Fata del Glicine
Siete mai state sotto la collina
Dove le Fate han la corte e la regina?
Periglioso è addentrarsi fin laggiù
Il rischio è quello di uscirne mai più.
Io, sapete, ci sono stata!
Eppure, ecco: son ritornata.
Basta andarci da invitata
E non fare l'infiltrata.
Era il ballo di mezza estate,
le danze non erano iniziate.
Mi sono accomodata al tavolo del re
Dove cento damigelle badavano a me.
Le vesti? Di mille fogge e colori.
Ovunque appese ghirlande di fiori.
Non finestre, ma tondi fori,
Da cui filtrava il tramonto al di fuori.
Con la musica, poi, la festa è iniziata.
Era danza stregata, o meglio fatata!
Che vi posso raccontate, io?
Fluttuavo tra il sogno e l'oblio.
Una cosa la rammento con nitore:
Quando è scomparso l'ultimo fulgore
E l'orizzonte ha inghiottito il sole,
Meraviglia! Piovvero petali di viole.
Anzi no: eran mantelli e cappuccetti
Confezionati dalle Fate per gli insetti.
Accolte da grande battimani,
Le Lucciole vestite giunsero in sciami,
E la collina ormai oscurata
Divenne quasi notte stellata!
I lumi lillà, prima svolazzanti,
Si posero su ghirlande penzolanti.
Io ne fui tanto incantata,
Che restai a bocca spalancata.
Attorno a me esplose una risata.
Io, be', ne fui assai piccata.
La regina mi disse, bonaria:
«Perché quel naso per aria?»
«Lampadari così non ne ho visti mai»
Sorrise: «Diman mi dirai.»
Le lucciole ammantate
Appesero all'edera le cappe rosate:
E come astri pulsanti
Divennero luci danzanti.
La musica ricominciò,
E troppo presto la notte passò.
Con strali argentati Aurora albeggiò
E a casa propria ognuno tornò.
«Ma le cappe? Le han dimenticate!»
Esclamai, quando le lucciole furono andate.
«No, le lasciano sempre da noi.
Prendine un po', se ne vuoi»
Mi porsero lo strano appendino
E io guardai più da vicino.
Di miele dolcissimo profumava
E dal viola al lilla chiaro sfumava.
Crederci non potevo,
Eppure è quel che vedevo.
Le cappe cucite dalle Fate con amore...
Non eran che grappolo di glicine in fiore.
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