40.
Where did you go? I should know
But it's cold and I don't wanna be lonely,
Was hoping you'd come home
I don't care if it's a lie
-Ilomilo, Billie Eilish
Sentii Tiziano scavalcare la finestra e atterrare in camera mia.
Come aveva fatto? Quando ero a casa vivo al piano terra, lì a Roma ero al sesto.
Com'era riuscito ad arrampicarsi fino a lì?
Si spogliò e venne sotto le lenzuola con me, appoggiò la fronte alla mia e intrecciò le nostre dita.
«Mi sei mancato così tanto», mi sussurrò.
Sorrisi tra le lacrime e cercai di fare scivolare quel magone che mi si era formato in gola.
«Mi sei mancato anche tu».
«Come stai, Dome?»
«Come uno che vive senza Tiziano. Dove sei stato tutto questo tempo?»
«Non posso dirtelo».
Mi accarezzò le mani e tastò l'anulare.
«Ce l'hai ancora».
«Sempre».
«Ti amo».
«Ti amo anch'io, ma non devi sparire mai più».
Sorrise e mi lasciò un bacio sulla fronte.
«Devo già andare».
Lo sapevo.
Era sempre così: arrivava di notte, restava qualche minuto e se ne andava, lasciandomi solo e in preda alla disperazione.
«Dimmi dove sei, vengo a prenderti e ce ne adiamo via».
«Ti amo».
«Tizio, dimmi dove sei».
Mi svegliai col viso bagnato di lacrime.
Erano passati ormai due anni. Ero quasi riuscito ad avere di nuovo un aspetto normale, durante il giorno; potevo tranquillamente passare per uno studente qualsiasi che frequentava l'Accademia e che non aveva chissà quali problemi nella vita.
Andavo a lavorare, arrivavo in orario, davo gli esami che dovevo dare, studiavo, uscivo con qualche compagno di università di tanto in tanto e sorridevo pure.
Avevo cercato di riempire le mie giornate così tanto da non avere modo di pensare troppo a lui.
Ma la notte era tutta un'altra cosa. Di notte lo sognavo, veniva da me e si stendeva nel mio letto, diceva di amarmi e scappava di nuovo.
Una volta mi aveva detto di essere a Firenze, ero partito la notte stessa e l'avevo setacciata da cima a fondo per una settimana intera.
Ovviamente di lui non c'era traccia, avevo provato a chiedere anche ai proprietari di negozi e attività della zona, ma nessuno l'aveva mai visto prima.
Andai in bagno e mi sciacquai il viso con l'acqua fresca nella speranza di riprendermi un po'. Quando tornai in camera, la luce del soggiorno era stata accesa e seduto al tavolo c'era Micheal.
«Che fai sveglio?», domandai.
«Più o meno quello che fai tu».
Diciamo che tra tutti e due non avevamo avuto molta fortuna in amore.
Lui aveva scoperto da pochi giorni che il ragazzo con cui stava da otto mesi l'aveva tradito più e più volte. Uno stronzo di prima categoria di cui avevo affisso le foto per tutta la città scrivendo sotto qualche epiteto poco carino.
«Ho deciso: io cambio sponda».
Scoppiai a ridere e misi sul fuoco un pentolino pieno d'acqua.
«Sei il primo gay che sento parlare così».
Preparai le tisane e andai a sedermi con lui, porgendogliene una.
«L'hai sognato di nuovo?»
«Già».
Micheal sospirò, seguito a ruota da me.
«A volte penso che vorrei tornare a quando avevo quattordici anni. Gli unici pensieri che avevo erano disegnare a tempo perso e giocare alla Play».
«A chi lo dici», mi assecondò lui.
Finimmo le tisane e appoggiammo le tazze nel lavello.
«Senti, tra cinque anni se siamo ancora messi così ci sposiamo io e te, d'accordo?», domandò mentre tornavamo nelle nostre stanze.
Alzai la mano sinistra e sventolai le dita.
«Io sono già sposato», risposi facendogli l'occhiolino.
«Sì, con un fantasma».
Risi di nuovo e tornai a letto, sperando che la bevanda calda mi avesse rilassato abbastanza da farmi dormire fino al mattino.
C'era un'atmosfera strana quel giorno.
Era il trenta dicembre, la mattina successiva sarei partito per tornare a casa, durante la notte ero stato irrequieto e anche in quel momento, al pub, non mi sentivo in bene.
Avevo saltato il Natale con mio padre perché, finalmente, aveva iniziato a frequentare una donna, e lei aveva una figlia piccola.
Papà aveva insistito molto che tornassi a casa per conoscerle, ma lo avevo fatto ragionare dicendo che già per una bimba era un evento conoscere un uomo nuovo, figuriamoci se questo si portava appresso pure un figlio coi capelli strambi come i miei e lo smalto alle mani!
E poi il Natale per i bambini è una festa grossa e importante, non mi andava di renderglielo ancora più strano, quell'anno.
Le avrei conosciute comunque al mio ritorno, e nel frattempo ne avevo approfittato per lavorare qualche giorno in più.
Ero sereno su quel fatto, non credo fossero le feste passate a Roma il problema.
C'era qualcos'altro; qualcosa che mi girava nello stomaco e che non riuscivo a capire, ad afferrare. Durante la mattinata avevo disegnato, pennellate e pennellate di giallo in tutte le sue tonalità, un colore che non utilizzavo quasi mai.
«Dome, tutto a posto?»
Guardai Beppe e vidi che mi osservava con le sopracciglia leggermente aggrottate.
«Perché?»
«Stai sbattendo quello shaker da un po'».
Ah.
Lo aprii e versai il contenuto in due bicchieri, che appoggiai su un vassoio e passai al mio collega.
«Vuoi prenderti una pausa?»
Sì, decisamente ci voleva. Andai nel retro del locale, accesi una sigaretta e inspirai a fondo. Non fumavo quasi più, però il pacchetto me lo portavo sempre dietro. Non si sa mai, pensavo.
Cercavo di ricapitolare le cose successe negli ultimi giorni per capire a cosa fosse dovuta quell'agitazione, ma più mi scervellavo, più non venivo a capo di nulla.
Era come se un'inquietudine immotivata si fosse impossessata di me durante la notte e non si fosse staccata più.
Tornai dietro al bancone senza aver risolto nulla e senza essermi tranquillizzato.
Ogni persona che entrava nel locare mi faceva alzare la testa e agitare.
A fine serata non era successo nulla di straordinario, io e gli altri ragazzi eravamo usciti tutti insieme dopo aver pulito il locale e averlo tirato a lucido.
Non faceva nemmeno troppo freddo, quella notte, e mentre camminavo insieme agli altri per andare al parcheggio in cui lasciavamo i mezzi con cui andavamo a lavoro, sentii chiamare il mio nome; un timido "Domenico" che quasi si perse nel vicolo.
Mi voltai e vidi una delle ragazze più belle che avessi mai incontrato.
I capelli lunghi e biondi ricordavano il dipinto fatto quella stessa mattina; gli occhioni verdi sembravano disegnati e quelle labbra sottili si aprivano in un sorriso che mostrava denti perfettamente bianchi.
Aspettai che parlasse di nuovo mentre l'ammiravo nel suo splendore.
«Sei... Sei Domenico, giusto?»
C'era speranza in quello sguardo, come se dalla mia risposta dipendesse la sua felicità.
«Sì, sono Domenico», e la guardai saltellare di gioia coi pugnetti chiusi vicino al viso. Sembrava un manga giapponese.
«Non posso crederci che ti ho trovato. Tu hai un amico che si chiama Tiziano, no? Siete praticamente cresciuti insieme!»
Il cuore mi scoppiò dentro al petto e la testa iniziò a girare.
Come conosceva Tiziano?
Perché mi stava cercando?
Era così felice di avermi trovato che non poteva essere nulla di brutto, ma chi era quella ragazza?
Sicuramente l'espressione incredula sul mio volto le fece capire che ero abbastanza scioccato da quell'improvvisata, così andò avanti a parlare.
«Mi chiamo Joanna», e mi porse la mano.
La strinsi e aspettai che continuasse a parlare.
«Tiziano mi ha parlato tantissimo di te, di tutte le avventure da quando eravate bambini fino a che siete diventati grandi. So tutto di voi due».
Mi sembrava di fluttuare nell'aria, perché forse stavo riuscendo a mettere assieme i pezzi.
Tiziano l'aveva conosciuta non so dove, le aveva raccontato del nostro rapporto e di quello stronzo di suo padre. Lei probabilmente aveva capito quanto grande fosse il nostro amore e aveva deciso di venirmi a cercare, di portarmi da lui.
«So che è un po' che non vi sentite per colpa di suo padre. Ha idee un po' all'antica, ma lo posso capire. Mio padre è polacco e non è di mentalità molto aperta».
Sì, sì!
Avrei voluto urlare che sì, eravamo stati divisi da lui e, ti prego, portami da Tiziano, portami dal mio amore.
«Non fa niente se sei gay, a me non interessa. Ma ho deciso di fare una sorpresa a lui e farvi incontrare. Io e te siamo quasi parenti! Se voi siete come fratelli, io sono la tua futura cognata».
E il mondo smise di girare per implodermi nel petto.
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