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Capitolo 16

La decima fatica si rivelò essere una sfida del tutto diversa dalle altre. Greta si rivolse a noi dieci con una proposta tanto semplice quanto enigmatica: "Voglio passare un giorno intero con ognuno di voi. Sarete voi a scegliere cosa fare, per quanto tempo e dove. Buona scelta."

Avevo immaginato mille scenari, pensato a come sorprenderla, a cosa fare per lasciare una buona impressione, ma quando finalmente venne il mio turno, non riuscii a mettere in pratica nessuno dei miei piani. Quando la vidi, tutto ciò che avevo progettato mi sembrò troppo complesso, troppo artificioso. Volevo che fosse un momento vero, semplice, qualcosa che ci permettesse davvero di conoscerci.

La portai nel giardino di Federico, il mio amico che mi aveva insegnato tanto, e lì decidemmo di giocare a "tocca la pietra", un gioco che avevamo inventato da bambini. Il gioco sembrava banale, ma fu proprio quello che Greta sembrava apprezzare di più. Ridevamo e ci divertivamo insieme, e in quel momento, mi sembrava che tutto il resto non contasse. Non c'erano corone, non c'erano regole da rispettare. C'era solo il piacere di stare insieme.

Poi, decisi di portarla al lago. Ci sdraiammo sull'erba, mentre il sole cominciava a tramontare. Parlammo di tutto e di niente, ma soprattutto di noi, dei nostri sogni, dei desideri e delle paure. In quel momento, pensai che fosse la scelta giusta. Volevo che fosse un momento in cui potessi essere me stesso, senza maschere, senza cercare di impressionarla. Era una conversazione onesta, spontanea.

Lei sembrava a suo agio, divertita, e i nostri sguardi si incrociavano spesso. Con ogni sorriso che mi regalava, sentivo il cuore battere più forte. Quando la sera cominciò a scendere, prima di salutarla, mi sporsi per darle un bacio sulla guancia. Era un gesto innocente, un gesto che mi sembrava naturale, ma quando lei si allontanò, mi disse con un tono seccato: "Che diamine fai?"

Mi sentii morire dentro. Non avevo nemmeno capito cosa fosse successo. "Sono mortificato, Principessa," risposi, con un nodo in gola. "Le chiedo umilmente scusa, mi sono lasciato andare ed ho perso il controllo..."

Lei non disse nulla e se ne andò, lasciandomi lì, con la testa bassa, confuso e deluso da me stesso. L'incertezza mi assalì, ma non potevo fare altro che rimuginare su quanto appena accaduto.

Sei giorni dopo, fui chiamato dal "gobbo" per la sentenza della decima fatica. Il momento che avevo temuto e aspettato con tanta ansia finalmente arrivò. Il "gobbo" dichiarò i nomi di chi aveva superato la sfida:

"Passano il turno solamente: Sandro il 'mancino', Alessandro il 'forzuto' ed Arturo il 'muto'."

Arturo? Sono io! Incredibile!

Non riuscivo a crederci. Sentivo una scarica di adrenalina che mi percorreva. In quel momento, il mio morale risalì come un razzo. Nonostante l'incidente del bacio, avevo superato la fatica e stavo ancora lì, con la speranza di poter arrivare fino in fondo.

Ero ancora un passo più vicino alla fine, ma la strada era ancora lunga e le sfide sarebbero state sempre più dure.

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