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Atto I, Scena II: Modelli senza speranze ed altre incompetenze

Casa delle streghe, ultima possibilità di superare il corso di lingua cinese. Queste sono le avventure del povero sciagurato Nick Sawyer e del suo zaino, perché il suo autoproclamato migliore amico aveva scelto di diffidarlo e dissociarsi dal progetto. Alla ricerca di un po' di aiuto e comprensione. E sopravvivere all'impresa da dove nessuno aveva mai fatto ritorno.

Troppo drammatico?

Forse un tantino, ma chi non adora le entrate ad effetto? Almeno Nick si teneva i suoi monologhi interiori per sé e non puniva vecchietti per aver interrotto il suo ritmo. Principalmente perché non aveva alcun ritmo da rompere. Anzi, non aveva ritmo e basta.

Stava tergiversando, ne era ben conscio. Ma stava per entrare in casa di perfetti sconosciuti e in quel momento aveva in testa solo la voce di sua madre che gli ricordava di quanto fosse scortese presentarsi in casa altrui a mani vuote. Era la sua ultima possibilità, non poteva partire col piede sbagliato.

Smise di consumare il pavimento del pianerottolo, per cercare il negozio di alimentari più vicino sul cellulare. I cioccolatini piacevano a tutti, no? Si appoggiò distrattamente alla parete, sentendo il gomito urtare qualcosa, seguito immediatamente dal suono di un campanello.

«Cazzo...» sussurrò, rendendosi conto del suo errore. Subito dopo la porta dell'appartamento si aprì, rivelando una ragazza dai capelli biondo fragola che lo scrutava con due profondi occhi castani.

«Tecnicamente, il nome è Alaya. Tu devi essere Nick, ti ho stalkerato la foto del profilo di Whatsapp quando mi hai scritto prima. Prego, accomodati» asserì con entusiasmo, lasciando dietro di sé la porta aperta come invito a seguirla.

Nick deglutì. E la prima impressione era andata. Imbarazzantemente male, ma era andata.

«È permesso?» si ritrovò ad annunciarsi in automatico, storcendo il naso alle sue stesse azioni. Quella giornata sembrava aver accolto la sfida lanciata da lui stesso quella mattina, posso fare peggio di così?, con forse troppa foga.

«Che taglia saresti?» gli chiese una seconda ragazza, indicandolo ma senza degnarlo di un vero e proprio sguardo. Nick si guardò attorno, notando che nello spazio riservato all'entrata dell'appartamento fosse solo, con qualche cappotto e ombrello appesi, ma dubitava che la tipa si stesse riferendo ad essi.

«Ehm...» rispose molto intelligentemente.

«Devo fare tutto da sola? Al solito» sbuffò l'altra, puntandogli gli occhi ambrati addosso ed avvicinandogli con passo deciso, «Vediamo... Ad occhi direi una large... Sì, large da uomo» concluse, spostandogli le braccia e facendolo ruotare su se stesso mentre lo misurava con un metro da sarta, «Dovrei avere un paio di giacche pronte!» annunciò, risistemandosi il nastro giallo attorno al collo, in contrasto con la pelle scura, «Ma ho pantaloni solo grigi: così banale! Visto troppe volte. Direi di tentare un bel verde, che ne dici? No, non rispondere, ho già deciso» finì il suo discorso, picchiettandolo sulla spalla, per fargli abbassare le braccia che aveva ancora alzate.

«Lyn, è qui per me» intervenne fortunatamente Alaya, prima che lui potesse anche solo fiatare e dare nuovamente prova di quanto fosse competente nell'area sociale. Aveva in mano un vassoio con due bicchieri ed una bottiglia di thè alla pesca e gli fece cenno col capo di recarsi nella stanza alla sua sinistra.

«Deve forse fare qualche attività che implichi la sua impossibilità di indossare vestiti diversi da quelli che porta al momento?» inquisì la ragazza senza nome, appoggiandosi le mani sui fianchi.

«No?»

«Allora che aspettiamo? Giovine, seconda porta a destra. Ti passo quello che devi indossare» si rivolse nuovamente a lui, che fino a quel momento si era limitato ad osservare lo scambio di battute fra le due, sapendo che intervenire avrebbe solo giocato a suo sfavore. Con un rapido schioccare di dita davanti al suo volto, gli indicò nuovamente la stanza. «Allora? Non abbiamo mica tutto il giorno»

Annuì, non senza un certo grado di confusione, per poi fare come gli era stato indicato. Guardò verso la sua tutor in cerca di risposte, la quale si limitò ad alzare le spalle, come a dire che ci vuoi fare?, per poi dirigersi verso la sua meta iniziale, che si rivelò essere un salottino disarmoniosamene decorato, ma non sgradevole agli occhi. Almeno da quello che riusciva a scorgere: un divano sfondato color rosso scuro, una poltrona alta ed elegante azzurra ed una sedia a pouf gialla attorno ad un tavolino nero dalla forma cilindrica, le pareti tappezzate di disegni, stampe e quadretti. Notò anche un tappeto soffice sotto il tavolino, ma una gentile pressione sulla sua schiena lo fece procedere verso quello che si rivelò essere un bagno. 

La ragazza ancora senza nome gli lanciò alcuni vestiti per poi chiudere la porta e lasciarlo solo. Non gli rimase altro che iniziare a spogliarsi e guardare la disposizione di prodotti di bellezza ed igiene con uno strano senso di nostalgia. E fare attenzione a non urtarli erroneamente. Il grande crollo del 2006, gli ricordò la sua coscienza.

«E comunque il nome è Lyndsay» accompagnò la forte pressione di un cappotto sul suo sterno, impedendogli così di entrare nel salotto.

«Grazie?» rispose, recuperando il fiato perso in quell'improvviso placcaggio.

«Dovresti scusarti, non ringraziarmi. Quella felpa offende non solo questa casa, ma l'intera industria della moda» lo accusò la ragazza, per poi voltarsi e dirigersi verso la poltrona, sedendosi in punta.

«Ignorala» ridacchiò Alalya, «Lascia perdere quella giacca e vieni a sederti, così possiamo iniziare» gli indicò lo spazio vuoto accanto a lei sul divano. Varcando la soglia poté accertare che il soggiorno non fosse molto più grande di come lo avesse visto di passaggio, l'unica aggiunta consisteva in una libreria a parete, dal cui centro emergeva un televisore. La luce proveniva principalmente da due finestre, una posta sulla parete opposta al corridoio e l'altra su quella opposta al televisore. Alcuni tappetini da yoga erano ammucchiati nell'angolo fra le due finestre, accompagnati da un tavolino con sopra alcuni volantini di ristoranti take away.

Si sedette dove indicato dalla sua forse tutor, sotto lo sguardo attento di Lyndsay.

«Nulla da fare, non solo sei senza speranze per quanto riguarda il vestiario, ma anche per le pose. Cosa devo fare per avere un modello decente?» sospirò la ragazza, tirando fuori il cellullare dalla tasca posteriore dei pantaloni e rivolgendo la sua completa attenzione allo schermo.

«Contattare qualcuno professionista e non la prima persona che entra in casa tua?» azzardò Nick, appoggiando delicatamente la giacca sullo schienale del divano, per poi accettare un bicchiere da Alaya, la quale gli rivolse un sorriso divertito.

«Yaya, questo non mi dispiace» fu l'ultima cosa che Lyndasy disse per tutto il resto del pomeriggio.

La sua tutor invece insistette per verificare il suo livello di conoscenza della lingua – cosa che avrebbe potuto tranquillamente confidarle lui stesso, senza il bisogno di sprecare due ore –, ma, nonostante avesse constatato una ignoranza paragonabile all'altitudine della Fossa delle Marianne, gli sembrò molto positiva ed ottimista sull'esito finale dei loro incontri. Nick decise di non smorzare quell'entusiasmo raccontandole della sua innata abilità nell'utilizzare pale una volta toccato il fondo.

All'approssimarsi delle sei del pomeriggio, poteva affermare che tutto era andato per il verso giusto, anzi, quel pomeriggio aveva completamente ribaltato le sue aspettative. Sentiva che con l'aiuto di Alaya, avrebbe potuto farcela. E mentre pensava che l'universo avesse finalmente deciso di concedergli una tregua, la terza strega decise di interrompere l'idillio, con lo stesso impatto sulla sua autostima di uno tsunami su una spiaggia.

«Yaya! Lyn! Se per caso quel rincoglionito di Filip Daugherty si rifà vivo, siete autorizzate a lanciargli addosso tutti i contenuti del cassettone sotto al mio letto. Anzi, non siete consigliate, siete obbligate» una voce acuta e dal tono arrabbiato si fece strada nel salotto, precedendo una ragazza dai capelli azzurri, coperta quasi interamente da una felpa chiara di qualche taglia più grande, recante una incoraggiante scritta You call it a tragedy, I call it popcorn time, e degli occhiali da sole a coprirle gli occhi, nonostante si trovasse all'interno. Non appena mise piede nelle stanza, si fermò, probabilmente a fissarlo, nonostante fosse difficile decretarlo da dietro quelle lenti scure, per poi bere rumorosamente da una cannuccia il caffè che aveva in mano. «Yaya, credevo di avertelo già detto di non raccattare quei randagi di scientology che ci citofonano, che poi si appiccicano e dobbiamo chiamare nuovamente il padrone di casa, e non credo che abbiamo bisogno di altri fenomeni da circo» concluse, indicandolo con una smorfia.

Se avesse prestato un minimo di attenzione in più a quello che aveva da dire François, Nick avrebbe saputo che Jordan Monette era conosciuta nella loro università per molte cose, fra le quali tristemente mancavano il tatto e la gentilezza.

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