IX. - Eriadne
- Credi che saremo mai pronti a fronteggiare un'armata del genere? -
Le parole mi sfuggono di bocca senza che io riesca a fare nulla per trattenerle.
I miei occhi percorrono ormai insistentemente la pianura che circonda le mura esterne della città; le ombre che la ricoprono fanno risaltare i minuscoli bagliori in lontananza.
Per qualche istante provo l'irrefrenabile desiderio che possano dissolversi in seguito a un mio battito di ciglia.
Sarebbe semplice, spazzare via tutto con un minimo e incontrollato movimento del corpo: uomini, armi, tende e fuochi.
Disgregare la guerra che si avvicina.
Forse persino un Dio non sarebbe capace di un simile prodigio.
- Solo il tempo ce lo dirà. -
Cebrione volge il capo verso di me con un'espressione cupa in volto - Ciò che è certo è che gli uomini difenderanno la città fino al loro ultimo respiro. -
Nascondo il brivido provocato dalle sue parole.
Seppure con ciò davanti agli occhi non riesco a pensare a Ilio assediata; l'impotenza che provo mi spinge persino a cercare di negare l'evidenza.
Uno sforzo inutile quanto ridicolo ormai.
- Non c'è più modo di sfuggire a questa guerra, non è vero? -
La mia voce tradisce la paura che mi invade il cuore attimo dopo attimo.
Cebrione accanto a me abbassa lo sguardo lasciando ricadere lungo i fianchi le braccia che fino a questo momento ha tenuto incrociate sul torace.
Ho sempre custodito la parte più sensibile di me nel profondo, il più lontano possibile dal mondo crudele che mi circonda, con la speranza che nessuno possa appropriarsene o farla sua come il resto del mio corpo.
Durante la mia vita ho imparato a curarmi le ferite da sola, a contare le cicatrici fino a temere di perdermi in quei tagli che mi divorano la pelle e l'anima.
In ogni situazione ho saputo rimettere insieme i frammenti di me stessa, dopo ogni affronto divenuto ormai quotidianità, e ricominciare ogni nuovo giorno senza arrivare a sperare che sia l'ultimo.
Solo con Cebrione ho imparato a concedermi qualche attimo di debolezza.
Con lui non ho mai temuto di mostrarmi fragile o indifesa.
Ma ciò non attutisce il disgusto che provo verso me stessa un attimo prima di crollare in pezzi.
Perché è un lusso che non mi è concesso permettermi e c'è una parte di me che insiste nel voler continuare a lottare anche in questi rari momenti.
Mi mordo le labbra a sangue quando le mani di Cebrione stringono le mie.
Provo l'impulso inconsulto di sottrarmi al suo tocco, ma dura appena un istante prima che le braccia del principe mi circondino e mi serrino in uno di quegli abbracci che solo raramente abbiamo mai avuto occasione di scambiarci.
Con le dita strette alla sua nuca e il viso premuto sulla sua spalla penso a come Cebrione sia sempre riuscito a trasmettermi sicurezza semplicemente solo con la sua presenza, e di come poche volte abbia avuto bisogno di gesti fisici per dimostrarmi il suo appoggio.
Da sempre sono convinta si tratti di un suo modo per evitare fraintendimenti nel nostro rapporto già abbastanza spigoloso, ma tuttavia non l'ho mai biasimato per questo.
La sua voce è un mormorio che per qualche istante si fonde ai miei pensieri.
- Tornerò da te, lo prometto. -
Le sue braccia stringono il mio corpo esile con più forza, con un impeto che quasi stento a riconoscere.
Ora la paura che ho di perderlo mi artiglia ferocemente il cuore senza lasciarmi alcuna misera speranza di poter fare qualcosa per impedirgli di scendere in battaglia in prima linea.
Lui deve prendere il posto di auriga che gli spetta, accanto a suo fratello Ettore.
Poche voci concitate spezzano il calore del nostro abbraccio accarezzato, fino a un momento fa, solo dal vento salmastro proveniente dal mare.
Un breve grido di allarme si alza dalla sentinella sul tratto di mura adiacente a quello su cui ci troviamo.
Rivolgo un'occhiata confusa a Cebrione prima di vederlo sporgersi oltre il parapetto per cercare di individuare la strada che conduce alla rampa di accesso dell'acropoli.
I suoi occhi vagano nel buio un mentre il rumore inconfondibile di zoccoli sul selciato risuona nel silenzio della città addormentata.
Il movimento delle guardie sulle mura si fa più concitato e si diffonde fino al cortile sottostante.
L'espressione di Cebrione è cupa quanto un paesaggio oscurato da una tempesta in arrivo quando, senza proferire parola, mi passa accanto per raggiungere le scale che conducono ai piani inferiori.
Dalla mia posizione riesco a vedere la sua sagoma scivolare nell'ombra costeggiando il porticato che delimita il cortile in modo da evitare che i soldati possano dedurre il fatto che sia stato sulle mura in mia compagnia fino a questo momento.
Tuttavia le guardie sono del tutto concentrate sullo straniero a cavallo che ha appena fatto il suo ingresso nel cortile e che ora tengono a portata di lancia; la tensione nell'aria è palpabile.
L'uomo controlla il cavallo schiumante con polso fermo mentre con l'altra mano si sfila l'elmo per poggiarlo davanti a sé sulla sella. Noto con stupore che, a parte la corazza, non porta armi in vista e al suo bicipite sinistro è legata una fascia candida.
Poche brevi parole giungono alle mie orecchie e, malgrado la distanza mi impedisca di attribuire loro un significato, queste fanno in modo di tranquillizzare le guardie che dopo pochi istanti di esitazione sollevano le punte delle picche verso il cielo.
Cebrione raggiunge i suoi uomini con passo deciso parandosi di fronte al cavaliere che, chinato il capo, smonta da cavallo replicando alle frasi appena pronunciate dal principe.
L'ostilità che ha riempito l'atmosfera fino a questo momento pare dissiparsi lentamente quando Cebrione allunga il braccio in segno di invito verso il portone del palazzo e, insieme al cavaliere, scompare oltre la soglia.
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Il sorgere del sole ha segnato l'inizio di un nuovo giorno su Ilio: un giorno terribilmente differente da tutti quelli che per millenni l'hanno preceduto.
Un giorno che fino a questa notte pensavo sarebbe il stato il primo lacerato dai combattimenti e macchiato dal sangue.
Ma questa mattina l'ordine ricevuto di raggiungere le mie compagne dinanzi al tempio ha acceso in me una nuova speranza per la sorte della città.
Il messo inviato dai Greci nella notte ha comunicato la volontà degli Achei di iniziare un negoziato per provare a risolvere la faccenda senza inutili spargimenti di sangue, perciò Ilio si è trovata ad accogliere con fiducia i carri giunti dalla spiaggia alle prime luci dell'alba.
Alcune mie compagne sono state incaricate di rifocillare gli stranieri che ho avuto modo di osservare solo da lontano animata da una fitta ma cupa curiosità.
Quasi senza rendermene conto ho iniziato a cercare nelle loro braccia forti, nei loro visi abbronzati e ispidi di barba e nelle loro armature scintillanti i segni di risentimento o qualsiasi cosa potesse privare loro di umanità per permettermi di odiarli oltre che temerli.
Il non trovare nulla mi ha sconvolta come mai avrei immaginato.
Uomini, semplicemente uomini, soldati, forse padri strappati dalle braccia delle loro mogli senza quasi riuscire a dire loro addio.
Uomini che per affrontare la guerra e rispettare i giuramenti dati ai loro sovrani sono stati costretti ad abbandonare ogni cosa senza alcuna garanzia di ritornare.
Adesso, mentre con le mie compagne li osservo salire la scalinata che li condurrà al cospetto del re, mi ritrovo a pregare Apollo che la mia visione nelle fiamme sia stata solo una beffa della mia mente confusa.
- Glorioso* Priamo, re stirpe di Zeus*, giungiamo in pace oggi nella speranza di essere ascoltati. -
Il primo dei tre emissari che prende la parola ha una voce chiara e profonda; i suoi capelli chiari sono trattenuti da fermagli argentati che riprendono i decori presenti sulla corazza di ricca fattura.
- Menelao, il fratello del qui presente Agamennone, re di Micene, ha subito un affronto intollerabile - continua l'uomo pesando con cura le parole - e richiede sia posto rimedio sull'onta caduta su di lui e tutta la sua famiglia. -
- Mio fratello esige la restituzione della sua sposa, la regina Elena - interviene irrequieto quello che suppongo essere Agamennone facendo un passo avanti.
Nei suoi occhi scuri è riconoscibile un graffiante risentimento che diventa palpabile nell'aria e fa irrigidire le guardie reali che scortano gli stranieri in presenza del re.
Deglutisco alzando appena lo sguardo su Priamo.
L'anziano sovrano, accomodato sul trono in granito foderato da stoffe pregiate, non pare battere ciglio, anzi ignora l'ultimo irriverente intervento rivolgendosi direttamente al primo uomo.
- Hai un uso sapiente della parola, straniero, devi essere Odisseo ingegnoso* re di Itaca, ho udito molto parlare di te. -
- Sono onorato che il mio nome giaccia sulle labbra della grande stirpe dei Teucri - risponde con gratitudine Odisseo posando un palmo sul petto.
- Veniamo in pace, Priamo magnanimo* - interviene improvvisamente il terzo greco, un uomo dalla corporatura imponente e gli stupefacenti occhi celesti - per chiedere la restituzione di Elena. Sparta ha bisogno di una regina e una bambina le braccia d'una madre. -
Priamo curva lievemente il capo di fronte alle ultime parole dello straniero, mentre noto Odisseo stirare le labbra con una ruga improvvisa al centro della fronte.
- Tu saresti? - Domanda Priamo, ora con una venatura di nervosismo nel tono reso roco dall'età.
Il soldato china il capo - il mio nome è Palamede, sono cugino di Menelao e re di Eubea... -
Odisseo interviene - Mio signore Priamo, non è nostra intenzione recare danno a questa città. Ti preghiamo su tutti gli Dei di riconsegnare Elena al suo legittimo sposo in modo che possa fare ritorno a Sparta; in cambio di ciò ti garantiamo la promessa di una pace duratura tra Troia e la Grecia, oltre che la consegna di queste schiave. -
Sei ragazze legate per i polsi e gli abiti ridotti a brandelli vengono prontamente condotte al centro del cortile da due guardie.
Sento il cuore scavarmi una voragine nel petto e stringo i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi nel notare che alcune hanno sul corpo i lividi delle percosse ricevute e le guance impolverate rigate dalle lacrime.
Le loro iridi sono vacue, prive di qualsiasi terrore, cariche solo di rassegnazione.
- Come osate a venire qui, sputando pretese e cercando di abbindolarci con i vostri doni, quando mille delle vostre navi occupano le spiagge di Troia. -
Il principe Ettore, rimasto fino a questo momento seduto accanto al padre, si alza in piedi repentinamente, gli occhi che lanciano saette verso i presenti.
- Avete razziato le isole, attinto acqua ai nostri ruscelli, invaso i nostri territori, con quale coraggio o stupidità ardite di presentarvi oggi qui - tuona in preda all'ira.
Agamennone si fa avanti ostile, la mano già stretta sull'elsa della spada - Come osi troiano... -
- Basta. -
Priamo, in tutta la sua regale presenza, anziano ma ancora energico come un'antica quercia, si alza dal trono per superare il figlio e pararsi di fronte ad Agamennone.
- Dite di essere venuti in pace - mormora imperturbabile spostando lo sguardo austero scavato dalle rughe sui tre Achei - tuttavia non sprecate occasione per mettere mano alle armi, persino in mia presenza... Mi sorge ora il dubbio su quali siano le vostre reali intenzioni. -
Il gelo nel tono del re mi si deposita sulla pelle scivolando poi più a fondo fino alle viscere.
Un senso di attesa si sedimenta nell'aria ammutolendo i presenti; solo Ettore compie un appena percettibile movimento sollevando il mento in chiaro segno di tetro trionfo.
Poi un singhiozzo rompe la quiete: una delle schiave, appena poco più di una bambina, crolla in ginocchio scoppiando in un pianto angoscioso.
Nessuno pare accorgersene; Greci e Troiani continuano a fissarsi minacciosi aspettando, probabilmente, l'uno la prossima mossa dell'altro.
Guardo con orrore una delle guardie avvicinarsi sollevando l'asta della lancia con fare minaccioso ma un attimo prima che il legno si abbatta sulla schiena della sventurata una seconda ragazza afferra la giovane per un braccio esortandola ad alzarsi.
Il sollievo mi fa tremare le gambe e, mentre il soldato abbassa l'arma, mi rendo conto di ritrovarmi a osservare la ragazza che ha appena soccorso la più giovane: pur avendo sempre le mani legate si sforza di sostenere la compagna offrendole una spalla a cui appoggiarsi.
Ha un labbro spaccato e ciocche stoppose di capelli scuri le ricadono sul viso, ma questi particolari ricchi di sofferenza non la rendono meno bella.
Tuttavia è la determinazione nel suo sguardo a sconvolgermi.
La determinazione di una belva costretta in catene che però mai cesserà di lottare per la sua libertà.
Fino a quando esalerà il suo ultimo respiro.
* Epiteti utilizzati da Omero nell'Iliade.
Ciao a tutti,
Ripeto quello che ho scritto in bacheca la settimana scorsa per chi magari se lo è perso o è semplicemente arrivato qui leggendo.
D'ora in avanti sarò solo io a portare avanti questa storia, in quanto l'altra ragazza ha abbandonato il progetto.
Seppure sia nata con la particolarità di essere scritta a quattro mani non me la sento davvero di abbandonarla.
Chiedo scusa in anticipo se a volte gli aggiornamenti potrebbero tardare, ma portare avanti due filoni sarà impegnativo e fino a una settimana fa non ero preparata a dover gestire anche il personaggio di Aristea.
Impegni universitari permettendo cercherò in ogni modo, comunque, di pubblicare un capitolo a settimana.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vi va fatemi sapere cosa vi aspettate dai prossimi!♥️
A presto,
Eriadne (Kate_StormSoul )🏺
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