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3

Inghilterra, 1852.

Mi leccai le labbra non appena la cena venne servita. Con lentezza portai il cibo alla bocca assaporandolo con gusto.Era da tanto che non mangiavo un buon piatto di arrosto con tutti i contorni che gli si addicevano.
-Il cibo è di vostro gradimento?-Sorrisi al principe che si era avvicinato al mio orecchio.
-Ma certo, è tutto squisito.-
-Ne sono felice, sembrate proprio aver bisogno di un buon pasto.-
Ridacchiai appena per poi bere un sorso di vino.
-Sono così di natura, piccina e magra.-
-Beh questo vi rende molto aggraziata, non trovate?-
Bevvi di nuovo per poi smettere dopo aver ricevuto lo sguardo severo di mia madre.
-Avete ragione ma dalla mia prospettiva sembra sempre di vivere in un mondo troppo alto e grande.-
Il principe mi sorrise divertito per poi tornare al suo pasto.I miei genitori mi guardarono soddisfatti perché sembrava che io avessi catturato l'attenzione del principe. Ma la mia attenzione non era rivolta totalmente al principe o ai miei, ma piuttosto da quella tavola imbandita. Tutte quelle leccornie che non avevo più mangiato da quando il mio matrimonio andò a monte. Buffo pensare come le idee, per quanto malsane, altrui potessero poi avere un effetto così disastroso su di un'altra persona. E' come se lo sbattere d'ali di una farfalla in Giappone, potesse provocare un terremoto in Inghilterra. Cercai di tenere a freno la mia ingordigia prendendo poche porzioni di tutto. Assaporavo lentamente ogni boccone cercando nella mia mente il sapore di ogni spezia che le mie papille gustative percepivano.
-Allora cara Eugenie, quali sono le vostre passioni?-
Alzai lo sguardo dal mio piatto rivolgendolo al Re che mi aveva appena parlato. Deglutii a fatica da tanto ero in soggezione ma ero stata addestrata da tutta la vita per questo genere di eventi.
-Disegno, canto, so suonare pianoforte ed arpa perfettamente.- Risposi fluidamente ma lui non parve convinto.
-Suvvia cara, non mi mentire. Presto sarai di famiglia.- Mi mossi nervosamente sulla sedia. Non sapevo che fare ma tanto la mia vita non poteva diventare peggiore di quanto già non fosse. -Astronomia e fisica. Sono molto curiosa di queste cose, spesso mi diletto anche a risolvere problemi applicati. So che non sono materie che si addicono a una sig..- Lui mi interruppe e batté le mani estasiato.
-Ottimo! Sapevo che eravate di una mente brillante.- Sentii le mie guance avvampare.
-Figliolo dopo accompagnala nella nostra biblioteca e prestale qualcuno di quei libri che ci sono arrivati nuovi.-
-Ma con piacere.- Il principe mi sorrise di sottecchi. Sentii il mio cuore riempirsi di gioia. Possibile che finalmente avevo trovato che sembra essere veramente interessato a me? Quando arrivarono i dolci sulla tavola, il mio sorriso si allargò ancora di più. Era un sogno.


Sorrisi timida al principe mentre il maggiordomo mi aiutava nel mio intento di rimettere il cappotto. Anche se sapevo che il suo cuore non mi apparteneva e che mai mi sarebbe appartenuto, passare la serata con lui era stato delizioso come bere una fresca limonata in una calda giornata estiva. Non avrei mai voluto andare via di lì, un po' per paura di ciò che mi attendeva a casa un po' per la mia anima viziata che pretendeva un po' di comodità. -Ci vediamo presto, mia signora.- Il principe prese delicatamente la mia mano per poi avvicinarla alla bocca e lasciarvi sopra un delicato bacio. Arrossii in preda all'imbarazzo più totale.Feci una lieve riverenza e gli rivolsi uno sguardo tenero prima di salire in carrozza dopo che i miei genitori ebbero finito di scambiare tutti i convenevoli richiesti.Il cocchiere chiuse lo sportello e immediatamente l'ansia attanagliò le mie viscere. Odiavo dover stare in un ambiente così ristretto con i miei, ma non avevo altre scelte.
-Il principe sembra conquistato da te, forse per una volta sei riuscita a fare il tuo dovere.-
Sorrisi rincuorata da quelle parole mentre sbattevo le lunghe ciglia.
-Oh, è una persona magnifica, grazie per aver combinato con lui il mio matrimonio.- Li guardai con occhi sognanti, lui era veramente una bellissima persona ma il mio volere era solo quello di scappare da quel buco infernale di casa. Mia madre, tutta compiaciuta e impettita dalle mie parole, sorrise mesta a mio padre.
-Bene bene, così almeno poi potremmo finalmente accomodarti. Chi si sarebbe mai aspettato che quelle stupidaggini che leggi si sarebbero rivelate utili.- Li sentii parlottare ma decisi di restare in silenzio in angolo. Se vi era una cosa che avevo imparato negli anni era quello di calibrare a pieno le mie parole e i miei interventi nei vari discorsi. Una parola di troppo e mi sarei ritrovata in guai seri. Mi dava fastidio che stessero denigrando le cose che amavo di più al mondo, ma se quello era il prezzo da pagare per avere un fazzoletto di serenità ero più che disposta. La carrozza si arrestò quando arrivammo a casa e sentivo il nervosismo rodermi dentro. Magari sarei stata abbastanza fortunata da dormire nel mio comodo letto. Sognavo così avidamente quel materasso morbido e le mie coperte profumate. E poi non vedevo l'ora di immergere il naso nei nuovi libri che mi avevano prestato. Ero così contenta di poter approfondire le mie conoscenze in materia. Quando eravamo andati nella biblioteca lui era rimasto cauto al mio fianco mentre io passavo le mie dita sulle copertine dei libri. Che belli che erano, finemente rilegati e con incisioni dorate. Non avevamo parlato molto, qualche convenevole ma io ero troppo distratta da quell'immensa biblioteca e dal suo contenuto.
-Comunque ti mettiamo a dieta. Pensi che non abbiam notato il modo in cui ti sei rimpinzata sta sera? Non va bene, stai mettendo su grasso.- Quelle parole mi ridestarono, ero entrata in casa ma non me ne ero accorta da quanto fossi sovrappensiero.
-Grasso? Quale grasso?- Mi morsi la lingua non appena dissi quelle poche parole. Addio sogni di gloria.
-Non osare rispondermi. Quello che diciamo noi è legge. Ora fila su.-
-Madre per favore...perdonatemi non volevo... vorrei dormire nel mio letto per questa notte.- Mi abbassai a supplicarla. Tutta la servitù era lì a guardare ma avevano l'ordine espresso di non intervenire mai né di aiutarmi. Mia madre si fece una grossa risata, facendo riecheggiare la sua malignità per tutte le stanze della nostra scura e spoglia dimora.
-Non esiste. Sei la vergogna di questa famiglia e meriti di vivere come una bestia.- Mi prese per i capelli e cercai di dimenarmi. Più mi muovevo e peggiore era il dolore. -Sei solo una lurida cagna. Tuo fratello era il gioiello di famiglia eppure è morto per proteggere una svergognata come te.- Mi gettò con forza verso il pavimento, dopo poco che mi aveva afferrata avevo smesso di lottare. Ormai era inutile e lo sapevo. Attutii malamente il colpo, ero così magra ed esile che era impossibile che potessi far leva sul mio peso. Quando sentii nominare mio fratello fu come se mille aghi mi stessero trapassando il cuore. Il mio amato fratello...
-Adesso vai.- Sbatté il piede a terra facendo risuonare il rumore del tacco della scarpa contro il pavimento di marmo. Aprì la porta dello scantinato sbattendomela di proposito contro. Sentii il colpo contro la gamba ma non vacillai. Ero abituata a ben peggio. Mi tirai su, gattonai e con fatica riuscii a mettermi sulle ginocchia.
-E levati questo vestito, non meriti di indossarlo.- Rimasi con la testa bassa mentre slacciava con forza l'abito facendomi mancare il respiro per gli strattoni. Chiamò una cameriera e le gettò contro i miei indumenti. Ero rimasta scalza, con una sottoveste di cotone così sottile e di pessima fattura che sembra essere fatta della peggior carta al mondo.
-Madre ma perché? Che cosa ho fatto di male? Uccidetemi vi prego, non voglio continuare una vita così misera.- Non avevo neanche più la forza di piangere. Un fiore di gelsomino, quando reciso, fa uscire una sorta di latte bianco. Sembra quasi voler esprimere in modo tangibile il dolore per la perdita di uno dei suoi amati fiori. Eppure dopo quel breve momento, il ramoscello si secca e la pianta continua a vivere mentre il fiore muore. Così mi sentivo, prosciugata di ogni cosa di cui un essere umano dovrebbe essere in possesso. Mi arrivò uno schiaffo, e poi un altro, seguito da un altro ancora. Con furia prese la cosa più vicina che le capitò a tiro, per mia fortuna un semplice ombrello. Mi picchiò con quello finché non fu soddisfatta. Il mio corpo non percepiva più nulla, era come se stessi vivendo in una grossa bolla vertiginosa. Con un calcio mi spinse dentro la cantina facendomi rotolare giù dalle scale.
-Sei solo un'ingrata.- Chiuse la porta lasciandomi nel buio più totale. Rantolai, a fatica, verso il mio spoglio giaciglio fatto di qualche brandello di lenzuolo. Non mi era concesso avere una coperta sana, avevo tentato di togliermi la vita con una di quelle. Mi strinsi in me stessa poggiando la fronte contro il muro di mattoni freddo. Urlai.

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