L'archivio e la discesa negli inferi.
Scendemmo la scala con attenzione, era ripida e consunta, lui mi precedeva.
Holmes accese la luce e il corridoio si illuminò debolmente, delle luci più forti sarebbero state necessarie. Lo percorremmo in silenzio, mi strinsi nella giacca tremando di freddo.
"Lorenzi, che hai? Paura per così poco?" Si era girato incerto. "Vuoi aspettarmi qui?"
Diedi fondo a tutto il mio orgoglio. "Tremo di freddo, non di paura." Sentenziai acida.
"Bene, allora andiamo." Infilai il pass e la porta si aprì cigolando, varcammo la soglia, lui impassibile, io nel caos. Una zaffata di muffa ci investì, arricciammo il naso.
"Cerco la lettera M, sai dove trovarla?" Chiese tossendo.
"Certo, ho visto la mappa e la disposizione dei faldoni. Andiamo in fondo da quella parte." Lo guidai verso una stanza piccola e buia.
Tentennavo davanti alla porta, lui se ne avvide.
"Aspettami fuori, posso fare da solo adesso." Mi guardò incerto. "Farò presto, mi sembra che questo posto non faccia per te."
Mi fece un sorriso rassicurante, ma la presi per una burla. "Non sei simpatico." Borbottai seccata, scosse la testa e si girò senza aggiungere nulla.
Rimasi sulla porta guardandomi in giro, ma presto il buio ingigantì la mia ansia, la mia mente rivide il passato e lo rese vivido da farmi male. Le ferite sui polsi iniziarono a tormentarmi.
Le massaggiai, terrorizzata dalla porta buia che mi si apriva davanti, uguale a quella che portava alla camera dove fui rinchiusa dagli assassini dei miei genitori quando iniziarono a rivolgere le loro attenzione malate su di me.
Persi il controllo, quello cercato per anni. Presi a sudare nonostante il freddo umido e mi sentii soffocare.
Mi appiattii sul muro e rimasi impietrita, incapace d'inghiottire aria. Mi cadde la lampada dalle mani.
Mycroft uscì preoccupato dal tonfo. E mi vide appiattita alla parete, terrorizzata.
"Laura, che ti succede?" Cercò di prendermi per le spalle, ma atterrita dai ricordi e non riuscendo a vederlo per il buio lo spinsi via in malo modo. "Non mi toccare!" Gridai così forte che indietreggiò spaventato.
Non lo distinguevo, vedevo solo i volti dei due balordi che mi avevano seviziata.
"Laura, sono Mycroft, guardami sono io."
Teneva le braccia alzate e le mani aperte. Aprì la porta per far filtrare la poca luce che c'era, ma io non rispondevo a nessuno stimolo.
"Guardami Laura, sono Mycroft." Continuava a chiamarmi e a ripetermi il suo nome, la sua voce era calma, ma in pieno panico mi lasciai scivolare giù sul pavimento, le braccia strette sul viso, raggomitolata su me stessa.
"Laura, ti prego guardami, sono il tuo friend. Lo rammenti?" Modulava la voce con attenzione, lasciò cadere i faldoni e tentò di avvicinarsi un pò di più, ma urlai senza ritegno.
Non lo vedevo era maledettamente buio, percepivo solo una presenza maschile ostile e il dolore ai polsi divenne acuto.
"Non mi toccare, ti prego. Non colpirmi, non farmi del male."
Mi uscì una voce piagnucolosa, che lo fece fermare. Trafficò con la lampada e la puntò sul suo volto. Ora la luce lo illuminava completamente e lo misi a fuoco.
"Sono Mycroft, mi vedi ora? Non ti farei mai del male, fidati di me, usciamo di qui, forza ora ce ne andiamo."
Allungai la mano tremando. La prese titubante, temeva una mia reazione incontrollata, ma visto che non mi agitavo, la afferrò con forza e mi alzò dal pavimento.
Non riuscivo a emettere nessun suono, presi a iperventilare mentre mi teneva in piedi e mi appoggiava al muro.
"Non ora! Non farmi anche questo adesso, respira per Dio." Holmes distese il braccio sotto la mia giacca, allargò la mano, cominciò a forzarmi per riprendere aria spingendo sul diaframma ritmicamente.
"Avanti Lorenzi, non farmi perdere la pazienza, non soffocare. Non c'è nulla di cattivo qui sotto. A parte me." Sorrise e quella battuta stupida mi diede forza.
Annuii, faticavo a riprendere fiato, piantò i suoi occhi rabbiosi sui miei.
"Avanti Lorenzi, sai fare di meglio. Respira o ti riempio di schiaffi." Cercai di seguirlo, ma mi perdevo. Cambiò metodo, mi prese la mano e la piantò sul suo petto, sotto al cappotto.
"Segui il mio ritmo, forza." Lo guardavo allo sbando, imbarazzata per quello che mi stava accadendo.
Lui era tranquillo, i suoi occhi si addolcirono, la sua rabbia divenne placida. E cominciai a respirare con una cadenza regolare, mentre sentivo le mie dita intorpidite scaldarsi all'altezza del suo cuore, tra le pieghe della sua camicia costosa...
La sua sicurezza trascinò anche me. Piano rinsavii, abbassai la testa turbata e a disagio. Ritrassi la mano, mi aveva permesso di toccarlo, sapendo quanto gli costasse.
"Mi dispiace, non so cosa mi sia preso, erano anni che non mi succedeva." Balbettai. " Non so nemmeno cosa ho detto, cosa ho fatto, scusami." Mi sollevò il mento e scostò i capelli in disordine.
"Stai bene ora?"
Toccò i miei polsi con delicatezza. "Brutti ricordi legati a queste ferite? Non preoccuparti di nulla, ora non voglio spiegazioni, ma usciamo di qui."
Per un attimo lo sentii vicino e tremai, ma non di paura, né di freddo. Mycroft era stato gentile, premuroso e rude al punto giusto e gliene fui grata.
Lo aiutai a riprendere le cartelle.
"Guarda che guaio mi hai fatto combinare."
Gli tremavano le mani, lo avevo spaventato per bene, ribadì con gentilezza. "La prossima volta preferisco scendere da solo. Va bene Laura?"
Annuii, ma se aveva imparato a conoscermi, sapeva che ci avrei riprovato. Alzò lo sguardo e mi fissò.
"Va bene, Lorenzi, se dovessimo scendere ancora mi porterò una luce più forte, chiederò a Molly d'intervenire in questo posto. O tu ci morirai qui sotto." Ridemmo anche se eravamo entrambi provati.
Raccogliemmo le ultime cartelle, lo seguii nel corridoio mentre mi spingeva per la vita e mi teneva. "Non cadrò, Mycroft, l'ho superata, sono anni che convivo con questo dolore."
Lui mormorò sconsolato. "Non proprio Laura, devi cercare di chiarirti e affrontare i tuoi incubi, quando vorrai, io ci sarò."
Mi lasciò lentamente assicurandosi che fossi stabile, la sua mano era calda e rassicurante. Mi procurò uno strano turbamento che non avevo mai provato.
Tornammo di sopra, appoggiai le cartelle sulla scrivania del nuovo studio, e andai a sciacquarmi la faccia.
Holmes rimase a sistemare il suo piccolo ufficio, lo intravidi togliersi il cappotto nervosamente, la fronte contratta.
Me lo ritrovai poco dopo sulla porta del bagno.
"Tutto bene?" Rimasi sorpresa dalla sua sollecitudine.
"Sto bene, tranquillo, mi rimetto in sesto. Mi dispiace." Ero indecisa e in colpa di averlo spaventato. "Credo avrai capito cosa mi è successo e perché..."
Abbassai la testa incapace di aggiungere altro. Tremavo, lui non esitò, mi prese il viso fra le mani, un gesto inusuale, poco nelle sue corde.
"Non mi devi spiegazioni, prenditi il tuo tempo Laura, so che hai sofferto molto per dei bastardi."
Annuii senza fiatare, godendomi il calore che mi davano le sue dita delicate, mi fissò teneramente, i suoi occhi grigi mi scioglievano dentro. In quel momento gli accordai tutta la mia fiducia, era la prima volta che lo facevo.
"Per me non cambia nulla, Laura. Stai tranquilla su questo." Mi confermò che aveva percepito l'abuso che avevo subito.
Lasciò la presa, fece un mezzo sorriso, lisciò le tasche della giacca, si girò e tornò al suo ufficio. Ma avevo intravisto i suoi occhi lucidi.
"Grazie." Biascicai, lui alzò la mano senza voltarsi.
Ripresi a lavorare al minimo, piena di dubbi. Alcuni riguardavano la mia reazione al buio, altri la strana deviazione che stava prendendo il mio rapporto con Holmes. Fui confusa e irritata, sbagliai i reperti, li catalogai senza riflettere.
Pochi minuti dopo lui ricevette una telefonata, indossò il cappotto elegante, si avvicinò alla mia scrivania, si assicurò ancora che stessi bene.
"Questo è il mio numero riservato Lorenzi, se sei in difficoltà chiamami." Non feci in tempo a dire nulla, se ne andò afferrando il suo amato ombrello.
Apprezzai molto il suo gesto, sapevo che non dava facilmente il suo numero privato.
Rimasi da sola in laboratorio, nel silenzio assoluto.
Ero certa che avesse intuito dello stupro che avevo subìto in Italia. Quell'abuso impietoso che mi avevano riservato gli assassini dei miei genitori, chiusa in quella stanza buia che puzzava di morte e violenza.
La giovane donna che ero diventata, la studentessa modello piena di aspettative, era morta insieme ai Lorenzi.
Non avevo più cercato affetto in un uomo e mi mantenevo distante da qualsiasi rapporto di coppia. Per me l'amore non esisteva, l'avevo sempre evitato temendo di non riuscire a superare il trauma. Almeno fino a ora.
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