Capitolo 1 - Blu (Seconda Parte)
La ragazza arrivò a boccheggiare in cerca di ossigeno, i singhiozzi tornarono a colpirle violentemente il corpo.
«Non ti farò del male, te lo prometto. Voglio solo toccarti il viso» tentò di rassicurarla ancora, ottenendo dall'altra solo un movimento affermativo del capo come risposta.
Voleva scappare ma non ce la faceva. Avrebbe desiderato alzarsi in piedi di scatto e scappare il più lontano possibile, ma non ne era in grado. Verity sentiva che stava per arrivare la sua fine, che non sarebbe mai riuscita ad andarsene da quel luogo oscuro. Da sempre, il blu era stato il suo colore preferito. In quel momento lo stava odiando con tutta se stessa.
Quando la mano calda dell'altro incontrò la pelle fredda, a causa delle lacrime, della guancia di lei, la giovane parve calmarsi all'improvviso, di colpo. Si sentì rassicurata e protetta da quel semplice gesto, nel frattempo che lui l'accarezzava con un pollice provando a eliminare i residui e le gocce cristalline nuove. Il respiro rallentò, così come il battito e i singhiozzi. I brividi diminuirono, trasformandosi in un una percezione sorda e distante. Non sapeva in che maniera ci fosse riuscito, ma era stato in grado di calmarla semplicemente con quel tocco.
«Chi sei? Perché sono qui?» Gli domandò incredula Verity, la voce maggiormente ferma rispetto a pochi secondi prima.
«Per il momento posso rispondere solo al primo dubbio» le disse dolcemente, dopo aver fatto una piccola risata. Se lo immaginò sorridere mentre parlava. Più andava avanti e più la sensazione che lui potesse farle del male svaniva, una nuvola di fumo grigia che scompariva nell'allegro cielo celeste. «Mi chiamo Kim Tae-hyung, ma puoi chiamarmi semplicemente Tae. Sono il Guardiano della paura del buio» rispose teneramente il ragazzo, facendo scivolare nel mentre la mano. Dalla guancia le sfiorò delicatamente, con la punta delle dita, il collo e il braccio, i punti in cui la pelle era scoperta. Il suo cuore mancò un battito sotto quel tocco, così leggero quanto rasserenante, di conforto. Arrivò alla mano, che afferrò con delicatezza e continuò ad accarezzare teneramente.
«Io sono Verity» si presentò la giovane di sua spontanea volontà, con il pianto che le aveva finalmente dato un attimo di tregua.
«So chi sei, Verity» replicò Tae, il tono più serio. «Ti stavamo aspettando.»
«Aspetta un attimo» lo fermò lei, portando istintivamente una mano in davanti, simbolo che voleva bloccarlo. Lei non poteva vedere il gesto, ma lui quasi certamente sì, ne era sicura. «Ti stavamo aspettando? Che cosa intendi dire? Chi altro c'è qui?» Gli domandò, l'ansia che lentamente tornava a invaderle il corpo insieme al panico. Si guardò per l'ennesima volta intorno, con la falsa speranza di riuscire a vedere di nuovo qualcosa. Come pochi secondi prima, però, non riuscì a scorgere assolutamente nulla se non blu.
«Non sono l'unica persona che incontrerai qua, nel viaggio che ti aspetta» le rispose l'estraneo, stringendo ancora di più, per un secondo, la sua mano, come a infonderle ulteriore conforto. «Prometto che avrai le risposte che cerchi, magari qualcuna te la darò pure io, ma non è questo il momento. Devi superare la tua paura del buio prima» concluse lui successivamente, sospirando amareggiato. Sembrava realmente dispiaciuto, riusciva a capirlo dal tono di voce.
Verity percepì il braccio alzarsi verso l'alto, seguendo i movimenti dello sconosciuto che ancora le stava tenendo la mano. Ipotizzò che, a meno che non avesse sollevato l'arto superiore dalla posizione in cui si trovava, allora si fosse alzato per forza in piedi.
«Dobbiamo andarcene da qua il prima possibile. La strada è ancora molto lunga» spiegò Tae dopo qualche secondo di silenzio, aiutandola ad alzarsi. Le gambe, finalmente, erano in grado di reggere il suo peso come prima, anche se erano leggermente instabili. Il cuore le batteva forte, sembrava che le dita di poco prima la stessero ancora tenendo ben salda a sé, schiacciando la caviglia fino a lacerarla.
«Adesso devo lasciarti andare, devi camminare da sola» proseguì l'altro, facendole un'altra carezza sulla guancia con la mano libera. Verity lo sentiva molto vicino, era come se il suo corpo si trovasse a pochi centimetri di distanza, riscaldandola con il calore che emanava. Il suo tocco era leggero, dolce, tenero e gentile, le donava la protezione e il conforto di cui necessitava per andare avanti. Nonostante ciò, i brividi parevano star ritornando più forti di prima, il gelo del buio che le sfiorava perfino le ossa. Le parole dello sconosciuto l'avevano lasciata spiazzata.
«Non lasciarmi, ti prego» lo supplicò lei, le lacrime che tornavano a rigarle le guance. Non voleva che lui l'abbandonasse, era il suo unico appiglio in quel luogo buio, oscuro, non voleva lasciarlo andare per nessuna ragione. Necessitava di un contatto diretto con lui per rimanere attaccata alla realtà, per fare in modo che la sua paura non la rapisse e divorasse ancora.
«Segui la mia voce e andrà tutto bene» le consigliò semplicemente lui, lasciandole andare la mano.
La ragazza spalancò gli occhi di scatto, non si era nemmeno resa conto di averli chiusi per l'ennesima volta, data l'assenza di differenza tra l'averli aperti oppure no.
Una melodia si diffuse nell'aria, una voce che cantava in una lingua sconosciuta, estranea all'essere umano. Era armonica, dolce e soave, pari a quella di un usignolo, con le parole che si fondevano tra loro, legate da una forza sconosciuta. Verity ipotizzò che fosse Tae.
Iniziò a seguire la voce, esattamente come le aveva detto lui. I passi furono incerti all'inizio, ma poi si fecero man mano sempre più sicuri. Il cuore le batteva forte mentre avanzava, le orecchie completamente rapite da quel suono incantevole e ammaliante. Pareva tutto tranquillo, gli occhi aperti e vigili, nonostante fosse completamente inutile.
All'improvviso, infatti, una mano le sfiorò il braccio. Polpastrelli gelidi come la morte la toccarono appena, facendola bloccare sul posto immediatamente. Il sangue pulsò nelle arterie a una velocità indicibile, le sembrava che stessero scoppiando in quel preciso istante. Il freddo le aveva invaso le ossa, una siringa di puro terrore le era stata iniettata nel corpo, congelandole le membra. Era paralizzata, non riusciva più ad avanzare.
«Tae! Non ce la posso fare!» Gridò Verity, le lacrime che le macchiavano il viso come una cicatrice ormai.
«Segui la mia voce, o rimarrai qui per sempre» ribatté l'altro con fermezza, per poi tornare a cantare.
La ragazza non sapeva come comportarsi. La melodia si allontanava sempre di più, mentre il suo corpo rimaneva fermo immobile. Voleva veramente rimanere in quel luogo? Il regno di uno dei suoi peggiori incubi?
Le scelte erano due: andarsene o rimanere. La decisione era semplice.
Verity fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e iniziò a camminare di nuovo, questa volta più sicura di prima. Come poco prima, ci vollero solo pochi secondi perché le mani tornassero a toccarla leggermente. Sentiva i loro freddi polpastrelli sfiorare la sua epidermide cosparsa di pelle d'oca. Alle volte arrivavano ad accarezzarle anche i capelli, spostandoli come se fossero stati mossi dal vento.
Le uniche cose che le permisero di proseguire furono l'adrenalina causata dalla paura, più forte di prima, e la voce di Tae. La curiosità giocava a suo favore. Voleva vederlo alla luce, osservarlo e dare un volto a colui che la stava salvando dal suo peggior incubo.
Aumentò sempre di più il passo, fino a quando non inizio a marciare e, infine, a correre. Le gambe si muovevano da sole, non aveva più alcun controllo su di loro. Le mani diventarono rami che le graffiavano la pelle, lasciandole sicuramente dei segni al loro passaggio. Per fortuna, nessuno l'afferrò com'era successo all'inizio. Le lacrime scorrevano copiose bagnandole tutto il viso, fuggendo dalle palpebre abbassate e strette, mentre il battito pareva trovarsi al livello delle orecchie.
Non seppe per quanto le sue gambe ebbero la forza di muoversi velocemente, l'unica sicurezza che ebbe fu che si dovette fermare quando i polmoni iniziarono a reclamare ossigeno. I capelli erano scompigliati e le palpebre ancora ben serrate. Il respiro affannoso, sia per la paura che per la fatica, entrava e usciva pesantemente dalla bocca, nel frattempo che lei si poggiava con i palmi sulle ginocchia.
Non aveva il coraggio di guardare dov'era finita. Non sentiva più alcuna mano allungarsi nella sua direzione e toccarla, ma la cosa che più la preoccupava era che non riusciva più ad ascoltare la voce dell'altro.
«Tae?» Mormorò a fior di labbra Verity, le lacrime che si erano finalmente placate, ma che rischiavano di tornare in una quantità maggiore di prima nel caso non avesse ricevuto nessuna risposta. Non sopportava l'idea di poter essere rimasta rinchiusa al buio, nell'oscurità. Voleva scappare, uscire e gridare che era di nuovo libera.
«Apri gli occhi.» La sua voce la investì come un venticello fresco in una torrida giornata estiva. Le donò un sollievo che non riusciva a descrivere a parole, percependo il cuore pulsare per la felicità al posto della paura.
Lentamente e con calma, le palpebre di Verity si sollevarono. Davanti a lei c'era un ragazzo più alto di lei, con i capelli blu elettrico, luminosi e voluminosi, piccole onde che, a tratti, gli ricadevano sui grandi occhi a mandorla. Le iridi, del medesimo colore, parevano brillare di luce propria, spruzzati da piccoli cristalli. Anche i vestiti che indossava, identici a quelli della giovane, erano della stessa tonalità cromatica, l'unica eccezione era la pelle e le labbra: la prima bianco latte, diafana, mentre le seconde erano piene e leggermente carnose, color pesca.
Intorno a lei tutto era di nuovo distinguibile, sulle sfumature del blu.
«Come ti senti?» Le chiese dolcemente lui, rivolgendole un piccolo sorriso.
Verity si sentiva stranamente bene. La gentilezza del ragazzo le trasmetteva calore e conforto, sensazioni utili data la situazione in cui si era ritrovata.
La giovane annuì, in risposta al quesito dell'altro, socchiudendo le labbra. Voleva porre una delle domande che, da quando si era svegliata nella selva, le tormentava la testa. Tuttavia, dalle sue labbra non uscì niente, solamente aria.
«Verity, se sei qui è perché devi compiere un viaggio» iniziò a spiegarle Tae, attirando la sua attenzione non appena pronunciò il suo nome. La voce era armoniosa, calda, accogliente. La giovane credeva di non aver mai udito nulla del genere in vita sua. «Hai vissuto una vita piena di paure, è giunto il momento di affrontarle.» Le allungò una mano, invitandola con un gesto della testa ad accettarla. Anche se inizialmente titubante, Verity l'afferrò, mentre il ragazzo faceva in modo che le loro dita si intrecciassero.
Intorno a loro, a partire dalle mani unite, si propagarono dei colori. Il prato sotto di lei divenne di un verde brillante, simile allo smeraldo, mentre le montagne sullo sfondo si dipinsero di colori diversi, dal grigio delle rocce al bianco della neve. Anche il cielo assunse un azzurro chiaro e delicato, come se fosse pomeriggio. Perfino Tae aveva cambiato colore: il blu aveva lasciato il posto a delle delicate onde nere come le ali di un corvo, abbinate a degli occhi scuri anche più del carbone. Le pupille si confondevano con le iridi. I pantaloni divennero beige mentre la maglia si colorava di rosso, simile alla passata di pomodoro per la tonalità. Di fianco a loro, emergendo dal pavimento spaccatosi, emerse una porta blu cobalto, pronta per essere aperta.
«La tua prossima paura ti sta aspettando» le disse Tae, guardandola teneramente e con un sorriso triste sulle labbra.
«Ma io non voglio lasciarti» ribatté Verity, scuotendo la testa. «Voglio conoscerti, vederti di nuovo...»
«Oh, ma ci rivedremo, è una promessa la mia» replicò gentilmente il ragazzo, facendo qualche passo in avanti per tirarla verso l'uscio. «Ma il mio tempo con te è finito. Devi ascoltarmi, altrimenti non potremmo più vederci. Una volta affrontata la prossima paura, riceverai altre risposte, so bene che sei confusa.» Fece un respiro profondo, quasi rassegnato, come se il giovane conoscesse delle regole a lei sconosciute, fatto che sospettava fortemente fosse vero. «Ma per il momento questo è tutto ciò che ti posso dire» concluse quindi l'altro, lasciandole andare la mano e allontanandosi, in modo tale da darle abbastanza spazio.
Prima di permetterle di aprire la porta, però, le lasciò una carezza sulla guancia, come a prometterle che si sarebbero incontrati ancora.
«Arrivederci, Verity, questo non è un addio» la salutò, sollevando una mano all'altezza del viso e scuotendola non appena ebbe indietreggiato ancora.
«No, non lo è» replicò triste la ragazza, un sorriso malinconico le increspò le labbra leggermente screpolate. Avrebbe trovato un modo per incontrarlo di nuovo, sapeva che ci sarebbe riuscita, lo sentiva nel profondo. In un modo o nell'altro lo avrebbe ritrovato. Era una promessa.
«Arrivederci, Tae» lo salutò infine.
Verity afferrò titubante la porta, per poi spalancarla e attraversarla. Una luce blu la investì, accecandola e disorientandola più di prima, se solo fosse stato possibile.
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