4
L'amore non inizia e non finisce nel modo in cui pensiamo. L'amore è una battaglia, l'amore è una guerra, l'amore è crescere.
(James Baldwin)
La signora Sunset mi aveva chiesto di andare da lei per vedere se ci fosse qualcosa che avrei voluto tenere dalla camera di Jake. Tutto. Avrei voluto dirle. Lui. Ma non era possibile e dovevo accettarlo, anche se mi si sarebbe lacerato il cuore. Quindi, semplicemente, acconsentii. I miei genitori erano preoccupati per me, Stacy era preoccupata per me, tutti erano preoccupati per me, ma se io fossi andata avanti chi si sarebbe ricordato di Jake? Chi avrebbe continuato a pensare a lui? Io non potevo e non volevo lasciarlo andare.
Era passata più di una settimana dal funerale e io non avevo messo piede fuori la mia stanza se non per andare in bagno. Indossavo il pigiama tutto il tempo e non rispondevo a nessuno quando provavano a chiamarmi. Più volte Stacy era venuta di persona per quel motivo, per convincermi a uscire, ma non ci era ancora riuscita. Ancora. Mi avrebbe trascinata a forza fuori di casa quando sarebbe stata al limite, ma non mi importava. Ci avrei pensato quando sarebbe stato il momento.
Eppure non avevo potuto ignorare la signora Sunset che mi chiamava. Lei aveva perso il figlio. Il più piccolo. Quello più legato a loro. Che li chiamava ogni girono dal college solo per farsi sentire così da non farli preoccupare. Lui adorava studiare a Washington. Adorava studiare lo spazio... Andai verso la mia scrivania e presi, per la milionesima volta, in mano il suo disegno. Le note che racchiudevano l'universo. Era n po' come se fosse una metafora del nostro rapporto. Io racchiudevo lui, certo, ma senza di lui io ero vuota. Ed era esattamente come mi sentivo dal giorno dell'incidente. Avevo sempre creduto di avere un sesto senso per le cose e, quel girono, avevo avvertito un dolore fortissimo al petto. Come se qualcuno lo stesse pugnalando dall'interno. Quando mi informarono che Jake era all'ospedale sapevo che non ce l'avrebbe fatta, me lo sentivo, anche se speravo fermamente di sbagliarmi.
La camera di Jake era esattamente come la ricordavo. Tutto in perfetto ordine. Il letto rifatto, i vestiti messi in modo ordinato nell'armadio. Tra i due, lui era sempre stato quello più preciso e dato che anche io lo ero in modo allarmante era tutto da dire. Passai in rassegna ogni centimetro della camera prima di mettervi piede. C'era ancora il suo odore, ovunque. Presi un gran respiro, imprimendomelo nella memoria, sotto pelle, nell'anima. Anche con la vista offuscata dalle lacrime andai verso l'armadio e riconobbi subito la maglietta bianca che vidi per prima. Era la stessa maglia che Jake si era sporcato una volta con il ketchup, quando in realtà cercava di mettermelo sulle patatine contro la mia volontà.
Ero scoppiata a ridere così forte che tutti intorno a noi si ritrovarono a ridacchiare, Jake compreso. Accarezzai ogni capo, ogni tessuto, come se potessi romperlo anche solo guardandolo. Quando vidi la camicia che aveva indossato al nostro primo appuntamento non riuscii a trattenere più i singhiozzi. Subito dopo c'era la felpa che mi aveva messo il giorno in cui ci eravamo incontrati, la sera, perché avevo freddo, subito prima di portarmi al locale dove lavorava per prepararmi una cioccolata calda. Risi tra le lacrime perché lui era speciale. Non era conforme alle regole.
Andai verso la scrivania stringendomi la felpa al petto per sentire meglio il suo odore, averlo più vicino a me, piena dei suoi disegni sullo spazio e di bozze del disegno che mi aveva regalato... Aveva unito le note e l'universo in decine di modi diversi prima di trovare quello perfetto, che più ci rappresentava. Erano tutti splendidi. C'era uno specchio accanto dove si poteva vedere la propria figura intera e nell'angolo c'erano alcune delle nostre foto migliori.
Le sfiorai sorridendo al ricordo di ogni singolo momento passato con lui. I ricordi erano tutto ciò che mi restava al momento e mi ci stavo aggrappando disperatamente. Vidi anche i suoi occhiali da sole, quelli che mi piacevano da impazzire e che indossavo sempre io quando li metteva. Presi anche quelli con me prima di andare verso il letto accanto al quale c'era il comodino su cui erano posati il suo cellulare e una nostra foto incorniciata. Nella foto ero in braccio a Jake, con le gambe strette intorno alla sua vita, e lui mi stringeva a sé. Ci sorridevamo a vicenda sulle labbra. Eravamo al parco con Stacy e alcuni dei nostri amici. La mia migliore amica era riuscita a catturare l'esatto momento prima che ci baciassimo, con gli occhi pieni di amore e felicità. Era una delle nostre foto preferite.
-Mi dispiace, non volevo disturbarti- una voce proveniente dalla porta mi fece asciugare le lacrime alla svelta prima di girarmi. Era Byron. Se non fosse arrivato in quel frangente ero certa che mi sarei rannicchiata sotto le coperte e avrei pianto fino a quando la signora Sunset non mi avrebbe cacciata. Un tempo avevo letto un libro in cui la protagonista aveva perso il suo ragazzo e, per questo, aveva iniziato a vivere nella sua camera, indossando i suoi vestiti e il suo profumo. I nostri cuori chimici era il titolo. In quel preciso istante avevo desiderato fare la stessa identica cosa, solo che io non avevo problemi con la mia famiglia e per quanto mi lasciassero il mio spazio per elaborare il lutto, non mi avrebbero mai permesso di vivere nella stanza del mio defunto ragazzo, specialmente perché sarei dovuta tornare al college finite le vacanze, anche se non avevo idea di come ci sarei riuscita.
-Ti va di andare a fare due passi?- mi chiese Byron ancora sulla soglia della porta. Mi ritrovai ad accettare, desiderando di poter prendere una boccata d'aria e di lenire un po' il mio dolore distraendomi anche se non ero certa che ci sarei riuscita.
Camminammo fino ad arrivare al parco dove ci sedemmo in silenzio per alcuni minuti. A me non dispiaceva affatto, adoravo la quiete. I miei momenti preferiti erano quando io e Jake ce ne stavano accoccolati da qualche parte in silenzio. Restavamo avvinghiati per ore a guardare il cielo o a coccolarci, farci dei massaggi, abbracciarci, baciarci...
-Come stai?- trattenni l'impulso di alzare gli occhi al cielo o di sbuffare perché, tra tutte le frasi di circostanza che avrebbe potuto tirare fuori, quella era senza dubbio la più tremenda.
-E tu?- gli chiesi tenendo gli occhi fissi avanti a me. Il cielo si stava oscurando. Mi piaceva pensare fosse in sintonia con il mio umore. Che anche l'universo fosse triste.
-Vado avanti- lo disse in un tono così leggero che mi voltai di scatto verso di lui infervorata in un certo senso.
-Come? Come ci riesci ad andare avanti sapendo che lui non c'è più?- mi si spezzò la voce e mi costrinsi a calmarmi prima di riprendere a parlare. Non volevo crollare avanti a lui. Non volevo crollare davanti a nessuno in verità.
-Jake mi ha parlato di te. Di tutti gli amici che hai perso al fronte- ma quella era tutta un'altra storia. Loro erano consapevoli di ciò che rischiavano. Avevano accettato la possibilità di non farcela, Jake invece era solo un ragazzo che stava guidando verso...
-Esatto, quindi so affrontare il dolore e di certo so che loro non vorrebbero che io smettessi di vivere. E neanche Jake lo vorrebbe. Devi vivere per lui Ha...- si ammutolii non appena lo incenerì con lo sguardo.
-Delia. Sai che è ciò che vorrebbe- lo sapevo, ma ciò non rendeva più sopportabile l'idea di non vederlo mai più. Di non poter più stare tra le sue braccia o di accarezzarlo, di sedermici sulle gambe e divorarlo di baci davanti a tutti... Ero davvero convinta che saremmo stati insieme per sempre, anche fin dopo la morte. In un certo senso era stato così perché io avrei continuato ad amarlo all'infinito, ma gli avevo dovuto dire addio decisamente troppo presto.
-Non ci siamo lasciati- la voce tramava, le nocche strette al bordo della panchina erano sbiancate, lo sguardo fisso su Byron incurante che mi vedesse cadere a pezzi una volta dopo l'altra.
-Non abbiamo litigato- continuai col cuore in gola chiudendo gli occhi un attimo per farmi forza.
-Lui è morto. Non ha scelto di lasciarmi. Non ci siamo detti addio. Mi è stato strappato insieme al mio cuore e alla mia anima. Nell'attimo in cui ha smesso di respirare io ho fatto lo stesso. Forse non fisicamente, ma è così. Sono già morta. Sono una morta in vita che cammina-
-Devi vivere per lui Delia. Devi...- mi scrollai di dosso la sua mano che cercava di darmi conforto sfiorandomi la spalla. Ero arrabbiata. Non con lui, eppure quella consapevolezza non mi fermò dal prendermela lo stesso con il ragazzo accanto a me che cercava solo di aiutarmi.
-Io non voglio vivere!- mi ritrovai ad urlare. Era così difficile da capire? Io non volevo più continuare ad essere su quel pianeta senza di lui perché non ero più niente. Lui si era portato via tutto di me e non lo avrei più riavuto indietro e non avevo abbastanza forze da rimettermi in piedi, reinventarmi e andare avanti. Avrei preferito che mi avesse lasciato, ma sapendolo vivo. Sarebbe stato tutto più semplice sapere che avrei potuto parlargli quando avrei voluto o anche solo vederlo, seppur da lontano.
-Non senza di lui- la mia voce era un sospiro tant'è che non ero sicura mi avesse sentito, ma non mi importava. Mi passai le dita tra i capelli per la frustrazione prima di rimettermi in piedi di scatto. Avevo bisogno di stare sola e di rifugiarmi nei miei ricordi. Volevo il suono del silenzio. Jake, quando gli dicevo così, metteva sempre in riproduzione la canzone dei Simon & Garfunkel e, restando accanto a me fin quando non ero di umore migliore, mi abbracciava da dietro o mi lasciava nascondere il viso sul suo petto o nell'incavo del suo collo e ascoltavamo la canzone. Mi mancava da impazzire e forse stavo davvero impazzendo.
-Devo andare- tesi una mano nel momento in cui Byron si alzò a sua volta cercando di avvicinarmisi, forse per scusarsi o forse per offrirsi di riportarmi a casa, ma glielo impedii. Senza aggiungere altro fuggii via da lui, via dalla vita stessa che mi scorreva accanto.
Jake, per il nostro primo appuntamento, mi portò al molo. Era diventato il nostro posto in un certo senso e lo adoravo. Mi aveva aspettata dove, qualche sera prima, ci eravamo lasciati ovvero a qualche casa distante dalla mia, ma quando mi aveva vista arrivare aveva sorriso così genuinamente che avrei voluto buttarmici addosso e non lasciarlo più. Lui come se niente fosse mi prese la mano tenendola stretta anche mentre portava il braccio attorno la mia spalla così che potessimo essere più vicini. Quando vidi ciò che aveva preparato rimasi senza parole.
Candele. Candele ovunque. Che sembravano un sentiero partito dall'inizio del pontile fino al punto esatto dove avevo visto Jake per la prima volta. C'erano dei pouf giganti, due, ricoperti da coperte, probabilmente per evitare che sentissi di nuovo freddo. E poi c'era un cestito in mezzo a loro, quasi sicuramente vuoto, vito che tutto il cibo era appoggiato su un'altra coperta a terra. Era una sorta di picnic rivisitato. Doveva averci messo un bel po' a portare tutta quella roba e a sistemarla in quel modo eppure lui assettava solo una mia reazione. Come se potesse esserne valsa la pena solo se mi avesse vista sorridere e felice del suo gesto. E come avrei potuto non esserlo? Lo guardai, così bello nella sua camicia estiva di un azzurrino che rispecchiava il colore del cielo di giorno. Io ero vestita di bianco, pur sapendo quanto fosse facile da sporcare. Eppure non mi importava di niente in quel momento se non abbracciarlo, stringerlo forte a me e ringraziarlo. Per tutto.
-È... stupendo- mi limitai a dire.
-Tu lo sei- quel suo commento fece arrossire entrambi e distogliere lo sguardo l'uno dall'altra. Ci sedemmo e iniziammo a parlare e mangiare. Mangiare e parlare e scherzare. Era come se ci conoscessimo da tutta la vita e forse, in un'altra epoca, era stato davvero così.
-Parlami dei tuoi genitori- mi chiese dopo che finimmo di mangiare tutto ciò che aveva portato, compreso il dolce e una bottiglia di vino, bianco per fortuna. Lo accontentai raccontandogli tutto ciò che mi passava per la testa, anche solo per il desiderio che quella serata non finisse mai.
-Sono figlia unica quindi loro sono molto protettivi nei miei confronti. Mia madre in particolare è all'antica di conseguenza pensa che io debba andarmene di casa solo se ho già un lavoro stabile, ma restando sempre vicino a lei senza allontanarmi troppo, oppure dopo il matrimonio mentre io vorrei viaggiare e poi vorrei vivere da sola, almeno per un tempo. Farò domanda ai college vicino l'anno prossimo, ma anche a Washington e se mi accetteranno andrò lì-
-Anch'io andrò a Washington o almeno spero. Studierò ingegneria aereospaziale- ci scambiammo uno di quei sorrisi d'intesa carichi di tensione e di aspettativa che metteva sempre a disagio tutti. Ma non lui. Io magari potevo esserlo, ma lui continuava a guardarmi come se stesse ammirando l'universo intero. Evitai di dirgli che anch'io avrei voluto frequentare la stessa facoltà per evitare di sembrare troppo appiccicosa. Infondo ci stavamo appena conoscendo e prima del college mancava un anno in cui poteva succedere di tutto tra noi.
-I tuoi invece? Che tipi sono?- spostai l'attenzione su di lui solo per sentirlo parlare. Adoravo già il suono della sua voce e se non fossi sembrata davvero una stalker gli avrei chiesto se potessi registrarla così da sentirla tutte le volte che avrei voluto.
-Ho una sorella più grande, Violet, che vive in Oklahoma quindi ha già combattuto lei anche per me-
-Deve essere bello. Difendersi a vicenda, sapere di avere sempre qualcuno alle tue spalle che non ti lascerà mai- avevo sempre voluto una sorella. Certo avevo Stacy e sarebbe rimasta nella mia vita per sempre, ma se non avessi avuto lei sarei stata davvero molto sola.
-Raccontami qualcosa di te che non sa nessuno- sorrisi. Per qualche strana ragione, l'unica cosa che mi venne in mente fu una specie di ricordo di me e mia cugina. Non lo avevo mai detto a nessuno, neppure ai miei genitori, ma sentivo di potermi fidare di lui e così feci.
-Ho una cugina, più grande di me di alcuni anni. Quando eravamo bambine, e premetto che avevo una fervida immaginazione che si è evoluta col tempo quindi non so se sia un ricordo vero oppure solo una cosa inventata, ma... A volte capitava che ci chiudessimo in camera sua e...- perché cavolo avevo tirato fuori l'argomento? Era vero che non sapevo se fosse realmente accaduto o se fosse stata solo la mia immaginazione, ma da un po' mi era tornato in mente e non riuscivo più a dimenticare. Io ero davvero piccola, avevo cinque anni più o meno, ricordo che andavo all'asilo, ma lei era più grande e capiva ciò che facevamo o almeno avrebbe dovuto capirne più di me...
-Ehi, sono qui. Cosa succedeva in quella stanza?- Jake poggiò la sua mano sul mio ginocchio lasciato scoperto dal vestito e si avvicinò a me sedendosi sul mio stesso pouf, senza spostare la mano. Vi posai il mio palmo sopra e cercai di essere più chiara possibile.
-Eravamo entrambe piccole, non credo che lei capisse fino in fondo, ma di certo capiva più di me e... Ecco, mi baciava. O meglio ci baciavamo, lei si metteva sopra di me e restavamo così fin quando io non dovevo tornare a casa- mi sentii stranamente più leggera. Prendendo un respiro profondo mi voltai verso Jake che mi guardava accigliato, preoccupato quasi.
-Sai che è una sorta di violenza vero? Non eri consenziente o almeno non abbastanza grande da capire cosa stesse facendo tua cugina... E non l'hai detto a nessuno?- scossi il capo. Certo che sapevo che era stata una violenza su di me, ma... Non riuscivo a spiegarlo. Era successo tempo fa e, all'epoca, mi piaceva inventare cose e cambiare i fatti realmente accaduti con la mia immaginazione quindi non potevo distinguere troppo bene ciò che era un ricordo da ciò che era falso. Crescendo avevo coltivato la mia fantasia però sapevo distinguere tra ricordi e immaginazione ormai, ma quello... Come avrei potuto immaginarlo quando non sapevo neanche cosa significasse baciare qualcuno?
-È successo anni fa ormai e, ripeto, non posso essere totalmente sicura che sia successo davvero- scrollai le spalle e cercai di cambiare argomento. Jake era restio, ma dopo aver visto come mi stavo chiudendo a riccio mi accontentò. Sdraiandosi per guardare il cielo stellato, con un braccio attorno a me per stringermi di più al suo fianco, si perse nei suoi pensieri.
-Dimmi qualcosa sull'universo- sorrisi. Quello era facile. Avevo mie teorie che non vedevo l'ora di condividere con chiunque quindi mi sistemai meglio accanto a lui, la testa poggiata sulla sua spalla e lo sguardo rivolto verso l'alto, e iniziai a parlare.
-Non siamo gli unici esseri viventi- aspettai in silenzio che ribattesse e mi desse della pazza invece aspettò che continuassi.
-Pensaci. L'universo è infinito, letteralmente, la mente umana è incapace di concepire una cosa del genere o anche solo di comprenderla a pieno. Ci sono infiniti universi, infinite realtà parallele, possibili scenari. Il punto è che è tutto così infinito che ad un certo punto scomparirà, ma questa è un'altra cosa. Comunque, non comprendendo il concetto di infinito come facciamo a escludere la possibilità che ci siano altre forme di vita?- questa volta Jake rispose infervorato, cosa che mi fece ridere e tranquillizzare dopo l'argomento che avevamo toccato prima.
-È quello che dico anch'io!- per poco non mi fece cadere a terra per quanto fosse eccitato di poter parlare. Mi tirò più vicina, mettendomi quasi addosso a lui e accarezzandomi i capelli in modo distratto.
-Magari Loro hanno altre condizioni necessario in cui vivere. Forse non gli serve l'ossigeno, ma un altro gas. E poi perché dovrebbero essere verdi con le antenne Uno, di sicuro alcuni sono più evoluti di noi come alcuni sono meno evoluti. E due, magari immaginano anche noi verdi, con un occhio solo e i tentacoli-restammo sdraiati, sotto le stelle, a discuterne per un'ora. Jake mi mostrò come riconoscere alcune costellazioni e poi mi dissi che gli ricordavo la stella più luminosa del firmamento, Sirio. Mi piaceva quel nome. Quando venne a piovere recuperammo tutto in fretta e corremmo verso casa mia. Non sapevo lui dove abitasse quindi, all'inizio della mia strada, lo convinsi ad andare.
-Avvisami quando arrivi a casa- mi disse senza muoversi, anzi avanzando di un passo. Eravamo bagnati fradici, ma a nessuno dei due importava.
-Anche tu- la mia voce era un sussurro, coperta dal rumore della pioggia che si abbatteva su di noi e che amavo da sempre. Mi rilassava. Jake avanzò di un altro passo fin quando i nostri piedi non si sfiorarono. Mi scostò i capelli dal viso e mi si avvicinò nel momento esatto in cui iniziai anch'io a farlo. Eravamo come due calamite attratte l'una dall'altra. Ci completavamo a vicenda. Quando le sue labbra si posarono sulle mie, prima dolcemente e poi sempre più impetuose, e la sua lingua sfiorò la mia ebbi l'assoluta certezza che lui aveva avuto ragione sin dall'inizio. Le stelle ci avevano portati l'uno dall'altra. Eravamo destinati a stare insieme o almeno ci speravo.
-Buonanotte Sirio- sorrisi ripensando a con quanta passione aveva parlato di quella stella poco fa. Il fatto che mi considerasse la sua Sirio mi fece tremare da capo a piedi tant'è che mi sfiorò le braccia con le mani e mi abbracciò per cercare di riscaldarmi.
-Ci sentiamo dopo Harmonie- quel nome... Uscito dalle sue labbra era semplicemente perfetto.
-Buonanotte Jake- arretrai senza smettere mai di guardarlo fin quando non diventò solo un puntino e corsi a casa solo per poter parlare di nuovo con lui tramite messaggi. Passammo tutta la notte a scriverci.
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