28
Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. William Shakespeare
Byron mi riaccompagnò a casa con la sua auto. Restammo in silenzio per tutto il tragitto, di pochi isolati, da casa Sunset alla nostra. Non ero arrabbiata con lui, perché avrei dovuto? Lui era stato uno dei pochi a provare rimorso e a raccontarmi di me e Jake, della nostra storia. Addirittura Stacy non ha avuto il coraggio di guardarmi negli occhi e dirmi la verità, per non parlare dei miei genitori... In più si aggiungeva il fatto di non aver ancora ricordato del tutto e quella si tramutava in una giornata da dimenticare.
-Grazie per tutto Byron- mi costrinsi a fargli un piccolo accenno di sorriso che lui ricambiò altrettanto forzatamente. Avevo altre mille domande da fargli, ma non in quel momento. Perché lì, in piedi sulla soglia della porta difronte a lui stavo per scoppiare e volevo essere sola quando sarebbe accaduto. I miei genitori non c'erano o sarebbero già comparsi, quindi avevo un po' di tempo per capire come affrontare la situazione con loro.
-Quel giorno...-stavo per chiudere la porta e lui stava per andarsene quando parlò con voce strozzata e lo sguardo fisso sul pavimento. In quel momento non sembrava affatto un marine che aveva combattuto per l'esercito americano, ma solo un ragazzo che aveva perso il suo migliore amico e che soffriva in silenzio senza che nessuno se ne accorgesse o lo consolasse. Avrei voluto abbracciarlo forte, come lui aveva fatto con me quel giorno, ma non ci riuscivo. Ero inchiodata con i piedi a terra e gli occhi che bruciavano, una mano sulla maniglia della porta le cui nocche erano diventate bianche per la presa ferrea.
-Quando i tuoi ti hanno portato dallo psicologo- prese un altro lungo respiro e poi mi guardò. Con tutta la colpa e il rammarico che erano possibili provare per una sola persona.
-Ti trovai al molo durante un temporale. L'attimo prima sembrava stessi parlando con qualcuno, con lui, continuavi a chiedergli perché ti avesse lasciata e l'attimo successivo... Eri a terra, priva di sensi. Mi spaventai a morte quindi ti riportai di corsa a casa- strano che di tutte le cose che aveva detto mi fossi soffermata sul dettaglio del temporale. Anche quel giorno il cielo era grigio e nuvolo, in sintonia con il mio umore.
-Se hai bisogno di qualcosa chiamami. Sarò in licenza fino alla fine dell'estate- ovvero fino alla prossima settimana. Lo salutai ancora e poi chiusi la porta chiudendo fuori tutto il resto. Andai in camera mia con gli occhi già velati di lacrime. Mandai un messaggio a Stacy, la mia supposta migliore amica, e le chiese perché mi avesse mentito.
Mi librai della mia maglietta e indossai quella di Jake, quasi il doppio di me, ma con il suo profumo. Mi persi in quell'odore sognando il suo tocco, ma non sentendolo davvero perché io non ricordavo come fosse. Andai verso il portagioie sula mia scrivania, dietro vi era il disegno delle note musicali e dell'universo, uno immerso nell'altro. Presi il disegno e poi aprii la minuscola scatola di legno e in bella mostra trovai l'anello che mi aveva regalato Jake il Natale passato.
Lo capii perché era l'unico che non avessi comprato io e poi quell'oggetto, quel natale, lo ricordavo. Un po' sfocato, ma lo ricordavo bene. Trattenendo il respiro e chiudendo gli occhi mi infilai l'anello all'anulare destro immaginando che fosse Jake a farlo, sperando di poter sentire il suo tocco anche solo per un attimo, ma senza risultati. Recuperai la scatola che mi aveva mostrato Stacy solo quella mattina e, sedendomi sul letto, la svuotai di nuovo. Quella volta consapevole di ciò che si trovava all'interno.
Sfiorai il microfono con le dita trattenendo i singhiozzi, ma non potendo evitare che una lacrima bagnasse la S che era incisa sopra in brillantini. Lo strinsi al petto insieme al disegno, alla collana e anche all'anello. Tutto ciò che mi aveva regalato mi dava modo di respirare seppur per un breve attimo.
Toccai il suo profumo mezzo vuoto e lo spruzzai nell'aria assorbendolo sulla mia pelle. Volevo sentirlo vicino, con me, mentre mi sfiorava come faceva nei pochi ricordi che avevo di noi due insieme. Ma non sentivo nulla. Mi avevano portato vi una parte fondamentale di me e non ero sicura che sarei riuscita ad andare avanti se non l'avessi recuperata. Mi faceva fremere di rabbia sapere che, a causa delle decisioni sbagliate di altre persone, ero io a pagarne il prezzo. Ero io a rischiare tutto. Ero io che avevo perso la vita nello stesso istante in cui mi avevano fatto dimenticare tutto. Un messaggio di Stacy mi riscosse temporaneamente dal mio stato di tristezza.
Sis: Mi dispiace avrei voluto dirtelo, ma non sapevo come fare... Ci sono le vostre foto sul tuo telefono in una cartella nascosta in galleria... Mi dispiace tanto Delia
Io: Già anche a me
Chiusi in fretta quella conversazione per cui non ero ancora pronta e andai in galleria in cerca di quella cartella. Migliaia e migliaia di foto che ritraevano me e Jake mi invasero il cellulare. Partii da quelle in basso, eravamo entrambi più piccoli di tre anni, ma quelle foto avevano prevalentemente come sfondo il molo. Poi noi sotto le stelle, noi al planetario... Ricordavo quel planetario, ero stata senza parole quando mi ci aveva portata. In quel momento capii di amarlo alla follia. Noi sui go kart, noi su un aereo, noi a mare... Quelle erano foto che non ricordavo invece. Erano momenti che non sentivo miei ed era orribile essere come un'estranea nella propria vita.
Andando avanti c'erano foto di noi al college, a Natale, al MET. E poi ancora noi alla NASA su una navicella, il mio regalo di compleanno per lui, a Los Angeles. Tutta la nostra storia era riversata nel mio telefono e io neppure lo sapevo. Stavo ancora scorrendo le immagini sorridendo di tanto in tanto nel vedere il modo in cui Jake mi guardava quando scattavo e il modo in cui io lo guardavo, i nostri baci, i nostri abbracci... Stavo tramando e non era per il freddo.
-Tesoro che succede?- alla mamma bastò dare un'occhiata alla scatola accanto a me sul letto, a tutti gli oggetti che avevo in grembo e alla maglia che indossavo per sgranare gli occhi e fare un passo indietro mentre si rendeva conto che io sapevo. Quella fu l'ennesima prova del suo inganno, nonostante lo sapessi avevo sperato fino all'ultimo che non fosse vero. Perché non poteva esserlo...
-Come avete potuto?- fu l'unica domanda che riuscii a fare in un debole sussurro mentre l'ultima lacrima che mi sarei concessa durante quella conversazione mi bagnava la guancia.
-Non so di cosa...- a quel patetico tentativo di inganno mi alzai furiosa lasciando tutti i regali del mio ragazzo sul letto.
-Sai a che mi riferisco. Abbi ameno la decenza di essere onesta con me ora che lo so- la tristezza aveva lasciato posto alla rabbia e io volevo soltanto rompere ogni cosa che mi capitasse a tiro nella speranza di sentirmi un po' meglio, ma avrei dovuto accontentarmi di urlare contro la persona che più avrebbe dovuto prendersi cura di me. Mia madre.
-Lo abbiamo fatto per te Delia. Eri un cadavere in vita, non uscivi più, non ci parlavi. Allontanavi chiunque-
-Non osare nemmeno per un secondo cercare di farmi credere di averlo fatto per me perché non è così- sbottai puntandole un indice contro. Avevo sempre portato rispetto ai miei genitori, ma in quel momento non ricocevo poi la donna che avevo difronte. Non era mi madre, lei non mi avrebbe mai fatto una cosa simile.
- Non parlarmi così. Sono ancora tua madre e ti ho cresciuta in modo diverso-
-Tu non sei mia madre! Io non ti conosco! Lo avete fatto per voi e lo sai- la voce bassa e tagliente, il tono gelido, dovettero farle capire quanto fossi incazzata perché sussultò impercettibilmente prima di riprendere il controllo di sé stessa.
-Avevi bisogno di voltare pagina, di un nuovo inizio- fui a tanto così dal saltarle addosso, ma mi contenni stringendo le mani a pugno contro i fianchi e facendo un lungo respiro prima di inchiodarla con lo sguardo sul posto.
-Sì, ma a modo mio!- il tono calmo andò al diavolo e iniziai ad urlarle contro. Ogni volta che apriva bocca per giustificarsi un po' più forte. Dopo un po' arrivò anche mio padre dal lavoro e, allarmato dalle urla, corse in camera mia. Quando capì che sapevo ebbe la decenza di starsene zitto al contrario di sua moglie.
-Non avete cancellato il dolore ma solo nascosto- dissi guardando entrambi con la voce carica di emozioni e sul punto di implodere se non fossi andata via di lì in quel momento. Per quel motivo iniziai a riassettare tutti gli oggetti sul letto e a rimetterli a posto nella scatola, compreso il disegno di Jake.
-Credete di aver riempito quel vuoto che sentivo? Credete davvero di avermi salvata?- il mio tono era più sarcastico di quanto lo fosse mai stato, gli occhi che bruciavano di lacrime e di rabbia repressa per quella situazione. Poggiai la scatola sulla mia scrivania dando loro le spalle e parlai a bassa voce, ad un tratto completamente priva di energie.
-No. Mi avete distrutta ancora di più. Avete reso un momento già difficile ancora più impossibile. Di notte avevo dei ricordi di me e Jake poi quando mi svegliavo nel buio non riuscivo a ricordare nulla. Mi stringevo al petto il suo disegno, senza sapere il perché, e piangevo disperata. Non riuscivo a capire cosa avessi- ripensare a quei primi momenti in cui avevo seriamente creduto che qualcosa in me non andasse mi fece fremere ancora di più facendomi voltare verso di loro, un'ultima volta.
-Voi mi avete tolto il diritto di soffrire, in buona fede certo, ma ora sto solo peggio...- senza aggiungere altro andai verso la porta, verso di loro, senza degnarli di uno sguardo e li superai senza neppure sfiorarli. Non volevo avere più nulla a che fare con loro. Volevo solo andare al molo e ricordare il mio fidanzato e piangere ciò che avevo perduto, come avrei dovuto fare per tutto quel tempo invece di soffrire senza saperne il motivo.
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