Prendersi cura del British Government.
La mattina seguente Mycroft era già arrivato al San Bart e stava lavorando nel suo ufficio.
Avevo tardato perché avevo dovuto accompagnare Rosie al nido, sia Sherlock che John erano impegnati.
Lo salutai, ma mi ricambiò distrattamente alzando appena lo sguardo. Mi seccò la sua freddezza, ma del resto conoscevo la sua indole solitaria.
Lavorai ai reperti del corpo di Hugo che confermavano le mie ipotesi, preparai la cartella per Scotland Yard e contattai al telefono l'ispettore Lestrade come mi aveva suggerito di fare Molly.
Arrivò al San Bart in mattinata. Mi si parò davanti un uomo dal fare deciso quasi rude, di bel aspetto, brizzolato e alla mano.
Si presentò in modo sbrigativo.
"Dottoressa Laura Lorenzi? Sono l'ispettore Gregory Lestrade, Hooper mi ha parlato molto bene di lei. Mi dica pure." Mi allungò una stretta di mano vigorosa, gli sorrisi ricambiandolo.
"Forse ho degli indizi per voi, se vuole la metto al corrente delle mie conclusioni." Annuì severo, ma pensai che fosse solo apparenza. Si spostò verso la scrivania, tolse il cappotto e lo lasciò sulla sedia, ci sedemmo, lui ascoltò annuendo e complimentandosi.
"Bene questo ci permetterà di trovare il colpevole, ben fatto Lorenzi, posso chiamarla Laura?" Accavallò le lunghe gambe.
"Certo che sì, e io posso chiamarla Gregory?" Lo fissai divertita, era completamente diverso dal compassato Mycroft.
"Sono Greg per tutti. Ho sentito che vive con Sherlock e frequenta anche Mycroft a quanto vedo." Lo indicò con lo sguardo.
"Beh, si è spostato qui, quindi lo vedo per cause di forza maggiore." Greg si voltò e gli mandò un saluto agitando le mani e urlando per farsi sentire.
"Giorno Mycroft! È diventato un patologo adesso?" Lui tossì, rispose sollevando la mano, con un mezzo sorriso ironico.
"Sta lavorando, cascasse il mondo non si riesce a distrarlo, però anche se brontola, è affidabile." Mi sorpresi a giustificarlo.
Greg mi guardò pensieroso. "Ne parli con indulgenza, ti ha concesso la sua amicizia?"
Risi. "Tu senz'altro lo conosci da tempo. Ci sto provando, ma a volte svicola via lesto."
Mostrò un sorriso aperto, con una fila di denti bianchi.
"Tipico da parte sua, anche Sherlock è uguale. Hanno delle capacità mentali notevoli, sono persone fidate, ma poco emozionali."
Appoggiò le mani sui braccioli e si alzò.
"Bene, Laura torno al lavoro, per qualsiasi cosa ci sono. Anche se vuoi bere una birra, con Molly o con qualche collega."
Lo ringraziai, gli risposi che ne avrei tenuto conto. Prese il cappotto, salutò Holmes prima di andarsene.
Mycroft si era alzato, ricambiò i convenevoli rassegnato dall'irruenza di Lestrade.
Lo intravidi sistemare le cartelle. Le appoggiava sullo scaffale con precisione, una sopra l'altra. Poi tornò a sedersi, e tossì di nuovo.
Trafficai al laboratorio e di tanto in tanto gli rivolgevo un'occhiata. Era così assorto che non si accorgeva nemmeno di quanto spesso mi spostassi per esaminare i reperti.
Lo avevo sentito spesso tossire, ma non mi ero preoccupata più di tanto, lui era così rigoroso sulla sua salute. Sicuramente non era nulla di allarmante.
Ma quando cominciò anche a starnutire capii che il suo raffreddamento stava evolvendo, ma in peggio.
Quello era il risultato di aver lavorato in maniche di camicia il giorno prima. Decisi di passare a vedere come stava, senza essere diretta. Sapevo che non amava essere indisposto, né tanto meno commiserato. Entrai bussando sullo stipite, lui sollevò gli occhi sorpreso.
"Problemi?" Fu subito sulla difensiva, trattenne l'ennesimo colpo di tosse.
"Volevo fare una pausa e chiederti se ti andava del tè." Si appoggiò allo schienale e ripose la penna. Alcune goccioline di sudore erano comparse sopra le labbra e la fronte era lucida. La giugulare pulsava velocemente, gli occhi arrossati. Aveva la febbre, ne ero certa.
"Mi stai fissando Laura, non sei qui per il tè!" Sapevo che era difficile ingannarlo così fui sincera. "Ti ho sentito tossire e visto i trascorsi di ieri sera, ho sospettato che non stessi bene. Ora ne ho la conferma."
Mi guardò divertito, incrociò le braccia. "E quindi cosa ne hai dedotto, Lorenzi?"
"Che hai preso freddo, ostinato come sei stato ieri e ora hai la febbre." Sollevò le sopracciglia.
"Quindi che farai, mi curerai amorevolmente come fanno i "friends? Vedo che ora ne hai un altro sulla lista." Chiuse le labbra, in una linea sottile.
"Scusa, parli di Greg? L'ho appena conosciuto, che diamine." Allargai le braccia. "E dai, Mycroft..."
Rimasi sbalordita, era forse una frase di gelosia? incredibile che se la fosse lasciata sfuggire.
Sorrisi maliziosa, si stava sciogliendo il ghiaccio di Mycroft? Era irritante, sarcastico come sempre, ma le mani erano leggermente malferme. Mi fece tenerezza, non riusciva a mascherare la sua difficoltà, cercava di superarla.
"Ti farò un buon tè caldo e ti darò del paracetamolo, che prenderai senza fare tante storie."
Lo fissai truce. "Non ti comporterai da bambino capriccioso vero Mycroft? Sai che ne hai bisogno e che ti farà stare meglio se vuoi sbrigare il tuo lavoro."
Rimase in silenzio, sciolse le braccia e si portò sulla scrivania. "Va bene, sarò giudizioso. Farò come dici, se ti fa contenta." Mi sorrise rassegnato, prese la penna e iniziò di nuovo il suo lavoro.
Andai a preparare il tè, lo scorsi con il fazzoletto che si asciugava il sudore.
Dannato testardo, mai avrebbe chiesto aiuto, né tanto meno a me, non era certo il tipo di uomo che ammetteva la sua debolezza.
Tornai con il tè e pochi biscotti per proteggere lo stomaco, sospettavo che non avesse mangiato nulla. Appoggiai sul tavolo il vassoio, dove mi aveva fatto posto, gli allungai la pastiglia e avvertii il calore della mano quando la prese. Non riuscii a trattenermi, era bello febbricitante.
"Mycroft, ma non senti il calore che ti porti addosso?" Forse fui troppo irruente si ritrasse temendo che gli sentissi la fronte. "Tranquillo non ti tocco, prendi il paracetamolo e mangia dei biscotti." Stranamente fu remissivo, mi guardò con gli occhi lucidi e prese a mangiarne uno.
Decisi di andare a prendere il termoscanner, quando tornai mi accolse con un'occhiata disperata. Mi resi conto che lo destabilizzavo, non era abituato che qualcuno si preoccupasse per lui. Lo puntai sulla fronte mentre lui sbuffava seccato.
"38 gradi, eccolo lì il risultato." Sbottai preoccupata e arrabbiata.
"Starò bene e solo un pò di temperatura." Agitò la mano come se scacciasse una mosca fastidiosa.
"E' un eufemismo dire un pò. Prendi il paracetamolo, ci vorrà una mezzora perché faccia effetto, quando la febbre sarà scesa forse potrai lavorare, ma vedremo in seguito." Lui mi osservava attonito con la bocca aperta, incapace di dire altro, nessuno gli ordinava cosa doveva fare, tanto meno io che ero una specializzanda. Mi fissò seccato e un po' dispiaciuto.
"Laura devo finire, poi prometto che andrò a casa." Fu morbido, quasi gentile.
"Bene, ma adesso mettiti comodo, togli la cravatta, slaccia la camicia o soffocherai." Ci pensò, la sua mente elaborò che avevo ragione, mi ascoltò. Ma prese a tremare e non riuscì a sbottonarla perdendo la calma.
"Posso aiutarti, se me lo permetti." Capitolò vinto dalla febbre, considerando che si sentiva stringere e respirava con fatica, mi lasciò fare.
Si appoggiò allo schienale della poltrona, mi avvicinai e senza toccarlo troppo, lo aiutai a liberarsi della cravatta. Allentai il primo bottone della camicia, sentii il suo respiro liberarsi. Bruciava, il calore gli saliva dal corpo, mi chiesi se il paracetamolo sarebbe bastato.
"Mycroft, cerca di riposare un pò. Dai il tempo alla medicina di fare il suo lavoro."
Borbottò qualcosa, ma non replicai, alla fine socchiuse gli occhi e abbandonò la testa sulla poltrona. "Solo mezzora, Laura."
"Ti chiamo io, non preoccuparti." Non dovevo chiedergli troppo, mi aveva concesso molto dimostrandomi la sua debolezza e non era certo da lui.
"Socchiudo la porta, stai tranquillo." Abbassai le luci e uscii.
Finalmente mi concesse la sua beneamata amicizia.
"Grazie Laura." Sussurrò debolmente.
Ripresi il mio lavoro con poca voglia, Mycroft era chiuso dentro alla sua solitudine in quella fortezza invalicabile che non abbatteva nemmeno quando stava male, mi dispiaceva vederlo in quelle condizioni.
Trascorsa una mezzora abbondante tornai nel piccolo studio, lo trovai ancora appoggiato alla poltrona con le mani in grembo, gli occhi chiusi.
Mi avvicinai e come prevedevo aveva la camicia bagnata di sudore, lo standard di confort a cui teneva tanto svanito.
"Mycroft come stai?" Gli sussurrai per non urtarlo, non rispose subito, alzò la testa e mi fissò stranito.
Non mi piaceva come aveva reagito alla medicina, così decisi per lui
"Senti, va a casa, presto avrai freddo perché i vestiti sono zuppi, è inutile che tu rimanga al lavoro in queste condizioni." Strinse le labbra e valutò la situazione, si toccò il colletto della costosa camicia bianca. Titubava contrariato.
"Avanti ascoltami per una volta, mi occuperò io dei faldoni." Volevo aiutarlo visto che doveva smettere di lavorare e lui era uno stacanovista.
"Laura, non puoi stare qui dentro oltre l'orario. Non è sicuro." Protestò preoccupato.
Ci pensai un po'. "Bene ti porto a casa quelli che non riesco a finire. Così mi assicuro di come stai"
Tentennò ma accettò vista la situazione. "Va bene, non mi era mai successo prima, ma hai ragione è meglio che vada a casa."
Tremava, si strinse nella giacca, afferrò la sua cravatta e la infilò ben piegata nella borsa, si alzò.
"Ti verrà a prendere Albert, non tardare molto Laura." Si assicurò che avessi capito.
Annuii per tranquillizzarlo, gli presi il cappotto, lo aiutai ad indossarlo, si lasciò accudire senza protestare, gli misi la sciarpa attorno al collo e la strinsi per bene.
"Ora sei sfebbrato, fai un bel bagno caldo e mettiti a letto." Tossì un paio di volte mentre lo accompagnavo alla porta, il bmw nero era lì che lo aspettava.
"Ci vediamo più tardi." Gli infilai il blister di paracetamolo in tasca. "Ricordati solo tre al giorno, e una l'hai già presa."
Sbuffò infastidito. "Laura non sono un bambino, ho vissuto da solo per anni."
"Non ne dubito." Ironizzai divertita.
Gli allungai il suo amato ombrello, lo seguii fino all'auto, tenni ferma la portiera mentre saliva, mi rivolsi all'autista perentoria.
"Portalo dritto a casa Albert, o ne risponderai a me." Mi sorrise compiaciuto, lui era affezionato al suo capo.
Il British Government mi squadrò rassegnato, roteò gli occhi al cielo, ma un leggero sorriso lo tradì.
Gli faceva piacere sentirsi accudito.
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