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21

Inghilterra 1853, Novembre.-Jean

-Ecco a lei buon uomo.- Lanciai una moneta sul bancone del locandiere per poi prendere il cappello e metterlo sul capo. Uscii dal locale tenendolo con la mano, Brighton era una cittadina sul mare e le folate di vento potevano sempre sorprenderti quando meno ce lo si aspettava. Decisi di andare lungo la spiaggia e guardai, con cipiglio incuriosito, degli uomini con delle cartine in mano; alcuni avevano dei sigari fra le dita. Dovevano essere uomini di affari , sembrava stessero complottando di fare qualcosa di grande, da come muovevano le mani convulsamente. Avevo sentito dire che, in tutta d'Inghilterra, stava dilagando l'idea di costruire dei moli sospesi come attrazione turistica, mi chiesi come potesse l'ingegno dell'uomo arrivare a così tanto; saremmo mai stati capaci di sconfiggere la forza del mare?

Misi le mani in tasca e distolsi lo sguardo dal drappello di uomini, avevo cose più importanti a cui pensare.
Camminai lungo il marciapiede mentre osservavo il mare grigio, in fondo non era poi così diverso da quello che si trova in Belgio, anche qui la marea sembra essere molto forte. Anche il cielo era cupo, del medesimo colore delle onde, tanto è vero che sembravano formare un tutt'uno. Un unico sfondo su cui camminare, l'impressione che percepii era quella di essere dentro un quadro.

Mi chiesi se Eugenie avesse mai avuto la possibilità di vedere il mare e di goderselo in tranquillità, facendovi una passeggiata serena e prendendo un cartoccio di fish&chips; un modo così banale di godersi una delle tante piccole cose del mondo che rasserenano l'animo. Probabilmente milioni di persone lo avevano fatto, ma lei era stata privata anche di ciò. Quando venne via dalla sua casa prese il traghetto insieme a Leopoldo, ma sicuramente se ne era appena resa conto.

Mi fermai contemplando l'orizzonte senza fine, i miei pensieri erano completamente rivolti a lei ed a quando era appena arrivata. Era magrissima, sorretta dalla sua cameriera personale, lo sguardo di chi aveva passato le pene dell'inferno e ne era uscito sconfitto e al contempo vincitore. C'era voluto molto tempo prima che potesse riprendersi tanto fisicamente quanto psicologicamente. Non avevo mai avuto modo di notarla attentamente quando arrivò a corte, ero impegnato con delle questioni di lavoro, eppure i suoi occhi feriti e pieni di una luce di determinazione, mi erano rimasti impressi.

Come avrei mai potuto avvicinarla? Sembrava troppo distante da me, in ogni sfumatura e sfaccettatura, per poi rendermi conto che eravamo molto più simili di quanto non mi aspettassi. Chi mai si sarebbe aspettato che una donna simile avesse una mente così brillante e dedita alla scienza? Ne ero rimasto deliziato dalle sue spiegazioni, neanche io sarei mai arrivato a teorie simile. Non nascondo che, quando la vidi nuovamente, quella volta, nella biblioteca avevo notato alcune cose.

La prima era che, ora che le sue gote si erano rimpolpate di vita, grazie all'ottimo cibo di cui, ero fermamente convinto che la sua cameriera l'avesse costretta a trangugiare a forza; sembrava tutt'altra persona. Nonostante la statura minuta era di una bellezza spaventosa, bellezza che più tardi ebbi modo di assaporare letteralmente sulla mia pelle, con quei suoi lunghi capelli biondi e mossi e i suoi grandi occhi dolci. La seconda cosa di cui mi resi conto fu che, ora che avevo modo di vederla meglio, mi sembrava una persona familiare, ma la mia mente non era riuscita, almeno in un primo momento, a richiamare alla mente il contesto in cui l'avevo vista. Forse ero stato distratto dalla scollatura abbondante della ragazza? Per quanto provasse a nasconderla con abiti accollati, era come cercare di nascondere una carrozza dietro ad una sedia.

-Maledetto me, che pensieri vado facendo.- Mi grattai la testa per poi fare un sorriso sbruffone. Nonostante mi fossi interessato subito a quella giovane donna, qualcosa nella mia mente mi aveva costretto a trattenermi. La sua identità? Il fatto che fosse destinata a Leopoldo?

Quella volta che fu in camera mia, con così tanta pelle scoperta, non seppi neanche io dove trovai le forze di respingerla. Il suo sguardo ferito era stato come se mi avesse accoltellato il cuore, eppure, sul momento, non riuscivo a pentirmene. Ero già a conoscenza della storia di Leopoldo e la sua amante, ma pensavo che volesse comunque esercitare una qualche "proprietà" sulla giovane Eugenie.

-Che ti succede Jean? Non ti vedevo così triste da quando... beh..- Mi chiese quella volta Leopoldo. Sapeva quanto non amassi parlare della morte di mia sorella e mio nipote, era stato un evento troppo tragico nella mia vita e di quella della ma famiglia, così tanto che decidemmo di farne un tabù.
-Nulla di importante, davvero.- Sospirai e rimasi con cipiglio concentrato a guardare le scartoffie che dovevo far sistemare al principe e al re. Tutte firme per nomine, affari politici, casse dello stato; cose assolutamente noiose di cui non avevo affatto bisogno in quel momento, sopratutto non dopo che, qualche ora prima, avevo lasciato andare via così Eugenie. Per quanto il mio cuore si contorcesse dal dolore e dal rimorso di aver fatto una cosa simile, nel mio animo sentivo di aver fatto una cosa giusta; non avrei mai tradito e deluso Leopoldo.
-Sapete, se vi piace veramente Eugenie potete anche stare con lei. È una mia ottima amica e non ho alcun interesse per lei, né amoroso né ho una qualsiasi idea di aver un qualsiasi diritto su di lei. È vero, è mia moglie, ma solo sulla carta, lo sai benissimo come stanno le cose. E poi non posso tollerare di vedere due miei amici stare così male, con l'idea che si stiano negando e causa mia.- Alzai la testa di scatto, nonostante il fatto che io e il principe fossimo praticamente cresciuti insieme, quasi alla stregua di due fratelli, non lo avevo mai sentito parlare in maniera così franca.
-Ne siete sicuro?- Lo guardai, era poggiato al caminetto e vrigirava, con fare annoiato, un taglia carte fra le mani. Mi rivolse un sorriso soddisfatto, probabilmente aveva intuito il mio entusiasmo galoppante, per me avere la sua benedizione era ciò che mi serviva per poter essere felice con lei, per poterla rendere felice e proteggerla per sempre.
-Mi raccomando, non fatevi scoprire però.-

Feci qualche passo sulla spiaggia costituita interamente da sassi, riuscii a mantenere l'equilibrio anche se, in alcuni punti, mi sembrava di sprofondare. Presi alcune rocce e le lancia nel mare, volevo vedere se riuscivo a farle saltellare sul pelo dell'acqua, ma questa era troppo agitata per permettermi di fare una cosa simile. Pensai al dolce viso della mia amata, il 21 novembre sarebbe stato il suo compleanno e non sarei stato lì a festeggiarlo. Ma avevo fatto una promessa a me stesso, non sapevo ancora come, ma avrei fatto in modo di renderla mia per sempre. Dovevo pensare qualcosa in fretta per tirarla fuori da quella corte e da quella posizione così scomoda, volevo darle la vita che si meritava.
Dopo un paio di tentativi decisi di rinunciare, presi l'orologio la mia taschino e mi accorsi che era ora di andare via. Avevo un treno da prendere.

Avevo sentito parare in lungo e in largo di quanto fosse bella la campagna inglese, ma dove arrivai io sembrava un posto assolutamente dimenticato da Dio. Mi trovavo poco lontano da Bath, la città in cui era cresciuta, o almeno presumevo ove fosse cresciuta. Le mie indagini mi portarono lì, sia da quello che avevo scoperto tramite la mia rete di conoscenze, sia quello che era ancora rimasto incastonato tra i miei ricordi. Anche grazie all'aiuto dei miei genitori riuscii a sviscerare qualche informazione, non era stato facile riportare in auge un dolore simile, ma se lo avevo fatto per una buona causa.

Mi guardai intorno, vi era una parvenza di cittadina, qualche locanda, delle case che cercavano di creare un piccolo centro urbano che aveva deciso, chissà per quale motivo, di staccarsi dalla grande città a soli qualche minuti di viaggio in carrozza. Dico che avevano tentato perché il posto sembrava abbandonato a se stesso, come se una grande sciagura si fosse abbattuta su quelle povere anime. Forse erano stati i peccati mortali degli stessi abitanti a causare uno scenario simile?

Le case fatiscenti e diroccate sembravano spacciarsi per dimore abbandonate, al solo pensiero che dentro quelle topaie ci potessero vivere delle persone, mi si raggelò il sangue nelle vene. Le edere arroganti e pruriginose avvolgevano ogni edificio di quel paesello. I ponti che collegavano le varie isolotte , che eranocircondate da un piccolo fiume, presentavano crepe; minacciavano di poter crollare da un momento all'altro. L'igiene delle strade non era curata, la spazzatura, il sudiciume, i resti dei pasti e alcuni corpi malati di persone anziane, forse vagabondi, giacevano in vicoli bui; dimenticati dalla luce e da Dio. I nomi delle vie erano scritti su un quadrato di pietra levigato su ogni angolo di ogni edificio provvisto di un incrocio; forse l'unica cosa che faceva sembrare in vita quella landa era il modo in cui le edere contornavano i nomi delle strade. Notai che, nelle strade principali, le piante, intorno ai nomi, erano potate per non far smarrire la strada. La strada non si smarriva di certo date le dimensioni ridotte del posto, ma la sanità mentale mancava come l'aria.

Cercai, nella tasca destra della mia giacca, l'indirizzo a cui dovevo recarmi. Seguii le indicazioni e raggiunsi la porta di una locanda. Spinsi con decisione quest'ultima, quando entrai venni investito dall'odore di sigaro e birra. L'ambiente era scuro, fatto interamente di un legno molto vecchio, anche se ben trattato mostrava i segni dell'età. Le finestre costruite con i fondi di bottiglia non permettevano alla luce di passare in modo ottimale, anche se il cielo era piuttosto cupo e di sole non ne avevo mai visto dal mio arrivo.

-Guardate, arriva un forestiero.- il locandiere, un uomo panciuto e con due folti baffi neri, mi guardò divertito mentre puliva con uno straccio un boccale di birra. Mi avvicinai al bancone e posai una moneta su di questo. L'uomo si mise lo straccio sulla spalla e ripose il bicchiere prima di avvicinarsi.
-Cosa vi porto?-
-Una birra, una qualsiasi, andrà bene.- Prese la moneta e la mise nella cassa che era aperta, poco tornò con la mia ordinazione. Mi tolsi il cappello dal capo e lo poggiai di fianco a me, le buone maniere venivano sempre prima d tutto.
-Qual buon vento vi porta qui?- Presi la bevanda e ne bevvi un sorso, non era male ma niente e nessuno poteva equiparare l'ottima birra belga.
-Sono qui per fare delle indagini, a dire il vero cerco quest'uomo.- Mi avvicinai al locandiere in modo da pronunciare il nome col tono di voce più basso possibile L'uomo non rimase sorpreso nel sentirlo, probabilmente molta gente veniva lì proprio con lo scopo di trovarlo.
-E' il vostro giorno fortunato, lo trovate propri lì.- Lasciai alcune monete sul bancone dell'uomo, dovevo essergli grato per l'informazione nonostante fosse stata banale. Era sempre bene avere qualcuno che ti guardasse di buon occhio, anche quando si è solo uno straniero di passaggio.

Il locandiere accettò di buon grado quelle monete, presi il mio cappello e il boccale di birra. Mi avvicinai lentamente, l'uomo nell'angolo aveva un aspetto cupo, riuscii a scorgere il viso che era sfregiato da una ferita da taglio e, non appena feci un passo ancor più vicino, venni fermato da due energumeni. Avevano una la faccia sporca e un aspetto assolutamente rivoltante che andava di pari passo con il loro odore.
-Lasciatelo stare, vuole solo parlare.- I due si scostarono lasciandomi passare, l'uomo mi fece segno di accomodarsi sulle sedia davanti a lui. Prima di sedermi lasciai un sacchetto di monete sul tavolo. Fece un ghigno, forse già sapeva del perché io fossi lì.
-Cosa dovete chiedermi?- Si passò la lingua sulle labbra screpolate e alzò il viso così che potessi guardarlo in volto.

La carrozza sobbalzava con forza lungo quella strada di campagna, ero rimasto senza parole nell'apprendere la verità sul fratello di Eugenie. Per tutto quel tempo lo avevo giudicato male, malissimo, eppure era solo stato un uomo che aveva cercato di sistemare la vita della sua famiglia. Non potevo comunque perdonargli il fatto che avesse abusato di mia sorella, eppure provavo uno strano senso di empatia.

Quell'uomo, incontrato poco prima, era lo strozzino a cui si era rivolto a Sebastian per far fronte ad un problema più grande di lui. Stando alle parole di quell'uomo, i genitori di Eugenie avevano perso tutta la loro fortuna a causa d cattivi investimenti, gioco d'azzardo e droga. Per proteggere, soprattutto, la giovane sorella dai sicari con cui i genitori si erano indebitati, Sebastian si era rivolto allo strozzino appena incontrato.
Prese i soldi e coprì i debiti della famiglia, ma essendo incapace, poi, di estinguerli, vide la sua vita essere presa come pegno. Essere stato allo stesso tavolo di colui che aveva ordinato la morte di Sebastian e conseguentemente, provocato anche quella di mia sorella e nipote, un fiume di rabbia e disgusto mi aveva travolto.

Se avessi potuto, lo avrei ucciso seduta stante con le mie mani pur di vendicarmi, ma non potevo farlo. Qualcosa di molto più grande e pericoloso incombeva su tutti noi e sulla nostre vite, dovevo essere veloce e indolore, scoprire il marciume più profondo che si celava dietro quella storia. La carrozza frenò bruscamente davanti ad un convento cattolico. Scesi dalle vettura e feci cenno al cocchiere di attendermi, non avrei impegnato molto tempo nel fare ciò che dovevo fare, o almeno così pensavo. Entrai nell'edificio e respirai a pieni polmoni la sacralità del posto, ma non ero lì per fare una preghiera o una gita turistica. Vidi alcune suore camminare congiunte, tenevano dei rosari in mano, con grandi falcate la raggiunsi e feci un inchino; fortunatamente avevo lasciato il cappello nella carrozza così che non mi fosse d'intralcio.

-Perdonate la mia scortesia, starei cercando Suor Camilla.- la prima donna delle tre mi guardò con sguardo curioso misto a benevolenza, lo sguardo di chi aveva appreso, sotto il cammino di Dio, ad avere pazienza e clemenza.
-Sono io, cosa succede?- La sua voce era dolce e gentile, sembrava quasi essere il tono di una madre che parla al proprio figlio.
-Dobbiamo parlare.- Il suo sguardo da luminoso si spense lentamente, probabilmente aveva notato la serietà dipinta sul mio volto. Si voltò e bisbigliò qualcosa alle sue compagne per poi staccarsi da loro.
-Venite.-

Seguii la donna in un'altra ala dell'edificio, passammo nei corridoio che circondavano il chiostro nel convento. Tirò fuori una lunga chiave di ferro dalla tasca e aprì una pesante porta di legno. Il nuovo ambiente era piuttosto piccolo ma ben curato, al centro della stanza campeggiava una grossa scrivania in legno massello con due sedie, ognuna per lato. Dietro il mobile vi era un grande croce, come a voler ricordare che la loro fede era ovunque loro andassero. Mi accomodai non appena mi fece segno, lei andò verso un angolo della stanza dove vi era un mobiletto. Tornò poco dopo con due bicchieri colmi di vino rosso. Era diversa dalle altre sorelle, la sua figura alte e snella aumentava la sua austerità, grazie anche alla tipica tonaca nera delle suore. Il cappuccio che le copriva i capelli, esaltava il viso pieno di rughe ma saldo, come a voler dire che la saggezza mantiene giovani e che la fede può fare miracoli; sembrava quasi una statua ferma nel tempo. Intuii che avesse avuto una vita difficile, e ciò non fece che aumentare il mio rispetto verso di lei. In un certo senso mi ricordò la Monaca Di Monza di Manzoni.

Con un gesto del capo la ringraziai e ne bevvi un sorso, era dolce e piacevole, sicuramente migliore della birra bevuta quella mattina. Non attesi che fosse lei a parlare, preferii prender l'iniziativa.
-Dunque, voi siete la zia di Eugenie Du Coeur, correggetemi se sbaglio.- La donna fece un lungo sospiro per poi annuire.
-Ero la moglie di suo zio, fratello della madre. Che Dio abbia pietà dei suoi peccati quando quell'uomo morirà.- Si tocco la croce di ferro che aveva al petto, nel suo sguardo, notai un cipiglio cupo.
-Cosa sapete dei suoi genitori?- La vidi esitare, probabilmente stava decidendo se darmi fiducia o meno, o forse stava calcolando le parole che voleva dire. Il tessuto della tonaca produceva un suono acuto e triste ad ogni movimento.
-Purtroppo sì, e sono stati anche il motivo per cui scappai da loro, da tutti loro.- Rimasi immobile mentre finiva la frase, feci un cenno con le dita, volevo che andasse avanti con il discorso senza che fossi io a dover fare continuamente domande. Si alzò dalla sedia e andò verso la finestra, intrecciò le mani dietro la schiena e guardò fuori con aria pensierosa.

-Sono delle persone poco raccomandabili. Ebbi una figlia da lui ma poi ci furono degli eventi, delle faccende, che non mi piacquero. In aggiunta diventò violento nei miei confronti. Fui costretta a scappare di notte e venire qui a chiedere asilo, lasciai anche mia figlia ma la fortuna volle che questo convento, trovato per puro caso, non fosse troppo lontano da dove abitavamo. Negli anni ho avuto modo di vedere mia figlia, il suo nome era Roxana. Spesso veniva qui a confessarsi, gli orrori che ha dovuto compiere mia figlia, per mano delle minacce di quel pazzo di suo padre, sono indicibili.- Sentii il sangue ribollirmi nelle vene, mi tornarono in mente le parole di Eugenie, quella povera ragazza era stata violentata e tormentata per anni da quei mostri; probabilmente essere pazzi e volenti era una prerogativa di quella famiglia.

Cercai di mantenere il controllo, non era il caso di lasciarsi andare a certe scorrerie sentimentali. Al ricordo del racconto di Eugenie dalle profondità del mio petto iniziò a crescere una furia, se non avessi avuto un forte autocontrollo sarebbe esplosa in pochi istanti. Un fuoco fatuo e assopito che ,improvvisamente, sembra esser pronto a divampare. Sembrava attraversare ogni capillare, ogni fibra del mio corpo, la mia pelle riusciva a tenere imprigionata quell'emozione che, di lì a poco, sarebbe sfuggita alla razionalità del mio essere. Ma un tratto quella sua ultima frase risvegliò la mia curiosità.

-Quali orrori?- La guardai sporgendomi in avanti.
-Non dovrei raccontarvi certe cose, dovrebbero restare confidenziali ma immagino che, se voi siete qui, significa che avete bisogno di queste notizie. Promette solo che non giudicherete le mie azioni.- Mi alzai e annuii, mi feci vicino a lei e misi una mano su cuore.
-Avete la mia parola che ho solo intenzione di fare buon uso di ciò che mi direte, sono qui solo perché tengo all'incolumità di vostra nipote.-
Rimase in silenzio per alcuni istanti, come se stesse vivendo una lotta personale. Strinse di nuovo il crocifisso fra le mani e si voltò a guardare la croce sul muro.
-Ebbene, ci sono molte cose che non sapete.-

In collaborazione con Figlia_dell_inverno

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