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17

Belgio 1853, settembre.

Rimasi fra le sue braccia per un lasso di tempo che sembrò infinito, ma a nessuno dei due, probabilmente, importava. Avvertii che stava per parlare quando il suo petto si alzò per prendere fiato.
-Mi dispiace moltissimo, non immaginavo...se solo avessi..non vi avrei mai costretta a rivelarmi queste cose.- Mi scostai in modo da poterlo guardare negli occhi, poggiai una mano sulla sua guancia, sembrava così piccola e delicata ma non mi ero mai sentita più forte di così.

-Non potevate saperlo, e ammetto che, parlare del mio passato mi ha permesso di togliere un grande peso dalle spalle.- Non era da Jean tentennare come fece in quel momento, vidi nei suoi occhi un misto di rabbia e delusione, non nei miei confronti ma verso la razza umana. Si alzò, scivolando via dalla mia presa si avvicinò alla finestra, incrociando le braccia. Potevo vedere i muscoli tesi della sua schiena.

-Non ho mai conosciuto qualcuno tanto orribile come la vostra famiglia, sono pura feccia.- Mi alzai anche io e guardai l'ora, si stava facendo tardi e sicuramente Angelique si stava preoccupando per la mia salute, senza considerare che il fatto che mi trovassi nella camera di Jean, per metà spogliata, fosse oltremodo disdicevole.

-Immagino di sì, ma io non sono loro, e cercherò di non farmi mai più schiacciare dal peso del mio passato.- Drizzai le spalle e il mento, mi sentivo come carica di una nuova energia che mai avevo provato prima, come se finalmente la mia parte coraggiosa e piena di tutta quella forza che mi era sempre mancata.

Mi guardò, la mascella contratta, anche se a braccia conserte potevo vedere i pugni stretti e i muscoli delle braccia tesi sotto la sottile camicia bianca.
-Dovreste andare, si sta facendo tardi.- Mi accigliai quando disse quella frase, schiusi le labbra e mi avvicinai a lui.
-Vi disgusto, vero?- Strinsi forte le labbra quando dissi quella frase, sapevo che sarebbe arrivato questo momento, ero quasi sorpresa che non fosse stata la sua prima reazione.

-Di grazia, non pensate nemmeno queste sciocchezze.- Le sue sopracciglia si avvicinarono, contratte in una smorfia d'irritazione. Il sole stava calando, la luce arancione del pomeriggio entrò nella camera, tagliando a metà il suo viso. Una parte venne illuminata andando a mettere in risalto i suoi occhi castani e le lunghe ciglia, l'altra metà del viso era in ombra. Sembrava un angelo caduto, sulla terra pronto a punire chi era colpevole e doveva espiare i suoi peccati. Passai in rassegna il suo viso, dalla fronte piccola e priva di rughe fino al mento pronunciato. Le sue labbra erano fini, contornate da una leggera peluria mascolina, ma sembravano morbide e lisce come la seta. Ero quasi tentata dall'assaporarle. Mi mordicchiai le labbra internamente, per non fargli notare il mio piccolo desiderio carnale. Perché avevo in me quel desiderio irrefrenabile?

-E allora, dov'è il problema?- Percepii la luce arrivare anche sul mio volto, potevo vedere, con l'angolo dei miei occhi, il riflesso scuro dei miei riccioli castani.

Abbassò le mani lungo i propri fianchi per poi voltare il viso, potevo vedere il suo pomo d'Adamo contro la luce tremare lievemente ad ogni deglutizione.
-Il problema sta nel fatto che siete sposata, e che nonostante tutti i vostri sforzi per tenermi lontano, cercando anche di spaventarmi con il vostro passato, non riesco a resistervi. Non ce la faccio, e vorrei poter cancellare tutto il vostro passato, cancellare questa corte, cancellare il matrimonio, tutto quanto, solo per essere solo io e voi.- Le sue mani si avvicinarono alla mia vita, stringendola con forza, facendo collidere i nostri corpi. Il mio petto sia alzava ed abbassava per l'emozione, cosa aveva appena detto?L'elettricità era palpabile fra di noi. Non ebbi paura neanche per un istante, non era come nel mio passato, in cui ero forzata, volevo essere lì con lui, per troppo mi ero nascosta dietro le ombre e i demoni. Era arrivato il momento di uscire allo scoperto, di vivere la mia vita.

-E cosa vi blocca?- Strinsi le mie mani intorno ai suoi fianchi per poi farle scorrere lungo la sua schiena muscolosa; le dita scivolavano con facilità sopra la sua stoffa, potevo percepire il calore della sua pelle sotto i miei polpastrelli. Voltò il viso, e non appena lo fece, i miei occhi erano nei suoi, aveva la pupilla completamente dilatata, come se volesse far scomparire, per sempre, il suo tenue color nocciola.

-Eugenie, non vi è ritorno.- Lo vidi fremere, le sue labbra si schiusero.
-E allora facciamo che non vi sia ritorno per nessuno dei due.- Mi alzai sulle punte, lo volevo, volevo sentire il sapore delle sue labbra sulle mie, volevo sapere tutto di lui, non avevo mai desiderato niente e nessuno come lui, e non avevo intenzione di lasciarlo sfuggire.

E poi, si voltò, mi scansò leggermente, come se il tocco dei nostri corpi scottasse. Sbattei le palpebre un paio di volte, sconvolta da quel suo gesto. Lo aveva fatto veramente? Sempre con le mani sui fianchi, mi fece voltare e, con mano sicura, abbassò il corpetto del mio abito. Lo sentii afferrare i lacci per poi lasciarli. Sentii le sue dita, d'improvviso fredde, passare sulla mia schiena nuda; a tracciare i segni delle mie antiche ferite. Passò su tutte quelle che erano visibili, come a voler tracciare un disegno sulla mia pelle rovente.

-Non posso, non posso farvi questo.- Mi avvicinò nuovamente a lui, percepii le sue mani lasciare i mie fianchi per spostarsi lungo tutto l'arco della mia vita, compressa ancora dal bustino. Avrei voluto che lo togliesse, così da percepire, realmente, sulla mia pelle, il valore e il significato delle sue carezze.
Abbassò il capo e mi lasciò un tenero bacio sul collo, automaticamente lo allungai in modo da dargli più spazio. Perché non volevo che si fermasse? Un brivido percorse il mio corpo, da capo a piedi. Perché mi stava torturando così? Che crudeltà. Il suo odore, il suo profumo, la sua vicinanza così prolungata, mi stavano per far impazzire. Non avevo mai provato una sensazione simile prima, ne volevo di più, ancora e ancora. Sentii che si scostò, la pelle sembra gelida ora, laddove prima c'erano le sue braccia.

Le sue dita passarono fra i lacci del mio bustino, stringendoli. Lo stava riallacciando e, alla fine, fece anche il fiocco. Tirò su il corpetto dell'abito e lo richiuse facendo scattare i bottoni.

-Andate, non possiamo farci sospettare.- Mi staccò dal suo corpo, è stato come se un'arma mi trapassò il cuore, rendendolo gelido. Mi aveva rifiutata? Mi stava respingendo? Strinsi le mani, davanti a me. Rimasi immobile, dandogli le spalle. No, non potevo lasciare che i ricordi dei miei rifiuti passati prendessero il sopravvento, non lo avrei permesso.

Avrei voluto dirgli qualcosa di maligno, farlo sentire tanto male quanto mi sentivo io in quel momento, ma non mi venne nulla in mente. Non potevo ferire una persona che amavo, non era nella mia natura e non lo sarebbe mai stato. Le lacrime rigarono il mio volto, questo rifiuto faceva male, un male sordo, che non avevo mai provato prima. Non potevo fargli vedere quanto mi avesse ferito, così, uscii dalla stanza lasciando la porta aperta alle mie spalle.

Non mi presentai, quella sera, per la cena. Gli eventi del pomeriggio avevano avuto un'influenza troppo forte sul mio umore, non ero presentabile, e non avevo neanche avuto l'intenzione di ricompormi. Il mio umore non era mai stato così pessimo, il cuore era a pezzi, sempre ammesso che fosse possibile romperlo ancora di più. Non appena ero tornata in camera, Angelique si era affrettata a cercare di comprendere cosa mi fosse successo ma non le parlai. Non dissi una parola, mi limitai a restare in silenzio mentre si preoccupava per me; che persona orrenda che ero, a far preoccupare così l'unica persona che un po' teneva a me.

Quando mi chiese della cena, dopo che uno dei maggiordomi era venuto a chiamarmi, dato che stavo facendo ritardo Angelique non ebbe neanche bisogno di chiedermi qualcosa, dichiarò all'uomo che ero indisposta e che sarei rimasta nelle mie stanze per desinare. Dopo poco, anche lei se ne andò, non prima di avermi lasciato qualcosa da magiare e un bicchiere d'acqua. Mi disse solamente di chiamarla quando avrei voluto mettere gli abiti della notte. Non le risposi. Rimasi seduta sul divanetto nella mia camera, immobile come una statuta, mentre guardavo le fiamme nel caminetto, dapprima alte e poi affievolirsi mano mano.

Non riuscii neanche a mettere insieme le mie emozioni, ero come un guscio che era stato completamente svuotato da qualsiasi cosa. Le spalle si irrigidirono, come il resto del mio corpo, e su di loro sembrò depositarsi un alone di gelo che sembrava non potesse essere vinto dall'ambiente ben riscaldato. D'un tratto avvertii uno strano rumore, voltai il capo cercando di capire da dove provenisse, e poi vidi il pannello nel muro, lo stesso da cui era sparito Leopoldo la notte delle nozze, aprirsi, e da lì ne uscì Jean.

Mi alzai di scatto, la rabbia cominciò a scorrere a fiumi nelle mie vene. Cosa ci faceva lì? Cosa era venuto a fare? Avrei voluto urlargli contro e dirgli di andarsene. Perdere il controllo delle mie emozioni era una cosa che non mi era mai stata gradita. Con delle lunghe falcate, per quanto mi fosse consentito dalla mia statura, lo raggiunsi, ero pronta a confrontarlo. Prima che potessi anche solo pensare una frase logica, mi prese per i fianchi e mi baciò. Le nostre labbra si unirono, e sembrarono essere state formate l'una per incastrarsi perfettamente con quelle dell'altro.

Mi sentii come sospesa fra le nuvole, coccolata da un leggero odore di bergamotto. Cos'era quella strana sensazione che sentivo dentro di me? Cosa mi stava succedendo? Il brivido del pomeriggio tornò a farsi presente. Ero arrabbiata con lui? Probabilmente sì, ma in quel momento nulla sembrò aver più la benché minima importanza. Le sue mani corsero veloci verso il mio abito, lo aprì senza ripensamenti, mi mancò il fiato per quel gesto ma mi rifiutai di staccare le nostre labbra. Le mie mani vagarono sotto i suoi abiti, avide di poter finalmente conoscere la sensazione della sua pelle.

-Perdonatemi, non ce la faccio a resistervi.- Sussurrò sulle mie labbra, ma lo zittii andando a premere le mie, con rinnovata passione, sulle sue.
Le sue mani scesero fino alle mie gonne, tolsi le mie mani per aiutarlo a toglierle lasciandomi solo con gli indumenti più intimi. Mi staccò a forza da lui, non prima di aver sfilato la spilla che teneva raccolti i miei capelli.

-Siete meravigliosa.- Non ebbi il tempo di reagire perché mi afferrò nuovamente, questa volta per le gambe. Mi alzò da terra e serrai le mie gambe intorno ai suoi fianchi. Finimmo sul mio letto, la mia mente era completamente persa con lui, non mi ero resa conto dello spostamento. Pronunciò il mio nome così tante volte, come se fosse stata una poesia, come se fosse stato il suono più bello al mondo per lui. Le nostre fronti si toccarono delicatamente e io mi irrigidì, ogni muscolo era teso; non sapevo come muovermi.

Cosa avrei dovuto fare? Notò la risposta del mio corpo e strinse le sue mani con le mie, vicino alla mia testa, le dita erano intrecciate. Le sue labbra studiavano il mio viso, piccoli baci che tracciavano il contorno, stringendosi verso l'interno per poi trovare nuovamente le mie di labbra. Ne lasciò uno veloce sulla punta del naso, rendendo il tutto non solo puro atto carnale, ma atto d'amore. Le nostre mani si sciolsero lentamente dall'intreccio e fece passare le sue sicure e deciso dietro l'incavo del mio collo, disegnando piccoli cerchi con le dita. Una scendeva lentamente dalla giugulare, alla clavicola e in mezzo al petto, tra i miei seni.

Tolse il corpetto che avevo ancora indosso, lo lanciò lontano, oltre il letto. Trattenni il respiro, rendendomi conto che ero per metà nuda di fronte a lui. Con le mani afferrò le mie carni, aveva uno sguardo famelico, e sicuramente era rimasto sorpreso nello scoprire che, sotto i miei vestiti accollati e discreti, vi fosse un corpo dalle fattezze abbondanti, in alcune parti. In quel momento, in quell'istante il mio passato, il mio trauma, la mia paura ed insicurezza svanirono. Io volevo essere felice, volevo Jean e ora poteva davvero averlo con me, per me.

Smisi di essere rigida come una statua di marmo e rilassai i miei muscoli. Mi protesi e iniziai a percorrere il suo profilo con la punta del naso. Il mio respiro si riversava sul collo e gli feci venire la pelle d'oca. Lo sentii trattenere un gemito, l'intero corpo mascolino era teso come se si stesse trattenendo. Una leggera pressione mi schiacciava il fianco. Per un momento arrossii e anche lui capì il mio leggero imbarazzo. Mi ricomposi e non feci trasparire alcuna emozione che non fosse di voler continuare. Mordicchiai con leggerezza una porzione della sua spalla, e incapace di proseguire iniziai a sfilargli la giacca, la camicia e tutto l'arsenale che ci divideva. Ora meno strati ci dividevano, potevo toccare finalmente la sua pelle, liscia come la seta e perfetta. Non resistetti e mi lasciai scappare un respiro di piacere. Questo gli diede la carica, niente ci fermò. Divenimmo una cosa sola, e fu inebriante.

Fu come se tutto quello che avevo vissuto non fosse mia esistito, mi sentii completa. Mi guardò come nessuno aveva mai fatto, non vedeva un oggetto al mio posto, vedeva me, Eugenie, una donna. -Vi amo Eugenie, e lo farò per sempre.- Ancora, una volta, in quella giornata, non mi diede tempo di rispondere. Non mi diede tempo di rispondere nelle ore successive, e neanche per tutta la notte che trascorse.

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