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33.

Baciami ancora, baciami ancora
Tutto il resto è un rumore lontano
Una stella che esplode ai confini del cielo
Baciami ancora, baiami ancora
voglio stare con te, inseguire con te tutte le onde del nostro destino

-Baciami ancora, Jovanotti


La Spagna ci accolse in un tripudio di colori e voci allegre.
Avevamo lasciato un'Italia avvolta dalla nebbia e ci eravamo ritrovati in un Paese col sole che splendeva in alto nel cielo e in cui si poteva girare con una semplice felpa.

Ero elettrizzato: io e Tiziano avevamo davanti tre giorni tutti per noi in un posto in cui non ci conosceva nessuno.

Non avremmo dovuto stare attenti ad ogni più piccolo movimento o sguardo.
Avremmo potuto essere liberi.

Due uomini ci passarono accanto tenendosi per mano mentre chiacchieravano tranquillamente, vidi gli occhi di Tizio spalancarsi di meraviglia.
Gli diedi una spallata giocosa e mi incamminai per raggiungere il luogo d'incontro con Esteban, il ragazzo che ci avrebbe affittato il monolocale.

«Ecco, è lui», dissi facendo un cenno verso il tavolino del bar al quale si stava sedendo.

Tiziano arrestò la marcia e mi bloccò per un braccio.
«Come lo sai?»

«Gabriel mi ha fatto vedere una sua foto».

Continuava a fissarlo con poca convinzione.
«Magari ti sbagli ed è un altro... quello là, tipo».

Guardai nella direzione che stava indicando. Esteban era alto, di carnagione olivastra e con i capelli castani; quel ragazzo era più basso di me, bianco come un cadavere e pure mezzo albino.

«Ti assicuro di no».

Ripresi a camminare, ma venni trattenuto di nuovo dalla sua mano.
«Possiamo anche stare in albergo, comunque».

Stavo iniziando a stufarmi: Tiziano faceva i capricci senza motivo, io volevo andare in appartamento per appoggiare gli zaini e iniziare finalmente quella benedetta vacanza, e in più stavamo facendo aspettare Esteban senza una ragione.

«Tizio, siamo già d'accordo con lui per il monolocale, senza contare che l'albergo ci costerebbe il triplo. Per due notti ci ha chiesto settanta euro, che abbiamo già pagato. È stato un affarone!»

«Certo, perché sei amico di Gabriel, figurati. Almeno lo sa che siamo insieme?»

Non riuscii a trattenere un sorriso. Stava facendo il geloso, per caso?

Scossi la testa e me lo trascinai dietro fino al chioschetto.

«Esteban?» domandai attirando la sua attenzione. Il ragazzone si alzò, rivelandosi più alto di quanto non sembrasse da lontano, mi strinse la mano e mi diede due baci sulle guance.

Sapevo che in Spagna era usanza salutarsi così, ma Tiziano no, considerando il modo in cui si irrigidì.

«Gli amici di Gabriel, bienvenido! Tengo sus chiave, eccola», e ne sfilò una da un mazzo che teneva in tasca. «Volete anche una... ¿cómo se dice? Giuda? Guda?»

Risi.
«Guida», lo aiutai. «Non so... Tizio, vuoi che ci faccia da cicerone per oggi?», chiesi nel modo più innocente di cui ero capace.

Lui mi fulminò con lo sguardo e dovetti serrare le labbra per trattenermi.

«No, fatti dire la strada e andiamo».

Mi rivolsi di nuovo a Esteban cercando di rimanere serio.
«No, gracias», dissi in maniera gentile.

«Okay, vi compagno al apartamento».

Aveva un italiano tutto suo, imparato probabilmente dai turisti a cui affittava le case, che continuava a mischiare con parole in spagnolo, ma devo dire che si faceva capire bene.

Nel breve tragitto che percorremmo, io ed Esteban chiacchierammo del più e del meno; mi chiese come stava Gabriel, se era diventato un po' più ordinato e se il mio "amico" fosse sempre così antipático.

«Cosa? Parla di me?»

Mi misi a ridere rispondendo che no, di solito non era così, e diedi la colpa alla stanchezza che iniziava a farsi sentire.
Che scusa idiota, il volo era durato sì e no due ore, ma che altro potevo dire?
Desculpa, il mio amico represso è geloso ma combatte contro sé stesso per far finta di niente?
Sarebbe stato difficile da tradurre in spagnolo, quindi sperai che si bevesse quella storiella e amen.

«Ecco, esto es il palacio. Apartamento siete, asì», e mostrò sette dita per farci capire bene il numero.

Lo ringraziai ancora e feci per salutarlo, ma lui non era d'accordo.

«Espera!» Tirò fuori il telefono e me lo porse. «Metti el número, così mi chiama si necesita de qualsiasi cosa».

«Oh. Ma no, non ce n'è bisogno...»

«Claro que sí! Yo organizzo todo! Guida por turista, excursiones, cumpleaños, matrimonio, funeral... todo! Tieni il teléfono, puede llamar cuando vuoi».

Presi il suo cellulare, ancora un po' titubante, ma Tiziano me lo strappò dalle mani e glielo restituì.

«Non esageramos, che dopo mi parte la caveza. Claro?»

Aspettò che il proprietario lo riprendesse, poi mi prese per le spalle e, dopo avermi fatto girare, iniziò a spingere per far sì che mi muovessi.

Sforzarmi di restare serio fu davvero, davvero difficile.
Avevo sempre avuto un lato dispettoso e con Tiziano veniva fuori ancora di più.

Decisi di voltarmi e salutai con la mano Esteban, rimasto all'inizio della via con un'espressione un po' confusa in volto.

Tizio mi tirò uno scappellotto sulla nuca e lì non riuscii più a resistere: scoppiai a ridere così forte che dovetti fermarmi un attimo.

Mi voltai e allacciai le braccia al suo collo mentre lo guardavo combattere contro la voglia di controllare che nessuno ci stesse osservando.

«Siamo in mezzo a una strada piena di gente, in un posto in cui non conosciamo nessuno e hai appena fatto una mezza scenata di gelosia».

«E allora?» ribatté strafottente.

«Allora baciami, idiota».

Tiziano mi guardò per un tempo che parve infinito.
Studiò i miei occhi, quella sfumatura che gli era sempre piaciuta vicino all'iride, dove il marrone diventava appena più chiaro.
Mi guardò i capelli, in quel periodo di un turchese meraviglioso, e le labbra.
Lo vidi deglutire, proprio come quando ci si trova davanti a un dolce che fa aumentare la salivazione, tanta è la voglia di assaggiarlo.

Poi lo vidi arrendersi.
Rilassò le spalle e fece un mezzo ghigno, uno di quelli stronzi che ogni tanto gli venivano fuori, si avvicinò facendomi perdere qualche battito e mi sorrise addosso.

Quello fu il nostro primo bacio alla luce del sole.

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