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15 Maggio 2034

15 Maggio 2034
Ore 10:27


C'è una domanda che tormenta Manuel da un po', ben precisa, insidiosa: può l'intenzione di fare del bene provocare soltanto devastazione?

Se lo chiede dal momento esatto in cui Simone ha smesso di parlargli, di nuovo, e lui si è trovato d'improvviso catapultato a dieci anni prima, quando era perso e non vedeva la luce.

La sera precedente si è persino versato un bicchiere di vino. Ha portato la bottiglia a casa dal Blue Butterfly. Ha fissato quel liquido vermiglio per quaranta minuti esatti, prima di buttare tutto nel lavandino.

Ha sbagliato, lo sa.

Perlomeno, una parte di lui ne è consapevole, eppure non riesce a pentirsene, non per davvero, perché lo ha fatto per un motivo, ha mantenuto quel segreto per una ragione precisa: per non farlo soffrire.

Ma è vero che, delle volte, per non far soffrire qualcuno, si finisce per ferirlo il doppio.

E adesso la sua punizione è il silenzio, un'assenza di suono che lo dilania, una freddezza che scorge nel suo sguardo e che gli entra dentro, nelle viscere.

Non lo vuole, il silenzio.

Lo detesta, il silenzio, forse perché lo ha vissuto per così tanto, si è lasciato avvolgere da esso fino a diventarne un tutt'uno che ora è stufo, stanco.

Vuole il suono, il rumore, gli andrebbero bene anche le urla.

Il suono è vita, il silenzio è come la morte.

È per tal motivo che quella mattina, quando è in procinto di uscire per andare al lavoro, Manuel si ferma prima di aprire la porta. Prende un respiro profondo, quasi si preparasse ad una apnea – un po' è così per davvero.

Con poche falcate, raggiunge la camera da letto, laddove Simone si è rintanato e rimane chiuso per la maggior parte del tempo.

Si frena sulla soglia di quella stanza avvolta dalla penombra creatosi dalle tende chiuse; tuttavia, riesce bene a scorgere la figura dell'altro ragazzo rannicchiato sul materasso, con le ginocchia flesse al petto.

«Non sono pentito» esordisce.

Simone solleva il capo, gli rivolge uno sguardo distratto, con occhi gonfi e lucidi. Gli sfugge una risata fiacca e rassegnata.

«Tu non...» fa per dire, ma Manuel lo blocca: «Non vuoi parlarmi, mi sta bene, lo hai scelto tu. Però me devi ascolta'». Sbuffa dal naso e avanza di pochi passi.

«Non sono pentito» ripete. «Se volevi sentirmi dire questo o che mi dispiace— non accadrà. Non lo sono, non mi dispiace e lo rifarei altre mille volte».

«Pure».

«Sì, pure, Simò, pure!» rimbecca. «E sai perché? Perché se te lo avessi detto subito o avessi preso n'artra decisione quel giorno, tu adesso non saresti qui. Te saresti lasciato andare».

«Sarebbe stato meglio».

«Meglio pe' chi, de preciso?».

Simone si passa una mano sul volto. Scuote la testa e si alza goffamente in piedi, stringendosi nelle spalle. «Non capisci proprio» farfuglia.

Manuel rimane immobile, con le braccia rilassate lungo i fianchi ad osservare i suoi movimenti irregolari, il modo in cui barcolla e a stento non cade – che lo ha notato che ha smesso di mangiare bene da giorni, butta giù un pezzo di pane solo per prendere i farmaci ed è una lotta anche tale aspetto; vede tutto e ciò lo lacera ancora di più.

«Che cosa non capisco?» sibila. «Cosa, Simò? Spiegamelo».

Simone è a pochi metri di distanza da lui. La sua espressione è assente, i suoi tratti marcati, smunti, segni scuri attorno ai suoi occhi.

Conduce una mano al proprio torace; trema, come avesse paura di sfiorare quel punto con le dita. «Non—non posso, non riesco a... Vivere sapendo che nel mio petto batte il cuore di qualcuno che il cuore non l'aveva. E tu lo hai permesso. Lo hai permesso e me lo hai nascosto, non... Non ci riesco».

Manuel neppure si sorprende di una simile risposta: in fondo, già ne era a conoscenza, quello è solo un metterlo agli atti. Avanza ancora, in maniera lenta, trascinando i piedi sul pavimento. Lo fa finché non gli è di fronte.

Vorrebbe allungare un braccio, vorrebbe toccarlo, sfiorarlo, accarezzarlo, rassicurarlo, ma forse il contatto fisico lo manderebbe ancora più in crisi e allora desiste.

«Il cuore è solo la casa dell'anima, Simò» soffia, così piano da essere recepito al pari di un eco. «È un contenitore, il cuore, un involucro di muscoli che si muove di sua volontà per spingere il sangue in vene e arterie. È come—i muri delle case. E le case cambiano in base a chi ce sta dentro, mh?».

Che c'è differenza tra stare a casa e sentirsi a casa.

«La tua anima c'ha soltanto 'e pareti nuove» prosegue. «Ma dentro ce stai sempre tu, non ce sta lui. Era la sua anima ad essere cattiva, non la casa dentro alla quale è entrata».

Non sa se possa servire quel ragionamento, se possa, in qualche modo, essere utile a chi gli sta cadendo a pezzi davanti.

Adesso, comunque, trova la forza e il coraggio per ricercare un minuscolo contatto che spera non sia ulteriormente devastante: allunga una mano, per andare a poggiarla sul dorso della sua, ancora sul petto.

«La tua anima è bella» sussurra. «Mò c'ha soltanto 'na casa nuova».

La sua voce si incrina appena.

«E tu sei qui. Sei qui co' me, Simò».

Simone si lascia inebriare dalle sue frasi: gli permette di insinuarsi tenue nelle proprie orecchie, fino a farlo tremare.

«Io sono stanco» biascica, con voce impastata e una singola, solitaria lacrima gli scivola lungo la guancia.

«Lo so, amore, lo so» dice Manuel e quell'amore è come un caldo abbraccio, sebbene tra di loro esso non ci sia. «Ma non c'è più nessuno da combattere, te lo giuro».

Osa un briciolo di più, sollevando pure l'altro palmo per andare a posarla al lato del suo viso; sfrega un pollice sul suo zigomo.

«Non c'è più nessuno da combattere» ribadisce, con più fermezza. Rimarca una verità che è sotto ai loro occhi, che il pericolo rappresentato da Ivan non c'è più, che possono lasciarsi alle spalle lui e il suo fantasma, che possono prendere a morsi quella vita insieme che entrambi si meritano.

Che quella bugia detta a fin di bene non deve per forza distruggere ogni cosa.

Una parte di Simone ci crede a questo, seppur rimanga una parvenza di dubbio.

Ci crede e, complice la stanchezza, la debolezza, si accascia su Manuel, le ginocchia non lo reggono e cadono entrambi a terra.

Manuel ne approfitta per avvolgere l'altro ragazzo in quell'abbraccio che ancora non si sono scambiati. Seduto sul pavimento, gli fa appoggiare la testa sul proprio torace e prende a passare le dita tra i suoi capelli.

«Ci siamo soltanto noi, amore» Manuel libera nell'aria quell'affermazione.

Lo fa con le palpebre socchiuse e il naso affondato tra i ricci di Simone.

Ci siamo soltanto noi e le nostre case fatte di muscoli, amore.

Soltanto noi.

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