•Shadow Sword•
ice_cold_ice Ecco la tua recensione!
Sinossi:
La musica le rimbombava dentro.
Le faceva ribollire il sangue nelle vene e scorrere nel corpo l'adrenalina che bramava da quando aveva varcato le porte del locale.
Brividi le scorrevano lungo la spina dorsale, rincorrendosi, lasciandole sulla pelle color caramello un'indescrivibile sensazione di piacere, che le arrivava fino al basso ventre, per poi scendere sempre più in basso, dove si trasformava in un calore che trovava gradevole, ma che ben presto, lo sapeva, sarebbe stato insopportabile.
Sorrise.
Fremeva dalla voglia di trovare un compagno per la notte, qualcuno che riuscisse a placare quel fuoco che aveva dentro, quella rabbia cocente che l'aveva spinta ad allontanarsi dal fratello e dai suoi amici e infilarsi il vestito più indecente che possedesse.
Era stato a quel punto che aveva smesso di pensare e si sera lasciata trasportare dalla collera che stava lentamente crescendo in lei e che rischiava di trasformarsi in qualcosa di antico, primitivo, pericoloso: allora sì che la situazione si sarebbe fatta divertente.
Divertente.
Ecco come sarebbe stato far emergere l'oscurità che dimorava dentro di lei.
Sarebbe stato divertente far affiorare quella parte della sua anima che opprimeva, schiacciava, nascondeva, ogni giorno da che ne aveva memoria.
Si sarebbe presa il suo tempo, lasciando che trasparisse lentamente, in modo che tutti vedessero cosa portava con sé e che avessero il tempo di provare paura e poi scappare, scappare il più lontano possibile.
Dall'oscurità.
Da lei.
Avrebbe dovuto solo fare dei respiri profondi, lunghi abbastanza da incamerare quanta più aria possibile nei polmoni, concentrarsi il tempo necessario che le occorreva per cancellare a uno a uno i tatuaggi che aveva disseminati lungo tutto il corpo e poi sarebbe stata libera, la sua oscurità, di fare ciò che più voleva, di uccidere chi più le piaceva, di radere al suolo la città, il Regno, il mondo intero.
Non le importava, voleva solo che quella cosa le uscisse dal corpo.
Era stata così arrabbiata con suo fratello durante la loro conversazione che quasi ci aveva provato, a liberarla: due tatuaggi erano scomparsi, ma il dolore era stato così insopportabile che ci aveva rinunciato, guadagnandosi un'occhiataccia- un misto di delusione e derisione da parte del migliore amico di suo fratello.
Gli aveva mostrato il medio ed era filata via dalla stanza, stanca di sentire l'odore della loro rabbia, della loro disapprovazione e della loro paura.
Era così stanca.
Aveva camminato fino alla sua camera da letto, lentamente, assaporando l'odore del terrore che aleggiava in tutto il corridoio, proveniente dalle decine di guardie appostate nei dintorni.
Si era goduta tutta la sfilata-aveva ancheggiato, mosso i capelli con fare provocante, ammiccato alle sentinelle che avevano avuto il coraggio di guardarla negli occhi-lasciando che l'oscurità le camminasse dietro, avvolgendo ogni cosa, permettendo che soppesasse il battito del cuore di ogni Fae che aveva incontrato.
Aveva cancellato due tatuaggi e la presenza oscura che portava dentro di sé si era manifestata, aveva condiviso con lei le redini del suo autocontrollo, si era sentita appagata, potente e aveva fatto la brava, non aveva provato a cancellare un terzo tatuaggio, a liberarsi e a scappare: sapeva che sarebbe stato uno sforzo inutile.
E così la sua padrona aveva raggiunto la camera da letto, si era spogliata- l'armatura in cuoio e metallo, le varie armi disposte qua e là sul suo corpo erano cadute sul pavimento di marmo nero con un tonfo- e aveva indossato un vestito così scandaloso che la sua cameriera era svenuta nel vederlo; a lei piaceva, metteva in mostra parti del suo corpo che faticava per mantenere sode e altre che lasciava morbide di proposito.
Ed era proprio quel vestito di seta leggerissima, di colore rosso cos' scuro a ricordarle il sangue che aveva versato per secoli, che le dava la possibilità di sentire le mani che le accarezzavano i fianchi ,adagio, senza fretta, promesse di quello che avrebbero potuto fare-che avrebbero fatto-se fossero state a contatto con la sua pelle.
Al solo pensiero, un sorriso felino le comparve sulle labbra carnose.
Brividi di piacere ripresero la loro dolce discesa lungo la sua schiena.
Partirono dall'attaccatura dei capelli alla base del capo per poi propagarsi sulla spina dorsale, spingendosi oltre, questa volta, arrivando fino alle braccia marchiate di inchiostro nero, alle lunghe dita segnate da piccole cicatrici bianche.
Quelle dita presero ad accarezzare il torace muscoloso, racchiuso in una camicia bianca che riusciva a stento a contenerlo, del maschio che si trovava davanti a lei.
Non poteva vederlo bene, scorgeva solo alcuni tratti del volto.
Il locale era semibuio, affollato di corpi ubriachi e sudati, ma non le importava: ciò che vedeva le piaceva e, soprattutto, le bastava.
Per quella sera si sarebbe accontentata di placare la rabbia che le cresceva dentro, lasciare che tutta l'energia accumulata defluisse fuori dal suo corpo.
Avrebbe potuto passare le ore notturne ad allenarsi nella palestra al centro della casa-sicuramente tutti credevano che si trovasse lì -oppure avrebbero potuto permettere che uno sconosciuto entrasse dentro di lei, la riempisse completamente, le facesse dimenticare tutti i suoi problemi per qualche ora-se era fortunata-spingendola a raggiungere quello stato di appagamento e beatitudine che smaniava da tempo ormai.
Scelse l'opzione più piacevole, non importava che fosse anche quella che avrebbe fatto andare su tutte le furie suo fratello.
Afferrò il maschio per il cavallo dei pantaloni -si passò la lingua sulle labbra dipinte di rosso non appena avvertì ciò che nascondevano- invitandolo ad avvicinarsi di più, a farle sentire il calore che il suo corpo possente emanava, a permetterle di toccarlo, di farle percepire quello di cui aveva bisogno.
Il maschio sembrava non aspettare altro.
Rafforzò la presa sui suoi fianchi, affondando le dita forti nella sua carne, quasi volesse imprimervi le impronte, a lasciare traccia di lui sul corpo di lei.
Si lasciò sfuggire un verso di apprezzamento.
Lei, da parte sua, gli posò le mani sulle spalle larghe, accarezzandole con gesti decisi, sicuri, che esprimevano l'urgenza del bisogno che provava di sentirlo più vicino, pelle contro pelle, nudi, il corpo di lui che si perdeva in quello di lei con movimenti lenti, in modo che potesse sentire e godere do ogni centimetro.
Ansimò quando i denti del maschio presero a mordere un punto preciso del suo collo, un punto sensibile, proprio sopra la clavicola: mordeva e succhiava con forza, una fitta che si trasformava in autentico piacere quando la sua lingua, con ampi movimenti circolari, ricopriva la pelle dolente.
Le sembrava di essere in fiamme.
Di essere le fiamme.
Gli affondò le unghie nei muscoli delle braccia, un ringhio profondo, proveniente dalla gola del maschio, le risuonò dentro, spingendola a inarcare la schiena, a offrirsi a lui, incurante delle decine di Fae che li circondavano.
Fanculo.
La sua unica preoccupazione al momento era quel calore che provava al basso ventre.
Era diventato insopportabile.
I denti del maschio cominciarono a spostarsi verso l'alto, lasciando dietro di sé segni di morsi violacei-non poteva vederli ma erano secoli che si risvegliava al mattino con quel tipo di lividi sul corpo, nonostante la sua capacità di guarire in fretta-e a ogni nuovo marchio mugugnava di piacere, compiaciuto i ogni chiazza di colore che le lasciava impressa sulla pelle.
Lei lo sentiva, sentiva come spingeva i fianchi contro i suoi.
Sentiva cosa i bottoni dei pantaloni faticavano a tenere dentro.
Non potè trattenere un gemito mentre spostava le mani sulla schiena del maschio, aggrappandosi al cotone della sua camicia: non sapeva chi o cosa le impedisse di spogliarlo lì-no, non avrebbe perso tempo a spogliarlo del tutto, solo a eliminare lo strato di vestiti che le impedivano di arrivare a ciò che voleva veramente-e farsi scopare contro uno qualsiasi dei muri del locale.
Spostò le mani più in basse,tentando di arrivare al suo sedere, e nel farlo percepì al tatto, proprio al centro della schiena, in rilievo, due lunghe cicatrici, frastagliate e irregolari, a forma di V rovesciata.
Fenix.
Ecco cos'era quel maschio.
Ad un tratto le si seccò la bocca, non riusciva più nemmeno a respirare con regolarità e non provò neppure a nascondere il suo odore, la crescente eccitazione che trasudava ogni minima parte del suo essere.
Sentì il maschio dilatare le narici e ispirare a pieni polmoni il suo profumo.
Le sue labbra, che intanto erano arrivate a posarsi sotto il suo orecchio, si curvavano in un sorriso compiaciuto, da predatore qual era.
Non era mai andata a letto con un Fenix.
Non aveva mai osato.
Non con il potere che nascondevano sotto la pelle.
Erano nemici.
I Fenix erano guerrieri leggendari, dalla straordinaria potenza fisica-ecco spiegati tutti quei muscoli- e sapevano come controllare la magia-erano bravi in questo, solo poche creature riuscivano a contrastarli senza rischiare completamente la vita.
Erano muta forma, capaci di trasformarsi in grandi bestie alate in grado di controllare il fuoco, e le voci che giravano sul loro conto li dipingevano come i migliori amanti che chiunque potesse desiderare nel proprio letto:stando alle chiacchiere popolari quel fuoco gli ardeva dentro che durante il sesso, ed erano così bravi che persino un solo bacio poteva provocare un orgasmo.
Pregustava già il momento in cui le loro bocche si sarebbero scontrate.
Voleva assaggiarlo.
Vedere se le dicerie erano vere.
Valutare se davvero erano degni di tanta fama.
Dimenticare i secoli di guerra che l'avevano tenuta alla larga da quelli della sua specie.
Gli afferrò il sedere con forza.
<<Mmh>>
Reagì immediatamente lui, premendo ancora di più i fianchi contro i suoi, facendole sentire quanto era pronto per lei, come faticava a mantenere il controllo del suo corpo, come smaniava dalla voglia di entrarle dentro.
Gli piantò le unghie nei glutei con la mano sinistra del maschio percorse il profilo del suo corpo,partendo alla coscia,arrivando-lentamente, troppo lentamente- al seno, dove cominciò a tracciare pigramente dei cerchi sempre più piccoli man mano che il suo dito si avvicinava al centro.
Sentì il capezzolo indurirsi sotto il suo tocco, mostrarsi attraverso la seta leggera del suo vestito senza maniche.
Abbassò lo sguardo verso quella parte del suo corpo,accorgendosi che gli occhi del maschio erano fissi in quel punto,incantati da ciò che potevano fare le sue mani, di come lei fosse argilla e aspettasse solo di essere modellata dalle sue dita.
Il Fenix prese a muovere la mano destra- ora che non le reggevano più i fianchi si sentiva instabile sulle gambe, molli per tutta l'adrenalina che le scorreva dentro- verso l'altro seno, quasi fosse curioso di vedere se avesse avuto lo stesso effetto, e lei usò quei secondi per concentrarsi sulle sue labbra carnose, strette tra i denti con prepotenza.
Pensò a tutte le voci che aveva sentito, a quello che quei maschi erano capaci di fare anche con un solo bacio.
Si figurò nella testa come sarebbe stato sfiorare quella bocca rosa, a come sarebbe diventata di una dolce tonalità di rosso quando se ne sarebbe impossessata, al sapore che avrebbe avuto sulla lingua.
Bastò il pensiero della sua lingua infilata in bel altro tipo di labbra per eliminare ogni traccia di autocontrollo.
Si sporse verso di lui: ormai tra loro non passava nemmeno un filo d'aria, i loro corpi erano premuti l'uno contro l'altro,entrambi bisognosi di eliminare quello strato inutile e fastidioso di vestiti che li separava.
Strofinò il suo sesso contro quello del maschio,senza alcun ritegno o vergogna.
Un lungo gemito -un suono che lei non aveva mai emesso con nessuno-colmò quei millimetri che li separavano, spingendo il maschio a incrociare i suoi occhi, a incatenare il suo sguardo a quello di lei.
Fu come se il tempo si fermasse.
Fu come se la musica cessasse di colpo.
Fu come se loro fossero gli unici al mondo.
Nei suoi occhi ardeva il fuoco, fuoco puro, quel tipo di fiamma capace di incenerire ogni cosa si fosse frapposta tra lei e il volere del Fenix,carbonizzarla finché non fosse rimasto che cenere destinata ad essere trasportata dal vento.
Le sue pupille ardevano,bruciavano,erano una vampata di arancione,giallo e rosso che si restringeva e si espandeva ogni volta che la luce illuminava la sua figura.
Fu come ricevere un pugno allo stomaco.
Ecco ciò che le voci intendevano.
Ecco cosa significava avere il fuoco dentro.
Quegli occhi la osservavano attentamente, scrutando ogni particolare con attenzione, non lasciandosi sfuggire nulla.
Un predatore esperto, ecco chi trovava di fronte.
Staccò gli occhi dai suoi per pochi secondi, lungo i quali, approfittando di un fascio di luce che la illuminava, le squadrò il volto.
Partì dagli occhi-preferiva non pensare che colore avrebbero avuto:se il marrone che avevano di solito o la colorazione rosso sangue che assumevano quando la cosa che le viveva dentro prendeva il sopravvento- e si schiodò da questi con un sorriso a fior di labbra, mettendo in mostra i denti bianchi, denti che le avevano lasciato segni profondi sul collo, denti che immaginava lasciare segni anche su altre parti della sua pelle.
Scese alle labbra, piegate in un sorriso di sfida:quanto tempo voleva prendersi ancora prima di infilarle la lingua in gola?Era impaziente, famelica e non aveva più tanta voglia di giocare.
Assunse il controllo della situazione:ne aveva avuto abbastanza di trastullarsi con quel Fenix e la rabbia era ancora dentro di lei, una cosa viva pronta a balzare fuori dalla sua carne e azzannare chiunque si fosse trovato davanti.
<<Conti di metterci ancora molto?>>
Gli chiese, passandogli una mano sulla spalla e l'altra sul fianco, in modo da potersi avvicinare al suo orecchio per sovrastare il rumore della musica,sfiorando,nel mentre, con le labbra, la cartilagine leggermente appuntita, segno distintivo di tutti i Fae.
Il maschio si irrigidì appena sotto di lei, giusto per una manciata di secondi,abbastanza tempo per percepire quel cambiamento nella sua postura, troppo poco per capire a cosa fosse dovuto.
Si allontanò di poco, con un sorriso di superiorità stampato sulla bocca,incrociando di nuovo il suo sguardo.
<<Non saprei.>>
La sua voce era bassa, roca,profonda.
Trasudava eccitazione.
<<Mi sembravi spaventata.>>
<<E da cosa dovrei essere spaventata?Da te forse?>>
Non era così stupida da non pensare cosa avrebbero potuto fare quelle fiamme se fossero entrate in contatto cin le sue ombre, ma aveva racchiuso la cosa sotto strati e strati di protezione, assicurandosi che i tatuaggi precedentemente cancellati tornassero al proprio posto.
Ma le ombre riuscivano sempre a uscire, a manifestarsi,anche se di poco, anche se contro la sua volontà.
Non poteva farci nulla.
Non voleva farci nulla.
Si sentiva potente-erra potente,accidenti!-ed era meglio per tutti che lo sapessero, di cos'era capace, che ricordassero con chi condividevano la città.
<<Dalla prospettiva di andare a letto con un Fenix.>>
Quelle parole esprimevano puro orgoglio maschile che le fece ribollire il sangue nelle vene, e non per l'eccitazione.
<<Non credo che le voci siano vere.>>
<<Ah si?Ho sentito chiaramente il cambiamento nel tuo odore quando hai percepito le cicatrici sulla schiena, quando hai capito a quale specie appartenessi.>>
Si era piegato in avanti, le aveva sussurrato quelle parole all'orecchio, così come le avrebbe potuto sussurrare ben altre parole-ben altri versi-se solo si fossero decisi a darsi una mossa, a colmare quei maledetti millimetri che li separavano.
<<A essere sinceri, tra i due, quello più eccitato sei tu.>>
Gli accarezzò i pettorali, scendendo più in basso, sempre più in basso, fino ad afferrargli l'erezione che le premeva contro la pancia.
Il maschio trasalì,colto di sorpresa, ma non si scompose più di tanto: per essere un guerriero con il fuoco che gli ardeva dentro, era freddo come un pezzo di ghiaccio.
Risucchiò l'aria tra i denti mentre lei prendeva ad accarezzarlo con lentezza.
Il suo respiro si fece corto quando il rigonfiamento dei suoi pantaloni le riempì perfettamente la mano.
Vide la fiamma dei suoi occhi tremolare, scorse dei bagliori azzurri illuminare il suo sguardo, e i punti in cui la sua pelle entrava in contatto con quella di lei,erano bollenti.
Stava perdendo il controllo.
Bene.
Il suo odore, sebbene fosse difficile percepirlo in mezzo a quello degli altri -nel locale aleggiava quello dell'eccitazione di almeno un centinaio di creature fatate -era diverso:poteva percepire un forte aroma di cenere, che avrebbe trovato nauseante se non si fosse mischiato a quello della sua pelle:pino e sudore.
Le mandò in tilt i sensi.
<<Sei crudele.>>
Riuscì a dirle con il fiato corto, cercando di stabilizzare il respiro senza successo.
<<Se ti ecciti per così poco,Fenix, comincerò a pensare che abbiate messo voi in giro quelle voci.>>
Si stava effettivamente rivelando una delusione:da quando avevano cominciato quello strano gioco di potere lei non ci aveva guadagnato molto, se non eccitarsi ancora di più -ma quello erano in grado di farlo molti maschi-e, cosa più importante, far agitare la cosa dentro di lei.
Col senno di poi, cancellare due tatuaggi e rimetterli al loro posto, senza aver prima compiuto una Configurazione Arcani non era stata una buona idea.
Aveva permesso all'oscurità di uscire a fare un giro,le aveva offerto la possibilità di svagarsi dopo mesi in cui era stata segregata nel suo corpo e poi l'aveva rinchiusa di nuovo, e senza la Configurazione Arcani- uno dei tanti tipi che usava per smorzare il suo potere-sentiva la sua forza che si dibatteva dentro di lei, cercando di trovare una falla, uno spiraglio. qualsiasi cosa le permettesse di liberarsi,almeno in parte.
<<Potremmo sempre...>>
E poi si interruppe,smise di parlare,smise di respirare, i suoi occhi smisero di brillare,divennero freddi -per quanto il fuoco potesse risultare freddo- e le parve che persino il suo cuore smettesse di battere.
Tutt'intorno la musica si interruppe.
I corpi smisero di muoversi.
L'odore del terrore -un terrore freddo, elementare- sostituì quello dell'eccitazione.
Alzò gli occhi verso il maschio che le stava davanti, accorgendosi che era intento a guardare qualcosa dietro di lei.
Tutti stavano guardando qualcosa dietro di lei.
Qualcuno prese a correre verso l'uscita sul retro, alcuni vomitarono, tanto erano impauriti,sul lucido pavimento nero, altri ancora si avvicinarono alle pareti del locale.
No.
Non si stavano avvicinando, si stavano allontanando.
Allontanando da qualcosa dietro di lei.
Per un breve instante, un instante che le parve durare una vita intera,pensò che l'oscurità fosse sfuggita al suo controllo, che in qualche modo, senza che se ne fosse resa conto, avesse trovato un mezzo per svincolarsi dagli incantesimi che la tenevano incatenata.
Per un breve instante pensò che se si fosse girata avrebbe visto il suo potere avvolgere il locale,prendere il controllo e uccidere tutti, ucciderli perché voleva vendicarsi, ucciderli per dimostrare alla sua padrona che era più potente di lei, ucciderli solo perché poteva farlo.
L'odore del suo terrore si mescolò a quello degli altri,ma poi una folata di vento entrò attraverso le porte, trasportando con sé l'aroma della notte e altri odori che conosceva fin troppo bene, odori che disprezzava e che sarebbe stata ben felice di eliminare.
Il terrore si trasformò in fastidio e il calore che aveva avvertito su tutto il corpo tramutò in ghiaccio.
Le sue ombre si acquietarono,restarono in attesa.
Il sorriso felino di poco prima scomparve, le labbra si piegarono in una smorfia di pura noia e scoccò un'ultima occhiata al Fenix, che si era allontanato velocemente da lei,con le mani in alto, come a scusarsi-a negare- di averla toccata.
<<Ti avevo detto che dovevamo darci una mossa.>>
Gli disse prima di girarsi, gradualmente,ruotando su sé stessa, portando le braccia a incrociarsi sotto il seno.
<<Devo dire di essere un po' delusa,Kerei:questa volta avete impiegato più tempo del solito a trovarmi. Forse dovrei consigliare a mio fratello di assumere qualcuno che sia veramente capace di fare il suo lavoro.>>
Si voltò, le gambe in posizione di attacco, il suo potere che le vibrava sotto pelle, pronto per essere scatenato contro i tre Kerei che le si presentarono davanti.
<<Ciao anche a te,Herebo.>>
La salutò il maschio al centro, riservandole un sorriso velenoso.
Sorrise anche lei.
Il vento freddo della notte era come una dolce carezza sulla pelle accaldata: non si era resa conto di quanto le mancasse respirare a pieni polmoni l'aria pura di Sunbury mentre era rinchiusa nel locale.
L'aria aveva un aroma dolciastro, portava con sé il profumo della cucina dei ristoranti costruiti lungo il fiume, che cullava la città dormiente con il rumore dell'acqua che scorreva lenta.
Allargò le braccia, si beò della sensazione della brezza autunnale che le scompigliava i capelli e le asciugava il sudore sulla schiena, portando via con sé la puzza di alcol e fumo di cui era impregnata.
<<Il vento non riuscirebbe comunque a scrollarti di dosso l'odore di quel Fenix nemmeno se restassi qui tutta la notte.>>
Digrignò i denti, mentre il fastidio sostituiva la calma che aveva trovato, anche se per una manciata di preziosi secondi.
Non si voltò nemmeno verso il migliore amico di suo fratello mentre gli diceva:
<<Perché non ti butti da quel ponte,eh Nakoa?Credo sia abbastanza in alto da ucciderti prima ancora che tocchi terra.>>
La risata del Kerei riempì il vicolo di cui si trovavano, in attesa che gli altri due cani di suo fratello controllassero la situazione.
<<Puzzi di sesso.>>
Se avessi aspettato altri cinque minuti prima di irrompere nel locale magari avrei potuto anche farlo.
<<Con un Fenix?Non avresti avuto il coraggio.>>
Voltò appena il capo, guardando da sotto le sue lunghe ciglia, osservando la figura possente, i muscoli racchiusi nell'armatura di cuoio nero, le lame di spade e pugnali sparsi sul corpo, i ricci castani arruffati dal vento e dalla rabbia: lo conosceva abbastanza bene da sapere che aveva passato le ultime ore a tirarli con foga,cercando di capire dove si fosse cacciata, non perché fosse in pena per lei, ma solo perché era spaventato da ciò che suo fratello avrebbe potuto fare se non fosse tornato a casa con la sua sorellina.
Patetico.
<<Ho già assaggiato un Kerei e si è rivelato decisamente al di sotto delle mie aspettative:volevo provare qualcosa di nuovo.>>
Parole mirate e pronte a ferire il suo orgoglio.
Non andarono a segno.
<<La verità è che non hai ancora provato quello giusto.>>
Le rivolse un sorriso animalesco, che gli illuminò i grandi occhi azzurri.
I kerei, al contrario dei Fenix, erano guerrieri che non possedevano nessuna magia e facevano affidamento solo su spade,scudi e la loro resistenza fisica, ma ciò non gli impediva di essere i combattenti più rinomati in tutti e tre i Grandi Regni:ne erano rimasti pochi ed erano tutti leali a suo fratello.
Alzò gli occhi al cielo, tornando a guardare davanti a sé, a godersi l'aria fresca della città, la quiete di una Sunbury che dormiva da un pezzo ormai.
<<Perché sei qui?>>
Gli chiese dopo un po', giusto per colmare quel silenzio imbarazzante.
Non rimanevano da soli da un po' di tempo -da circa un anno- e il fatto di trovarsi così vicina a lui dopo mesi di occhiate fugaci, parole di circostanza e sorrisi tirati, la infastidiva parecchio.
Le relazioni sociali non facevano per lei, soprattutto se si trovava in compagnia di Fae che la disprezzavano perché non amava particolarmente seguire gli ordini altrui.
<<Lo sai perché.>>
Indicò la sua figura con una mano tremante e un punto in lontananza alle sue spalle, dove avrebbe dovuto esserci il castello.
<<Tuo fratello mi ha chiesto di cercarti e io l'ho fatto.>>
<<Che cagnolino fedele che sei. Spero che ogni tanto ti dia qualche biscottino, sai, giusto per farti illudere di essere importante.>>
Quelle parole lo avrebbero ferito, lei lo sapeva, ma non le importava.
Era la verità e lei non era mai stata brava a mentire.
<<Perché ti comporti così?Lo sta facendo per il tuo bene, Herebo, e questo tu lo sai.>>
Sentì montare quella rabbia che si era sforzata di smorzare per ore.
La sentì farsi strada velocemente nel suo corpo e scorse le ombre del vicolo-le sue ombre-prendere vita.
Si ammassarono intorno a lei, avviluppandosi intorno alle sue gambe,alle sue braccia,alle sue dita, al suo collo:le percepiva muoversi, accarezzarla come un amante, proprio come aveva fatto il Fenix poco prima, volevano che le liberasse, le sentiva implorarla di farlo, di lasciarsi andare.
Sapeva che se l'avesse fatto, loro sarebbero entrate nel corpo di Nakoa, lo avrebbero prima soffocato con lentezza, in modo che provasse dolore, che il suo cervello cominciasse ad andare in panico per la sua mancanza di ossigeno e poi sarebbe esploso,letteralmente, lasciando che il suo sangue scorresse lungo quel sudicio vicolo e che pezzi del suo corpo si attaccassero al muro di mattoni.
Lo sapeva perché l'aveva già fatto:aveva ucciso così centinaia,migliaia di nemici.
Decine di alleati.
<Vedi? Non sei nemmeno capace di controllarti: basta una parola sbagliata per farti andare in escandescenza.>>
<Già, e se non la smetti di parlare te ne renderai conto nel peggiore dei modi.>>
La sua voce le sembrava quella di un'estranea, era più bassa, roca, animalesca e antica: a parlare era stata quella cosa che aveva dentro.
Controllò velocemente che i tatuaggi fossero ancora tutti intatti, tirando un sospiro di sollievo quando si rese conto che il suo corpo-dai piedi fino alle spalle-era ancora ricoperto di inchiostro nero, un insieme di spirali e linee.
Ma dopo il sollievo arrivò il panico, perché se le protezioni erano al loro posto, come avevano fatto le sue ombre a manifestarsi?
Come aveva fatto quella cosa a parlare attraverso lei?
Si raccontò che fu il vento a farla rabbrividire e non la paura.
<<Dovresti fare la scelta giusta e ascoltare quello che tuo fratello ha da dirti.>>
Riprese con più calma Nakoa, avvicinandosi di qualche passo,cauto, come se stesse parlando a una bestia feroce.
Si girò, incontrando il suo riflesso in una pozzanghera illuminata da un lampione sulla strada: il suo occhio destro era rosso, un rosso ben diverso da quello che aveva illuminato lo sguardo del Fenix.
<<La scelta giusta?E per chi, sentiamo, per me o per tutti voi?>>
Non stava urlando, non mentre continuava a guardare il suo riflesso nell'acqua, a osservare quell'occhio rosso come se non l'avesse mai visto -ma non era così- a focalizzarsi su tratti del suo volto che le sembravano familiari e allo stesso tempo sconosciuti.
<<Se fossi un'altra sapresti che le due cose combaciano. Noi vogliamo solo il meglio per te e vogliamo evitare che tu ti uccida con le tue stesse mani.>>
Nello specchio d'acqua le sue labbra si piegarono in un sorriso, ma a lei non sembrava di sorridere, non percepiva i muscoli delle sue guance compiere quel gesto e così si portò una mano alla bocca, rendendosi conto che non era nemmeno piegata in una smorfia, e che la sua mano non si rifletteva sull'acqua.
<<Sono quella che sono,Nakoa.>>
Mormorò, avvicinandosi di qualche pass alla pozzanghera per capire cosa stesse succedendo.
Il suo riflesso prese a ridere di gusto,come se sapesse o avesse sentito qualcosa di divertente.
Rideva mettendo in mostra denti bianchi, un lampo di luce nel buio della notte, e la sua bocca era grande, le labbra gli arrivavano fino alle orecchie appuntite, e crescevano, crescevano sempre di più.
Sentiva la sua risata, sembrava che il vento la trasportasse da un luogo lontano.
Era una risata che nascondeva secoli di dolore, di dolore che il proprietario aveva inferto ad altri.
Era una risata che conteneva grida di sofferenza, di gioia, di risate e di pianti.
Era una risata acuta che poi si trasformava in urla.
Era insopportabile.
Un tremito le scosse le spalle.
La bile le salì in gola.
<<Herebo?>>
Sentì che Nakoa la chiamava, ma la sua voce le arrivava ovattata, come se nelle orecchie avesse l'acqua di quella pozzanghera. Si rese conto, con un misto d'orrore e nausea, che anche l'altro occhio era diventato rosso, ma lei non osava staccare l'attenzione da ciò che vedeva riflesso in quella pozza, anche solo per controllare ancora una volta che i suoi tatuaggi fossero integri: non aveva il coraggio di farlo,non osava distogliere lo sguardo da ciò che aveva davanti per paura che se lo avesse fatto quella cosa l'avrebbe attaccata alle spalle.
<<Herebo,stai bene?>>
Il Kerei la stava ormai scuotendo per le spalle, cercando di farla reagire, ma lei non riusciva a distogliere gli occhi da lì, dal suo riflesso che aveva smesso di ridere e la stava guardando con consapevolezza,in un modo in cui non avrebbe dovuto fare, perché-maledizione!-era solo un riflesso.
E poi Nakoa le tirò un ceffone così forte da farle sanguinare il labbro, e l'incantesimo-o qualsiasi cosa fosse-si ruppe.
Il vento tornò ad essere solo vento, le urla si dispersero e la pozzanghera tornò ad essere solo acqua ammassata i un avvallatura nel catrame della strada.
<<Ma che cavolo ti prende?!>>
Sbraitò il maschio, guardandola con preoccupazione e paura:emanava un tanfo di paura così nauseabondo che la fece quasi vomitare.
<<Di che colore sono i miei occhi?>>
Chiese, con una nota di panico nella voce. Sentiva il labbro inferiore sanguinare, un rivolo caldo di sangue le scese lungo il collo, mentre il taglio cominciava già a cicatrizzarsi.
<<Cosa?>>
<<Di che colore sono i miei occhi?!>>
Urlò più forte lei, incatenando il suo sguardo a quello del guerriero, per farsi dire di che colore fossero. Riusciva a vedersi nelle sue iridi azzurre:sembrava una pazza.
<<Sono marroni.>>
Il cuore prese a batterle forte.
<<Sono marroni, marroni come al solito.>>
Ripeté lui, cercando di capire il perché di quella domanda.
Lei prese a tremare talmente tanto forte che l'unico rumore nel vicolo fu quello dei suoi denti che sbattevano l'uno contro l'altro.
Non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo, cosa fosse quella cosa che aveva visto in quella maledetta pozza d'acqua.
Non voleva saperlo,terrorizzata da quale sarebbe stata la risposta, terrorizzata dal fatto che forse il fratello aveva ragione, che forse era un pericolo per tutti, che forse avrebbe semplicemente dovuto prendere le sue cose e scappare, scappare lontano.
Ma come poteva scappare da qualcosa che viveva dentro di lei?
Quel pensiero la spinse ad allontanarsi da Nakoa, ad avvicinarsi al parapetto del ponte e a vomitare tutto quello che aveva nello stomaco:Un misto ambrato di alcolici.
Il maschio imprecò, accorrendo per sollevarle i capelli mentre lei rimetteva il contenuto di uno stomaco già vuoto.
Lo allontanò:non aveva bisogno né del suo aiuto né della sua pietà.
Quando ebbe finito, e il bruciore alla gola, prodotto della bile calda che le aveva attraversato la laringe, si fu placato, si sistemò il vestito e si avviò verso il palazzo di pietra che vegliava su Sunbury, senza aspettare che i guerrieri la seguissero.
Non si accorsero, né lei né i tre Kerei al servizio di suo fratello, che quella cosa, quella versione spaventosa di lei, era ancora lì e stava ancora ridendo, ridendo di ciò che stava per abbattersi su tutti loro.
Al momento, l'ultima cosa che voleva fare era discutere con suo fratello:non voleva starsene seduta a un tavolo mentre lui e i suoi amici la guardavano dall'alto in basso, osservando lo stato pietoso in cui si trovava e prendendo decisioni sulla sua vita e sul suo futuro come se lei non avesse voce in capitolo.
Non aveva voglia di essere considerata come un esperimento andato male.
Eppure eccola lì, intenta a percorrere il corridoio che portava all'altro lato di Crystalshine, il palazzo di pietra bianca in cui vivevano, solo perché suo fratello le aveva ordinato di farlo, e il giuramento di fedeltà che aveva pronunciato lo scorso anno la costringeva a fare cose come quella.
O forse era dovuto al fatto che quel bastardo aveva reso inaccessibile -utilizzando un incantesimo che lei non aveva mai avuto voglia di imparare- l'ala del palazzo in cui erano situati i suoi alloggi, cosicché non aveva avuto altra scelta che recarsi da lui.
Da quando aveva lasciato il vicolo del locale non aveva fatto altro che pensare a quello che era successo, a quello che aveva visto in quella pozza d'acqua.
Alle urla che le avevano riempito le orecchie e che aveva continuato a sentire anche dopo, impresse a fuoco nella sua memoria.
Si era sentita osservata lungo tutto il tragitto verso casa, come se una presenza l'avesse seguita, a pochi passi di distanza, beffandosi di lei e della sua ignoranza.
Più volte si era ritrovata a chiedersi se quello che le muovesse i ricci castani non fosse il vento, ma il fiato di quella presenza che le alitava il collo.
Aveva scrollato le spalle e ricontrollato per la decima volta i suoi tatuaggi:erano ancora tutti lì e ancora tutti intatti, ma ciò non le aveva impedito di chiedere a Nakota di compiere una Configurazione Alchemi, un particolare tipo di incantesimo che le permetteva di ridurre e silenziare-solo se possedeva abbastanza energia, cosa di cui era completamente sprovvista mentre completavano la Configurazione -il suo potere per qualche ora, a differenza della Configurazione Arcani, una sequenza di incantesimi di protezione che usava prima di rimettere al loro posto i tatuaggi dopo averli cancellati.
Utilizzava quella Configurazione soprattutto dopo le battaglie, quando le ombre premevano per prendere il sopravvento, per avere di più.
Più corpi.
Più sangue.
Più morti.
Il Kerei si era fermato a guadarla e nei suoi occhi era trasparso chiaramente il disgusto che provava nei suoi confronti mentre aveva fatto avvicinare uno dei due guerrieri che lo aveva accompagnato.
Quel disgusto era mutato in disprezzo quando aveva reciso il palmo di quella guardia con un coltello d'argento-glielo aveva regalato suo fratello dopo aver combattuto la prima battaglia insieme, trecento anni prima- e usato il suo sangue per tracciarle dei segni sulla pelle.
Il liquido rosso aveva preso a brillare sulla sua epidermide e a camminare, a spostarsi lungo i suoi tatuaggi e a rafforzarli.
Nakoa l'aveva osservata-emozioni contrastanti gli avevano attraversato lo sguardo- e poi aveva preso il coltello e pulito il sangue sul suo vestito, senza curarsene, come a dimostrarle che doveva prendersi la responsabilità per le azioni che commetteva.
Poco prima di avviarsi nuovamente verso il palazzo le aveva sussurrato, i Kerei ormai lontani, la ferita di quello che l'aveva aiutata già cicatrizzata:
<<Non ti permetterò di ferire ancora uno dei miei guerrieri. Farai come ti dice tuo fratello, o puoi star sicura, Herebo, che la prossima volta sarà il tuo sangue a macchiare il mio coltello.>>
E se n'era andato così, lasciandola lì, come una cosa di poco valore,tremante e con il potere delle sue ombre che si placava a poco a poco sotto l'effetto della Configurazione.
Aveva aspettato qualche minuto e poi li aveva seguiti e, mentre percorreva gli ultimi metri che le separavano dalla porta della stanza in cui la stava aspettando suo fratello, sentiva il potere della Configurazione svanire come cenere in balia del vento.
Troppo poco tempo.
La Configurazione aveva retto per troppo poco tempo e la cosa la preoccupava
Perché ciò significava che presto, troppo presto loro sarebbero tornati..
Non ebbe tempo di pensarci, non ebbe tempo nemmeno di prendere un respiro profondo e prepararsi a quello che stava per affrontare, perché le pesanti porte di legno bianco si aprirono,rivelando la possente figura, già seduta al tavolo e circondata dai suoi amici, di suo fratello.
Kane.
Uno dei grandi Re.
Il più forte che avesse mai calpestato le terre di Adalmat.
Si costrinse a non tremare, a non mostrare nessuna emozione.
E a mento alto attraversò le porte della sala.
Consapevole di aver appena firmato la sua condanna a morte.
Tag:
#18 #2023 #avvetura #bugie #cavalieri #erotico #fae #fantasy #guerra #herebo #immortale #italia #magia #menzogne #nuova #ombre #regno #segreti #shadows #spada #terra #war #wattpad
Copertina:
La copertina la trovo abbastanza carina, magari inizialmente non si afferra subito il significato di essa ma devo dire che ci sta pienamente, soprattutto per Herebo, che è descritta anche alla perfezione nella storia, vi è possibile vedere anche i suoi tatuaggi, e anche i colori in sé fanno pensare alle ombre.
Herebo, mai un nome era stato più adatto di questo.Un manipolo di ombre la seguiva ovunque andasse, espressione di un potere antico incatenato a lei dalla nascita.Era potente quella magia, così potente che suo padre aveva ben pensato di marchiarla con degli incantesimi di protezione affinché restasse imprigionata.O meglio, affinché non uscisse fuori e distruggesse il suo Regno.Adalmat, era lì che viveva, ma mai avrebbe pensato a quella come alla sua casa. Tutti la volevano morta, compreso suo fratello Kane, il Grande Re.Il motivo? Non era così brava a controllare il suo potere come credeva e per questo suo fratello le aveva affidato tre guardie capaci di contrastare la sua magia: un Theugi sbadato, un Esoti pronto ad ucciderla e un Fenix che avrebbe preferito infilarsi nel suo letto piuttosto che lottare contro di lei.Ma lei aveva cose ben importanti a cui pensare. I cavalieri, creature pronte a tutto per impossessarsi del suo potere, la stavano cercando ormai da secoli. Una sola volta l'anno era il giorno che gli era stato concesso per portare al termine la loro missione mortale.Per più di tre secoli avevano fallito.Ma quell'anno sarebbe stato diverso.Perchè? Perchè le menzogne faticano a rimanere tali per sempre.
La trama è molto intrigante, seppur non sia il genere che favorisco o leggo di solito. Inoltre la trama è ben organizzata, spero che sia così anche la storia in sé, mi intriga sapere di più di questo potere della protagonista, magari ci starebbero anche dei flashback. Inoltre ho trovato solamente un errore nella trama, ovvero di battitura, ma per il resto è perfetta.
A) Come inizio mi piace molto, come Herebo si ribelli contro le "regole" imposte da suo fratello, mi piace già questo rapporto che hanno; inoltre hai un po' spiegato il significato del suo nome dalla trama e devo dire che anche nella storia lo mantieni e lo spieghi alla perfezione; inoltre ho capito che i tatuaggi che possiede Herebo sono come dei sigilli per bloccare la sua magia e devo dire che questa cosa è più che geniale, mettere un potere "op" quanto debole, perché prova dolore quando se ne libera. Adoro come spieghi con cura e dettaglio ogni singola specie di Fae; rendi meglio l'idea e inoltre Kane penso che sia un personaggio molto strutturato per andare contro Herebo, penso che insieme farebbero scintille. Herebo è il personaggio che favorisco di più; perchè nonostante il suo odio, la sua rabbia e la sua sofferenza cerca comunque di trattenersi, di nasconderla, e questo penso che sia una dimostrazione assurda di forza.
B) Ti posso dire che descrivi i personaggi alla perfezione dal punto di vista caratteriale, ma per quanto riguarda altri aspetti, almeno all'inizio avrei preferito più dettagli, per esempio: la stanza di Herebo, o persino l'estetica del fratello stesso. Tutta la parte narrativa la AMO praticamente descrivi da dio sia le sensazioni della protagonista, i dettagli e anche le sensazioni dei personaggi secondari, complimenti. Ciò permette non solo al lettore di immaginare le scene ma anche di essere "catturato" dalla storia. Mi piace un sacco come "romanzi" il dolore di Herebo, tramutandolo dentro la sua mente, il che è molto difficile che funzioni e ci sei riuscita alla perfezione.
C) I dialoghi sono molto corretti, chiari e scorrevoli, inoltre mi piacciono molto gli "scontri" verbali fra Herebo e Nakoa.
Come inizio non vi ho trovato nessun errore, ma dal secondo capitolo in poi vedo degli errori rari di lessico, che penso possano essere delle sviste. Per il resto della storia, almeno fino al quinto capitolo, non vi ho trovato così tanti errori e ti faccio i miei complimenti.
Mi piace molto il tuo stile di scrittura, il modo in cui descrivi i personaggi e come dettagli il tutto, dai luoghi alla storia in sé. Amo come descrivi e la suspense che trasmetti nelle scene di "lotta" o nelle scene drammatiche. La storia chiaramente la continuerò e penso anche altri libri che scriverai in futuro perché come ho detto nonostante gli errori lessicali, mi piace come scrivi. Sarei anche più curiosa di approfondire il rapporto fra Herebo e suo fratello Kane.
VALUTAZIONI
Trama:10
~
Originalità:10
~
Copertina:7
~
Sintassi:9
~
Narrazione:10
~
Scrittura:9
~
Caratterizzazione dei personaggi:10
~
Totale:65/70
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro