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Capitolo 8


La seconda fatica cambiò il tono della competizione. Non c'era più spazio per l'incertezza: ogni scelta, ogni respiro poteva essere decisivo.

Quando ci portarono su quella torre del castello, l'atmosfera era carica di tensione. Una stanza misteriosa attendeva ogni concorrente, e l'incertezza su ciò che conteneva alimentava le paure. Le regole erano chiare, brutali:

Un solo tentativo a testa.Nessuno poteva rivelare ciò che accadeva dentro la stanza.Qualsiasi segno o parola scambiata fuori da quella porta sarebbe stato punito con la morte.

Quando un ragazzo si azzardò a indicare qualcosa, fu ucciso senza esitazione da una guardia. Il colpo secco della spada non lasciò spazio a dubbi: questa non era più una competizione, era una lotta per la sopravvivenza.

Poi venne il mio turno.

Entrai nella stanza, aspettandomi qualsiasi cosa tranne ciò che vidi. Greta. Era lì, di fronte a me, seduta con un'aria serena e quasi distante. Per un momento tutto scomparve: la competizione, la paura, perfino il "gobbo" e le sue regole. C'eravamo solo io e lei.

I nostri sguardi si incontrarono per la prima volta. Mi sembrò che il tempo si fermasse.

"Siediti pure, Arturo," disse con una voce dolce e sicura.

Rimasi immobile, come pietrificato. Poi un uomo al suo fianco, probabilmente una guardia fidata, ripeté l'invito. Mi sedetti.

L'uomo proseguì: "Hai un minuto. Greta deve decidere se puoi proseguire il percorso o se sei fuori. Usa bene questo tempo. Il minuto inizia ora."

Avevo il cuore in gola. Mille pensieri mi affollavano la mente, ma nessuno riusciva a trasformarsi in parole. Guardavo Greta, cercando qualcosa da dire, ma mi sentivo completamente bloccato.

La mia salivazione era sparita. Cercavo di mantenere lo sguardo su di lei, ma ogni volta dovevo abbassarlo, sopraffatto dall'emozione. Greta mi guardava con calma, senza dire nulla. Il tempo scorreva inesorabile.

Poi finì.

Non avevo detto una parola. Nemmeno una. Mi sentii uno stupido. Avevo avuto l'occasione di parlarle, di farmi notare, di dimostrare qualcosa, e l'avevo sprecata. Chinai il capo, convinto che fosse la fine per me.

Il "gobbo" ruppe il silenzio: "Il muto, ovviamente porta di destra, mia Principessa?"

Greta sorrise appena, quasi impercettibilmente, e rispose: "No, porta di sinistra."

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Ero passato?

Il "gobbo" mi scortò verso la porta di sinistra, borbottando: "Ragazzo, sei muto? Non so come ci sei riuscito senza dire niente, ma sei passato!"

Un senso di sollievo e di incredulità mi travolse. Non avevo idea del perché Greta avesse deciso così, ma sapevo che non avrei lasciato sfuggire una seconda possibilità.

Quando uscì Federico, capii dal suo sguardo che qualcosa non andava. Fu scortato verso la porta di destra. Non superò la prova. Sentii una stretta al cuore, ma ero anche sollevato: non si era fatto male. Sapevo che per lui questa era più la mia battaglia che la sua, e aveva dato tutto per accompagnarmi fino a quel punto.

Ora eravamo rimasti in meno, e il peso della sfida cresceva. Ma Greta, con quel gesto, mi aveva dato un motivo in più per andare avanti.

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