L'angoscia di Mycroft
La serata trascorse tranquilla, dopo cena ci ritirammo nella sua camera. Volevamo restare un po' insieme. Sherlock e John non dissero nulla che potesse ferirci, capivano che volevamo un po' di privacy.
"Se sto meglio e riprendo a lavorare ci trasferiremo a Pall Mall?" Eravamo seduti sul letto con le mani vicine. Mycroft sembrava impaziente di iniziare una vita insieme, ma anch'io lo desideravo.
"Dagli esami e se il tuo ginocchio migliora, ci possiamo provare." Lui annuì, titubò solo per un attimo.
"Se avessi qualche crisi, ti peserei molto. E tu devi lavorare."
Gli sorrisi e gli sfiorai le dita della mano. "Vediamo come ti trovi con la cura, i problemi li affronteremo in seguito. Intrecciò le dita alle mie. "Non so come aiutarti Laura, cercherò di controllarmi." Mi fece tenerezza detto da lui che teneva salde le redini dello stato.
"Lo sai che non dipende da te. Ora che siamo più vicini spero che questo ti dia la giusta tranquillità." Appoggiò la sua fronte sulla mia.
"Stare con te mi aiuta, ma vederti penare mi uccide. Non sono abituato a lasciarmi andare. Lo sai."
Gli accarezzai la nuca con dolcezza.
"Ti conosco mio ice man, ora sono più consapevole dei tuoi punti di pressione."
Lo abbracciai e rimanemmo così per un po'. Lo aiutai a indossare il pigiama, non si ritraeva alle mie cure e accettava che la nostra familiarità si saldasse, mostrandosi come mai aveva fatto prima.
Ridevo mentre brontolava quando gli infilavo il pigiama mezzo storto, e lo sistemava subito con la solita cura.
Mentre si infilava nel letto mi venne voglia di stare con lui, di andare oltre.
"Che ne dici se rimango con te questa notte? Il letto è abbastanza grande."
Aspettai la sua risposta con tranquillità, gli occhi gli brillavano pieni di malizia.
"Certo che sì, ma a tuo rischio e pericolo, non so se sarò molto gentleman."
"Uhm... metterò a repentaglio la mia sorte, vado a mettere il pigiama e torno." Spalancò la bocca per dire qualcosa ma si trattenne e ridacchiò complice. "Attenta ai nostri coinquilini! La tua reputazione..."
"Capiranno." Agitai la mano e uscii felice di passare la notte con lui.
C'era solo Sherlock che armeggiava al microscopio, alzò la testa e la scosse, ma quando tornai in vestaglia e in pantofole, non riuscì a trattenere un sorriso ironico.
"Dio mio, Laura. Bada che è ancora a pezzi."
Gli restituii una smorfia beffarda. "Cercherò di aggiustarlo, tranquillo."
Ritornò a guardare nel microscopio passandosi una mano nei ricci neri.
"Due adolescenti, ecco cosa siete." Ridacchiai mentre entravo nella stanza.
Mycroft, sospirò. "C'era Sherlock immagino!" Sollevai la mano per allontanare ogni dubbio.
"Va tutto bene." Mi tolsi la vestaglia e presi il libro per leggere un po'.
"Delizioso il pigiama rosa con gli orsetti, Laura." Rise così forte che inclinò la testa all'indietro sbattendo la nuca sulla spalliera del letto.
"Cosa pretendevi? Che scendessi con una lingerie di pizzo trasparente? Ancheggiando per tutta la casa?"
Si massaggiò la testa mentre mi osservava divertito. "Beh, magari più avanti, però non mi sarebbe dispiaciuto."
"Smettila, non siamo soli." Mi alzò la coperta perché scivolassi al suo fianco. Indicò i miei piedi. "Sono ghiacciati come al solito?"
"Sì, ti ci devi abituare, my british government."
Mugugnò tirandomi vicino a lui, mi accarezzò la schiena.
"Mi piacciono gli orsetti. Da bambino li amavo, ora che te li vedo addosso ancora di più."
"Non riesco a immaginarti, piccolo e che ti abbracciavi a dei pupazzi a forma di orso. Dovevi essere carino."
Gli diedi una gomitata indulgente e iniziai a leggere, si accoccolò sulla mia spalla, ma
era poco attento, sbagliai la pronuncia un paio di volte e nemmeno se ne accorse.
Era impegnato ad accarezzarmi le spalle, a toccarmi i capelli, a scendere sul collo. Il suo respiro si face rapido, si soffermò con le dita sulla ferita di mesi prima.
"Mi dispiace per quella volta. Ti misi in pericolo." Mi soffiò nell'orecchio, il suo alito caldo mi fece rabbrividire e mi baciò.
Quel gesto gentile annullò la cicatrice e una sensazione smaniosa mi percorse il collo, il libro mi cadde sul letto.
Era così vicino, si offriva colmo di tutto quell'amore che in quei mesi avevamo dovuto trattenere. Ma per un breve istante mi chiesi se lui fosse pronto, se non fosse troppo presto.
"Sei sicuro Myc? Per me va bene." Gli sussurrai inquieta, ma in risposta mi prese il volto fra le mani. Le sue labbra non volevano altro, fu il bacio più intimo e dolce che avessi mai immaginato.
Lo avvolsi tra le mie braccia, e allacciai la sua schiena che era ancora ferita dalle torture.
Sapevo che poteva eccitarsi, com'era naturale avvenisse, e sentire dolore. Mi staccai brevemente per dargli tempo.
"Piano, Myc, coccoliamoci un po'." Cercai di convincerlo a essere cauto, lui capì.
"Non essere in pena per me, Laura, anche tu hai sofferto. Voglio solo sentirti vicina e non andremo oltre."
Ci desideravamo, sentivamo la voglia di conoscerci, di toccarci, le nostre mani erano vogliose della nostra pelle accaldata. Gli sbottonai la giacca del pigiama, la lasciai scivolare sul letto, non mi staccavo dai suoi occhi. Mi tremarono le mani mentre gli sfilavo la maglietta bianca, sul suo petto liscio c'erano ancora degli ematomi e sussultai addolorata.
"Va tutto bene Laura." Sussurrò con un bacio dolce sulle mie labbra.
La mano sul suo petto, avvertiva la forza dei suoi muscoli, nonostante quello che aveva sofferto, la sua pelle mi rendeva un piacere palpitante mentre lo sentivo infiammarsi. Percorsi con le dita, quei segni di tortura mentre mi toglieva la maglia con gli orsetti e trasaliva nello scoprirmi.
"Allora c'era del pizzo, mia dottoressa operosa." Sussurrò appoggiando un bacio sull'incavo del collo. Il reggiseno bianco ricamato lo fece arrossire di piacere e voglia.
Lo aiutai a sfilarlo, fui libera da costrizioni e la mia nudità lo fece ardere di desiderio.
"Laura, sei dolcissima...va tutto bene?" Si assicurò con gentilezza.
lo invitai a continuare, mentre le mie mani erano sul suo torace voraci di sentire la sensazione di piacere che emanava il suo corpo. Il suo profumo era piacevole, liberava una voglia che stentavo a trattenere. Le sue dita sottili, quelle libere dalle fasciature, mi accarezzarono delicatamente i seni, avvicinò il suo volto e mi ricoprì di baci sensuali e leggeri. Il piacere che avvertii fu irrefrenabile e quella prima sensazione eccitante mi sconvolse. Non avevo mai provato quel desiderio lussurioso che mi pervadeva e soprattutto sentivo una voglia crescente di essere sua.
"Laura, devo rallentare." Mormorò smarrito ed eccitato, allontanò le mani, le fece scivolare sui miei fianchi, assaporò la consistenza della mia pelle. Rallentai le mie carezze per aspettare che prendesse le misure del suo piacere.
Avevamo bisogno di conoscerci entrambi. Lo vidi adombrarsi, anche se solo per un attimo. Socchiuse gli occhi e abbassò la testa.
"Myc tranquillo, sono qui per te." Avvicinai la mia fronte alla sua, intrecciai le dita dietro la sua nuca e lo coccolai cercando di calmarlo.
Respirava affannato, il suo cuore era accelerato, le sue mani mi cingevano la schiena, salivano e scendevano restituendomi una serie di brividi, affondò il suo volto fra i miei seni, iniziò un gioco delicato di baci e respiri caldi che lambivano la mia pelle sensibile. Persi il tempo e la ragione, avvertendo solo lui e il suo corpo.
Ma nello stesso istante lo sentii ritrarsi, ansimando sconvolto, gli occhi limpidi si oscurarono, li socchiuse, sentivo che non riusciva a controllarsi.
Le torture e gli abusi avevano lasciato degli strascichi notevoli. Si contrasse, la mascella stretta dolorosamente, irrigidì le gambe, tese tutto il corpo magro e imprecò.
In quel momento lo persi, era andato oltre.
"Myc rilassati. Forse siamo stati troppo impulsivi." Cercai di prendergli il volto fra le mani ma si girò e lo affondò sul cuscino, singhiozzò, mentre si portava le mani all'inguine. Gli uscì un lamento roco che mi trafisse il cuore.
"Scusami, Laura, non mi controllo. Ho fatto un pasticcio."
Gli accarezzai le spalle, lo baciai fra le scapole tese. Appoggiai il mio seno alla sua schiena rendendogli calore e amore. Ma il conforto era inutile perché prese a tremare.
"E' la prima volta, dobbiamo essere pazienti, Myc. Non angustiarti."
"Laura, il dolore è forte." Mi rivestii per non urtarlo. Non volevo farlo sentire in colpa. Il medico che era in me prese il sopravvento.
"Non contrarti, rilassati, rimani disteso a pancia sotto e allunga le gambe. Tieni le braccia e le mani lungo i fianchi."
Era a schiena nuda. "Sta tranquillo, ti faccio un massaggio leggero."
Lasciò che le mie mani lo confortassero, iniziai dal collo e scesi sulle spalle tese, piano e con movimenti circolari arrivai fino al fondo della sua schiena irrigidita. Sui fianchi spinsi di più, mentre fui più delicata al centro, appena sotto l'elastico dei calzoni del pigiama. Il calore delle mie mani lo calmava, il respiro si fece regolare, smise di sussultare, le mani si distesero e si rilassò.
"Vuoi parlarmene Myc? Dovresti provarci. Ti aiuterebbe."
Decisi di andare oltre, doveva rivivere le sue paure. Glielo chiesi con gentilezza accarezzandogli la nuca, sperando si sbloccasse.
Era il momento giusto, sapevo che non era facile per lui così controllato e arroccato nelle sue convinzioni.
Mi stesi al suo fianco, il suo volto era affondato nel cuscino. Gli sussurrai nell'orecchio.
"Fammi vedere i tuoi occhi Myc. Non privarmi del tuo sguardo. Sai che sono testarda e non me ne andrò."
Si sollevò adagio, appoggiò la testa rivolto verso di me, gli occhi umidi.
Respirò troppo in fretta, come avesse freddo, lo tirai verso di me presi la sua maglia e lo rivestii, gli feci indossare la calda giacca del pigiama. Cercava conforto e si strinse forte a me, con la voce angosciata iniziò a liberarsi del passato.
"Laura, sai quello che mi hanno fatto, lo hai visto dalle ferite. Non avevo pensato che arrivassero a tanto." I nostri volti quasi si toccavano. Sospirò più volte in cerca di forza. La mia mano era sulla sua guancia ormai ispida, continuò con la voce addolorata.
"Mi vennero a prendere nella mia cella, ero ferito e sporco. Immaginavo un ulteriore interrogatorio. Il mio gioco era semplice, consegnavo loro alcune password fasulle per prendere tempo e aspettare l'arrivo di Sherlock. E invece quell'ultimo giorno giunsero degli ordini, parlottarono tra di loro e il resto fu un incubo."
Sussultò, lo fermai per fargli prendere fiato, facendogli sentire la mia vicinanza. "Ora lo sai Laura di chi erano quegli ordini." Continuò con la voce incerta.
"Feci resistenza quando capii quello che volevano farmi, perché mi denudarono, mi tolsero i calzoni e mi sentii esposto in modo vergognoso. Fui legato a una sedia di ferro aperta sotto. Non mi fu difficile capire quello che volevano farmi. Sopra il tavolo di metallo c'era un generatore di corrente e nelle mani di uno di loro, quello strumento che chiamano picana."
Rabbrividii pensando a quella specie di bastone elettrificato che usavano nelle parti intime della vittima.
Una smorfia di dolore gli deturpò il volto. Si contrasse in posizione fetale, riportò le ginocchia sul mio ventre. Gli presi le mani e le strinsi con forza.
"Va tutto bene, liberati da quell'incubo."
Lo baciai castamente, finché non si rilassò abbandonando le mie mani. Tremando accarezzò il mio volto. "Mi dispiace per il tormento che ti sto causando Laura."
Era vero che avvertivo dentro un dolore acuto che mi prendeva lo stomaco, ma sorrisi cercando di rassicurarlo. Riprese a parlare con una mestizia oscura.
"Gridai così tanto per la rabbia, la sofferenza e l'impotenza che provai per quel supplizio vergognoso quando cominciarono con le scariche elettriche. Un dolore atroce mi fece svenire due volte." Prese una pausa mentre lo tenevo vicino a me. Riprese avvilito. "Se smettevano era perché rivelassi i codici veri. Malvest era venuto a conoscenza che le password non avevano funzionato, e così spaventato dalle minacce dei serbi ordinò quella tortura brutale. Aveva poco tempo e per non deluderli, infierì."
Lo fermai con un bacio sulle labbra perché tremava così tanto che mi spaventai.
Mi fissava con gli occhi spenti, forse nemmeno mi vedeva, sapevo quanto fosse devastante lo schifo che aveva subito, ma ero decisa che si togliesse quel ricordo brutale.
Lo tenni stretto mormorandogli che c'ero, lui prese forza e continuò.
"Mi svegliarono con dell'acqua ghiacciata, mi ritrovai nello stesso incubo dolorante, sporco e sanguinante, pensai di morire devastato in quel modo." Prese tempo stringendo il mio volto rigato di lacrime che non riuscivo a trattenere. "Ci fu un breve attimo che ti pensai, nella speranza di tornare, di abbracciarti, di dirti che ti amavo più di prima."
Fu io che lo strinsi più forte. "Ora sei qui Myc, con me." Socchiuse gli occhi travolto dal rimpianto.
"Il mio corpo non rispondeva più alla mia mente, per anni mi ero impegnato a costruire la mia personalità, fredda, distaccata, arrogante, ma in quel momento piangevo e imploravo come un bambino che la smettessero."
"Come pensavi di poter resistere Myc, nessuno può."
Si portò le mani alle tempie, e strinse forte. "Non ero più niente, Laura, nemmeno un uomo, mi avevano tolto la mia dignità. Un pensiero cattivo, terminale mi passò nella mente, volevo mettere fine a tutto, inclinai la sedia puntandomi sulle gambe e spinsi con tutta la forza buttandomi sul tavolo che avevo davanti, la fronte colpì lo spigolo e iniziò a sanguinare. Li sentii imprecare e urlare ma solo per poco, perché presto tutto divenne nero." Soffocò un singhiozzo cupo, che sembrava venirgli dall'anima.
Fui felice che Malvest pagasse per il male che gli aveva fatto. Avrei rifatto la scelta di consegnarlo ai suoi aguzzini mille volte ancora.
"Quella ferita che hai sulla fronte è dovuta a quella decisione terribile?"
"Sì, e li fermò e fu la mia salvezza, perché ore dopo mi risvegliai nella cella con Sherlock che mi sussurrava di resistere, che mi parlava di te che mi aspettavi. Mi dava il primo soccorso, ma soprattutto vide cosa avevo subìto, mi coprì con il suo cappotto, per nascondermi dagli sguardi indiscreti degli altri agenti. Li mandò via per curarsi della mia privacy, ebbe cura di proteggermi. Mi portò fuori in braccio, con una forza che non mi sarei mai aspettato."
Rimasi senza respiro per la bellezza di quel gesto, per quell'amore protettivo e fraterno di Sherlock.
"Nessuno ti ha mai abbandonato Myc, soprattutto tuo fratello." Alleggerito dal racconto di quelle torture disumane sorrise placato e si tirò su appoggiandosi alla spalliera, mi avvicinai e mi posai sulla sua spalla.
"Un volo mi riportò in patria, in quella clinica che hai visto oggi."
"Perché decidesti di lasciarmi?" Si fece serio, ripercorreva quei giorni difficili.
"Quando mi resi conto di non poter gestire il mio corpo e che avrei compromesso la nostra intesa sessuale, capii che dovevo lasciarti andare, non dovevi rimanere per pietà." Appoggiò la nuca sollevando lo sguardo al soffitto.
"Senza chiedere il mio parere? Myc, mi hai allontanato, tu che sapevi cosa avevo subìto. Non pensavi che avrei capito più di qualsiasi altra?" Soffio aria e tornò a guardarmi.
"Laura te ne renderai presto conto che il sesso è importante per una coppia." Mi prese il volto fra le mani.
"Io voglio che tu sia appagata dalle mie attenzioni, e invece guardami cosa ho combinato. Non ho avuto il controllo del mio corpo...non sono riuscito a trattenermi..."
Gli sorrisi perché sapevo che presto sarebbe stato bene, ma eravamo impazienti entrambi.
"Andrà meglio, non voglio vederti abbattuto, non tornare a chiuderti in te stesso. Abbiamo tempo."
Si portò le mani negli occhi, strinse forte da farsi male.
"Laura come potrò amarti in queste condizioni e con il desiderio che provo nel vederti e nel sentirti."
Non c'era modo per ora di consolarlo, fui solo delicata mentre lo avvolgevo in un abbraccio.
"Non pensarci. Ti ricordi della barchetta che dobbiamo far navigare? Togli quelle mani e guardami."
Si abbandonò lasciò scivolare le mani sul lenzuolo. Mi fissò tristemente pieno di dolore.
"Non provare a lasciarmi, non provare ad avvilirti, non allontanarti da me. E soprattutto non darla vinta a tutti quelli che ci sono contro."
Ero con lui, non mi sarei mai arresa.
Accennò un sorriso e finalmente ridacchiò puntando l'indice sul mio pigiama.
"Preferivo il pizzo bianco, mi intrigava di più. Gli orsetti sono simpatici, ma quel delizioso reggiseno era affascinante. Sei bellissima e adorabile mia dolce dottoressa paziente."
"Non sono più operosa?" Rise. "No hai una pazienza sconfinata." Lo abbracciai così forte che si lamentò.
"Laura mi fai male! Sei irruente."
"Per così poco? Vedrai quando starai bene." lo cinsi forte e lui mi ricambiò. Ora tutto quello che aveva passato era sepolto sotto una lapide scura che nessuno avrebbe più rimosso. Lo baciai più volte felice che si fosse liberato dal dolore.
Lo aiutai ad alzarsi e lo accompagnai in bagno. Cercai un paio di boxer puliti, glieli allungai attraverso la porta socchiusa.
Gli lasciai la sua privacy, mi appoggiai con la schiena al muro con le braccia conserte ad aspettarlo.
"Sai Myc? Te ne voglio regalare un paio con degli orsetti. Che ne dici?"
Si affacciò alla porta socchiusa, sembrava aver superato l'imbarazzo del nostro primo rapporto.
"Non ci provare ho una certa dignità!" Borbottò imbronciato, poi sorrise vedendo che ridevo.
"Tanto te li regalo lo stesso." Gli risposi ironica, lo sapeva che non avrei desistito.
"Laura, sei una selvaggia." Da dentro il bagno sentii un sospiro rassegnato. "Se li indosso, quando sarà l'occasione giusta, me li toglierai tu? Che dici, stringiamo un patto."
Si riaffacciò alla porta socchiusa con un sorriso provocante sul volto, gli occhi luccicanti.
Strinsi le labbra, lo feci penare giusto due secondi.
"Accettato, quando sarà il momento giusto te li sfilerò via io e vedrai...."
Ritornò dentro ridendo.
"Mi ripeto, sei una selvaggia, ma ti amo così tanto Laura."
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