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16

Belgio 1853, settembre.

La fede al dito mi sembrava ancora un oggetto estraneo, non sembrava appartenere al mio dito, e sicuramente non avevo mai posseduto, su di me, qualcosa di così costoso. Era fatta in puro oro, il suo valore valeva molto più della mia stessa vita. Distolsi l'attenzione dal mio dito per vedere i titoli nella biblioteca, sapevo che ne erano arrivati dei nuovi. Mentre ero nel corridoio, che mi avrebbe portata alla biblioteca, mi rivenne in mente quando festeggiai, esattamente il giorno dopo il matrimonio, il finto compleanno. A quanto pare, Maria era nata il 23 agosto, e quindi fui costretta a recitare anche quella scena. Ero certa del fatto che, se avessi avuto la possibilità di recarmi in un teatro, avrei potuto tranquillamente recitare da protagonista. Quando fui davanti la porta della mia destinazione, entrai senza esitare, era un posto tendenzialmente poco frequentato. Mi diressi verso il tavolo principale che campeggiava nella sala, lì venivano messi i libri appena arrivati che poi, quando vi si trovava un posto idoneo, venivano catalogati e sistemati. Presi i titoli che Jean mi aveva consigliato, in quelle poche settimane dopo il matrimonio era stato oberato di lavoro, essendo il braccio destro della corona era normale per lui, ma non per me. Dopo l'evento nella carrozza alle nozze, avevamo avuto ben poche occasioni per parlarci, qualche foglietto scambiato di nascosto, qualche occhiata rubata, ma nulla più. Mi mancava la sua gentilezza e il suo modo di fare che mi faceva sentire sicura, e in un certo senso, anche con l'avere qualcuno che guardava le mie spalle in caso di difficoltà.
Spostai le pesanti pile, finché non trovai i libri che erano di mio interesse; presi un bigliettino e scrissi, con una penna d'oca e il calamaio che si trovavano lì vicino, che erano stati presi in prestito dalla sottoscritta, anche la data. Li strinsi contro il petto con le braccia, potevo percepire la copertina ruvida e rilegata sui palmi delle mani. Feci qualche passo verso l'uscita quando percepii dei risolini, incapace di trattenere la mia curiosità mi appiattii dietro una libreria così da poter sbirciare. Sentii dei bisbigli e poi quelli che erano chiari suoni di baci.
-Fermiamoci per favore, qualcuno potrebbe vederci.- Riconobbi una voce che mi era, in qualche misura, familiare.
-Tranquilla, non viene nessuno in questa vecchia libreria.- Quando sentii la risposta rimasi di sasso, a metà fra lo sconvolto e il divertito. Mi spostai ancora un po', quel poco che mi bastò per vedere Leopoldo e Monique. Sentii la mascella cadermi a terra da tanto ero allibita da quella scoperta. Mai avrei pensato che l'amante di ''mio marito'' fosse una delle mie cameriere. Tutto mi sarei aspettato meno che questa scena, e con lei, soprattutto dopo aver visto un pezzo della gonna svanire nella camera di Leopoldo qualche tempo prima, che avessi visto male? I rumori divennero sempre più invadenti, sarei voluta fuggire da lì ma ogni mio movimento, sul parquet in legno duro, si sarebbe avvertito. Deglutii, ero profondamente in imbarazzo per quello che le mie povere orecchie stavano udendo. D'improvviso si arrestarono, probabilmente qualcosa li aveva insospettiti, dei passi in lontananza magari. Così, sparirono, nello stesso modo in cui erano arrivati. Uscii alla svelta da quel posto, il volto paonazzo dalla vergogna, sembravo una tempesta che con tanta violenza spalancai le porte per uscire di lì. Perdere il controllo delle mie emozioni mi infastidiva, ma quei suoni avevamo smosso qualcosa nel profondo del mio animo. Nuovamente, come un fantasma che non lascia mai una casa stregata, mi ritrovai in quel maledetto scantinato. Mi fermai, per appoggiarmi al bordo della parete sentendomi vacillare. Chiusi forte gli occhi, come se quello potesse bastare a calmarmi, ma i ricordi continuarono a fiorire nella mente, come dei fiori maledetti. Sentii le ginocchia molli, come se fossero fatte di gelatina, la scena sembrò completarsi a rallentatore: i libri mi caddero a terra, provocando un suono terribile contro il pavimento, il campo visivo mi divenne scuro ai margini e poi, come una foglia, caddi di lato mentre il mondo, sopra di me, si distorceva.
Buio, era tutto buio.

-Eugenie? Eugenie riprendetevi.- Aprii lentamente gli occhi mentre sentivo la voce chiamarmi, la riconobbi immediatamente per essere quella di Jean. Mi alzai di scatto, mettendomi seduta. -Che succede?- Mi stropicciai gli occhi per poi rendermi conto che non ero nella mia stanza; ma lo stile era comunque vicino al mio; Jean era in ginocchio sul pavimento, in modo da essermi vicino.
-Vi ho trovata svenuta vicino al corridoio.- I suoi occhi erano pregni di preoccupazione per me, mi passò un bicchiere che bevvi avidamente, con il movimento mi accorsi di qualcosa di strano. -Ma il mio bustino è slacciato?- Avvampai dalla vergogna al solo pensiero che mi avesse spogliata lui.
-Sì, era stretto e ve l'ho slacciato. Avevate problemi a respirare quando vi ho trovata, di certo non volevo farvi morire soffocata.- Si sporse in modo da appoggiare il bicchiere sul tavolinetto basso, per poi mettersi seduto vicino a me. Mi guardai intorno per bene, la stanza era lussuosa, al pari delle altre, ma era vissuta. Aveva tutti gli affetti personali di Jean, si vedeva che vive lì da molto tempo e che reputava il palazzo come la sua casa, al contrario di me.
Ero sdraiata nel letto a baldacchino, coperte gonfie e sontuose color caramello, mi avvolgevano in un abbraccio delicato e rassicurante. Il letto era al centro della stanza, accanto il comodino. Uno scrittoio pieno di piume e inchiostro ravvivava quella camera, insieme ai vestiti in disordine tipiche di un uomo, un marchio al quale ancora nessuno si era sottratto; un armadio alto fatto di legno di betulla si trovava opposto a dove ci trovavamo noi. Le finestre erano rettangolari ma poste verticalmente, accompagnate da tende semi trasparenti beige. La carta da parati era leggermente smunta e la muffa agli angoli più alti incombevano come una minaccia, alla quale Jean non badava mai.
-Perché mi avete portata qui?- Mi strinsi al petto il vestito che era allentato dato che lo aveva slacciato per raggiungere il corpetto. Le gambe erano nascoste dalle coperte, ma notando il mio disagio mi porse una coperta bianca e soffice, così che io potessi usarla per coprirmi e la indossai sulle spalle.
-Non è molto, ma di certo non troverete scialli o cose femminili qui.- Abbozzai un sorriso.
-Non avete risposto alla mia domanda.-
-Beh non mi andava di far scatenare il panico tra le cameriere, ho preferito portarvi qui da me.- Quando disse la parola cameriera, scoppiai a ridere, rimase sorpreso da quel mio cambio d'umore improvviso. In realtà, era insolito anche solo il fatto che io ridessi, non ero una grande figura di allegria; ma in quel momento la causalità, l'epifania che mi prese fu incontrollabile.
-Non sapete cos'ho visto in biblioteca! Ho scoperto che Monique è l'amante di Leopoldo! Sono rimasta come un topo in trappola.- Arrossi, non volevo fornire dettagli di quello di cui ero stata testimone, non era una cosa appropriata da dire; fare pettegolezzo non si addiceva ad una ''principessa'', ma ero fiduciosa nel fatto che avrebbe capito.
Lo vidi sghignazzare sotto i baffi.
-Oh beh, adesso mi avete svelato un arcano mistero, e mi rammarico per voi che siete stata testimone di quelle scene.- Nonostante ne fossi consapevole, avvampai dalla vergogna, l'idea che lui avesse capito mi fece sentire inadeguata e sporca, probabilmente lo percepì perché poi disse.
-Non dovete vergognarvi, sono cose umane Eugenie, e soprattutto non dovete vergognarmi in mia presenza.- Con le dita mi sfiorò lievemente la mano, come a volermi confortare. Non riuscendo a sostenere il suo sguardo, inclinai appena il viso, se solo avesse saputo il mio passato probabilmente si sarebbe disgustato di me.
-Mi dite cosa vi è capitato? Non potete nascondermelo, non dopo che ho visto i segni sulla vostra pelle.- Mi voltai di scatto, lo guardai inorridita, inorridita dal fatto che avesse visto anche solo uno scampolo delle mia pelle martoriata.
-Non è necessario, veramente.- Mi mossi a disagio, non ne avevo mai parlato ad alcuno, solo Leopoldo sapeva ma perché lui aveva visto. Mi alzai dal divano, sentendo l'urgenza di dover andare via, sapevo che se fossi rimasta lì, anche un solo istante di più, sarei stata costretta a parlare.
-No.- Si alzo dopo di me e mi prese il polso. -Dovete parlarne, non potete nascondervi in eterno ed ignorare il passato, bisogna affrontarlo di petto.- Lo guardai e strattonai con volgarità la mano per liberarmi. -Lasciatemi immediatamente, non vi devo nessuna spiegazione.- La coperta mi cadde dalle spalle e il vestito mi scese, rivelando la mia biancheria. Con la mano libera cercai di tirare su il corpetto del vestito mentre le lacrime di agitazione mi pizzicavano gli occhi. Mi attirò a sé con forza, chiudendomi in un forte abbraccio, caldo, dove esprimeva tutto il suo desiderio nel volermi sostenere e fidarmi di lui. Feci alcuni profondi respiri, nascondendo il mio viso, ormai rosso come le rose, nel suo petto, a voler trarre conforto dalla sua vicinanza; forse si meritava di conoscere.
-Va bene.- Mi scostai da lui e misi le maniche del vestito così che stesse su benché il dietro fosse slacciato. Mi raccolse la coperta e la sistemò con cura sulle mie spalle, facendo attenzione che fossi ben coperta. Mi misi nuovamente seduta e presi la gonna fra le mani, stringendo forte la stoffa, non sapevo da dove partire né come raccontare la mia storia. Lui mi rimase accanto, in silenzio, in attesa che io parlassi.
Presi fiato.
-Vedete, dopo la morte di mio fratello, i miei genitori impazzirono. Diedero la colpa a me, e come dargli torto dopo tutto, no? Ad ogni modo, mia madre, in particolare, prese molto male la cosa...sapete, mio fratello, maschio, primogenito.- Abbozzai un sorriso sarcastico mentre notavo, che mi ascoltava senza batter ciglio -Mia madre non si riprese mai dalla perdita e vedeva in me qualcosa di lui, vedeva che io non sarei mai stata come mio fratello, e così prese a tormentarmi. Cominciò con gli insulti, gli strattoni, gli schiaffi per poi diventare via via, sempre più pesante. Non potevo mangiare, o meglio, non me ne davano. Alcuno e alla servitù era proibito aiutarmi. Il suo livello di follia raggiunse il picco quando venni abbandonata all'altare qualche anno fa, e poi venni, più volte, rifiutata come moglie. Cominciò a picchiarmi seriamente, con qualsiasi cosa le passasse sotto mano, bastoni, ombrelli, mi spaccò anche un paio di vasi contro.- Guardai le mie dita, adesso stava per arrivare la parte più brutta e difficile da dire; non sapevo veramente come fare. Intuendo il mio disagio, Jean allungò una mano e la poggiò, delicatamente, sul mio ginocchio.
-Poi, la sera che conobbi Leopoldo, osai mangiare qualcosa in più del solito, considerando che il mio "solito" era acqua e pane, e quando ero fortunata patate porridge...lei si arrabbiò tantissimo ed ebbi la pessima idea di risponderle. Non appena arrivammo a casa mi picchiò con più forza e cattiveria del solito, mi prese per i capelli e trascinò nello scantinato. Lì conobbi l'orrore puro...mia madre porto degli uomini, anche mio zio...- Mi morirono le parole in bocca, non sapevo come dirlo, ma volevo, volevo levarmi quel peso dalle spalle. -Venni violentata per giorni interni, notti sane, mentre lei guardava, per assicurarsi che non...non usassero,...non prendessero la mia verginità. Neanche io seppi mai, come feci a sopravvivere a tali brutalità- Vomitai quelle parole, non volevo pensarci troppo; mi sentii come se un enorme peso avesse lasciato le mie spalle. Ci fu un momento di silenzio fra noi due, ero incapace di guardarlo. E poi, mi abbracciò, senza fiato, mi strinse quasi come se tentasse di rimettere insieme quei pezzi di una Eugenie ormai perduta.

In collaborazione con Figlia_dell_inverno

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