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2 Maggio 2034

02 Maggio 2034
Ore 15:25

Simone è in piena convalescenza, tempestato dalle parole del medico che lo invitano a stare quanto più possibile a riposo, mentre la psicoterapeuta gli suggerisce di fare il possibile per distrarsi.

Vorrebbe dire loro di mettersi d'accordo.

Passa la maggior parte della giornata - se non tutta - da solo, a casa di Manuel, in un letto che hanno iniziato a condividere, in una casa che non appartiene a solo uno di loro, ma pian piano sta diventando di entrambi.

Non c'è nemmeno stato bisogno di decidere, è semplicemente successo.

Resta solo perché Manuel lavora, fa la spesa, paga le bollette. E Simone non sa che fare per ripagarlo, a parte mettere a posto l'appartamento e fargli trovare la cena o il pranzo pronti non appena rientra - anche se le sue abilità culinarie sono pessime, ma si sta impegnando; il suo rapporto col cibo non è dei migliori, delle volte fatica ad assaggiare ciò che prepara perché gli sembra di compiere chissà quale gesto terribile, ma si sforza, respira a fondo e chiude gli occhi per farlo.

Sta lavorando anche su quello.

Soprattutto su quello.

Non si spazza via un disturbo del genere con uno schiocco di dita, non gli basta essere finalmente amato per davvero da qualcuno per guarire.

L'amore non guarisce nulla, aiuta soltanto.

Deve procedere a piccoli passi, anche se questi corrispondono all'assaggiare la pasta per vedere se è cotta - che è un immenso sforzo.

Nel frattempo, cerca di fare quel che può per sbloccare i conti, per riprendersi i propri soldi: non può contattare Ivan in alcun modo - perlomeno, ha chiesto di farlo, ma nessuno gli ha fornito una risposta concreta, neppure Manuel.

Immagina che, avendo in sospeso una condanna per quello che è tentato omicidio - così gli hanno detto - sia più difficile potergli parlare, sebbene per cose utili; non sarebbe una conversazione cuore a cuore, ecco.

Ci sono tante cose che non gli tornano, pezzi di puzzle che gli mancano, gli sfuggono.

Gli sfugge pure il modo in cui Manuel cambia sempre discorso, come sostenga che non c'è bisogno di quei soldi e possono farcela da soli.

Certo, potrebbero, ma è una questione di principio.

Gli pone domande ogni giorno, però non ottiene nessuna risposta concreta.

Ma Simone non è stupido e lo comprende che c'è qualcosa che non va.

Che Manuel sembra star tessendo una fitta rete di bugie nella quale potrebbe finire intrappolato.

Non vuole che il loro rapporto sia così, vorrebbe qualcosa di cristallino.

Con le menzogne ci ha convissuto fin troppo.

Tuttavia, si ritrova ad essere in bilico perché, tutto sommato, sta andando bene, si sente bene, pare esserci una luce in fondo al tunnel.

Non comprende perché il proprio cervello non possa smettere per un attimo di fargli pensare al peggio.

Si trova in cucina davanti ai fornelli - su uno dei quali ha messo a bollire dell'acqua per cuocere della pasta integrale - quando sente le chiavi girare nella serratura.

A Simone è sufficiente voltare di poco il capo per poter scorgere la figura di Manuel che rientra nell'appartamento e gli rivolge subito un mezzo sorriso.

«Che ce fai in piedi?» esclama quest'ultimo, chiudendosi la porta alle spalle. Lascia il mazzo di chiavi all'ingresso e si avvicina all'altro ragazzo. Posa una mano sul suo fianco e allunga il collo per depositare un lieve bacio sulla sua guancia.

Quotidianità.

«Ti preparo la pasta» risponde Simone.

Manuel lo ha già preso per mano e condotto verso il divano per farlo sedere sopra ai cuscini, cosa che fa anche lui poco dopo. «Tu hai mangiato?».

«Sì».

«Le medicine?».

«Ho preso tutto».

«Sicuro? Non hai scordato niente?».

«Le hai preparate tu stamattina».

Annuisce e si rimette in piedi soltanto per andare a controllare la pentola sul fuoco. «Allora torna a letto» intima.

Simone arriccia il naso. «Sono stanco di stare sempre a letto».

«Te stai a riprende da 'n trapianto, mica da un'influenza, te devi riposà».

«Ma—».

«Io mangio e ti raggiungo, mh? Famo così?».




02 Maggio 2034
Ore 16:04

Ed in effetti fanno così.

Simone si sistema in camera da letto, sdraiato su un fianco e Manuel lo raggiunge poco dopo, abbandonando i piatti sporchi nel lavandino - li sistemerà più tardi, non importa.

Prende posto nella medesima posizione dell'altro ragazzo, ponendo una mano sul suo fianco e sporgendosi in avanti quel che basta per poter baciare delicatamente la sua fronte.

Per diretta reazione, Simone si aggrappa alla sua maglietta, fa leva sulle sue braccia per potersi fare più vicino a lui.

I loro visi sono separati solo da pochi centimetri di distanza - forse millimetri, perché sentono il reciproco respiro che accarezza loro le guance.

Simone si morde piano l'interno della guancia, nolente emette un lieve gemito e socchiude le palpebre.

«Vorrei— fare l'amore con te» sussurra, ad un tratto - che è qualcosa che vuole dire da tempo, che si è tenuto dentro per parecchio e che, finalmente, è in grado di esternare.

A Manuel sfugge un flebile sorriso, mentre deposita un casto bacio sulla punta del suo naso. «Ne abbiamo parlato» mormora.

Hanno parlato di un sacco di cose, negli ultimi giorni, tra cui anche quella: toccarsi, baciarsi, unirsi.

Eppure si son sempre frenati, nonostante il desiderio sia reciproco.

È che la situazione è già particolare di per sé, Simone è nel pieno di un recupero fisico e mentale lungo e tortuoso e Manuel—

Manuel ha il terrore di fare o dire qualunque cosa.

«Lo so che ne abbiamo parlato» comincia Simone, stringendo tra le dita il tessuto della t-shirt di chi gli è davanti. «Però— possiamo fare piano, mh? Non mi fai male, non...».

«Non è per quello».

«E per cosa?».

«Prima te riprendi e nel frattempo non devi fare sforzi».

«Non sarebbe uno sforzo».

Manuel sospira. Lo vorrebbe così tanto, insegue tale desiderio da dieci anni o poco più, quindi certo che ne ha voglia.

Tuttavia, è abbastanza conscio del fatto che sia qualcosa che va affrontata a piccoli passi, anche perché ci sono momenti in cui Simone fatica a farsi toccare, punti in cui non si fa sfiorare e si accorge di come l'altro provi ad omettere dei simili particolari poiché visti come una debolezza, una mancanza.

Per tal motivo non vuole correre, non vuole forzare il rapporto fisico. Gli sta bene anche così, per adesso.

Fa scivolare una mano lungo tutto il suo fianco, la conduce lentamente sulla spalla, poi passa al viso; con la punta delle dita, disegna i suoi tratti, dalle sopracciglia, gli zigomi, la linea della mandibola e le labbra screpolate.

Simone si lascia cullare da quel leggero contatto, tanto da socchiudere le palpebre e sospirare.

«Vedi, così è come se stessimo facendo l'amore» gli arriva alle orecchie in un soffio.

Corruccia le labbra e mantiene gli occhi chiusi. «Non è vero» biascica.

«Sì che è vero» ribadisce Manuel e, con un polpastrello, accarezza la sua guancia. «Io ti guardo, ti tocco, mentre il mio cuore mormora finalmente» dice. «Questo è fare l'amore».

«Sei un bugiardo».

«Ti amo».

«Bugiardo».

«E ti amo».

Bugiardo.

Simone ride.

Ti amo, poi pensa.

«Manu?» pigola, alla fine.

Manuel è ancora perso in quelle carezze, nel loro fare l'amore inconsueto, stravagante, ma speciale. «Mh-m?».

«Possiamo restare così per sempre e fingere che il mondo fuori non esista?» Simone sospira, con le palpebre calate frattanto che si inebria del tocco delicato che lo sfiora. «Fuori ci sono un sacco di problemi, ma qui no. Qui ci siamo solo io e te».

Manuel allarga un po' di più il sorriso. «Possiamo restare così».


02 Maggio 2034
Ore 19:37

Manuel si è addormentato.

Simone è rimasto sdraiato al suo fianco nella medesima posizione di prima. Si è lasciato accarezzare e poi è stato lui artefice dello stesso tocco, facendo rilassare l'altro ragazzo a tal punto di precipitare nel sonno.

Lo ha guardato per tutto il tempo, sicuro meritasse quel riposo, e ha sorriso, osservando i suoi tratti farsi più rilassati, smettere di esser troppo tesi, contratti, come se avvicinarsi al sogno lo rendesse placido, sereno.

Quella serenità gliela vorrebbe dipingere addosso, anche se sa che non è possibile.

Vorrebbe comunque.

Perché Manuel ha fatto tanto per lui senza chiedere nulla in cambio.

A volte pensa persino che si sarebbe strappato il cuore dal petto per donarglielo.

Solo chi ama così tanto sarebbe capace di un gesto simile, no?

No.

Analizza per qualche minuto i suoi tratti. È ora di cena, anche se Manuel ha pranzato tardi e probabilmente non avrà fame, ma tanto dorme, quindi crede avrà il tempo di preparare qualcosa e, magari, riscaldarla più tardi.

Simone si tira su dal letto, cercando di fare più piano possibile, sebbene non ci riesca molto - perlomeno, forse il movimento che compie è troppo brusco e un briciolo gli fa girare la testa.

Strizza le palpebre per scacciare il senso di stordimento.

Cammina, un po' instabile, fuori dalla stanza fino alla cucina. Apre lo sportello del freezer solo per raccattare una busta di spinaci surgelati che rovescia in una padella antiaderente che poi piazza su un fornello acceso.

Okay, migliorerà.

Mentre osserva i cubetti di cibo congelato che pian piano iniziano a sciogliersi - forse dovrebbe mettere dell'olio? dell'acqua? oppure basta così? - l'aria viene lesa da un suono sordo.

Il ragazzo ci mette poco a capire che appartiene ad un telefono che vibra: è quello di Manuel, abbandonato sul tavolo.

Spinto dalla curiosità o, più semplicemente, dal fastidio di quel rumore che risulta troppo forte nel silenzio, si avvicina a dove è posto l'apparecchio. Sbircia sullo schermo quando gli squilli della chiamata vengono meno e appare una notifica pop-up che mostra 5 chiamate perse.

Immagina che, chiunque sia, non sia qualcuno che si arrende con facilità.

Non ha intenzione di intromettersi o di impicciarsi, quindi è pronto a tornare ai fornelli. Tuttavia, compie solo un passo e il cellulare ricomincia a vibrare. Gli viene l'intenzione di rispondere, ma, non appena allunga la mano, è un differente suono che rimbomba nell'appartamento: un leggero ticchettio proveniente dalla porta blindata.

Simone sbatte rapidamente le palpebre. Il telefono smette di vibrare. Lui si allunga per abbassare la fiamma sotto alla padella degli spinaci surgelati che un po' sfrigolano.

Dopo si avvia verso il piccolo ingresso living. Strizza l'occhio per osservare dallo spioncino chi sia l'artefice di quel bussare: una ragazza dai lunghi capelli castani e l'espressione seria.

Sospira sommesso e tira giù la maniglia per aprire.

«Ciao, Simó» Chicca lo saluta con un sorriso. «Manuel?» chiede, varcando la soglia non appena Simone si scansa per permetterglielo. «Sta dormendo» spiega quest'ultimo e chiude la porta alle loro spalle.

«Meno male» commenta lei, levandosi la giacca e abbandonandola sul bracciolo del divano. «È distrutto in 'sti giorni, ha bisogno di riposare».

Simone annuisce e concorda.

«Tu, invece? Come stai?».

È una domanda alla quale da tempo è difficile trovare una risposta. Ragiona che, forse, sono almeno dieci anni che non ne ha una vera, concreta.

Da un lato, direbbe che va tutto bene, dall'altro che è ancora un disastro.

Non può sbilanciarsi.

«Bene» replica, però, tagliando corto.

«I controlli? I medici che dicono?».

«Solite cose, di non fare sforzi, di prendere le medicine. Vedo più loro che chiunque altro».

«Ti tengono sotto controllo, non hai affrontato una cosa da niente».

In effetti, no. Tra le lesioni precedenti, il corpo affaticato e sciupato che si trascinava dietro, decisamente la situazione non è mai stata rosea. Simone si sorprende che abbia retto un trapianto di cuore, dato che il suo ha rischiato di cedere in passato per debolezza.

«Lo so» conferma e scrolla le spalle. «Tu— vuoi qualcosa? Non credo sia ora di un caffè e Manuel non tiene vino in casa, ma...».

Chicca ride. «No, tranquillo» lo rassicura. «Só passata solo pe' prende dei documenti pe' il locale. Di solito se ne occupa Manuel, ma— cerco di alleggerirlo un po'».

«Okay» replica Simone. «Uhm— le cose del lavoro le tiene in quella scatola sopra il frigo, è... Cioè, credo tu lo sappia meglio di me».

Chicca scuote leggermente il capo, mentre già si avvia verso l'alto elettrodomestico per raccattare l'oggetto. Deve alzarsi sulla punta dei piedi per farlo, con successo. «Ma lo sai anche tu, mh?».

«Più o meno» sussurra il ragazzo. Le va dietro a passi lenti, guardandola trafficare tra plichi vari contenuti in una scatola di cartone, rigida e rossa, che l'amica ha appoggiato sul tavolo.

Simone si appoggia con entrambe le mani sullo schienale di una delle sedie. «A volte mi— sembra di essermi perso così tanto e di non conoscerlo così tanto, è come se mi fossi perso qualcosa negli anni».

«Perché dici così?».

«Perché sono passati dieci anni. Le persone cambiano, anche se impercettibilmente. Cambiano le loro abitudini, il modo in cui parlano e si vestono. Tutto pare essere sempre uguale, ma ogni cosa è cambiata».

Chicca accenna una risata. Sta ancora scartabellando tra i vari fascicoli. «Avete tutto il tempo per recuperare» attesta. «E poi Manuel non è cambiato tanto. Nel senso— è solo migliorato, nel tempo».

«Lo so» Simone lo afferma con assoluta certezza. «Altrimenti non sarei qui adesso» osserva ancora l'amica intenta ad estrarre i documenti che le servono da quella scatola.

Non ha mai sbirciato dentro quel contenitore, non ne ha avuto il bisogno, del resto: sono cose che riguardano il locale di Manuel, conti, bollette da pagare, contratti e affini.

Nulla di proprio interesse o che lo possa riguardare in qualche modo.

Tuttavia, quando Chicca solleva l'ennesimo foglio, c'è una pagina che attira un po' di più la sua attenzione: non ha niente di particolare, niente che, di normale, può attirare la sua attenzione se non fosse che non si tratta di una pagina stampata, con dati fiscali, ma un pezzo di carta macchiato d'inchiostro di una biro nera.

Incuriosito e con un leggero sussulto che lo tocca al petto, Simone allunga una mano a sfilare quel preciso foglio da un plico leggermente più spesso.

Come presupposto, non si tratta di un documento ufficiale, di una bolletta o di un contratto.

È tutto scritto a mano.

È tutto scritto da una mano che riconosce fin troppo bene.

In un primo momento, ha l'impulso di non leggere, di non andare oltre. Tuttavia, si convince presto del contrario poiché assalito da mille nuove domande tipo perché quella lettera si trova lì, perché Manuel ne è in possesso.

Perché Manuel ha qualcosa che appartiene ad Ivan?

Le mani gli tremano appena, mentre comincia a leggere quelle righe che divengono offuscate a poco a poco, una parola dopo l'altra.

Non ci crede.

Non può crederci.

Chicca non si rende conto di ciò che sta succedendo, non subito. È impegnata a tirar fuori le ultime pagine di un contratto con un fornitore per realizzare che chi gli è accanto sta crollando a pezzi - di nuovo e per un diverso colpevole.

«Ho quasi finito, mh?» dice, dispiegando l'ultimo foglio. «Oh, ma non è che se stanno a brucià?» si riferisce agli spinaci ancora sul fuoco.

Simone è arrivato in fondo a quella lettera. Le frasi della ragazza non le sente. Fa un passo indietro, barcolla. Sbatte le palpebre, gli gira la testa.

È in tale attimo che Chicca capisce che qualcosa è fuori posto, qualcosa è successo. Molla i documenti sul tavolo e «Oh, Simó?» esclama. «Va tutto bene?».

No, non va bene niente.

No, l'amore della mia vita mi ha mentito.

No, nel petto mi batte il cuore di chi più volte me lo ha distrutto.

Simone manda giù a fatica della saliva. Scuote il capo.

Compie mezzo giro su sé stesso: vuole urlare, vuole fuggire - per andare dove? Non ha altro posto e che senso avrebbe?

Vuole piangere, vuole scomparire.

Eppure riesce a compiere soltanto mezzo passo in avanti che si ritrova Manuel davanti, con i capelli scompigliati e l'aria ancora assonnata.

Così Simone annaspa ancora di più. L'unica cosa che gli viene in mente da fare corrisponde con allungare una mano e sporgergli quella lettera maledetta.

Il resto, poi, diventa tutto nero.

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