27
Le persone non muoiono immediatamente, ma rimangono immerse in una sorta di aura di vita che non ha alcuna relazione con la vera immortalità, ma attraverso le quali continuano ad occupare i nostri pensieri nello stesso modo di quando erano vivi.
Marcel Proust
Era inquietante rendersi conto che a volte c'erano persone che conoscevano la tua vita meglio di te. Byron era una di quelle. Mi aveva raccontato tutta la mia storia con Jake, il suo migliore amico, il mio ragazzo e ad ogni cosa avevo sentito che era sincero, avevo visto davanti agli occhi quelle stesse scene descritte da lui per poi dimenticarle dubito dopo. Non riuscivo a capire come fosse possibile dimenticare qualcuno che si era amato tanto. Forse era per quello che io, in realtà, non avevo dimenticato Jake. Ma lo avevo custodito gelosamente nel cuore.
Tutto ciò che avevamo passato, che avevamo fatto l'uno per l'altra... Era la storia d'amore che avevo sempre voluto. Romantica, passionale, rigenerante, solo nostra e di nessun altro. Un amore in grado di bruciarci dall'interno e dare fuoco a tutto nel raggio di chilometri. Volevo ciò che avevo avuto, ma che non ricordavo. Ciò che gli altri conoscevano meglio di me al momento. Ciononostante, mettendo da parte tutto il dolore e le lacrime, ero contenta di aver scoperto finalmente di non essere pazza, ma di essere semplicemente innamorata di un ragazzo splendido che mi aveva ricambiata per tutta la sua vita.
-Voglio vederli- fu la prima cosa che dissi dopo attimi interminabili di un silenzio che stava schiacciando entrambi ma per ragioni diverse.
-Portami dalla sua famiglia. Ho bisogno di andare da loro- incredibilmente la mia voce restò calma, non si incrinò, non si spezzò, non tremò, ma io conoscevo la verità. Sarei crollata. Di lì a poco sarei crollata in lacrime per la vita che avevo perso e che non sapevo se l'avrei ricordata completamente un giorno. Volevo approfittare di quegli ultimi istanti di calma per vedere i Sunset. Io avevo perso qualcuno di importante, ma loro avevano perso un fratello e un figlio.
Non immaginavo come sarebbero potuti stare, ma di certo non mi ero aspettata della musica udibile sin dal pianerottolo della casa. PJ Morton - Don't Let Go risuonava all'infinito anche quando Byron suonò il campanello e una donna ci venne ad aprire. Era una musica lieve, di sottofondo, ma mi struggeva l'anima ascoltarla. Non quanto la reazione della donna al vedermi in piedi, fuori casa sua, in attesa che dicesse qualsiasi cosa però. Gli occhi sbarrati, le labbra tremolanti e un fiume di lacrime che le riempirono gli occhi. poi, di colpo, si protese verso di me e mi abbracciò. Mi sembrò così familiare il suo tocco e pensai che nel corso degli anni dovetti averla abbracciata un'infinità di volte, per quello era così accogliente. Così caloroso e giusto.
Separandosi da me, ma senza lasciarmi andare del tutto, ci fece cenno di accomodarci all'interno. Casa sua era simile alla mia, salotto all'entrata, cucina sulla sinistra invece che sulla destra come da me, a destra il corridoio che portava alle camere. Ci sistemammo in salotto, sul divano davanti il quale un tavolino era pieno zeppo di fotografie. Mi bastò prenderne una e riconoscere il viso di Jake che tanto avevo sognato per arrivare al limite ed essere sul punto delle lacrime.
-Come fa ad andare avanti signora Sunset? Io non ricordo neppure tutto eppure mi sembra di non riuscire a respirare a causa del peso sul petto che porto e lei invece...- serrai gli occhi e chiusi la bocca il un linea retta cercando di tenere a bada le emozioni. La foto di un Jake sorridente ancora in mano per darmi la forza di affrontare tutto. Tuttavia fu la mano di sua madre che si poggiò sulla mia a farmi aprire di nuovo gli occhi.
-Credi che Jake avesse voluto vedermi triste e piangere tutto il giorno rannicchiata in un angolo? No e non vorrebbe neppure che lo facessi tu- il sorriso che mi rivolse, quello di una madre lacerata dal dolore, mi devastò completamente. Io ero lì senza alcun diritto a chiederle come fare per andare avanti quando anche lei stava cercando di fare del suo meglio per scoprirlo. Byron ormai non esisteva più per me, ero completamente concentrata sulla donna sedutami accanto che cercava di darmi conforto, quando avrei dovuto essere io a darlo a lei.
-Non lo ricordo, non del tutto almeno. Credo di aver avuto un'incidente, forse ero in macchina con lui non so... Comunque ho un'amnesia quindi non posso proprio dire cos'è che volesse Jake. Cosa lo rendesse felice ma so, lo sento...- portandomi una mano sul petto cercai di enfatizzare quanto più possibile il concetto.
-Che un tempo ha reso me felice. È l'unica cosa di cui sono certa. Dell'amore che sento ancora per lui nonostante non sappia bene chi sia e del suo amore per me. incondizionato fino alla fine- sostenere il suo sguardo diventò presto difficile così rivolsi la mia attenzione alle foto sparpagliate un po' ovunque. Jake da piccolo. Jake da neonato in fasce. Jake al liceo. Jake al suo ultimo ballo con... Presi la foto, il respiro fermato in gola. Me. Jake e io in posa, in abiti eleganti, sorridenti mentre ci guardavamo a vicenda negli occhi pieni d'amore. Sapevo che stavamo andando al ballo perché ricordavo quel vestito e tutti i negozi che avevo girato con Stacy per trovarlo, ma non ricordavo di esserci andata con lui. in realtà non ricordavo di esserci affatto andata.
-Che storie ti hanno mai raccontato piccola? Tu non hai avuto un'incidente e neppure un'amnesia. Non ero d'accordo con la loro decisione, ma era già cosa fatta e poi sei figlia loro, non mia. Loro possono decidere ciò che vogliono per te. Ma sapevo che ti saresti ricordata del mio bambino. Eravate troppo presi l'uno dall'altra perché potessi dimenticarlo in quel modo- quando la signora Sunset parlò alzai a fatica lo sguardo verso di lei, distogliendolo dalla foto. Non avevo capito neppure la metà di quanto aveva detto. Non ci capivo più niente da un po' ormai.
-Se non ho un'amnesia allora che cos'ho?- e così lo scoprii. Scoprii tutto. Di come tutti mi avevano ingannato. I miei genitori, lo psicologo, Stacy... Addirittura Byron che mi aveva raccontato ogni cosa per ore, poco tempo prima, aveva omesso quel dettaglio. Solo la signora Sunset fu onestà e mi spiegò di come i miei, ricorrendo all'ipnosi, mi avessero costretta a dimenticare perché non facevo altro che piangere in camera mia. Cos'avrei dovuto fare dopo la morte del mio ragazzo? Ballare forse? Così sarebbero stati contenti?
-Mi hanno portato via i ricordi...- finalmente realizzai, gli occhi sgranati che non trattavano più le lacrime, in mano la foto che mi assicurava chi stesse dicendo il vero e chi no.
-Mi hanno privato del mio dolore e dell'unica cosa in grado di lenirlo- in quel momento, mentre stavo sprofondando nel divano della famiglia Sunset, il volto rigato di lacrime, immaginai Jake venire verso di me, alle mie spalle e abbracciarmi, tenermi forte a lui mentre piangevo. Volvo lui per stare meglio. Avevo bisogno di lui per stare meglio, perché mi consolasse. Lui era l'unico in grado di farlo e non c'era. L'unica persona che sarebbe dovuta restare in vita ancora a lungo, per cent'anni e di più non c'era. Era morta... Perché le stelle avevano voluto che questa fosse la sua fine?
-Ma non ti hanno portato via il cuore. È lì che risiede la memoria più importante. È per questo che ti sei ricordata di Jake nonostante tutto- alzando il viso verso la donna che mi stava tendendo una mano la vidi piangere lacrime silenziose, con un sorriso triste sulle labbra. Cercando di far star bene me quando avrebbe dovuto essere il contrario.
-Io ancora non ricordo tutto... E se non dovessi mai ricordarlo? Io voglio ricordarlo, ho bisogno del suo ricordo per andare avanti altrimenti non ho davvero più nulla a trattenermi qui- senza la consapevolezza del fatto che vedendomi triste avrebbe fatto di tutto per sollevarmi il morale, per farmi ridere e smetterla di piangere, senza la consapevolezza di lui. La certezza della sua presenza nella mia vita, di tutto ciò che avevamo passato e Byron mi aveva raccontato, come sarei riuscita a superarla? Come avrei guardato ancora in faccia i miei genitori dopo quello? Be' non potevo. E l'unica buona notizia della giornata era che non ero costretta a farlo per il resto della settimana aspettando la fine dell'estate. Sarei potuta tornare a Washington dopo averli affrontati, ma non volevo lasciare quel posto, i nostri ricordi che speravo con tutto il cuore di recuperare, il nostro molo, lui. Non volevo lasciare lui indietro. Non volevo lasciarlo, punto.
-Ricorderai. Il solo fatto che tu non lo abbia davvero dimenticato ne è una prova concreta, non credi?- non sapevo più cosa credere a quel punto. Chi avrebbe dovuto amarmi e sostenermi mi aveva pugnalata alle spalle perché non era d'accordo con il mio modo di affrontare il dolore.
-Di là c'è l'altra mia figlia, la sorella maggiore di Jake, Violet e sta per partire. Un tempo andavate molto d'accordo, magari vuoi parlare con lei?- annuii debolmente perché, che male poteva farmi? Di certo non poteva andare peggio di così.
Non appena me la trovai davanti sprazzi di momenti passati con lei e suo fratello mi tornarono alla mente. Noi tre in quella stessa camera, nella camera di Jake, per strada mentre uscivamo insieme in estate, l'unico momento tranne le vacanze natalizie in cui i due Sunset tornavano a casa dalle loro famiglie. Violet lasciò cadere i vestiti che stava posando in valigia sul letto e mi si buttò addosso ancor prima che me ne rendessi conto. La sentii tirare su col naso e poi stringermi più forte fin quando non ricambiai l'abbraccio e le lacrime.
Senza che le chiedessi nulla mi portò nella stanza adiacente quella che riconobbi subito essere la stanza di Jake. Con foto nostre incorniciate ovunque, ma con metà del suo armadio svuotato.
-Hai preso tu quasi tutte le sue felpe, il suo profumo che era il tuo preferito e anche un altro paio di cose. Il resto non lo ha toccato nessuno, neppure la mamma. Dice che questa stanza resterà così fino alla sua morte- sorridemmo entrambe prima di sederci sul bordo del letto.
-Lui ti amava davvero sai? Moltissimo. Non dubitarne mai. Probabilmente ti ama ancora, anzi ne sono sicura. Da là su continua ad amarti nonostante adesso sia circondato dalle stelle e dall'universo a ci tanto aspirava-
Anch'io lo amo ancora avrei voluto risponderle, ma non ci riuscivo. Il groppo in gola era diventato troppo grande per poter parlare in quel momento.
-Tu gli hai regalato tutto. Gli hai regalato lo spazio per il suo compleanno. Ti chiamava Sirio così spesso che ho iniziato a credere che avesse dimenticato il tuo vero nome, ma poi ti chiamava Harmonie solo per sbattermelo in faccia. In quel modo così tenero... Tu hai reso felice mio fratello più di chiunque altro e io ti ringrazio per questo- nell'aria avvertivo ancora il suo profumo. Lo vedevo ancora sdraiato a letto quando facevo irruzione qui perché non volevo aspettare altro tempo per vederlo. In questa camera abbai avuto la nostra prima volta... Abbiamo vissuto insieme. le parole di Byron presero finalmente forma nella mia testa dandomi delle immagini chiare a cui aggrapparmi. Ricordi di noi a cui sostenermi.
-Il modo in cui vi guardavate... Ero invidiosa di quegli sguardi, come se esistesse solo voi due nella stanza, in tutto il mondo. Eravate la coppia perfetta e tutti sapevamo che mio fratello ti avrebbe sposata un giorno. Ti aveva addirittura fatto una pseudo-proposta il natale scorso- me lo ricordavo. Ricordavo quel Natale. Il modo in cui eravamo stati uniti, il concerto di Tini che mi aveva regalato, l'anello... E poi abbiamo sprecato due settimane della nostra vita separati. Sarebbe potuto succedere allora. Senza che ci fossimo chiariti o tornati insieme. Se fosse stato così ero più che certa che non l'avrei superata davvero. Tre anni. Erano passati solo tre anni dal nostro primo incontro. Non avevamo avuto abbastanza tempo e mi avrebbe tormentato per sempre saperlo, ma almeno era successo. Almeno avevo potuto conoscere l'uomo più strabiliante che fosse mai esistito per me.
-Non faceva altro che raccontarci della sua splendida e straordinaria ragazza, sin dal primo incontro-
-Non lo avevo mai visto così felice fin quando non sei apparsa tu- una voce profonda maschile mi costrinse ad alzare gli occhi verso la porta. Quello che supponevo essere il padre di Jake della ragazza seduta ancora accanto a me sorrideva debolmente.
-Suonava di più, cantava di più, componeva di più... Era di più. Era diventato l'uomo che sapevo sarebbe diventato un girono- non ebbi neppure la forza di ringraziarlo come avrei dovuto. Solo un debole cenno del capo e una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso riuscii a riservargli prima di salutare sia lui, che doveva accompagnare la figlia in aeroporto, che Violet.
Non ancora pronta a tornare a casa mia tornai in salotto, sul divano, dalla signora Sunset e Byron. I due stavano raccontando storielle divertenti su Jake e io rimasi lì, rannicchiata ad ascoltare e a piangere per ogni foto che la madre del mio defunto ragazzo mi passava. Ad un certo punto mi consegnò una scatola con tutte le foto che mi ritraevano con suo figlio. In cima a tutto quella di noi due fuori al MET di New York e subito dopo la foto dello scorso Natale. Il momento in cui Jake mi infilò l'anello all'anulare destro promettendomi che un giorno mi avrebbe fatto la proposta dei miei sogni. In quel momento capii che la proposta dei miei sogni sarebbe stata qualsiasi cosa che avesse fatto lui. Mi sarebbe bastato che mi chiedesse di sposarlo mentre eravamo seduti sul divano del nostro appartamento a Washington mentre guardavamo la TV e lui mi massaggiava le gambe o la schiena. Sarebbe stata perfetta perché sarebbe stata lui a farmela, ma non sarebbe più potuto accadere ormai. Piansi ancora più forte quando mi resi conto di tutto ciò che non avremmo potuto fare. Sposarci, formare una famiglia adottando dei bambini, avere dei cani, una casa con la staccionata bianca e un giardino, essere felici, essere insieme per più di cinquant'anni e neppure allora sarebbe bastato, ma almeno avremmo vissuto a pieno la nostra vita insieme, invece non sarebbe stato possibile...
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