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Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore

Il giorno seguente mi svegliai intontita. Chiamai Molly Hooper e la avvertii che mi sarei presa una pausa, ero troppo svogliata! La notte era stata tormentata, un po' perché di sotto c'erano stati dei rumori sospetti, un po' per l'agitazione. Mi buttai controvoglia sotto la doccia mi vestii e scesi di sotto.

Watson, appena mi vide, sorrise contento. "Come va Laura?" Era premuroso come sempre.

"Direi bene, ma voi invece? Ho sentito un po' di trambusto." Si fece serio, si fermò con la caffettiera in mano.

"Mycroft ha avuto una notte agitata." Mi allarmai, ma mi tranquillizzò subito.

"Ora sta bene. Il ginocchio non gli dava tregua e ha avuto una leggera febbricola." Si avvicinò al tavolo e sistemò un vassoio con la colazione, strinse le labbra.

"Non ci avrebbe chiamato se Sherlock non l'avesse sentito lamentarsi."

Ero perplessa, mi dispiaceva averlo lasciato da solo. "Perché non mi avete avvertito? Lo avrei aiutato. 

"Laura non ti reggevi in piedi. Cosa avresti potuto fare? Se ne è occupato Sherlock e poi lo conosci l'orgoglio di Myc." Mi passai la mano sulla nuca, del resto John aveva ragione non ero molto in forze la sera prima.

"Ora come sta?" Chiesi guardando il volto disteso di Watson.

"Ha dormito ed è sfebbrato. Se vuoi puoi portagli la colazione e farlo mangiare perché protesterà come al solito." Rise e trascinò anche me. Aveva ragione perché si lamentava in continuazione che non aveva appetito.

"Va bene, vado io. Spero sia sveglio." Toccai con un colpetto affettuoso il braccio di John.

"Sono a casa oggi, a riposo, va bene dottore?" Sorrise soddisfatto. "Bene, dottoressa Lorenzi, fare una pausa ti farà bene."

Presi il vassoio, John mi accompagnò e mi aprì la porta della stanza di Mycroft.

Era sveglio, sprofondato nei cuscini, alzò la testa per mettermi a fuoco.

"Laura stai bene?" Gorgogliò con la voce impastata.

John aprì la finestra, il sole invase la stanza. "Io sto bene. E tu, stubborn english man?"

Sbuffò e si lasciò cadere giù stancamente senza rispondere.

"Diciamo che ci ha dato la sveglia un po' prima. Vero Mycroft?" Watson gli misurò la febbre.

Il volto si distese, le sue cure erano servite.

"Laura te lo lascio, è sfebbrato, fallo mangiare e dagli le medicine." Uscì mentre appoggiavo con attenzione il vassoio sul tavolino e lo osservavo di nascosto.

"Do il tormento a tutti..." Mormorò il mio compagno di sventure, si girò con il volto verso la finestra. Era pallido, le occhiaie scure.

"Non fare la vittima, siamo qui per te. Tutti insieme."

Mi sedetti sul bordo del letto, gli accarezzai la mano stretta al lenzuolo. Si rilassò, respirò come se dovesse scalare una montagna.

"Su Myc, ora cerca di mangiare qualcosa..."

Girò il capo costernato. "Non ho fame..."

"Sei monotono con questa frase."

Ridacchiai guardandolo negli occhi, sembrava un bambino capriccioso. Gli accarezzai la guancia, la barba era cresciuta ispida e folta.

"Se fai il bravo e mangi qualcosa ti rado. E bada che sono brava."

Mi prese la mano, scuotendo la testa divertito.

"Mi rado da solo da secoli!" La sua stretta era forte, nonostante sembrasse debole e provato.

Puntò il suo sguardo acuto su di me, la testa di lato, se lo conoscevo bene stava per dirmi qualcosa di importante.

"Ho firmato i documenti di partner of relevance, Sherlock lì porterà ad Anthea stamattina. Si fida di te, abbiamo deciso di togliere i farmaci antidepressivi, diminuendoli poco per volta."

"Mi sembra una saggia decisione, visto come sei stato stanotte."

"Te ne do atto, mia dottoressa operosa. Non voglio sconvolgere la vita di tutti voi. Ma ora quando torno in clinica voglio che tu sia con me."

Ero contenta che Sherlock avesse un discreto ascendente su di lui e infondo speravo che la mia vicinanza potesse aiutarlo a guarire prima.

Indicò il ginocchio. "Devo rifare il controllo in giornata." Gli brillavano gli occhi anche se la voce era incerta, temeva lo lasciassi da solo.

"Va bene ci sarò." Avrei incontrato qualche difficoltà, ma accettai di buon grado.

Si sollevò dai cuscini. "Comporterà qualche fastidiosa occhiata essere la mia compagna. Non per il tuo aspetto o la tua provenienza, ma per il posto che ricopro." Cambiò il timbro di voce.

"Tu non badare a loro. Sei con me."

Stemperai la sua apprensione per avermi al suo fianco.

"Ho sopportato Malvest, che sarà mai qualche malevolo burocrate che mi è ostile?"

Ridacchiò, si lasciò andare tra le coperte.

"Sei una donna testarda, li affosserai tutti." Gli occhi gli luccicarono di piacere.

Era così disarmante in quel ruolo di innamorato sprovveduto. Gli pizzicai il braccio.

"Ora fai colazione, non trovare altre scuse."

Mi arrivò un brontolio che feci finta di non sentire.

Sistemai i cuscini sulla testiera del letto perché potesse appoggiarsi e lo aiutai cercando di non forzargli il ginocchio. Non era facile reggerlo, ma alla fine fu sistemato a dovere. Avvicinai il tavolino con la colazione.

Dapprima fu scostante, mangiava a fatica. Lo distrassi con una conversazione leggera, ottenni lo sbocconcellare di due fette biscottate infarcite di marmellata e una tazza abbondante di tè.

Era quello che volevo.

"Bene, Myc. Ora le medicine e riposo."

Due occhi spalancati mi fissarono sgomenti. "Non mi farai stare a letto tutto il giorno, vero Laura?"

Sogghignai. "Certo che no, ma ci rimarrai almeno fino a pranzo."

Si lasciò cadere sui cuscini, fissando il soffitto.

"Avanti, Myc, il ginocchio richiede un po' di riposo. Cosa ti costa stare ad oziare nel letto una volta nella vita." Mi alzai e sistemai il vassoio.

"Non vai al san Bart?" Si era insospettito che passassi con lui più del tempo necessario.

"No, mio caro oggi stiamo insieme." Lo sorpresi che mi seguiva con lo sguardo preoccupato.

"Avevo voglia di una pausa Myc, non sarei stata molto attenta al lavoro."

Effettivamente ero stanca e un po' di riposo mi avrebbe giovato, e poi volevo godermi la sua compagnia.

Sistemai i cuscini nella poltrona vicino al letto e mi accomodai. "Ora rilassati che parte la tortura."

Si sollevò allarmato, non riuscendo a mascherare il disappunto. "Che vuoi fare? Non ti metterai a medicarmi le ferite?"

Sul mio volto comparve un ghigno diabolico.

"Peggio, Myc, ti leggerò "The merchant of venice di Shakespeare" rigorosamente in inglese con la mia inflessione italiana: un vero supplizio per un British come te."

Una bella risata che non vedevo da tempo gli illuminò il volto, alzò le mani come per difendersi.

"Va bene Laura, procedi, straziami le orecchie." Un sorriso disteso gli addolcì il volto e il mio cuore si sciolse.

Iniziai la lettura, si era adagiato tra le coperte e ascoltava attento. Di tanto in tanto scuoteva la testa trattenendo un sorriso sarcastico, mi fermava, mi correggeva, rideva.

Mi piaceva quando brontolava e finiva per arrabbiarsi perché la pronuncia scivolava un po' troppo.

"Laura, sono mesi che sei a Londra! Ancora non hai la sicurezza che dovresti!" Sbottò all'improvviso.

Allontanai il libro. "Dici davvero? Perché a me sembra di essere quasi perfetta."

Socchiuse gli occhi grugnendo rassegnato.

Mi avvicinai con una scusa. "Vedi la frase, "She kissed him passionately?"

Mycroft si sporse per leggere incuriosito che nel libro ci fosse una frase del genere. Il suo viso era vicino al mio.

"Dici che avrebbe potuto... fare così?" Gli presi fulminea il volto fra le mani e lo baciai.

Rimase stupito, spalancò gli occhi grigi, ma non perse un solo secondo e mi ricambiò. Le sue mani mi accarezzarono il volto, anche se parzialmente fasciate mi piacque sentirle. Lo abbracciai forte, lo desideravo da tanto, quello che doveva essere un semplice bacio, uno scherzo, divenne qualcosa di più.

Fu un contatto profondo, così forte da fermarmi il respiro. Ritornai a sentire il suo sapore che mi era mancato così tanto. Sentivo di appartenergli e lui mi ricambiava ansimando di piacere.

Ci staccammo lentamente e ci tenemmo la mano.

"Laura, ti sei approfittata di me!" Si rese conto di quanto tempo avesse perso a macerarsi nel dubbio. "Come ho potuto essere così ottuso. Non ti merito."

"Sì che mi meriti, perché ti amo Myc."

Ero convinta perché era quello che volevo, restare con lui, vivere insieme. Lo sollecitai, volevo sentirgli dire quella parola magica.

"E tu mio British Government, non mi hai detto ancora nulla!"

"Vuoi sentirtelo dire?" Sorrise malizioso. "Ti amo Laura Lorenzi, stubborn italian woman."

Mi persi nella sua tenerezza. Ma così come era stato allegro, il suo volto si rabbuiò.

"Che c'è ora?" Chiesi stupita.

Prese un lungo respiro, si fece serio e mormorò poche frasi.

"Mi aiuteresti a cambiare il pigiama? Ho sudato parecchio."

Si era deciso a condividere il suo dramma, voleva mostrarsi, voleva che vedessi il suo corpo martoriato.

Mycroft voleva fare quel passo in avanti che tanto mi aveva negato, mi alzai e rispettai la sua decisione. Fingendo una tranquillità che non avevo, gli chiesi dove fosse il suo prezioso pigiama.

Mi indicò la cassettiera nella parete opposta, vicino al bagno.

"Allora cominciamo mio British Government." Lo dissi per alleggerire un po' la tensione.

"Mi chiami ancora così? Ora non lavoro." Feci un gesto plateale, una specie di inchino.

"Se sai tutto di tutti! Non fare il falso modesto."

Cercavo di rendere quel momento sereno, mi alzai e andai a prendere il suo pigiama.

Era blu, con dei piccoli disegni esagonali, diverso dai suoi standard abituali, ridacchiai.

"Che c'è, non ti piace?" Sogghignò. "Sinceramente nemmeno a me, me lo ha regalato la signora Hudson."

Una risata sonora mi uscì incontrollata sapendo quanto poco stimasse Mycroft. "Allora è stata la sua vendetta!"

Rise anche lui e si rassegnò a indossare quel capo poco consono

Lo aiutai a sedersi, iniziò a svestirsi anche se era impacciato con le mani, collaboravo solo se lo vedevo in difficoltà. Gli parlai del mio lavoro per distrarlo e superare l'imbarazzo.

Mycroft ascoltava sempre tutto con attenzione, era esattamente lì che risiedeva la sua intelligenza e la capacità di deduzione. Era attento ai particolari.

La giacca di cotone scivolò via, fu difficile mantenere indifferenza vedendo le braccia ferite. 

La t-shirt bianca lasciava intravvedere gli ematomi e le medicazioni.

"Myc, che ne dici se do un'occhiata?" Accennò un sì, senza pensarci.

"Non sono un bello spettacolo."

"Va bene, me ne farò una ragione."

Presi la cesta con le creme e i disinfettanti che teneva sopra la cassettiera.

Gli sfilai adagio la maglietta, tremò un po'.

"Hai freddo?" Mosse la testa in segno di diniego, ma la mantenne abbassata, fissando le ciabatte di panno sul pavimento.

Mi morsi il labbro, trattenendo la disperazione nel vedere la sua schiena percorsa da lividi scuri, in via di guarigione certo, ma che dimostravano tutta la crudeltà che gli avevano riservato.

Sul torace non aveva ematomi vistosi, ma due bruciature sul fianco, che mi fecero vacillare. Come avesse fatto a sopportare tutto quel dolore era per me incomprensibile.

Lasciai che tenesse la testa abbassata. Lo esaminai, gli sfiorai piano le ferite, soffocai le lacrime, mandai giù la rabbia, lo disinfettai senza riuscire a dire nulla.

Mycroft iniziò a respirare affannato, prese a tormentarsi le mani e mi accorsi che lo stavo escludendo, non era così che lo aiutavo.

"Non ti sei fatto mancare nulla! Farei meglio a passarti uno straccio imbevuto di disinfettante su tutto il corpo. Non hai una parte che sia sana."

Lo accarezzai cercando di sollevarlo dal disagio in cui era precipitato, fui delicata per quanto mi tremassero le mani.

Sollevò il capo e mi guardò perplesso, credeva mi burlassi di lui.

"Scherzo, stupido! Finalmente alzi quella testa! Che facevi? Contavi le mattonelle della stanza? O deducevi chi avesse cucito le tue benamate ciabatte?" Mugugnò con le labbra strette.

"Laura, mi prendi in giro?"

"Sì, se te ne stai crocefisso con la testa altrove."

Gli baciai la fronte. "Tranquillo, Ice Man, ho quasi finito."

"Non chiamarmi così! Non sono più l'uomo di ghiaccio. Non con te vicino!"

Finalmente mi sorrise e scosse la testa.

"Sei una selvaggia Laura, ma ti amo."

"Attento, potrei baciarti di nuovo." Lo minacciai con l'aria più cattiva che potessi permettermi.

Aggrottò le sopracciglia, si allontanò con la testa.

"Ti ricordi quello che stavo per farti ieri mattina?" Gli infilai la maglietta volutamente sgarbata.

"Non sei il Myc di ieri, ne vuoi un esempio?" Senza dargli il tempo di reagire, appoggiai le labbra sulle sue, la sua consistenza morbida mi fece fremere, lo esplorai senza riuscire a fermarmi.

Aprì la bocca voglioso, mi ricambiò, pieno di desiderio e di rimpianto per tutto quello che ci era stato negato.

Le sue mani furono sui miei fianchi, sulla mia schiena, mi attirò a sé. Provai un appagamento, un piacere delicato mentre i nostri occhi sembravano scambiarsi tutto l'amore possibile.

Si staccò come se la magia fosse finita bruscamente. "Scusami." Mormorò titubante e mi allarmai.

"Laura, manca una parte del pigiama." Perse il suo bel sorriso. "È importante che tu veda."

La tristezza gli segnò il volto. Gli infilai la giacca del pigiama, si stese lentamente nel letto.

Mancavano i pantaloni, sospettavo cosa nascondessero: le torture più intime, quelle difficili da confessare che lo avevano spinto ad allontanarmi. Mi avvicinai, cercando dentro di me la forza di mantenere un aspetto disteso.

"Qualsiasi cosa ci sia sotto questo pigiama, per me non cambierà nulla."

Presi l'elastico e con garbo sfilai la parte sotto. Lui si contorse, socchiuse gli occhi, ebbe un ripensamento, mi fermò la mano mentre lo spogliavo.

"Laura...io ..." Mormorò turbato con gli occhi nei miei.

"Va tutto bene Myc, supereremo ogni problema insieme, stai tranquillo."

Mi lasciò la mano e tolsi lentamente quell'ultima barriera che ci aveva diviso, la parte che lo rendeva fragile e insicuro.

Man mano che i calzoni scendevano, scoprivo tutto il male che gli avevano fatto. Cercai di non indugiare sull'inguine e sugli ematomi scuri, sui boxer bianchi e stretti che fasciavano la sua intimità. Le cosce, nella parte interna, erano segnate da lividi violacei. Si coprì con il lenzuolo, le mani aggrappate al bordo, le nocche bianche.

Era stato torturato e seviziato. Fu difficile mantenere un distacco adeguato, le sue ferite mi riportarono indietro al tormento della violenza che avevo vissuto

Mi voltai impotente e incapace di dargli conforto, afferrai il pigiama e lo portai nella cesta del bucato. Presi vergognosamente tempo cercando di superare l'angoscia che mi devastava.

Mycroft era una persona attenta, perspicace, sapeva bene quali erano i ricordi che mi tormentavano.

"Mi dispiace, Laura, so quello che provi. Ora sai perché ti volevo allontanare. La violenza che ho subito non è pari alla tua, ma  mi ha reso incapace di amarti. Sai che non voglio la tua pietà."

Gli si incrinò la voce. "Come avrei potuto darti una vita sessuale appagante. Non sono l'uomo di prima."

Due lacrime mi scesero lente, era la stessa sensazione che avevo provato io, quella che mi aveva fatto allontanare dall'amore. Per molto tempo mi ero sentita rotta, imperfetta. Lui invece mi aveva accettata per quella che ero.

Ci fu il silenzio fra noi, nascosi il volto fra le mani singhiozzando e sfogai tutta la mia frustrazione e la rabbia per il male che gli avevano fatto.

"Non piangere mia dottoressa operosa." Mi prese la mano, la scostò dal volto, le sue poche dita libere mi accarezzarono il polso sfiorando le cicatrici, i suoi occhi non mi lasciavano un solo secondo. Presi quel poco coraggio che mi era rimasto e parlai sommessamente.

"Myc, mi hai amato lo stesso sapendo quello che avevo passato. Perché pensavi che ti avrei abbandonato? Perché ti eri convinto che non capissi quello che provavi? Ti amo, per quello che sei adesso."

"E queste lacrime Laura?"

"Piango per le torture che hai subito, non perché tu sia virile o no. Ci sono tanti modi per amarsi, basta volerlo e avere pazienza."

Sbottò amareggiato stringendo la mia mano.

"Desideravo tanto essere il tuo compagno! Insegnarti che l'amore fisico, quello pulito, che non hai mai provato è bello mia delicata Laura, pieno di dolcezza e sentimento."

Gli occhi erano lucidi, tremava sdraiato nel letto.

"Non ho mai voluto possederti, volevo amarti con tutto me stesso! Non pensare mai che io voglia altro da te." Non lo avevo mai sentito disperarsi in quel modo, non si abbandonava spesso ai sentimenti.

"Quel bastardo di Edwin ci ha tolto tutto! Mi sembra una pena troppo gravosa per una donna giovane come te."

Gli accarezzai la guancia.

"Lascialo decidere a me, cosa voglio o non voglio. Col tempo starai meglio, ti aiuterò a superare il tuo disagio e mi insegnerai ad amarti." 

Presi la sua mano, quella delicata e gentile a cui avevano strappato le unghie con crudeltà e mi ricordai di una citazione che avevo letto. La sussurrai al suo orecchio

"Quando saremo stanchi cammineremo con il cuore."

"Myc, promettimi che lo faremo anche noi quando ci sentiremo insicuri."

Cacciai via i rimpianti e i dubbi, ora c'era solo il presente.

"Forza mettiamo il resto del pigiama o prenderai freddo. Scostai il lenzuolo che lo copriva, lo aiutai a indossare i pantaloni puliti...

Si infilò sotto la coperta rasserenato ora che avevamo condiviso i suoi tormenti. Nella stanza c'era una calda armonia che ci pervadeva, una sensazione di benessere. Mi sedetti sul letto spiegazzando il suo lenzuolo prezioso

"Se ci trasferissimo a Pall Mall, Laura? Saremmo più comodi, la casa è grande." Mi osservava cercando di capire dall'espressione del mio volto quanto mi piacesse la sua proposta.

Mi allettava restare con lui nel suo rifugio, dove aveva vissuto appartato.

"È una buona idea. Però lavoro tutto il giorno è difficile per me cucinare sempre." Mi sorrise enigmatico.

"Ho una governante che ci pensa, Laura. Non sarebbe un problema."

Gli diedi un bacio sulla guancia. "È una proposta di convivenza? O mi ospiti solamente?" Si strusciò sulla mia spalla facendo le fusa come un gatto. "Decidi tu, io sono disponibile per entrambe le cose."

"Beh, vivere insieme è una buona idea, voglio conoscerti meglio, my British Government, abbiamo molto da imparare insieme."

"Perché non cominciamo subito? Vieni sotto le coperte, mi piacerebbe sentirti vicina." Socchiuse gli occhi tessendo la sua trappola. "Non vorrai rimanere al freddo?"

"Sono vestita Myc." Sorrisi a quella richiesta bizzarra.

"Meglio, non cadrò in tentazione." Allungò la mano per invitarmi.

Ridemmo come due stupidi, John sarebbe ritornato presto, ma noi ci sentivamo come degli adolescenti irrequieti e vogliosi.

Mi liberai del golfino e dei calzini, mi infilai sotto le coperte, mi strinsi al suo corpo, il suo calore era confortante.

Brontolò quando infilai i piedi vicino ai suoi.

"Sono freddi, Laura!" Scosse la testa rassegnato. "Pensi che mi dovrò abituare alle tue estremità ghiacciate?

"Estremità?" Ridacchiai a quella parola inusuale per descrivere un piede. "Penso proprio di sì, se no a cosa servi?"

"Piccola selvaggia." Fece un broncio indulgente e mi baciò. "Però sei adorabile."

Appoggiai la testa al suo petto. Sentivo il suo cuore battere forte e regolare.

"Leggimi qualcosa Myc. Mi piace sentire il tuo timbro così british."

Si concentrò nella lettura nel suo perfetto inglese.

Tutto sembrava essere ritornato come prima della sua partenza. La sua voce era dolce, suadente e finii per addormentarmi stretta a lui.  

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