Attenzione a non traumatizzare i cappelli
Niente tornerà come prima.
Ma vorrei che almeno qualcosa rimanesse uguale.
Non appena arrivo in piazza sono circondato da streghe che mi fissano. È una sensazione orribile, come se l'intero mondo fosse curvo su di me a osservarmi, analizzando ogni singolo errore che faccio.
Le mie sorelle mi corrono incontro, ma io non riesco a sentirle: mi fischiano le orecchie e mi manca il respiro; non sono mai stato in luoghi troppo affollati per troppo tempo e quei pochi attimi in cui sono stato a scuola non mi fissavano tutti come se potessero leggermi nell'anima.
Anya mi guarda, dispiaciuta.
<Ho detto tutto alle streghe> mi rivela chiedendomi scusa con lo sguardo.
Lancio un'occhiata a mia madre, che mi guarda infuriata.
"Non dovevi uscire"
"Non dovevi fare magie"
"Era meglio se non nascevi"
Tutte queste frasi mi frullano in testa e mi feriscono il cranio dall'interno. In contemporanea sento la rabbia ed il fastidio attorcigliarmi lo stomaco: perchè Anya l'ha detto? Perchè mi ha tradito? Ora le streghe mi uccideranno.
La rabbia viene tempestivamente sostituita dalla paura, che mi colpisce lo stomaco dandomi un senso di nausea.
Morte.
Non ho mai riflettuto sul suo significato, ma una cosa è certa: è la fine di tutto.
E io non sono pronto.
Non voglio morire.
La paura della morte, l'ansia che mi provocano tutti quegli occhi addosso, il fastidio del tradimento: tutto questo si fonde impedendomi di respirare. Sento i battiti del mio cuore aumentare, mentre il respiro sembra quasi bloccato. I pensieri si mescolano, sento come se il mondo stesse girando intorno a me e quegli occhi, quei maledetti occhi si fondono mentre il mondo gira, gira, gira. Sono in alto, i miei piedi sembrano distanti chilometri da me.
"Inutile"
È vero, l'unica cosa che ho fatto è stata distruggere praticamente tutta la città. Non sono nemmeno riuscito a battere Medusa da solo.
Sono sempre stato inutile, un tizio a caso che sa solo osservare gli altri mentre sistemano i suoi casini.
"Non sai nemmeno usare la magia"
Le magie che ho fatto hanno solo portato distruzione, non ho saputo nemmeno decidermi su ciò che volevo.
"Se solo non fossi mai nato"
Il mondo gira come una rotella, e io non posso fare nulla.
Sento una presa salda sulle mie spalle.
<Mi senti, fratellino stupido? Sono io, Terry, quella che ammazza chiunque la scegli e che se parla fa beeeeep. Sono quì, sono quì per te. Tu devi solo respirare, rinbecillito, hai capito? Concentrati sulla mia voce e respira: inspira, espira. Così, bravo. Guardami, guardami bene, concentrati sul mio volto e sulla mia voce, sulla presa sulle tue spalle, sulla mia fronte poggiata contro la tua, sul fatto che sei un nano e io sono più alta di te>
Io faccio come mi dice: cerco di concentrarmi so ogni particolare del suo viso: la carnagione pallida, gli occhi verdi che brillano come smeraldi, le lentiggini che si notano a malapena, il naso piccolo e a patata, le labbra piene e nere a causa del rossetto che ha messo stamattina, le goccioline di sudore sulla fronte e i brufoletti sul mento e sul naso.
Piano piano riesco a respirare normalmente, i miei muscoli si rilassano e mi abbandono tra le braccia di Terry.
<Va meglio, brutto *********?>
Io annuisco, non me la sento di parlare. Ignoro l'occhiata preoccupata di Anya e noto che mia madre sta parlando con le altre streghe.
Non si è preoccupata per me.
La odio, ma so che le devo molto. Ma non posso evitare di odiarla. Ormai lo so.
Do qualche colpetto sulla spalla di Terry. Quando ho attirato la sua attenzione, indico la mamma che parla con le altre streghe: voglio ascoltare. Terry mi aiuta ad avvicinarmi.
<Si può sapere perchè hai avuto un figlio con un umano, Beryl?>
A chiederlo è una strega bassa e minuta, con gli occhi azzurri ed i capelli neri. Ha dei tratti orientali e la pelle leggermente abbronzata.
<Non l'ho deciso io, ero debole, avevo usato troppa magia per combattere gli umani. Un umano ha approfittato di quel momento di debolezza. Tutto quì. Io quel bambino non lo volevo>
Un'altra strega la guarda con compassione.
<Beryl, avresti dovuto dircelo. Noi avremmo provveduto a darti delle erbe abortive. Perchè non->
<Io non volevo questo bambino, ma non riuscivo a liberarmi di lui. Semplicemente non riuscivo a pensare a, non so come descriverlo: io non volevo non partorirlo. Lo volevo tenere, ma non lo volevo> è come se dire quelle parole le costasse un dolore incredibile.
<Non uccidetelo>
Non ci credo.
<Mamma?>
Mia madre si gira verso di me, ed in quel momento sento una fitta al cuore: sta piangendo?
Non è possibile. Lei non può davvero piangere.
È strano: lei per me è sempre stata la dittatrice che mi faceva da madre, a cui tenevo e che da pochi minuti ho imparato anche ad odiare. Lei è sempre stata forte, nella mente e nel corpo. Come può piangere?
Mi tocco piano le guance, rendendomi conto che sono umide: sto piangendo anch'io.
Terry e Anya la guardano con gli occhi sgranati, e so che in questo momento tutti e tre stiamo facendo lo stesso pensiero: la mamma non è di acciaio? Può ferirsi? Può piangere?
È scontato che tutti piangono, ma su di lei, no, non è scontato.
<Non uccidetelo> ripete <Lo so che ha distrutto la città, ma posso istruirlo ad usare la magia. Ma vi prego, non uccidetelo, sarò io a pagare il prezzo di quello che ha fatto>
Non posso dire di non essere stupito. Come mai fa tutto questo per me?
Mamma.
Ora questa parola sembra quasi dolce.
La strega dagli occhi azzurri parla di nuovo.
<Facciamo così: andrà a scuola, e apprenderà l'uso della magia, ma se non riuscirà a controllare i suoi poteri da mezzosangue e oserà anche solo ferire una strega, verrà condannato a morte. Chi a favore?>
Più della metà delle streghe presenti alza la mano.
<Bhe, direi che possiamo andare a cenare e a chiedere chi vuole ospitare le streghe che non hanno più una casa>
Mia madre sospira e ci guida verso casa.
Non appena chiude la porta mi ricordo di una cosa fondamentale.
<Rae, l'ho lasciata in quell'orrendo bagno>
<Tranquillo, è una gatta, sa tornare da sola a casa. Non sai quante volte l'ho dimenticata là>
Anya mi fa anche due pollici in su, ma onestamente sono ancora arrabbiato con lei, perciò la ignoro.
Tutti noi sembriamo sfiniti: io a malapena mi reggo in piedi, e se non fosse per Terry che mi regge ancora, sarei crollato.
Mia madre prepara la cena e ceniamo in completo silenzio.
Non appena entro in camera noro Rae sul letto.
Sbadiglio e svengo sul letto.
Faccio un'incubo, ovviamente.
Mi ritrovo in una stanza che sta bruciando. Sento delle grida provenire da ogni angolo, mi circondano e mi distruggono i timpani.
Inizio a correre, cercando una via d'uscita, finché non trovo una porta e la spalanco, per poi ritrovarmi a cadere nel vuoto.
Atterro davanti a Medusa.
<Perchè? Io stavo solo rendendo il tuo desiderio realtà. Perchè mi hai tradita? Cosa ho fatto di sbagliato>
È vero, lei aveva soltanto eseguito l'ordine che le avevo dato involontariamente: uccidere tutte le streghe.
<È stata tutta colpa mia. Mi dispiace. Io semplicemente non sapevo cosa volevo, perciò è tutta colpa mia>
Lei sorride, poi uno spasmo, e infine scoppia a ridere.
<Sai, per tutta la mia vita ho servito Atena. Ma lei mi ha tradita. Io volevo solo amare, e mi ero resa conto solo dopo che non volevo vivere una vita senza amore. Ma era troppo tardi.
Così sono stata punita, mentre l'uomo che mi aveva sedotta, o meglio, il dio, non ha subito alcuna punizione. Questo è stato un mio errore, è vero, ma comunque è stato un errore che mi è costato tutto, perchè la vita non era mia, ma sua, di Atena. Nella morte speravo di non essere libera, senza dover rispondere a nessuno. Ma una strega ha preso la mia anima prima che arrivasse nell'Ade, così sono ancora prigioniera. E ho fatto cose orribili sotto il controllo di altri>
Io la fisso, e non posso evitare di provare empatia per lei e rabbia verso di me, Atena e quel dio.
<Io posso dire solo che mi dispiace. Mi dispiace davvero. Ma ti farò una promessa, io ti libererò, ti darò la libertà, così nessuno potrà mai più controllarti>
Lei mi guarda per un po, poi scoppia di nuovo a ridere.
<Non penso che riuscirai a salvarmi, ma è nobile che tu voglia rimediare ai tuoi errori. Ti odio, perciò voglio che tu sappia che non appena mi libererai, ti ucciderò>
Io, dal canto mio, mi sento leggero quanto in colpa: io non voglio salvarla per lei, ma per alleggerire il peso che porto e annullare ciò che ho fatto oggi alle streghe.
In quel momento cado nel vuoto e spalanco gli occhi.
Non appena mi giro verso il comodino, noto il libro con la faccia cucita sulla copertina che sembra quasi fissarmi.
Il libro si apre sulla pagina con l'incantesimo per evocare Medusa, solo che adesso c'è anche un'immagine: io e la donna che parliamo.
Poi il libro cambia pagina, e in questa ci sono sempre io e il capitano Lavatrice che parliamo.
Sorrido piano e mi alzo dal letto. Vado a lavarmi e mi vesto. Mi dirigo verso la camera di Anya: è stata lei a dire a tutti che era tutta colpa mia. Non ha detto una bugia, infondo. Apro piano la porta e prendo un pennarello dall'astuccio di Anya. Mi avvicino lentamente a lei e le afferro il braccio, iniziando a scrivere:
Cara scema,
Ieri mi sono sentito tradito, sappi che sono ancora offeso, perciò non parlarmi oggi. Non riuscirei a reggerlo e potrei offenderti.
Tuo
Nessuno
Esco da camera di mia sorella e vado verso quella di Terry, ma qualcuno mi ferma.
<Ho messo la sveglia all'insaputa di quelle due, non hai bisogno di svegliarle. Dobbiamo vedere del tuo cappello.>
La freddezza con cui si rivolge a me mi spiazza, è vero, è sempre stata così fredda, però dopo ieri sera pensavo che fosse diverso.
Annuisco tremando leggermente.
<Seguimi, il tuo cappello è in soffitta, giusto?>
Io annuisco, sempre più pietrificato dalla sua freddezza, sembra quasi che desideri ardentemente che il tempo da passare con me passi il più in fretta possibile.
<Il cappello serve ad accumulare l'energia magica, a cui puoi fare ricorso quando non ne hai più in corpo. Ricordi?>
Annuisco di nuovo.
<Bene, forza sali e fa in fretta>
Io salgo in soffitta e prendo il mio cappello. Lo costruii quando ero piccolo, perchè volevo andare a scuola con le mie sorelle, solo per scoprire che non chi sarei mai andato.
Torno giù e lo dò a mia madre, che, non appena lo vede, impreca infuriata.
<Com'è possibile che sia rotto?!> grida.
<Quando me lo avevi mostrato anni fa, non era rotto, lo ricordo bene. Lo hai strappato? CRISTO SE SEI INUTULE>
Io mi fisso i piedi. Eccola, la frase che mi dice sempre.
<Vai a cucirlo, fai qualcosa di utile, una volta nella vita>
Se ne va via seccata.
Prendo al volo il cappello e vado in camera, prendendo le cose da cucito per poi mettermi a cucire.
Dopo qualche minuto ho già finito, mi alzo guardando lo strappo ricucito, sto per uscire a mostrarlo a mia madre, quando il filo con cui ho cucito, si sbalza via, volando dritto in testa a Rae, che mi soffia contro per poi tornare a dormire.
Io ricucisco lo strappo, ma succede la stessa cosa, continuo per ore, tanto che non noto nemmeno le mie sorelle e la mamma uscire di casa. Continuo a provare, ma fallisco ogni singola volta.
<Non hai ancora ricucito quel maledetto cappello?>
Mi giro verso la porta di camera mia e noto mia madre che mi guarda dall'alto in basso.
<Lo sai che se non lo ricucisci la magia che accumuli potrebbe sfuggire dal cappello, e di conseguenza potresti distruggere tutto ciò che ti circonda, di nuovo>
La guardo con astio.
<Provaci tu, io non ci riesco. Ogni volta che lo ricucisco si sbalza via e finisce in testa a Rae. Non riesco a ricucirlo, punto.>
Le parole mi escono di bocca con furia, senza che io abbia il minimo controllo e me ne pento subito.
Mia madre mi lancia un'occhiataccia.
<Non posso aggiustare io il tuo cappello, insomma, è una responsabilità della strega occuparsi del proprio cappello. Se non si ricucisce vuol dire che tu l'hai strappato, perciò, ovviamente, il cappello è offeso>
<E come si ricucisce un cappello offeso?>
<Si entra nei ricordi del cappello e si cerca l'evento che l'ha ferito, si cancella il ricordo, poi e solo poi si potrà ricucire la sua ferita>
Lancio un'occhiata al cappello che ho tra le mani.
<Come si fa ad entrare nei ricordi del cappello?>
Mia madre mi afferra la mano, anche se chiaramente disgustata dal contatto. Mi odia, allora perchè ieri sera mi ha protetto? Non ha senso.
Ogni volta evita di starmi accanto, di parlarmi, di guardarmi, di toccarmi, eppure ha chiesto di non farmi uccidere.
Sapere che mi ha salvato da morte certa mi rende difficile odiarla: mi ha salvato la vita e io non riesco a non esserne grati, anche se mi tratta così male un angolino del mio cervello pensa che forse mi vuole bene.
<miao> il miagolio di Rae mi porta alla realtà.
La gatta mi sta fissando con mentre si lava. Ieri non l'ho pulita dalla sporcizia del bagno in cui è stata, e ora sta ingerendo tutto quello schifo. In un attimo mi viene il flash delle palle di pelo che dopo dovrò rimuovere dal letto (si, perchè Rae le vomita sempre nel mio letto, e lo fa pure apposta dal momento che una volta era in cucina ed è corsa fino in camera mia solo perchè doveva fare una palla di pelo).
Mia madre, intanto, sta pronunciando un incantesimo più lungo di tutti i libri pubblicati dallo zio Rick e il signore degli anelli messi insieme.
Improvvisamente tutto ciò che ci circonda inizia a girare come una rotella. Mi sale il vomito ma mi trattengo.
Lampi di luce di ogni colore mi scattano davanti agli occhi, infine atterro con poca grazia nel soggiorno.
È lo stesso di qualche anno fa, più precisamente quattro anni fa. Lo riconosco dal calendario e dal fatto che c'è un gatto bianco spelacchiato e stanco di nome Irsum, e che è morto più o meno tre anni fa.
In quel momento compaiono quattro figure umanoidi e trasparenti, come spettri.
No, non questo ricordo. Tutto tranne questo ricordo.
Siamo io, le mie sorelle e mia madre che guarda orgogliosa Anya.
Anya è la sorella maggiore e ora ha sedici anni (nel ricordo dodici), Terry ne ha quattordici (nel ricordo dieci) e infine io ne ho dodici (nel ricordo otto).
Mia madre sorride ampiamente perchè mia sorella sta per andare a scuola. È entusiasta.
Le fa i complimenti e quasi piange dalla gioia. Io e Terry chi lanciamo un'occhiata di intesa.
<Mamma, abbiamo fatto anche noi i nostri cappelli, perchè così ce li abbiamo già pronti per quando andremo a scuola>
Mia madre sorride e guarda verso Terry.
<Dai allora, fammi vedere, immagino che sarà bellissimo>
Io e Terry ci guardiamo e corriamo verso le notre stanze per prendere i cappelli.
Non appena torniamo, ognuno col corrispettivo cappello in mano.
Non appena mia madre nota il mio cappello, mi guarda arrabbiata.
<Si può sapere perchè ne hai uno anche tu?>
Lo chiede con la sua solita freddezza, tuttavia il me bambino si spaventa subito, e prende a tremare.
<Si può sapere perchè tremi? Non ti ho fatto nulla, rispondi. SU-BI-TO>
Ma il me del passato non ci riesce. Mia madre inizia crescere e diventa un demone enorme, freddo come il ghiaccio, le mie sorelle spariscono e rimangono solo me e mia madre.
Baby me la guarda dal basso e terrorizzato, completamente indifeso contro quel demone dagli artigli lunghi e affilati. Mia madre parla di nuovo, e uno degli artigli trafigge il me bambino.
<sei così inutile non sai neanche parlare>
Sta per arrivare, sta per dirlo. Non voglio più ascoltare. Sento l'aria mancare, lo stomaco mi si contrae e mi sale il vomito. Cerco di respirare, ma non ci riesco.
Respira.
La frase, sta per dire quella frase.
Respira.
Non voglio sentirlo, non di nuovo.
Respira.
Non ci riesco, non riesco a respirare.
Il battito del mio cuore mi ribomba nel petto e nelle orecchie.
<Tu sei un errore, un errore che non sarebbe dovuto nascere. Non andrai mai fuori da questa casa, perchè è questo che si fa con un errore: si nasconde>
Sento esplodere un misto di emozioni dentro di me, tutte queste si mescolano e si rimescolano, mi distruggono dentro, mi lacerano e mi bloccano il respiro.
Devo respirare, devo calmarmi, non devo farmi prendere dalle emozioni.
Calmati.
Respira.
Ci provo e ci riprovo, ma non ci riesco, non mi calmo.
<No, non sono quello, non sono un mostro. Perchè mi vedi così? Io non sono così>
Sono delle parole che sento distanti, come su un altro mondo.
Cerco di respirare, mi concentro sul respiro e provo a dargli un ritmo, ricordando la mia canzone preferita, tuttavia quella frase continua a tormentarmi e mi impedisce di pensare ad altro se non alla mia inutilità.
<Ascoltami>
Mia madre mi guarda dritto negli occhi. I miei occhi color sangue e i suoi neri e profondi si incontrano e per la prima volta non evita il mio sguardo. Le sue parole sono colme di preoccupazione.
<Davanti a te c'è una piuma, devi tenerla non troppo lontana e non troppo vicina. Concentrati.>
Una piuma si materializza davanti a me, inspiro attraendo a me la piuma, poi espiro, facendola allontanare. Mi concentro e faccio dondolare la piuma. Il mio corpo in tensione si calma, e chiudo piano gli occhi, respirando con calma.
<Bravo>
Un lieve sorriso compare sulle labbra di mia madre, che mi guarda con un misto di dolcezza e orgoglio. Sento un senso di calore al petto.
Tuttavia la sua espressione cambia in un attimo: disgusto puro e rabbia si materializzano, come se qualcuno le avesse lanciato un incantesimo.
<Andiamo, dobbiamo ricucire quel cappello>
La sua voce è un sussurro. Vorrei dirle qualcosa, parlarle, ma l'unica cosa che mi esce dalla bocca è un lieve sussurro.
<si, va bene>
Io e mia madre seguiamo il me bambino che, piangendo, corre in camera col cappello in mano.
<Se non fosse stato per questo stupido cappello, mamma non avrebbe mai detto quelle cose, mai>
Fisso il me del passato mentre lui, con rabbia, strappa lievemente il cappello, per poi buttarlo dall'altro lato della stanza.
In quel momento la mia figura si trasforma, come aveva fatto mamma prima, diventando un demone di fuoco gigante, e quel mostro inizia a gridare contro il cappello.
<TI ODIO, TI ODIO, TI ODIO>
Io mi fisso con stupore: io non sono così. Non posso davvero essere così.
Non sono crudeltà e rabbia allo stato puro.
Sono la vittima.
Vero?
Questi sono i ricordi del cappello, e questo è il punto di vista del cappello, e se prima la sua percezione di mia madre concordava con la mia di bambino, adesso guardava me allo stesso modo.
Io sono come mia madre.
Sono un mostro che si è sfogato sul più debole. Un mostro che si è fatto cogliere dall'ira e che ha ferito qualcun altro perchè non è una persona matura.
Mia madre non è matura, è come il me di sette anni, arrabbiato e impaurito.
<Non l'ho deciso io, ero debole, avevo usato troppa magia per combattere gli umani. Un umano ha approfittato di quel momento di debolezza. Tutto quì. Io quel bambino non lo volevo>
Le parole di ieri sera mi rimbomano in testa. Io in lei vedo un mostro di ghiaccio, più dura dell'acciaio.
Ma lei?
Come il cappello che in me vede un demone che si sfoga per ciò che ha subito, non è che mia madre si sta nascondendo sotto quel ghiaccio per non lasciarsi andare al fuoco e all'ira?
<Mamma, come stai?>
La domanda mi esce spontanea.
Lei si gira e mi guarda quasi stupita.
<Cosa? Perchè me lo stai chiedendo?>
La sua voce non è fredda e crudele, nemmeno stupita. È arrabbiata.
Io mi sgonfio, spaventato dalla sua rabbia.
<Perchè pensavo che anche tu avessi il tuo demone, come me ed il cappello> sussurro piano.
Lei mi fissa con sorpresa e rabbia, molta rabbia.
Si avvicina a me ed io faccio un passo indietro: ho paura. Se lei vuole davvero nascondere quella rabbia, vuol dire che è distruttiva, arbitraria e troppo persino per qualcuno come mia madre. Emozioni intense e potenti come un missile, ma sopratutto represse da troppo tempo.
In un attimo mi ritrovo tra le sue braccia.
Mi ci vogliono parecchi secondi per capire che quello è un abbraccio. Un vero abbraccio da parte di mia madre.
È dolce.
È caloroso.
È intimo.
È troppo.
Una dopo l'altra un'infinità di lacrime sfuggono dal mio controllo e rigano le mie guance pallide.
<Mi dispiace>
In quel momento le mie emozioni esplodono e mi ritrovo a singhiozzare tra le sue braccia emettendo mugolii e gemiti. Non ho mai fatto tanto chiasso piangendo.
Lei si allontana leggermente, per potermi guardare negli occhi.
Mi sta sorridendo dolcemente.
<Io sono stata una madre immatura, crudele, fredda, tu hai sempre meritato di meglio. Non ho scusanti, non importa come ti ho avuto, cosa ho provato io: le madri non possono essere egoiste, l'errore è sempre stato solo mio>
Le sue parole sono dolci, sentite e cariche di emozioni. Tuttavia una paura si fa strada nel mio cervello:
<Domani non tornerà tutto come prima?>
Lei mi fissa e sorride calorosamente.
<No, non tornerà tutto come prima, cercherò di migliorare, lo prometto>
Si stacca completamente dall'abbraccio, privando del suo calore.
<Sarà meglio se cancelliamo il ricordo del cappello>
Mi guardo intorno, vedo il me demone di fuoco e poi il cappello strappato.
<No>
<Come?>
<Se facessi semplicemente dimenticare al cappello ciò che ho fatto, sarebbe troppo semplice. Ho sbagliato e se voglio migliorare non posso cancellare ciò che ho fatto, perchè non vedrei la reale conseguenza delle mie azioni. Mamma, io voglio crescere e maturare, e per farlo devo accettare i miei errori, come hai fatto tu>
Mi avvicino piano al cappello del ricordo, e lo abbraccio piano, con tutta la dolcezza che ho in corpo.
<Mi dispiace, ti ho fatto del male e poi ho finto che tu non esistessi. È vero che avevo solo otto anni e perciò ero solo infantile. Ma ora che sono più grande, so che ho sbagliato. Farò di tutto per farmi perdonare, non ti obbligherò a dimenticare ciò che ti ho fatto, maturerò e non rimarrò uno stupido bambino di otto anni. Mi dispiace>
Tra le mie braccia, il cappello del passato, si trasforma in un bambino piccolo, di appena otto anni.
Ha le lacrime agli occhi spaiati (uno rosso e uno magenta), i capelli neri sono arruffati e il suo viso è segnato da una ferita sanguinate.
<T-tu mi p-prometti che non mi dimenticherai più in una s-soffitta? S-sarai un buon amico?>
<Lo prometto>
<E-e tu, signora cattiva, n-non sa-sarai più cattiva? Lo prometti?>
Mia madre sorride e ci abbraccia entrambi.
<Lo prometto>
Il bambino sorride nell'abbraccio, e la sua ferita si cicatrizza.
<Grazie>
E con quest'ultima parola io e mia madre veniamo riportati alla realtà.
Tra le mie braccia c'è il cappello, con una cucitura evidente sullo strappo. Non è delle migliori, ma qualcosa mi dice che col tempo migliorerà e quella ferita si rimarginerà, ma solo se manterremo la promessa.
Angolino dell'otaku
Porca la paletta se questo capitolo è stato difficile, comunque spero che vi sia piaciuto. E ora è meglio se vado ad ascoltare l'audio di otto minuti che mi ha inviato qualcuno che vorrei uccidere.
Adios, al prossimo capitolo.
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