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Inghilterra, 1852

Passò un'eternità. Giorni, settimane... non lo seppi mai finché non uscii da lì.Ogni giorno la mia razione di cibo era sempre peggio, sempre meno o sempre più avariata. Avevo freddo, tanto freddo. Perdevo conoscenza per poi riprenderla a tratti. L'unica via di fuga era il sonno, quel dolce cullare che mi dava un po' di tregua. Mi rendevo conto del passare dei giorni quando veniva la cuoca a darmi gli avanzi del pranzo dei camerieri a cui mi aggrappavo come se fossero l'unica salvezza. Di tanto in tanto veniva anche mia madre a trovarmi. Quando ero fortunata avevo solo urla contro, altre volte la fortuna non era proprio dalla mia parte. Uno di quei giorni venne a trovarmi tenendo in mano un bastone di legno, di quelli che si usano negli orti per le più disparate funzioni. Mi ricordo ancora che mi picchiò così forte da perdere quasi immediatamente conoscenza. La cosa peggiore era che io, nonostante la debolezza e la fatica, le combattevo contro, cercavo in ogni modo di non farmi colpire, di strapparle di mano l'oggetto così da usarlo contro di lei, ma aveva sempre la meglio.

Si aprì la porta di colpo e mi coprii gli occhi per proteggermi dalla luce. Mi sentivo come un topo di fogna, sporca e avvizzita dal buio in quello scantinato umido e abbandonato dalla pietà e dall'amore di Dio. -Forza esci, è arrivato il principe per vederti.- Mi alzai su a fatica, sulle mie gambe che ogni giorno diventavano sempre più esili e deboli. Mi poggiai al corrimano e con lentezza infinita salii le scale. Venni presa in cura da una cameriera che si occupò di lavarmi. Mentre mi faceva il bagno un'altra si occupava di sistemarmi con cura le unghie incrostate di sporcizia. Vedevo il senso di colpa nei loro occhi, vedevo i loro sguardi muti e colpevoli, eppure tanto io quanto loro sapevamo che ogni passo falso, in quella casa, sarebbe stato scoperto. -Tenete.- Sussurrò d'un soffio la ragazza davanti a me che aveva finito con le mie mani. La guardai tirare fuori dalla tasca della gonna nera un fazzollettino con due biscotti. Sentii un fruscio e la porta del bagno chiudersi, poi la stanza divenne scura quando vennero tirate le tende e usate un paio di candele pee illuminare. Anche l'altra cameriera mi si fece vicina e mi porse un paninetto, raffermo del giorno prima, con un quadretto di cioccolata. Mi commossi quando vidi quei gesti così gentili, si erano levate letteralmente il cibo di bocca per aiutarmi. Le ringraziai con un cenno del capo e mangiai lentamente il cibo, con il gusto mischiato al sapore delle lacrime.
Chissà che sapore ha la libertà.

-Mia cara, che bello vedervi.- Il principe si voltò e mi venne incontro sfoggiando un sorriso magnifico, non vacillò mai ma vidi i suoi occhi avere un sussulto non appena mi si fece vicino. La porta si chiuse alle mie spalle, eravamo soli. Ma non lo eravamo mai per davvero in quella casa.
Mentre mi avevano vestita, con un abito verde scialbo, ma l'unico abbastanza accollato per coprire i segni delle violenze quotidiane, avevo dato un veloce e fugace sguardo alla mia figura nello specchio. Non ero mai stata così orrida come in quel periodo. I capelli spenti acconciati in modo da renderli graziosi, la pelle pallida e con un colorito tendente al grigio per la mancanza di vitamine e del caldo tepore del sole, le mani nodose, le labbra screpolate, le occhiaie, la postura ingobbita sistemata solo dal bustino che non aveva più nulla da stringere. Gli feci un fiocco inchino e sorrisi mesta. -Che piacere vedervi, perdonatemi il ritardo ma ero a riposare.-
-Non preoccupatevi, anzi scusatemi voi per avermi interrotta.- Mi prese una mano con delicatezza. La strinse tra i suoi palmi forti e caldi.
-Vi va di fare una passeggiata?- Proposi di slancio, l'ultima volta che ero uscita era stato per incontrarlo era autunno, ma il tempo permetteva ancora di fare qualche breve passeggiata nel pomeriggio.
-Mia cara sono venuto a farvi gli Auguri di Buon Compleanno, ieri era il 21 Novembre. Perdonatemi se non sono riuscito a passare nel giorno preciso-Novembre? Era veramente passato tutto quel tempo? Guardai fuori dalla finestra per vedere il giardino coperto di neve. Poggiai una mano contro il vetro mentre il mio respiro formava un lieve velo di condensa. Strinsi forte gli occhi per poi voltarmi verso di lui cercando di fargli il miglior sorriso del mondo.
-Oh sì,avete proprio ragione. Perdonatemi, sono molto fra le nuvole ultimamente. Vi ringrazio per la visita e non preoccupatevi, va bene anche così.- Tornai verso di lui e gli feci cenno di sedersi sul divano.
-Accomodatevi, posso offrirvi del brandy o qualche sigaro?-
-No, sedetevi vicino a me.- Annuii e mi misi seduta vicino a lui, ero tesa e rigida. Era stato il mio compleanno e non lo sapevo, avevo finalmente compiuto diciotto anni eppure mi sembrava di averne ancora undici. Non credevo, però, al fatto che fosse venuto lì per gli auguri.
-Mio padre mi ha mandato a vedere come stavate, speravamo di vedervi al ballo a cui vi avevo invitata ma vostra madre aveva risposto dicendo che la vostra salute non era delle migliori.- Annuisco piano. -Purtroppo l'inverno non è mai a mio favore.-
-Non avete neanche risposto alle mie lettere, non vi sono arrivate per caso per colpa del postino?- Feci cenno di No con il capo, mentre sentivo la sua mano tirarmi su delicatamente la manica dell'abito.
Il mio polso era sottile e l'avambraccio magro e scarno; coperto di profondi graffi e lividi. Mi divincolai dalla sua presa senza successo. Mi fece voltare e sbottonò piano il retro del mio abito. Trattenni il respiro e lo sentii irrigidirsi. Con le dita percorse lentamente i dossi della mia spina dorsale che spuntavano come catene montuose. Morsi forte il labbro inferiore quando passò lievemente i polpastrelli sui lividi neri, come la pece. Riallacciò velocemente l'abito e si alzò. -Vi aiuterò nella vostra guarigione, vi farò avere il miglior dottore del paese.- -No.- Lo presi per la giacca guardandolo con determinazione. -Non è la vostra battaglia, è la mia.- Prese la mia mano staccandola dal suo abito.
-Non vi lascerò qui. Tra pochi giorni vi farò avere una lettera così che possiate venire da me a vedere il vostro regalo di compleanno.-

Quando il principe se ne fu andato, mi ritrovai da sola nel salottino da ricevimento. Rimasi immobile come una statua per quella che sembrò l'eternità. Non volevo fare nessun passo falso, nessun gesto che potesse far arrabbiare i miei genitori ancora di più. La porta sbattè e mia madre entrò come una furia. -Tu.- Mi indicò con il dito. -Lo so che stai combinando, tu vuoi uccidermi.- I suoi occhi erano iniettati di sangue, l'alito le puzzava di alcol e fumo. Probabilmente aveva anche fatto uso di qualche droga, droga che per procurarla ci aveva mandati sull'astrico.
-Ma no madre... non mi sognerei mai di fare una cosa simile.-
-Stai zitta lurida bugiarda, oggi sono 3 anni che è morto tuo fratello. Sono tre anni che festeggio il Natale senza di lui, senza sua moglie e senza il nostro nipotino. Tutto questo per una troia come te, ma adesso avrai ciò che una troia merita.-
Mi prese nuovamente per i capelli e mi trascinò verso lo scantinato.
-Basta! Ora basta!- Con forza le picchiai la mano per farmi lasciare andare via. Non ne potevo più, nonostante tutto non riuscivo a non combattere e a farmi valere. Mi sentii scaraventare in avanti contro qualcosa di caldo e duro. Aprii gli occhi e mi vidi davanti a me due uomini, sporchi, grezzi, probabilmente di campagna, con uno sguardo che ancora a ripensarci mi si gela il sangue.
-Mi raccomando, non fate da davanti che mi serve quando si sposerà. Per il resto potete fare come volete.- Quelle mani luride mi afferrarono e mi trascinarono giù, giù nello scantinato che divenne ancor più il mio peggior incubo dopo quel giorno. Scalciavo e urlavo, mi dimenavo e piangevo, piangevo terrorizzata da quello che mi aspettava. Mi sbracciavo verso mia madre.
-Mamma ti prego! Non farmi questi! Mamma!-  La porta si chiuse davanti alla mia faccia. L'ultima cosa che vidi fu il suo sguardo vuoto.
Dopo fu solo dolore.

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