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3 ▪️ IL MACABRO RITRATTO

Sabato 26 Ottobre 2013

Questo tour di discoteche gotiche mi sta sfinendo, penso, sbadigliando e stropicciandomi gli occhi.

Il fatto è che non ci sono più abituata a fare le quattro del mattino, e ogni giorno sento la stanchezza aumentare.

Per fortuna non mi devo presentare in ufficio: ci è stata data carta bianca sul caso Anatas, il che ha i suoi lati positivi, ma anche qualche aspetto negativo allo stesso tempo. Se da una parte non abbiamo orari e tempi precisi da rispettare, dall'altra non abbiamo una figura di riferimento che ci dia le giuste direttive.

Tuttavia, c'è un pensiero che da giorni mi assilla, preponderante su tutti gli altri. Il terrore di un licenziamento quasi certo se a breve non otterremo qualche risultato.

Telefonicamente confesso a Milo questa mia preoccupazione. Dobbiamo darci una mossa. Ma purtroppo né io né lui siamo riusciti a combinare qualcosa nell'ultima settimana.

«Dovremmo cambiare strategia.» Popone lui. Concordo. Decidiamo di parlarne di persona la sera stessa, al solito bowling in cui ci ritroviamo una volta al mese con il suo gruppo di amici.

Una volta organizzato il tutto chiudo la chiamata, appoggiando il cellulare sul mobiletto accanto al divano. In quel momento Fabio entra in casa. Evidentemente perso nei suoi pensieri, non si accorge nemmeno della mia presenza: a passi svelti si dirige in camera, chiudendosi la porta alle spalle.

Anche questa settimana la scuola deve averlo stressato parecchio, penso.

Dì lì a poco mi rintano anch'io nella mia stanza. Mi piazzo davanti al computer, decidendo di fare qualche ricerca relativa alla setta degli Anatas. Ma un'inquietante immagine si aggrappa ai miei pensieri, spazzando via ogni traccia di lucidità. Un paio di occhi azzurri che mi fissano, profondi e freddi come gli abissi del mare e allo stesso tempo brucianti come lava. Sembrano volermi corrodere la pelle, spogliandomi di ogni più intimo segreto.

*****

Una dannata e incontrollabile curiosità mi trascina davanti alla casa di Anna, di fronte al bar Sport e alla panchina bianca sulla quale lo sconosciuto era seduto, con un berretto nero in testa, un quotidiano aperto davanti alla faccia, e i suoi occhi azzurri fissi su di me. Ma ora, su quella panchina, lui non c'è. C'è una mamma che si sta gustando un gelato con il suo bambino. Tra le sue manine regge un grosso mazzo di palloncini a elio che fluttuano in aria mossi da una debole corrente. Raffigurano simpatici personaggi di qualche cartone animato.

Distolgo lo sguardo e provo a cercarlo altrove. Anche oggi la piazza è animata da turisti e gente del luogo. Le mie pupille vagano tra i loro volti. Famiglie, ragazzi, anziani, ciclisti, escursionisti con grossi zaini sulle spalle. Incontro gli occhi di tanti sconosciuti, ma non i suoi.

E non c'è nemmeno Anna. Sarei entrata in casa sua con una scusa, salendo al piano superiore per aver una miglior visuale sulla piazza. Ma le serrande sono completamente abbassate.

A quel punto decido di entrare nel bar per dare un'occhiata anche lì.

La sala è rallegrata da risate, un forte vociare e un viavai di facce sorridenti, tra le quali, però, la sua non c'è. Mi prendo un caffè poi esco dal locale delusa. Mi sento una stupida, sono venuta qui per nulla.

Ma subito dopo aver formulato quel pensiero, lo vedo, e il mio cuore perde un battito. Rimango letteralmente a bocca aperta, senza parole e senza fiato: tutto ciò è stupefacente e allo stesso tempo tremendamente inquietante, mi chiedo come abbia fatto a non notarlo prima. Forse per via del mazzo di palloncini di quel bambino.

Un ingombrante graffito, raffigurante il mio volto, occupa la facciata anteriore del bar. È stato tracciato con della vernice rossa (a occhio della stessa colorazione con la quale è stato realizzato il sigillo di Murmur), con estrema cura e impegno.

Sicuramente è stato quello strano uomo. Ma che cosa vorrà da me? E come è riuscito a tracciare i miei lineamenti in modo così preciso?

I tratti sono così fedeli a quelli del mio viso che mi pare quasi di fissare una mia fotografia, con gli occhi puntati in direzione dell'obiettivo e le labbra incurvate in un leggero sorriso.

Sento il sangue gelarsi nelle vene.

*****

I passi di Milo sono lenti e cauti sul lucido parquet, la concentrazione è massima. Si ferma sull'orlo della pista, si posiziona, si concede un paio di secondi per prendere la mira. Stende il braccio e tira. La palla scura rotola, veloce e precisa.

«Eeeeee... strike!» Esulta, alzando le braccia.

I suoi amici lo circondano, gli danno pacche sulle spalle. Luigi applaude, Martino lo prende in giro, dicendo che è solo fortuna. Eppure Puglisi è in testa alla classifica. Anche la prossima volta ci toccherà pagargli da bere.

Compiaciuto, torna a sedersi al mio fianco, entusiasta e fiero del suo bel tiro. «Che cosa mi dicevi prima?» Mi urla in un orecchio, sporgendosi verso di me.

Il vociare è forte. Un gruppo di venti-venticinque bambini sta festeggiando un compleanno, sono nella pista a fianco alla nostra. Tra acute risate e canzoncine di tanti auguri mi sta scoppiando la testa. È impossibile parlare in queste condizioni.

«Te lo spiego dopo, okay?» Gli rispondo. «C'è troppo casino qui.»

«Fammi un riassunto.» Insiste lui, continuando a urlarmi nell'orecchio.

Prendo il cellulare e gli mostro la foto del graffito.

Il suo volto assume un'espressione sconvolta. «Oh cavolo! Ma dove l'hai scattata?»

«Sul muro del bar Sport.»

*****

Una mezz'ora dopo, finita la partita, ci ritroviamo nella sua auto, ferma nel parcheggio di fronte al bowling, per parlare in tranquillità.

«Questa faccenda non mi piace proprio per niente, se devo essere sincero.» Il suo volto è indurito da preoccupazione e brutti presentimenti. «Ti consiglio di lasciar perdere, Elenia.»

È la prima volta che mi chiama per nome, ed è una sensazione strana: c'è premura nelle sue parole, c'è un disperato tentativo di proteggermi, che tuttavia non vuole rendere esplicito.

«Smettila di cercare quell'uomo.» Aggiunge dopo un po', rincarando la dose. Il suo sguardo è rivolto oltre il parabrezza, bagnato da tante goccioline di pioggia, che ha iniziato a scendere leggera.

«Volevo chiedere ad Anna di poter salire in casa sua per avere una miglior visuale sulla piazza, per cercare di individuarlo. Ma lei non c'era.»

Trascorrono altri secondi di silenzio, l'espressione sul suo volto rimane la stessa, cupa e dura. Mi chiedo a che cosa stia pensando.

«Ultimamente sei sempre da lei. Non mi dicevi che non la sopportavi?» Finalmente sembra rilassarsi un po'.

«Sì, infatti. Diciamo che le mie visite hanno sempre un secondo fine.» Inizio a giocherellare con la collana di perle blu che Anna mi ha regalato, ma Milo non coglie il riferimento.

«In che senso "secondi fini"?»

«Puglisi, non penserai che ora sono diventata amica di quella lì! È noiosa, monotona, non fa altro che parlare di sé. L'hai conosciuta anche tu, no? È venuta più di una volta alle nostre serate al bowling.»

Lui sbuffa. «Sì, me lo ricordo. Le ho parlato un paio di volte e sono stati i momenti più noiosi della mia vita.»

«Ecco, vedi!»

La pioggia si fa un po' più fitta, alcune persone escono armate di ombrello, dirette alle proprie auto. Il parcheggio inizia a svuotarsi.

«Sai cosa penso? Che tu ancora non l'abbia dimenticato.»

Il mio cuore perde un battito, i miei occhi scattano su di lui. «Dimenticato chi?» So benissimo, in realtà, a chi si riferisce, ma fingo di non aver capito.

«Il tuo ex, il fratello di Anna. Non negarlo, ti senti ancora legata a quell'uomo. E vedi Anna come una sorta di ponte che ti possa riportare da lui.»

Nelle sue parole percepisco un sentimento strano, nuovo. Una sorta di fastidio che sfiora la gelosia.

«Non è vero.» Provo a negare, bruscamente. Ma in parte lo è.

Non aggiunge altro, ma so a che cosa sta pensando: che sono una bugiarda. E anche io non dico niente. Ascolto distrattamente lo scrosciare della pioggia, il suono ovattato di una musica allegra proveniente dal bowling, e quello di alcune risate lontane, solo per non ascoltare l'eco di alcuni ricordi ormai lontanissimi, che ormai nella mia testa sono solo ombre. In breve tempo si crea un'atmosfera particolare. Sento la voglia di spogliarmi di alcuni pensieri rimasti sepolti per troppo tempo. Con cura li raccolgo dal profondo e li consegno nelle sue mani, come uno scrigno prezioso, so che saranno al sicuro.

«Non voglio tornare con lui, sia chiaro. Non lo amo più. Insomma, se n'è andato all'improvviso, con questo sogno folle di diventare un attore di Hollywood. Ci ha lasciati su due piedi, si è trasferito in America da un giorno all'altro si può dire.» Faccio una breve pausa, cerco le parole giuste. Lui mi ascolta attento. «Il fatto è che non si è nemmeno fatto più sentire. O almeno non con me.» Nell'ultima frase traspare tutta la mia invidia nei confronti di Anna, che con suo fratello ci parla ancora. «Forse è anche per questo che non la sopporto.»

Lui mi parla con delicatezza. «Ti capisco, sai. Talvolta amare qualcuno può essere doloroso. O almeno questo è quello che penso. A me non è mai successo di... sai, di innamorarmi.»

Rimango sorpresa da quelle parole. Non tanto per il fatto che non si sia mai innamorato, ma per il fatto che mi abbia confessato un qualcosa di così intimo.

«E mi dispiace per ciò che è successo, non lo meritavi.» Prosegue.

Mi volto verso di lui e incontro un paio di occhi castani che mi fissano con intensità. Sembrano brillare, illuminati dalle luci provenienti dall'esterno. Quelle dei fari di alcune auto in partenza, della fila di lampioni che delimita il parcheggio e dell'enorme insegna rosa fluo del bowling. Di lì a poco il mio sguardo si sposta di nuovo oltre il parabrezza, dove tante piccole cascate d'acqua sembrano le lacrime di una giornata triste.

«Vorrei solo sapere come sta. Solo questo.» Appoggio la testa al finestrino. «Sapere se n'è valsa la pena. Se dopo sette anni ha realizzato il suo sogno.»

Milo rimane in silenzio, forse per non spezzare la delicatezza del momento.

Non avrei mai creduto che confessare certi pensieri fosse così difficile, ma allo stesso tempo liberatorio.

«Ma Anna non mi dice niente.» Proseguo. «Io non le ho mai chiesto nulla, ovviamente. Non voglio darle l'impressione di essere ancora legata a quel bastardo. Perché non lo sono.» Preciso. «È lei, a volte, di sua spontanea volontà, a parlarmi di lui, ma in modo vago. Io chiaramente fingo che non mi interessi, quando in realtà non vedo l'ora di sapere. Forse è per questo che trovo sempre una buona scusa per essere dai lei. Sai... tutte quelle favole che mi raccontavo sulla magia del Natale, la bellezza della neve, il fascino della montagna... una marea di cavolate. In realtà non me n'è mai fregato nulla di queste scemenze, tra l'altro Ortisei non mi fa nemmeno impazzire come località. La verità è che giravo sempre in quel paesino per incontrare Anna, per andarla a trovare, sperando di avere qualche notizia sul mio ex. Sapere se di lì a poco sarebbe diventato un VIP miliardario, se avesse trovato una nuova moglie, se si fosse comprato una mega villa con piscina e tutto il resto.»

Chiudo gli occhi ed emetto un sospiro liberatorio, elaborando mentalmente ciò che è appena successo. Ho confessato al mio collega di lavoro pensieri che non ho mai avuto il coraggio di svelare, forse nemmeno a me stessa. Tutto ciò mi lascia addosso una sensazione strana. È come se qualcuno avesse scoperchiato il mio cuore e avesse spiato dentro... sento il dovere di scusarmi per il disordine che ha trovato.

«Mi dispiace, non volevo annoiarti con la mia vita privata. A forza di passare così tanto tempo con Anna sto diventando come lei.» Cerco di ironizzare.

«Non ti devi scusare, non sono affatto annoiato, mi interessa la tua vita.»

Cala un nuovo velo di imbarazzo su di noi. Mi sembra quasi di arrossire come una timida e impacciata adolescente. «Voglio dire, sei un'amica.» Aggiunge.

Allungo un dito sul pulsante del finestrino, ma quando questo non si abbassa, mi ricordo che quando il motore dell'auto è spento i finestrini non funzionano.

Mi schiarisco la gola. «Okay, ora basta divagare, torniamo a parlare di lavoro.»

Il mio sguardo si posa casualmente sul suo finto piercing, abbandonato nel portaoggetti. Lo ringrazio mentalmente per non averlo indossato stasera, di fronte ai suoi amici: sarebbe stato imbarazzante.

«L'ho indossato solo per una sera.» Commenta, leggendomi nel pensiero. «Ma quando una ragazza mi ha urlato "torna al pascolo vecchia mucca", le ho risposto che il maschio della mucca si chiamava toro, e poi deciso di toglierlo.»

Trattengo a stento una risata, ma poi lascio cadere il discorso, senza replicare.

Lui prende l'oggetto tra le mani, lo osserva sprezzante, sbuffando e scuotendo il capo, poi lo ripone nel portaoggetti.

 Di lì a poco cambio argomento, tornando seria.

«Tornando al discorso Anna... sai, oggi al catechismo non l'ho vista. Quando me ne stavo per andare ho visto uscire dall'oratorio la solita mandria di bambini, ma lei non c'era. Il che è strano, non si perde mai una lezione. E non era neanche a casa.»

«Forse aveva qualche impegno.»

«Un impegno? Lei? La sua vita è piatta quanto l'elettrocardiogramma di un morto!»

«Ma mi hai detto che aveva trovato un ragazzo, ultimamente.»

«Sì, ma rendendosi conto di quanto è noiosa l'ha già scaricata.»

Lui scrolla le spalle. «Forse si è barricata in casa con l'influenza?» Ipotizza.

«Che cosa dici se provo a chiamarla?»

«A quest'ora?! Starà dormendo!»

«Meglio, no? Così la sveglio e movimento un po' la sua giornata. So che tiene il cellulare sempre sul comodino.»

Provo davvero a chiamarla. Ma dall'altro capo non risponde nessuno.

*****

Domenica 27 Ottobre 2013

Odio gli stacanovisti, specie quello scimmione di Morelli, l'uomo che mi ha affidato questo maledetto caso. Lo odio almeno quanto i suoi leccapiedi. Irreprensibili, instancabili, intransigenti. Non voglio diventare una di loro. E sprecare una preziosa domenica per dedicarmi al lavoro sarebbe un ottimo primo passo. Per questo motivo la mia domenica decido di trascorrerla in tranquillità. Un po' di shopping con le amiche, cena fuori in un ristorante nella mia zona, serata film davanti alla TV per concludere in bellezza.

I film polizieschi credo siano stati la ragione per cui ho intrapreso questa carriera. Mi appassionavano sin da quando ero bambina. Le indagini, le prove, gli interrogatori. Poi le "scommesse" su chi fosse il colpevole, che veniva sempre fuori alla fine, ed era l'ultima persona che si sospettava. Era esilarante.

Ma purtroppo entrando nel corpo di polizia ho imparato che la vita non era un film. Trovare un cadavere putrido riverso in un fiume non era divertente. Non lo era nemmeno interrogare una madre disperata, o ricostruire la tragica fine della povera figlia. Quando l'ho scoperto ho iniziato a dare il peggio di me, facendo sì che i miei superiori mi affidassero compiti marginali, quasi inutili, affiancandomi a Milo, che in basso ci era sempre stato.

Chissà se l'avessi saputo. Avrei comunque intrapreso questa carriera o scelto un altro tipo di strada?

Mentre ci rifletto su, sbadiglio, dirigendomi in camera mia. In quella di Fabio la luce è già spenta, e penso, stasera se n'è andato a dormire molto presto.

Lunedì 28 Ottobre 2013

Il lunedì mattina mi presento in ufficio tanto per far vedere ai miei colleghi che almeno ci sto provando, a salvare la mia carriera. Faccio alcune ricerche sulle sette sataniche e omicidi legati a esse.

Leggo un articolo che parla di Euronymous, chitarrista dei Mayhem e membro del Black Metal Inner Circle, ucciso da un amico facente parte della stessa setta, nonché della stessa band. "Amico" si fa per dire.

A una certa ora Puglisi mi raggiunge e discutiamo a lungo sul da farsi. Ma entrambi siamo a corto di idee.

Il giorno seguente lo passiamo a bighellonare, brancolando nel buio più totale, ormai rassegnati al crudele destino che ci attende.

Ma poi, mercoledì, succede qualcosa di sconvolgente.


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