunque» riprende. «Domani sta qui e ce sta pure la band di Ilaria che suona. Só forti, te potrebbero piacere».

«Domani sera?».

«Eh».

«Non so se posso».

«Perché, ce stanno le trattative pure alle dieci de sera?».

«No, non—». Simone è in procinto di rispondere, ma le sue parole sono interrotte da un «Oh, eccoti qui»; è una frase pronunciata in italiano nella quale è però udibile uno spiccato accento inglese - o forse è scozzese o chissà.

A Manuel è sufficiente spostare di poco lo sguardo dal viso di Simone per notare un uomo che lo ha affiancato; ha i capelli brizzolati sulle tempie, la barba corta e curata che gli costella le guance, gli occhi chiari e un sorriso che mostra denti eccessivamente bianchi. Il suo abbigliamento è fin troppo formale per il genere di locale in cui si trova, dato che comprende un completo grigio scuro, camicia e cravatta sugli stessi toni.

Ha appoggiato una mano sulla spalla di Simone, lo stesso che appena si irrigidisce - per poco, qualche secondo, ma non è un comportamento che passa inosservato. «I told you I was going out tonight» sibila quest'ultimo, presumibilmente per farsi solo sentire da colui che pare essere il compagno che replica da subito: «Siamo in Italia, parliamo italiano, no?». Ignora del tutto l'affermazione in inglese e aggiunge: «Non mi presenti, uhm— tuo amico?».

Simone manda giù a fatica della saliva, serra la mandibola, ma poi tramuta tutto in sorriso che non gli raggiunge gli occhi. «Manuel, questo è Ivan, il mio compagno. Ivan, Manuel, un mio— Vecchio amico».

La scena che si sviluppa davanti a Manuel ha qualcosa di surreale che il ragazzo non riesce a decifrare. Per questo è abbastanza confuso quando stringe la mano di Ivan, quando questo borbotta che è un piacere conoscerlo o gli fa i complimenti per il locale. Nemmeno lo sente, a dire il vero, poiché la propria attenzione è perennemente catturata dal volto di Simone, da una maschera di quella che pare finta contentezza che ha indossato all'improvviso e che non sa decifrare.

Ogni cosa gli pare assurda, uno spettacolo con colpi di scena che non si aspettava.

Il Bloody Mary dentro al bicchiere è a metà, il ghiaccio non si è ancora del tutto sciolto ed è passato relativamente poco da quando Simone è giunto al pub - Manuel ha contato ventiquattro minuti e trenta secondi - eppure Ivan, che ha ancora la mano ben salda sulla spalla del compagno e stringe la presa, esclama «Dobbiamo proprio andare, domani mattina c'è un incontro molto presto».

«Vengo più tardi, prendo un taxi» replica Simone, con tono piatto.

«Mh— Se torni più tardi, poi domani mattina non ti svegliano nemmeno i colpi di cannone. Andiamo».

Ivan ridacchia e «È un dormiglione» fa l'occhiolino a Manuel, che distratto ha ripreso a pulire i bicchieri, giusto per avere le mani impegnate. Sforza un sorriso di circostanza di fronte a quella frase - che manco gli risulta che Simone dorma così tanto, al contrario, è sempre stato mattiniero, tanto da svegliarsi almeno due ore prima per andare a correre e avere il tempo restante per farsi una doccia. Ma, del resto, forse le sue abitudini sono cambiate dopo dieci anni.

Simone lascia scivolare il bicchiere sul bancone, anche se il cocktail non l'ha consumato tutto. «Quanto ti devo?» domanda.

Manuel fa subito cenno di no con il capo. «Niente» replica. «Consideralo un drink di bentornato».

A quel gesto di gentilezza, Simone si limita a reagire con un mezzo sorriso - sempre strano, poiché la bocca si solleva solo da un lato. È Ivan a intervenire come fosse il protagonista di una simile affermazione e dunque «Beh, grazie mille, Manuel» esclama; per tutto il tempo, non ha rimosso il palmo dalla spalla di Simone e anzi le sue dita sembrano aver stretto ancor di più la presa, la stessa che, quando il ragazzo si alza dallo sgabello, pone sul suo fianco, a guidarlo nel cammino verso l'uscita.

Manuel osserva quei comportamenti con un briciolo di stranezza, ma poi si dice tra sé che in fondo non li conosce, che magari per loro è normale avere tali atteggiamenti, pertanto non dice o fa nulla. Li guarda andar via, mentre per due volte Simone gira il capo all'indietro a cercare il suo sguardo.

Manuel non comprende neppure quello di gesto. Gli fa un cenno con il capo e borbotta un «Ciao, Simó» che l'altro manco sente.

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