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19

Belgio 1853, ottobre.

Quella mattina avvertii Jean che si stava alzando dal letto, ero solita restare a dormire dopo che lui si vestiva per andare a svolgere i servizi lavorativi quotidiani che richiedevano la sua presenza a corte, eppure quella mattina aprii gli occhi. Mi accarezzò lentamente i capelli per poi chinarsi a darmi un bacio sul capo, lo faceva ogni mattino, era il suo rituale, ma questa volta aveva un sapore amaro. Allungai una mano da sotto le coperte, afferrando la sua, percepii il freddo sulla mia pelle e solo in quel momento, quando cominciai a mettere a fuoco la mia stanza, mi resi conto che doveva essere mattina presto, molto presto.

-Non andate, ve ne prego.- Mi misi a sedere, il mio cuore pesava come un macigno, come se il peso della sua partenza mi fosse piombato di colpo sulla mia anima.
Sospirò e si mise nuovamente seduto sul letto, mi prese delicatamente e mi fece scivolare sulle sue gambe così che potesse tenermi stretta.

-Lo sapete che se avessi scelta non mi allontanerei mai neppur un istante da voi, ma devo farlo. Tornerò, il prima possibile, tornerò da voi e non mi staccherò mai più.- Le lacrime cominciarono a scendere sul mio viso, le sue grandi e calde mani mi contornarono il viso, costringendomi a guardalo; ero certa del fatto che i miei occhi sembrassero delle pozze d'acqua viste da fuori.
-Shh, non piangete, non è un addio, tornerò e lo sapete benissimo. Siete la mia casa ora, e sarò con voi, fosse l'ultima cosa che faccio.-

Colmai quella poca distanza che ci separava volendo assaporare le sue labbra, un'ultima volta. Non sapevo perché la sua partenza mi stesse angosciando così tanto, era come se il mio animo, che sembrava essere molto più lungimirante di quanto  non fosse la mia mente, sapeva che qualcosa sarebbe andato storto di lì a breve.

Il bacio fu lento, triste, carico di parole non dette, di emozioni non espresse, e di frustrazione. Non era uno dei nostri soliti baci di gioia o passionali, era diverso, come il bacio che dà una dama al suo uomo che sta partendo per la sua guerra. Mi sentii un'ipocrita in quel momento, Jean sarebbe tornato, saremmo stati insieme, e anche se così non fosse stato , avrei per sempre portato nel mio cuore quella manciata di momenti vissuti nella felicità e all'ombra dell'amore, sicuro e rasserenante, di Jean.

A malincuore, e con molta riluttanza, si scostò da me, con le dita mi sistemò alcune ciocche di capelli prima di rimettermi sotto le coperte.
-Riposate ora, non siate in pensiero per me.- Mi sorrise dolcemente mentre con il pollice asciugava e lacrime solitarie che scendevano lentamente e luccicanti sul mio viso.

-Lo sapete che vi amo vero?- Mi feci vicina a lui, raggomitolandomi vicino al suo fianco, tenni stretta la sua mano e lasciai lievi baci mentre cercavo di imprimermi a fuoco nella mente la sensazioni che i suoi gesti mi provocavano e il suo odore.

-Certo che lo so, come voi sapete che io amo voi.- Sorrise e poi si alzò, feci scivolare via la sua mano dalla mia. Lo vidi andarsene, i miei occhi erano fissi sulla sua schiena possente, si voltò prima di andarsene e mi fece un sorriso dolce, mi fece piangere ancora di più. Mi alzai dai letto, presi una vestaglia scura di velluto e raggiunsi la finestra, scostai le tende e guardai giù nel cortile. Il mio respiro caldo formò dei piccoli aloni di condensa contro il vetro gelido; il cielo era coperto da un manto di nuove grigie, il clima sembrava riflettere il mio stato emotivo interiore. Passò quella che sembrò un'eternità per poi vedere una carrozza dall'aspetto mediocre, sicuramente non era una di quelle sfarzose della famiglia reale, fare il suo ingresso.

Il cocchiere si occupò di caricare un baule e dopo poco riconobbi la figura di Jean uscire dal palazzo ed entrare nella carrozza. Si voltò a guardare verso le mie stanze, non sapevo se poteva vedermi, forse era un bene perché le lacrime avevano ripreso a scendere copiose sul mio viso. Poggiai la mano sul vetro e poi anche la fronte, vidi la carrozza allontanarsi mentre la cassa toracica era irrimediabilmente scossa dai singhiozzi.
Avevo un sapore amaro in bocca, il sapore degli addii.

Angelique si presentò nelle mie stanze, probabilmente, qualche ora dopo la partenza di Jean. Lei era sempre al corrente di tutto, ma nutrivo verso di lei una fiducia cieca, e lei sapeva leggere i miei stati d'animo meglio di quanto avesse mai fatto mia madre, almeno in quegli anni in cui mi aveva considerata, o vagamente amata.

Non appena mi vide tornò indietro e andò a prendermi della cioccolata e del latte caldo, sapeva che erano le uniche cose che forse, avrei mangiato in momenti in cui il mio umore era dei peggiori. Si avvicinò a me come un fantasma, mi ero seduta sul mio divano e non mi ero mossa, era incredibile vedere e scoprire come la condizione dell'animo potesse essere espressa così bene dal corpo carnale.
-Signorina vi lascio qui le cose per voi e anche questa, sono delle ricerche che io e Leopoldo abbiamo condotto questa notte. Vi sono tutte le informazioni rilevanti su Maria Enrichetta, abbiamo cercato di scrivere le cose più importanti così che possiate prenderne nota e avere le conoscenze di base per evitare di destare sospetti.- Alzai lo sguardo e la vidi porgermi un pacco di carte, aveva un viso così angelico, era sempre stata una persona dal cuore d'oro nei miei confronti mentre io, spesso, ero stata infantile e sciocca nei modi.

-Vi ringrazio, come fate a sapere delle cose su di lei?- Presi quei documenti e slacciai il nastro rosso che li teneva insieme, li poggiai sul tavolo da caffè davanti a me e li sparsi in modo da poter vere una visione completa, poggiai due dita sul mento e strofinai lievemente la pelle; incredibile come la mia mente, di solito impegnata in trattati scientifici, si fosse ridotta a leggere la vita di qualcuno che neanche conoscevo.

-Ho delle ottime conoscenze e anche Leopoldo ne ha.- Mi fece una riverenza come a voler annunciare che stava per ritirarsi così da lasciarmi del tempo da sola.
-Attendete.- Le feci un gesto con la mano sinistra mentre con l'altra ero impegnata a sollevare i fogli.
-Vi andrebbe di restare con me e aiutarmi?-
-Tutto ciò che volete, signorina.- La sua voce tradì una nota di sorpresa dovuta alla mia insolita richiesta. Le feci cenno di accomodarsi alla mia destra sul divano dove passammo le ore successive a fare il resoconto. Mi istruì anche su alcuni gossip che si andavano raccontato nel nostro mondo sulla corte austro ungarica, come a voler far sì che fossi pronta ad ogni evenienza. Quelle ore passate così mi distrassero dalla sofferenza nel mio animo per la partenza di Jean, ma ogni tanto, degli aghi roventi sembrano trafiggere il mio cuore che sembrava essere sul momento di morire dal crepacuore; eppure scacciavo quelle emozioni con tutte le mie forse, avevo una missione da compiere e da portare a termine.

-Quella donna non me la racconta giusta, perché mai dovrebbe venire così all'improvviso senza annunciarsi?-
-Non lo so Angelique, anche a me sa molto sospetto. Temo che nutra qualche dubbio, come se fosse stata mandata qui con lo scopo di dover far saltare in aria lo stratagemma, come se volesse esporre il regno Belga.-
Mi alzai e cominciai ai girare nella mia sala, ero solita farlo quando avevo bisogno di pensare e giungere alla soluzione di un problema algebrico, solo che qui non avevo tutti i dati del caso.
La solita porta nascosta nel muro si aprì, ne uscì Leopoldo, voltai lo sguardo  per notare che aveva il viso stravolto.
-Quella maledetta ha annunciato che resterà qui ancora per un po', non si sente bene e di certo non possiamo rimandarla a casa. Dovete andare a trovarla Eugenie, quella strega sta architettando qualcosa, e la cosa non mi piace.- Lo fissai negli occhi e annuii, non aveva neanche salutato, ma la situazione era troppo tesa, io stessa percepivo che qualcosa non andava assolutamente in tutto questo frangente. Senza Jean a palazzo ora però, mi sembrava di essere più vulnerabile del solito, ma ciò non mi avrebbe mai fatto demordere dal mio compito.

-Bene. Angelique aiutatemi a preparami.- Io e Leo facemmo un cenno di assenso prima che lui sparisse nuovamente così velocemente com'era arrivato e nel medesimo modo.
Quando fui pronta, conciata in modo ridicolo, mandai Angelique ad annunciarmi. Mi chiesi, proprio in quel momento, che fine avesse fatto Monique. Era da un po' che non avevo visto la sua figura, che Jean avesse parlato con Leopoldo e deciso di mandarla via?
Angelique tornò dopo poco. -Vi riceverà fra poco, il tempo di rendersi presentabile.- Mi si fece vicina, e come se avesse letto nel pensiero mi disse.
-Monique è stata sollevata dal suo incarico.- Quella frase era piena di sottintesi di cui non vi fu bisogno di spiegazione, entrambe eravamo fin tropo consapevoli.
-Oggi vi verrà presentata la nuova cameriera, non preoccupatevi, sarà solo la mia assistente proprio come lo era Monique.-

Annuii e la ringraziai, dopo poco mi avviavi verso le mie stanze, nella mente ripassai tutto ciò che dovevo sapere, mi aspettavo una trappola e non mi sorprese quando arrivò.
Venni fatta accomodare nella stanza, una poltrona era posizionata vicino al letto dove giaceva mia _cugina_. Mi era piuttosto ovvio che non fosse malata, se fosse stata la mia dimora l'avrei gettata in strada in pochissimo tempo, ma gli obblighi sociali, più che morali, non permettevano un simile atto, a maggior ragione che la corte reale non poteva di certo coprirsi di un tale atto così maleducato e vergognoso; con il senno di poi forse sarebbe stato meglio soffrire lo scandalo sociale simile piuttosto che combattere contro la tempesta in arrivo; tempesta che nessuno aveva predetto.

-Cara cugina, come state? Mi rincresce così tanto vedervi così.- Misi sul mio volto l'espressione più misericordiosa possibile e mi affrettai a prendere posto vicino a lei, le strinsi una mano come a voler sottolineare ulteriormente il mio dispiacere, per quanto fosse finto.
-Uno strazio cugina cara, mi dispiace arrecarvi tutto questo disturbo ma il viaggio deve avermi stremata più del previsto.- Terminata quella frase la accompagnò un finto colpo di tosse. Avrei voluto urlarle contro e buttarla fuori dalla finestra. Non era da me avere certi pensieri, ma non era assolutamente una delle mei giornate migliori.

-Nessun disturbo cara cugina, siete la mia famiglia, è più che naturale che io mi prenda cura dei miei cari.- Le sistemai un ricciolo biondo sulla fronte per sorriderle nuovamente. Il suo sguardo era strano, sembravano gli occhi di chi stava macchinando qualcosa nella su mente.
-Quanto mi mancano i tempi in cui  potevamo giocare tutti insieme, da fanciulli, insieme a vostro fratello Alessandro.- Un guizzo passò nella mia mente, quella serpe sospettava qualcosa, ne ero certa.

-Cara cugina vi state forse sbagliando? Mio fratello morì un anno dopo la mia nascita, forse voi intendevate di Giuseppe o mia sorella Elisabetta.-
-Oh ma che sbadata, avete proprio ragione, questa malattia mi ha fatto perdere il lume della ragione.- Fece una finta espressione sofferente che mise ancor più a dura prova i miei nervi, ero veramente molto vicina dall'esplodere di rabbia, ma dovetti contenermi.

-Non preoccupatevi, è normale data la vostra condizione. Vi lascio riposare ora.- Cercò di insistere affinché io potessi rimanere, ma ponendo la mia attenzione su quanto tenessi alla sua salute e ai suoi nervi, dichiarai che era meglio se la mia presenza non si fosse dilungata oltre con la promessa che sarei tornata, l'indomani a trovarla.
Tornai nelle mie stanze fumante di rabbia, quella donna stava architettando un piano, voleva beccare qualcosa che di cui era certa che io non avessi informazioni, e prima o poi ci sarebbe riuscita. Potevamo recuperare le informazioni superficiali, le parentele, scampoli di conversazioni di corridoio, ma io non sarei mai stata la vera Maria Enrichetta e non potevo conoscere tutta la sua vita.

-Signorina è arrivata la nuova cameriera.- Mi ridestai dai miei pensieri e poggia lei mani sul ripiano in marmo della finestra, quella giornata avrebbe mai potuto essere peggiore di quanto già non lo fosse. Sentii i passi della nuova arrivata e mormorare un timido buongiorno. Mi voltai e sentii le mie ginocchia tremare, non poteva essere. La nuova cameriera era qualcuno che conoscevo, qualcuno che conoscevo fin troppo bene, tutti i suoi lineamenti rimandavano a lui; a mio zio. Colui che aveva promesso di aiutarmi e che mi violentò, nello scantinato sotto casa.
-Cugina?! Che ci fate qui?!-

In collaborazione con Figlia_dell_inverno

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