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La misura del dubbio

La nostra prima notte era passata senza ulteriori problemi. Eravamo rimasti accoccolati divorando pagine del nostro libro. Mycroft aveva letto per me, mentre con la testa sul suo petto ascoltavo la sua voce calda e il suo cuore.

Alla fine eravamo scivolati nel sonno e lui non si era mosso per quasi tutta la notte, ero io che spesso mi spostavo.

Le rivelazioni sulle torture che aveva subìto mi avevano agitato, e finivo per trovarmi addossata al suo fianco. Lo sentii mugugnare un paio di volte, ma fu paziente e non mi allontanò sopportando la mia invadenza. Quel nostro stare insieme diventava sempre più familiare ed era sconcertante vedere quanto fosse cambiato il mio Ice man.

La mattina mi ritrovai con il suo viso davanti. La mia mano appoggiata sul suo fianco e la mia gamba pericolosamente infilata tra le sue.

Mi ritrassi cercando di non svegliarlo. Mi intenerii osservandolo abbandonato al sonno: era sereno, la fronte distesa, le labbra formavano due fossette delicate sulle guance. I capelli che stavano ricrescendo erano scompigliati, i pochi gli invadevano la fronte. La ferita si era fatta meno vistosa, meno arrossata e quasi coperta dai capelli. Aveva il braccio piegato con la mano magra sotto al viso, l'altra, quella con la ferita da taglio, lungo il fianco. Entrambe mostravano la ricrescita delle unghie.

Ero imbarazzata dalla mia curiosità, temevo si svegliasse e mi cogliesse in difetto.

Il suo corpo asciutto era avvolto nel pigiama, le sue gambe lunghe, distese. I suoi piedi erano vicini ai miei. Il ginocchio ferito era leggermente piegato. Come avesse potuto sacrificarsi per la governance e sopportare quello che gli avevano fatto era per me incomprensibile, ma il lavoro per lui era tutto.

Mi venne una voglia malsana di toccarlo, di accarezzarlo, mi sentii turbata dal desiderio impudico che provavo, dalla voglia che sentivo. Pensai che la definizione giusta fosse "lussuria."

Lasciai scivolare la coperta e lo fissai mentre respirava regolarmente, inconsapevole dei miei pensieri indecenti. Aveva ragione sul fatto che lo avrei desiderato carnalmente e questo mi scombussolava nel profondo.

Non avevo conosciuto intimamente altri uomini dopo la violenza. Mi ero isolata, e ora avere Myc così vicino mi metteva in agitazione. Non lo conoscevo ancora così bene, solo quei pochi baci sul seno mi avevano creato un desiderio crescente. Se avesse continuato non sarei riuscita a fermarlo.

Non sapevo come avrei reagito quando lui avrebbe avuto la capacità di essere pronto al rapporto completo.

Tremai, mentre la follia di quella notte in Italia mi tornò in mente: gli abusi violenti e la morte dei miei genitori mi avevano segnata per sempre.

Ma avevo fiducia nell'uomo che era, a nessuno avrei affidato la mia prima volta se non a lui.  Ero consapevole che doveva sentirsi sicuro, guarire nell'anima e nel corpo,  poi avrei pensato a dirgli le mie paure.

Eppure sentivo un desiderio carnale mai provato, che mi sconvolgeva. Chiusi gli occhi, dovevo essere saggia e gestire la cosa senza lasciarmi travolgere.

"Uhmm, che fai Laura?" Si era svegliato, borbottò qualcosa di indecifrabile ancora assonnato.

"Ciao, Myc, spero di non averti dato il tormento." Lo accarezzai sulla guancia  aprì un occhio e mi fissò.

"Che stavi facendo? Sembri sveglia da un po'."

"Nulla, ti osservavo, dormivi così bene."

"Aspetti il bacio del buongiorno?" Sorrise e si sollevò.

"Anche, ma devo andare al lavoro perché è già tardi."

Mi prese per la vita e mi tirò a sé. "Baciami, poi ti lascio andare." Gli diedi un bacio gentile, non particolarmente focoso, e se ne accorse.

"Che c'è? Tu stai pensando a qualcosa." La sua mano era sul mio fianco, l'altra tra i miei capelli che li arruffava.

Mi guardò con attenzione, distolsi gli occhi, non volevo che capisse il mio tormento.

"Hai paura di me, mia dottoressa operosa?" Presi tempo imbarazzata e cercai di scivolare fuori dal letto, ma lui mi tenne per la mano. "Laura, non reagire così, dimmi quello che temi, è forse per ieri sera? Ci vuoi ripensare?"

Risposi con forza eccessiva. "No, no di certo."

"E allora, cosa?" Era accigliato, la fronte contratta, mi osservava perplesso.

Era tardi, evitai di parlarne e non mi accorsi di insinuargli il dubbio.

"Ascolta Myc. Non si tratta di te, ma di me. Ti spiegherò tutto ma ora devo andare, ma sta sicuro che non è per ieri sera."

Mi lasciò la mano, era facile per lui leggermi dentro con quella intelligenza deduttiva che si ritrovava.

Mormorò comprensivo. "Non avere paura di me, Laura, so cosa hai passato."

Mi alzai troppo in fretta e troppo agitata, indossai la vestaglia sgarbatamente.

"Scusami, Myc, a volte i ricordi mi uccidono e divento instabile, credo di capire poco o nulla di me stessa..."

Si tirò su facendo leva sulle braccia.

"Stai rivolgendo tutte le attenzioni su di me, ma anche tu sei ugualmente ferita." Non aggiunsi altro, lo baciai sulla fronte e lo lasciai nel letto contrariato.

Lo sentii sospirare mentre uscivo dalla stanza, incapace di tranquillizzarlo.

Volai letteralmente al san Bart. Molly mi aspettava impaziente.

Le raccontai come un fiume in piena, il motivo della mia assenza. Sorvolai sulla parte intima del mio rapporto con Mycroft, ma le parlai delle nuove difficoltà che nascevano e di quelle che invece si scioglievano.

Lei mi spronò a continuare senza dimenticare anche me stessa, fu più un'amica che una tutor. Mi prese il braccio con uno sguardo radioso.

"Ti lascio in mano il laboratorio, hai delle autopsie da completare, aspettano i referti a Scotland Yard. Hanno un'ottima opinione di te." Si fermò con un sorriso enorme e gli occhi brillanti. "Credo che il san Bart ti contatterà per rinnovarti il contratto. Sei diventata indispensabile in tempi come questi."

La fissai incredula, lei rise divertita. "Complimenti, dottoressa Lorenzi."

Non riuscii a trattenere un urlo di gioia e tutta la mia indole italiana venne in superfice: abbracciai Molly così forte che si lamentò. "Grazie Hooper sei stata fantastica come insegnante e come amica." La baciai sulla guancia e rimase stupita.

"Tieni questi baci per il tuo Holmes, Laura." Ridacchiò rossa in volto.

"Ne ho molti da regalare Molly, siete stati tutti così comprensivi." Lei si schernì agitando la mano...

"Ti auguro tutta la felicità che meriti. Ora parto per il San George, se ci sono problemi chiamami, sei tu la referente ora."

Ero al settimo cielo, ero una patologa forense e sarei rimasta a Londra per molto tempo.

Molly se ne andò poco dopo. Ero così entusiasta che lavorai tutta la mattinata scordandomi dei  problemi con Mycroft.

Dovevo stabilire le cause della morte di una giovane donna deceduta in un improbabile incidente domestico, lo Yard aveva dei dubbi.

Buona parte del tempo lo trascorsi in sala autoptica dimenticandomi il cellulare sulla scrivania e finendo per trascurare tutte le chiamate personali.

Presa dall'ingrato compito di sezionare il corpo, non mi accorsi che Mycroft era entrato in laboratorio. Aveva ancora la chiave di accesso che probabilmente gli era rimasta nel periodo che frequentava il San Bart. Vidi il suo volto che sbirciava dalla porta della sala sterile.

La mia sorpresa fu grande, tanto che lasciai cadere il bisturi a terra sbalordita per quella visita inaspettata.

"Che ci fai qui?" Sbottai con gli occhi spalancati. "Non è un bel posto dove stare."

Raccolsi il bisturi e lo posai nello sterilizzatore a secco, mi tolsi i guanti e lo raggiunsi sulla porta con l'intenzione di fermarlo.

"Lo sai che ore sono, Laura? Sai quante volte ti ho chiamato?" Cercava di mascherare un'irritazione crescente, appoggiò le stampelle alla porta, si resse in equilibrio sulla gamba sana.

La mia reazione fu da manuale: avevo le guance in fiamme. "Scusami, ho lasciato il cellulare sulla scrivania." Borbottai colpevole.

"Di solito non lo abbandoni in giro, perché è importante averlo vicino con il lavoro che fai." Mi redarguì con un vigore inaspettato, incrociando le braccia.

"Mi sono già scusata, Myc." Mormorai, cercando di rabbonirlo mentre lo spingevo fuori dalla sala autoptica, ma si impuntò e non lo smossi di un metro.

Mi accorsi subito della sua freddezza, non aveva perso la sua irritante ingerenza nella vita degli altri ed era facile innervosirlo per un nonnulla, soprattutto per me che disubbidivo ai suoi standard di sicurezza.

"Hai così tanto da fare," affermò sarcastico, "che sono le tre! E probabilmente ti sei dimenticata di mangiare!"

In effetti era tardissimo e avevo saltato il pranzo.

"E dai Myc, ero troppo presa dal lavoro." Agitai la mano infastidita, ma poi mi ricordai della bella notizia e sorridendo aggiunsi. 

"Oggi Molly mi ha confermato che sarò assunta e mi sono sentita investita di responsabilità e piena di voglia di fare." Ma ottenni da parte sua soltanto una smorfia distaccata.

"Lo vedo." Replicò piccato senza gioire della notizia.

Persi la pazienza. Se iniziava con queste ridicole gelosie non saremmo andati lontani con la nostra "barchetta."

"Ma che ti prende Myc? Dove potevo essere? E cosa potevo fare se questo è il mio lavoro!"

Strinse le labbra e si aggrappò con la mano al battente della porta. Eppure sapeva che era importante per me farmi valere e dimostrare che ero degna di quell'incarico. Così lo rimarcai in modo tosto.

"Non assillarmi nel mio lavoro Myc, perché io non lo farò con il tuo."

Attenuò leggermente il disappunto sul suo volto, scosse la testa e si addolcì con un sospiro di resa.

"Scusami, mi sono comportato da stupido. Ero in pensiero per stamane, non riuscivo a capire cosa ti fosse successo e mi sono sentito in colpa."

Capii perfettamente che si era fatto un sacco di domande per il mio atteggiamento scontroso.

"Va bene, hai ragione non sono stata chiara, ma non cominciamo a litigare per questo." Gli sorrisi pentita. "Quando lavorerai anche tu, immagino che dovrò aspettarti ed essere paziente." Chiusi il discorso e lo spinsi fuori, ma lui insistette.

"Sto con te se non ti dispiace, mi piacerebbe vederti al lavoro." Mi regalò uno sguardo costernato, evidentemente non voleva rimanere da solo ad annoiarsi in laboratorio.

"Uhmm, non è un bel posto e sto sezionando Myc, non vorrei doverti soccorrere." Scosse la testa con decisione.

"Ti osservo soltanto." Pregò con la voce addolcita, sospirai perché era un testardo impenitente.

"Va bene, ma seduto e un po' lontano." Lo aiutai a indossare le protezioni ed entrò con me trascinando le stampelle.

Lo feci sedere dove non avesse la vista totale sul corpo e ripresi a lavorare assicurandomi che fosse comodo.

"Certo che sei strano mio Ice Man, non è da tutti assistere a una autopsia." Risi sotto la mascherina ma lo osservavo attenta che non cambiasse colore.

"In verità ero in ansia per stamattina, e saperti qui non mi tranquillizzava."

"Sarò spesso qui da oggi in poi." Annuì, avevo bisogno della sua fiducia, rimanemmo silenziosi mentre lui osservava tutto con attenzione.

"Sei molto più esperta adesso. Chi è quella povera donna?" Indicò il cadavere sul tavolo.

"Una morte sospetta, un incidente dovuto ad una caduta dalle scale." Alzai lo sguardo. "Purtroppo però era già morta."

"Come già morta?" Chiese aggrottando la fronte e allungando il collo.

"Soffocata, forse un cuscino, e ritengo poi buttata dalle scale."

"E da cosa lo vedi?" Chiese sorpreso.

"I polmoni collassati, il colore della pelle, le fratture che non sono mortali. E poi altre cose che mi insospettiscono. Aveva abortito e nelle testimonianze del marito sembra che non ne sapesse nulla."

"Forse aveva un amante, che non voleva il figlio." Sentenziò calmo, si avvicinò. Lo fulminai con lo sguardo, alzò la mano per tranquillizzarmi.

"Lasciami fare Laura, sto bene."

Osservò il corpo da più vicino, "Posso?" Mi chiese con sorrisetto malandrino.

"Vai signor Holmes!" Lo invitai divertita osservando il suo ragionamento deduttivo.

"Era una donna curata, ma nel passato si era lasciata andare ed era ingrassata, la pelle ne dimostra il dimagrimento." Si fermò a riflettere. "Si era riappropriata della sua vita, la sua muscolatura era più tonica, le mani curate, le unghie laccate."

Girò attorno al tavolo zoppicando,  mi piaceva vederlo così assorto, aveva un mente perfetta.

"Teneva al suo corpo, faceva attività fisica, ha delle vesciche sui piedi, le scarpe non erano adatte e ha camminato molto." Indicò le piante dei piedi che avevo già osservato.

Concordai con le sue riflessioni, lo fissai ironica.

"Mi rubi il lavoro adesso, Smart One?" Scosse la testa e rise. Per lui era un gioco, per me un lavoro. Era sorprendente vederlo dedurre come faceva Sherlock.

Visto che lo approvavo, continuò.

"Un amante violento, guarda i suoi polsi," indicò un ematoma sottile, io annuii, "eppure lei continuava ad amarlo, quelli sulla coscia sono graffi che le ha lasciato nel impeto di possederla." Era vero, li avevo notati e avevo pensato che fosse un tipo focoso, forse troppo.

"Si curava i capelli, ma ha cambiato la tinta ultimamente. Era più scura poi si è fatta bionda. La tinta è recente e dalla foto è sempre stata mora. Una signora non cambia così facilmente la propria immagine, probabilmente lo ha fatto per piacergli di più."

Mi indicò la cartella che era aperta sulla scrivania, dove c'era una foto della donna che aveva sbirciato di nascosto. Mi fissò orgoglioso di avermi sbalordita.

"Lui era un bastardo esigente e faceva quello che voleva. Non credo sia difficile trovare un tipo simile fra le sue conoscenze." Continuò con voce bassa.

"O Myc, sei decisamente un genio." Ridacchiai, aveva confermato i miei sospetti, solo che ci aveva messo meno tempo.

"Basta osservare Laura, tutto quello che siamo lascia un segno." 

Era vero ma dietro ad un corpo c'era dell'altro.

"Quando sezioni un cuore, non è mai solamente un muscolo, sembrano tutti uguali, ma non è così. Credimi."

Mi rivolse uno sguardo attonito, non capiva dove volessi arrivare. Forse gli sembrava una considerazione fuori luogo.

"E quindi?" Buttò lì distrattamente, ma era come sempre attento.

"In realtà sono tutti diversi, questo per esempio ha sofferto, ha gioito, si è anche ammalato. Era parte della vita di questa donna." Riflettevo a voce alta continuando il mio lavoro.

"Sei malinconica Laura." Accennò un mezzo sorriso e chinò il capo.

"A furia di vedere corpi martoriati cerco di scorgere in loro una specie di eternità." 

Il suo rimbrotto arrivò chiaro.

"Decisamente malinconica! Che hai?" Inclinò il capo di lato. 

"Se ce ne andassimo a fare due passi? Ti farebbe bene una pausa." Era sarcastico ma la voce ebbe un leggero tremore, si era allarmato.

"Oh Myc, stare con i morti ti cambia. Ti accorgi di quanto sia bello essere vivi, sani e di vedere la bellezza del sole, la vita può essere molto breve." 

Aggrottò le sopracciglia, un arco perfetto sopra i suoi occhi grigi.

"Laura, devo preoccuparmi? Sei diventata fatalista e filosofa e non so quale parte mi spaventi di più."

Zoppicò senza le stampelle fino a me. Aveva le mani affondate nelle tasche e si dondolava come faceva quando rifletteva o cercava risposte.

"Hai ragione, finisco e poi passiamo del tempo insieme..." Sentivo il suo sguardo che mi studiava cercando la crepa in quella frase incomprensibile.

"Va bene ti aspetto." Smise di dondolarsi. La gamba richiedeva le stampelle, gliele portai.

"Anch'io sento il bisogno di starti vicino, Myc." Il suo volto si era disteso, rilassò la fronte, liberò le mani dalle tasche, ma non smise di seguirmi con gli occhi.

"Oggi sei distante. Non mi piace Laura."

Una leggera insicurezza lo fece barcollare mentre si sosteneva con le stampelle, ma la mascherò in fretta, non voleva appesantirmi con i suoi problemi fisici.

Sentiva che quella mattina qualcosa mi aveva preoccupato.

Mi venne una curiosità, mi avvicinai e gli chiesi. "Hai detto che basta osservare per dedurre, allora lo fai anche con me?"

"No." Ribadì risoluto. "Con le persone che amo non lo faccio, a meno che non sia necessario."

"E stamattina era necessario?" Chiesi guardandolo in volto.

"Forse, eri cambiata, eri turbata..." Mormorò con un filo di voce. "Però non l'ho fatto, voglio che sia tu a parlarne." 

"Va bene lo farò, ora aspettami."  

Lo spinsi sulla sedia, gli feci cenno di rimanere seduto. Portai il corpo della donna nella cella frigorifera. Pulii come al solito e riposi i reperti. Lui, soppesava i miei movimenti e io mi sentivo in esame. Rimanemmo congelati nei nostri dubbi immersi in  quella stanza fredda.

Mi seguì strascicando le stampelle, fui scortese perché non lo aiutai, ero presa dall'ansia di dovergli delle spiegazioni.

Raggiungemmo il laboratorio, ci togliemmo le protezioni frettolosamente.

Era tardi, non avevo mangiato nulla e forse nemmeno lui. Non si era preso la briga di portarmi del cibo, almeno il conforto di una tazza di tè, si era chiuso nel dubbio che mi fossi pentita.

"Devo stilare il resoconto, se vuoi aspettarmi rimani seduto e in silenzio, poi ce ne andiamo."

Annuì, con gli occhi puntati su di me, si distese sulla poltrona di fronte, allungò la gamba.

"Però non continuare a guardarmi così, prendi leggi questo libro che tengo con me."

Gli porsi una guida di Londra, la accettò brontolando e come uno scolaretto in punizione la prese e si finse interessato.

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