Capitolo 1
ESMES
Era l'anno 3100.
Di terre arse, di lacrime e di sangue c'eravamo macchiati e le mie mani, sì, le mie mani erano più sporche di quelle di qualsiasi altro.
La selezione ci aveva plasmato e reso differenti.
Sì, la selezione mi aveva cambiata e non di certo in meglio. Non mi sentivo più la Esmes timorosa e fragile dei primi giorni, ma la voglia di sopravvivere mi aveva trasformata in un'altra persona: un lato che ancora non conoscevo si stava facendo strada prepotentemente dentro di me.
Sì, era l'anno 3100 e non vedevo mia madre Aresea e mio fratello Milus da dieci giorni e mi sembrava una vita. Avevo anche un vago ricordo di Alis che, sensibile e protettivo nei miei riguardi, sapevo che si aspettava di rivedermi prima o poi e, per quanto fossi stata impegnata a non morire, il mio pensiero andava sempre a lui e alle nostre scorribande e ai pomeriggi distesi sotto al sole senza parlare. Mi mancava tutto di quella che, di certo, non poteva definirsi casa, ma molto simile lo era. Qualcuno una volta mi disse che casa era quel posto dove si lasciava il cuore e io avevo lasciato buona parte del mio in quella prigione circolare.
I giorni erano volati, ma neanche troppo in quel palazzo. Avevamo affrontato un allenamento duro e trentadue di noi erano riusciti a superare la temuta selezione. Eravamo sfiniti sia fisicamente che moralmente. E quando ormai sembrava chiaro che avremmo fatto parte della guardia armata di re Maximilian, ecco la nostra curiosità, finalmente, aver la meglio e scaraventarci addosso con tutta la sua potenza la realtà dei fatti.
La verità poteva far male.
Sapevamo che qualcosa non quadrava, ma arrivare a pensare che la selezione era solo una farsa e che noi non eravamo altro che delle sacche di sangue per re Maximilian era assurdo. Non poteva esser vero. Era qualcosa che andava al di là di ogni nostro pensiero.
"State scherzando, vero?" chiese allarmata Nessa McBride mentre cambiava posizione sul letto di Theo.
Nessa McBride aveva i capelli rossicci che le ricadevano in morbide onde sulle spalle e i suoi occhi verdi sembravano mandar scintille.
"No, aspettate un attimo. Voi state dicendo che mia sorella è tenuta prigioniera e che il suo sangue viene usato per chissà quale cura?" la voce di Breslin si alzò di qualche tono andando a coprire quella di Nessa. Era nervoso e chiudeva e apriva le mani ripetutamente, guardandoci con sguardo bellicoso.
"Breslin, cerca di calmarti!" dissi io.
"Calmarmi? Come posso?" esclamò lui con una certa irruenza e facendosi più vicino.
"Abbassiamo i toni e cerchiamo di elaborare un piano, ok?" affermò con calma Theo toccando Breslin su un braccio e tentando di allontanarlo da me.
"Un piano? È arrivato Theodone Duke e ha un piano, ragazzi!" disse con strafottenza e ridendo Breslin, scansando la mano di Theo.
"Tu! È tutta colpa tua!" continuò a dire Breslin buttandosi, d'improvviso, su Theo che venne scaraventato a terra.
"Fermateli, vi prego!" urlai, senza riconoscere la mia voce.
Carter Bridge e Mau Muller intervennero cercando di staccarli. Theo aveva il naso sanguinante mentre Breslin tentava ancora, con tutte le sue forze, di reagire e prenderlo a pugni, nonostante Carter lo tenesse ben fermo stringendogli le braccia intorno alla vita.
"Theo ha ragione. Dobbiamo calmarci tutti!" dissi con convinzione e con una certa furia.
Dovevamo ideare un piano e subito. Dopo esser andati al sesto piano e aver scoperto il complotto di re Maximilian, io e Theo eravamo tornati dagli altri e avevamo fatto finta di nulla anche se non era stato per niente semplice. Mi ero seduta al tavolo e avevo guardato un punto fisso per non so quanto mentre diversi pensieri prendevano forma nella mia mente e l'immagine di Ives e degli altri appesi in posizione verticale ancora si insinuava tra di essi. Avevamo capito da tempo che re Maximilian era un po' folle, ma il pensare che lo fosse del tutto e che ci aveva preso in giro sin dall'inizio ci lasciava senza parole. Dopo aver visto con i nostri occhi quello che mai avremmo pensato di vedere, eravamo frastornati e scossi. Una reazione del tutto normale in quel frangente.
Dopo la cena e il ballo avevamo radunato tutti gli altri nella camera di Theo cercando di non dare troppo nell'occhio anche se facendo ormai parte degli uomini della sicurezza avevamo ancor più libertà di prima, ma prima ero passata un attimo dalla mia stanza e avevo recuperato la collanina. Avevo promesso a mia madre che l'avrei sempre portata con me e quell'oggetto mi ricordava che dovevo tornare da lei e da Milus. Dovevo tornare da tutti loro.
Quando arrivai nella camera di Theo notai che la notizia di quello che avevamo visto non era stata presa bene da nessuno dei presenti. Infatti, mentre Nessa e Breslin erano arrabbiati e avevano risposto con una certa dose di aggressività, non credendo alle nostre parole, Carter ci guardava in silenzio appoggiato alla scrivania; Mau spostava lo sguardo dall'uno all'altra con le braccia incrociate; Fefei e Ella erano sul letto seduta all'indiana, ma dai loro volti non riuscii a capire se fossero sconvolte; Mino Latoss ed Ezra Maule erano in piedi vicino alla porta d'ingresso e mentre il primo stava a braccia incrociate e con lo sguardo assente, il secondo chiudeva, ripetutamente, le mani a pugno lungo i fianchi; Celia Night e una ragazza dai capelli blu, Erin Tress mi pare, avevano la testa china e la prima stava piangendo silenziosamente, mentre Iritrea Zooey andava avanti e indietro guardando un punto fisso. Gli altri rimasti erano, ognuno a suo modo, scossi e turbati e il fatto di stare tutti e trentadue chiusi in una stanza, che a malapena riusciva a contenerne venti, non era per niente positivo. Quel piccolo spazio non ci permetteva di ragionare e le nostre emozioni risultavano amplificate.
"Ma ne siete certi? Forse avete capito male!" esclamò Hera O'Donnell che fino ad allora era rimasta in disparte.
"Purtroppo è così..." balbettai senza più forze. Eravamo lì da non so quanto e non riuscivamo ad arrivare ad un punto di incontro.
"Dobbiamo liberarli. Non possiamo lasciarli nelle mani di re Maximilian!" disse con veemenza August Turner seguito a ruota dall'amico Murphy Coel.
"Sì!" risposero in coro Laila Pound, Mia Dane e Cillian Emmel.
Anche altri fecero un cenno di assenso con la testa.
"Io ho bisogno di un po' d'aria" e Breslin uscì dalla camera mentre noi continuammo la discussione per tentare di elaborare un piano.
Gli animi si erano calmati ed eravamo tutti pronti a reagire. Il piano era semplice: avremmo distratto le guardie mentre altri di noi sarebbero saliti a liberare i sessantotto rinchiusi al sesto piano. Una volta che il piano prese forma e quando ormai stavamo formulando gli ultimi particolari, un bussare agitato ci colse impreparati e ci fece girare, d'istinto, verso l'ingresso.
Nel frattempo avevo preso posto sul letto per cui mi alzai e andai dritta ad aprire il passante. Theresa, col suo solito scialle chiaro, era davanti a me e, messa una mano sulla porta, la spinse entrando e la richiuse alle sue spalle.
"Dovete andarvene e subito!" disse gesticolando e con una voce fiacca e ansimante.
"Cosa?" la guardai in tralice mentre la domanda mi uscì, di getto.
"Esmes, re Maximilian ha scoperto che state tramando qualcosa e presto verranno delle guardie a prelevarvi" disse e continuò. "Stavo andando in camera quando ho sentito che re Maximilian stava parlando con una delle guardie. Stanno per arrivare!"
"Ma come ha fatto?" chiese qualcuno, ma ero così turbata che non riuscii a capire a chi appartenesse la voce.
Era quello che mi stavo domandando anche io.
La presenza di tutti noi in una stessa stanza non poteva aver destato sospetti, anche perché se già prima avevamo una certa libertà adesso che eravamo, a tutti gli effetti, delle guardie al servizio del re potevamo muoverci come meglio credevamo. No, non poteva essere.
"E ora cosa facciamo?" domandò spaventata Linsey Griffin.
La nostra confusione era palpabile, ma Theresa propose subito una soluzione al nostro problema.
"Dovete scappare!" esclamò convinta.
"E gli altri?" chiese Fefei facendosi avanti.
"Non avete tempo, non potete salvarli. Se vi prendono non avrete più scampo e non potrete più far nulla per loro!" rispose Theresa.
La guardai e compresi che lei sapeva, da sempre, molto di più di quel che diceva e mi sentii tradita.
"Tu lo sapevi!" le dissi.
Theresa era per me ormai un'amica.
"Esmes, ti prego. Non abbiamo più tempo!"
Era Theresa, era una mia amica e nonostante la rabbia e la delusione non riuscii a trattarla male e ad aggredirla per sapere la verità. Mi girai a cercare l'appoggio di Theo e guardai anche tutti gli altri in circolo cercando di cogliere dai loro sguardi quale fosse la decisione migliore da prendere.
"Dobbiamo andare, Mes. Non c'è alternativa!" disse deciso Theo guardandomi fisso. Poi si voltò verso gli altri che confabulavano gli uni con gli altri. "Voi che dite?" chiese.
"Ha ragione. Dobbiamo scappare" affermò Carter facendo un passo avanti. Il suo sguardo sofferente mi colpì e lo osservai meglio.
I capelli di media lunghezza erano ricci e castani e gli occhi, di un intenso azzurro, fissavano Theo aspettando una risposta da parte sua. Gli altri si guardarono l'un l'altro e, dopo aver scambiato qualche altra parola, decisero che quella, anche per loro, fosse la soluzione migliore al momento. Non avevamo scelta: rimanere voleva dire diventare noi stessi delle sacche di sangue ambulanti e non poter far più nulla per i nostri amici e per i nostri cari che erano ancora rinchiusi nella prigione circolare e cercare di salvarli, con le guardie che stavano per sopraggiungere, sarebbe stato avventato.
"Ma come scappiamo senza esser visti?" domandai.
"So io come!" esclamò Theresa dietro di me "Ma adesso andiamo, prima che sia troppo tardi" continuò a dire con voce implorante e dirigendosi verso la porta.
Non ce lo facemmo ripetere una seconda volta e la seguimmo fuori. Ci portò alla fine del corridoio al quinto piano e, mentre una porta cigolò e il rumore assordante di mille passi rimbombò nel totale silenzio, Theresa iniziò a tastare lateralmente un ampio quadro. Una donna seduta su un trono e vestita di rosso sangue ci fissava, austera.
"Ma che sta facendo?" mi domandò Ella incuriosita.
"Non ne ho la più pallida idea" risposi.
Un clic sopraggiunse alle nostre orecchie e il quadro, d'improvviso, iniziò a scorrere di lato esponendo alla nostra vista un'apertura: un rettangolo buio e grande quanto una porta.
Era la nostra via d'uscita, il nostro lasciapassare per la libertà.
"Andate, presto!" disse Theresa e, mentre gli altri timorosi cominciarono ad entrare a uno a uno nell'apertura, io mi girai a guardarla.
"L'hai fatto perché anche tu volevi la cura, vero?" le domandai.
Avevo bisogno di risposte.
"Esmes, tu sei stata una delle poche che non si è fermata all'aspetto fisico, ma ha visto in me un'amica. Sì, avevo bisogno di quella cura e la volevo ad ogni costo e, all'inizio, tirarvi il sangue fino a prosciugarvi mi sembrava il giusto sacrificio per una vita normale. Poi sei arrivata tu e non potevo vederti attaccata a quelle macchine e se per questo dovrò rimanere per sempre sfregiata e, forse, un giorno morire beh, che sia così allora!" disse in un soffio e con le lacrime agli occhi.
La abbracciai.
"Ti voglio bene, Theresa"
"Ti voglio bene anche io. E ora vai e fai attenzione là fuori!"
"E tu attenta a tuo fratello" le dissi subito.
Mi sorrise e la lasciai così mentre mi dirigevo verso l'apertura e il quadro si richiudeva alle mie spalle.
Solo allora, mentre procedevo spedita con gli altri in quel tunnel, mi ricordai che Breslin era uscito a prendere una boccata d'aria e non era più tornato.
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