6. L'Assassino e il bacio
«Il bacio è il contatto tra due epidermidi e la fusione di due fantasie.»
- Alfred De Musset
Appostamenti.
Alaister Noir mi aveva insegnato che restare fermi ed immobili, con le ginocchia urlanti per il prolungato sforzo di restare piegate ed il corpo provato dalla fatica, dalla fame e sì, anche dal bisogno di dover andare in bagno, non poteva essere che un'arte. Incompresa, mascherata come un'operazione noiosa, necessaria ma noiosa. Fastidiosa. Invece era lì che un assassino poteva dirsi abile, infallibile, completo. Imparare l'arte dell'appostamento.
Prima ancora di vedere la luce della vittima spegnersi nei suoi occhi, prima di sentire il coltello affondare nella carne del nemico fino all'elsa, prima di assaltarlo. Bisognava restare fermi a fissarlo, con gli occhi di un nibbio sapiente che non si lascia perdere neanche un dettaglio. Neanche. Un. Singolo. Dettaglio. Dovevi semplicemente dimenticare di esistere. Dovevo dimenticarmi di chiamarmi Helias Bloomwood, di essere il sicario più abile della gilda e il ragazzo dal volto più grazioso di tutta Skys Hollow, e diventare chi stavo guardando. Occhi azzurri fissi su quell'individuo. Mente svuotata completamente, sintonizzata sul medesimo rumore di passi dell'obiettivo. I nostri respiri che entravano in collisione, lasciandomi stabilire la frequenza con cui il suo cuore batteva, contare il numero di volte in cui le sue palpebre si chiudevano e aprivano.
E poi, quando finalmente avevo capito tutto, quando finalmente ero entrato in completa simbiosi col verme che dovevo fare fuori... In quel preciso istante mi distaccavo dall'ombra e colpivo, beandomi del sangue sulle mani e della soddisfazione di aver spento una vita marcia. Ma adesso no, adesso non era ancora il momento giusto per muoversi.
Perciò restai fermo, le palpebre strette come feritoie, gli occhi come frecce pronte a colpire il bersaglio che le mie pupille tenevano sotto tiro. Le dita che premevano da dieci minuti buoni contro alla corteccia di un pino facevano male, lasciavano scanalature nella pelle già provata dallo stress della prigionia. Ma dieci minuti, rispetto alle ore che un tempo passavo a guardare qualcuno, non erano niente. Nemmeno premere le ginocchia contro i rami appuntiti per diversi minuti era davvero terribile. Non battei ciglio. Mi limitai a tenere la pianta del piede ben appoggiata su un ramo più massiccio, ambo i talloni sollevati per mantenere l'equilibrio, polpacci e cosce attaccate in una posizione accovacciata, muscoli contratti. Coltello minuziosamente intrappolato fra i denti, come un pirata in mezzo alla giungla, sebbene questo fosse un bosco decisamente diverso. Entrambe le mani strette all'albero, senza la paura di cadere, al contrario pronte ad avere l'appiglio per darmi lo slancio verso il basso.
Lì dove stavano accadendo buona parte degli avvenimenti delle ultime ore. Ezrael era stato catturato ed era stato subito identificato come l'aiutante del pericolosissimo fuggitivo. Ceppi gli erano stati legati ai polsi e una lunga catena scorreva sia davanti, afferrata da un terzetto di guardie a cavallo, che alle sue spalle, tenuta stretta da un'unica guardia a piedi. Proseguivano a passo costante, senza velocizzare né rallentare, gli occhi che luccicavano di trionfo per quella semplice cattura.
Nonostante il cielo si stesse chiazzando d'arancio come il manto maculato di un animale, il sole che spariva oltre la curva appuntita di pini e abeti riusciva a rischiarare un po' la scena che si parava sotto ai miei occhi, ed io continuavo a seguirli saltando da un albero all'altro con un'agilità che credevo d'aver perso, e invece mi aiutava anche ora a restare in equilibrio, senza muovere un singolo muscolo, con il rischio di far scricchiolare l'albero, emettendo un rumore di troppo.
«Dobbiamo avvisare il resto del gruppo di ricognizione.» tuonò uno dei soldati a cavallo, facendo un cenno al prigioniero dalle ciocche d'argento, che arrancava, tirato da ogni lato. Eppure, a quelle parole, il suo viso scattò verso l'alto, gli occhi viola s'incupirono come attraversati da un'ombra di paura e le labbra sottili si strinsero in preda ad uno spasmo interiore.
«No no... Vi prego! Non voglio andare ad Ender!» biascicò, con un tono supplicante, un secondo prima di venir colpito dritto in faccia dall'elsa massiccia di una spada, cosa che lo fece barcollare. Nonostante tutto, rimaneva il più alto del gruppo.
«'Sta zitto, prigioniero.» ringhiò la guardia che lo aveva colpito, riponendo la spada nel fodero con estrema lentezza, come se non fosse troppo felice di smettere d'usarla.
«Posso portarvi da lui!» gridò, ora con voce incalzante, squillante, col desiderio da farsi udire da tutti e quattro Decisamente non passò inosservato: furono pronti a tendere le orecchie. La notizia era troppo succulenta per farsela scappare, la taglia sulla testa del famosissimo Sfavillo era abbastanza grossa da renderli tutti ricchi sfondati per il resto della loro vita. Nessuno osò colpirlo, adesso. «Io so dove si nasconde...»
Strinsi le labbra più forte, serrando la presa dei denti sul coltello, pur facendo attenzione a non tagliarmi la lingua con la lama tagliente che mi si affacciava in bocca. Poi, spostai il piede da uno stivale all'altro, sfortunatamente di qualche numero più grande al mio. Aggiungerci delle foglie si era rivelata una buona idea.
«Muoviamoci allora.» sbraitò il primo in coda al gruppo, in sella ad un cavallo nero, che sembrava capeggiare gli altri due. Sul viso di Ezrael si colorò un sorriso di sollievo e riprese la camminata, con un dondolio metallico di catene e qualche imprecazione da parte dei soldati, tipo "devo pisciare" o "devo intascare quei cazzo di soldi". Ognuno aveva i suoi pensieri. Nessuno poteva immaginare ciò che stava per accadere.
Il prigioniero, all'improvviso, inciampò su un sasso e cadde a terra. Non c'era nessun sasso, in verità, ma s'afferrò la caviglia ed iniziò a gridare in preda al dolore, cogliendo tutti di sorpresa. In quell'istante, il suo sguardo color ametista si levò verso l'alto, s'intrecciò ai rami del pino e s'infiltrò fino ad incontrare i miei occhi di ghiaccio. E sorrise.
Ora!
Finalmente, mi distaccai dall'ombra e saltai giù: mi ritrovai in groppa alle spalle di un soldato, a cui avevo appena conficcato il coltello al centro della fronte. Mentre il corpo precipitava al suolo io mi misi in piedi. Nello stesso istante, l'albino aveva strattonato violentemente la catena davanti a lui per disarcionare i soldati a cavallo; in un caso ebbe fortuna, perché il cavallo, imbizzarrendosi, finì per spiaccicare la testa del suo conducente sotto agli zoccoli. Nel secondo caso fu piuttosto inutile, perché si mise frettolosamente in piedi. Quel tanto che bastava per permettere ad Ezra di sollevare la catena e lanciargliela contro avviluppandogli la gola. Io non persi tempo a guardarli, perché mi preparai ad approfittare del suo stordimento per pugnalarlo al petto, perforandogli il cuore senza esitare un attimo.
Rimase soltanto l'ultimo, quello che capeggiava la fila, ora con un sorriso idiota e tracotante sulla faccia, nonostante la morte dei suoi tre compagni di caccia. Sguainò la spada con un rumore sibilante e se la agitò al fianco pensando stupidamente che potesse servire a qualcosa. Darsi scena davanti al grande Sfavillo prima di venire ammazzato. Più che altro si rendeva ridicolo, ma io lo lasciai fare mentre lanciavo un'occhiata d'ammonimento ad Ezrael, per dirgli di farsi da parte, perché era compito mio e ci avrei messo poco. Ma non con il pugnale. Uno dei soldati che giacevano ai miei piedi, quello che si era spaccato la testa sotto agli zoccoli dei suoi cavalli, aveva ancora arco e faretra in spalla. Rubai l'arco ed incoccai la freccia mentre il soldato iniziava a caricare, la spada sollevata. Voleva decapitarmi? In effetti c'era una taglia sulla mia testa, ma non avrei certo immaginato letteralmente.
Io però non mi mossi di un centimetro. Anzi, divaricai un poco le gambe, ben piantato a terra, di fronte al cavallo che incombeva a tutta velocità e un nitrito che sembrava intonare un inno funebre. Non il mio ovviamente. Anche se, restando lì, o sarebbe volata la mia testa, o sarebbe stato spezzato ogni osso del mio corpo mentre venivo investito dallo stallone nero.
Ma che stai facendo?! Spostati!
Non lo feci. Aspettai che si avvicinasse ancora, che sulla sua faccia si ampliasse il sorriso, che il nitrito mi facesse ronzare le orecchie e che gli occhi scuri e tenebrosi del cavallo si piantassero nei miei ad un metro di distanza. Esalai un singolo sospiro e scoccai, proprio nell'istante in cui lui tendeva al massimo il braccio per far scattare la spada verso il basso.
Eppure, la mia freccia gli si piantò dritta in mezzo agli occhi e la forza dell'impatto fece scattare il corpo all'indietro, giù dal cavallo, che trottò furiosamente sul punto in cui mi avrebbe investito, se solo non mi fossi spostato di lato con uno scatto fulmineo.
Poi, silenzio.
Ezrael mi stava guardando con un'espressione che non avrei saputo decifrare facilmente. Corrucciai le labbra. «Mbe', che c'è? Avevi qualche dubbio sulla mia bravura?» Alzai il mento, pavoneggiandomi per qualche secondo prima di scuotere la testa e affrettarmi a cercare nelle tasche dei quattro morti le chiavi delle sue catene. Lui fece un'espressione ancora più strana e non disse niente, perciò lasciai perdere. Se fosse stato Yul mi avrebbe decisamente preso in giro. Ma decisi velocemente di non pensare a lui, perché dovevo concentrarmi solo sulla fuga.
Avevamo pensato ad un bel piano, poco dopo esserci allontanati dal nascondiglio della signora Tynam. All'inizio era stato tutto terribilmente tranquillo. Eravamo stati fin troppo occupati a camminare in tutta fretta, intenzionati ad allontanarci il più possibile dal campo di prigionia, per scambiarci frasi che non riguardassero l'acqua, il cibo, una sosta o una dormita. Il mio aiutante, che avevo finalmente appreso si chiamasse Ezrael, si era ripreso alla perfezione dal suo lungo sonno: i capelli d'argento tagliati di fresco, i misteriosi occhi viola, le lunghe ciglia nere e l'altezza impressionante erano soltanto i dettagli marginali dell'intera sensazione che lui mi trasmetteva ogni volta che mi stava vicino.
Bastava che mi si parasse al fianco per avvertire una sorta di brivido sottopelle, davvero strambo. Ecco perché mi tenevo ad una certa distanza. E così le cose stavano andando bene, almeno finché non incontrammo i primi gruppi di ricognizione alla ricerca delle nostre tracce. Volevo semplicemente ammazzarli, ma l'albino aveva proposto di seguirli in silenzio. Un'idea stupida, credevo. Invece il posto più impensabile dove nascondersi, per i soldati, era proprio lì, accanto a loro, dove non avrebbero mai guardato. Il piano arrivò dopo, quando ci accorgemmo che a piedi sarebbe stato impossibile stare al loro passo, così come mettere sempre più distanza fra noi ed Ender.
Fu così che l'imboscata funzionò alla perfezione: una falsa cattura di Ezrael e i soldati fuono nel mio pugno. O meglio, nella mia lama. «Tieni.» Finalmente trovai le chiavi, che lanciai contro il ragazzo lasciando che le prendesse al volo. Si liberò e si massaggiò i polsi, prima di lasciar cadere chiavi e catene e prendere un cavallo. Dato che il nero si era dato alla fuga, io saltai in groppa ad un pezzato. Per qualche secondo ripensai al mio cavallo, quello che il Sultano di Costantinopoli mi aveva regalato. Bellissimo e veloce come il vento. Che io avevo stupidamente ceduto ad una pazza schiavista.
«Sai, non credo che normalmente riuscirei ad uccidere la gente tanto facilmente.» esordì all'improvviso Ezra, distogliendomi da tutti i miei pensieri. Continuai a sistemare le briglie dell'animale infilando i piedi nei pedali della sella, ma piegai le labbra in una specie di smorfia. Prima che potessi aggiungere altro, lui continuò. «Ma quelle non sono persone. Hanno abbandonato la loro umanità quando hanno deciso di servire il Re.» Restai di stucco per quella risposta. Non sapevo se per il significato vero e proprio delle parole o se per il fatto che avessimo pensato la stessa cosa, nello stesso istante. Mi chiesi quanto sapesse e cosa ne pensasse di tutta quella sensazione.
«Ma tu...» Lo fissai a lungo, palpebre strette, non come se fossi arrabbiato. Più come quando si vedono i completi all'ultimo grido nelle sartorie più in voga della città e ti domandi se sarà della taglia giusta. «... Chi diavolo sei?» Tutte le domande più importanti che mi si affollavano in testa erano quesiti che ancora non avevo posto. La verità è che non c'era stato un solo attimo per pensarci, la tensione sempre troppo alta con le guardie vicine. E adesso che eravamo finalmente soli, era arrivato il momento di fare chiarezza.
Aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse. «Insomma, lo so che sei quella voce! Mi hai aiutato col... Vampiro. E anche dopo. Ma com'è possibile? Come riesci a parlarmi nella testa? Come sai il mio nome? E come hai fatto a salvarmi? ... Quella cosa che hai fatto ad Ender è stata assurda.» continuai imperterrito, avvicinando il cavallo al suo per braccarlo.
«Mphf.» Una specie di lungo sbuffo. «Senti non ha importanza adesso. Quello che conta è continuare a fuggire finché non saremo al sicuro.» Ed iniziò a cavalcare ignorando il fatto che io fossi ancora fermo.
***
Anche dopo un paio di giorni di viaggio, continuò a non convincermi per niente.
C'era qualcosa di importante che mi stava nascondendo ed era scritto nel suo sguardo, ma forse avevo già un'idea. Forse era un ribelle, un mago che era riuscito a sfuggire dalle esecuzioni del Re. E aveva deciso di liberarmi perché ero un alleato interessante. Forse. Ma, adesso che facevo appello ai ricordi degli ultimi giorni, ricordai che avesse menzionato una certa principessa e che io fossi il padrone da proteggere. La cosa non aveva il minimo senso, ecco perché nella mia testa si stava creando un'accozzaglia di idee assurdi.
«Smettila di guardarmi così. Pensa piuttosto a ravvivare il fuoco, così ti rendi un minimo utile.» sbraitò lui, mentre i capelli chiari alla luce del focolare sembravano di uno strano-arancio rosa. Gli occhi viola restarono di quel colore. L'unica persona che avessi mai incontrato con quegli occhi era indiscutibilmente mia madre.
«Perché, tu invece sei utile? Tsk.» risposi, seccato dal suo evitare qualsiasi mio sguardo e domanda dal giorno dell'imboscata, e soprattutto irritato da quell'improvviso voltafaccia. Mi era sembrato molto diverso durante il salvataggio. Era premuroso, si preoccupava di ogni cosa che facevo e tentava in tutti i modi di darmi speranza. Ma ero diverso anch'io, appena uscito da Ender... E adesso che ero tornato in me forse al contempo lui tornava in sé. Mi dava perfino fastidio che uno così bello fosse anche uno con un tale caratteraccio. Ad ogni cosa che dicevo sbottava con sbuffi, mezze frasi o risposte offensive che mi facevano venir voglia di saltargli al collo.
Ora che aveva i capelli corti la gola era esposta, così come la linea possente dei muscoli nelle spalle, il tratto un po' squadrato e spigoloso della mascella. Non aveva proprio un briciolo di femmineo, e se prima c'erano i capelli lunghi, adesso sembrava una specie di guerriero del nord, di quelli che vedresti uscire da una caverna innevata con una pelle di lupo bianco sulla schiena e la collana di zanne. Riuscivo anche a vedergli le orecchie: a punta, con una fila di orecchini ad anello che percorrevano l'intera lunghezza fino ai lobi. Non me n'ero certo accorto, ma diciamo che avevo di meglio a cui pensare, prima. E poi, era insopportabilmente alto. Molto più di chiunque altro avessi incontrato. Il mio buon vecchio io vanitoso non era tanto felice di stargli accanto, chiaramente. Per fortuna non eravamo in un'opulenta sala da tè a Skys Hollow, ma nel bel mezzo del nulla fra le foreste vicino ai terrori di Bellhaven.
Ancora più corrucciato di prima mi misi a rimestare i carboni ardenti con un ramoscello secco, senza nemmeno accorgermi che stava prendendo fuoco mentre ancora lo impugnavo. Scansai frettolosamente la mano con i polpastrelli bruciati, attirandomela al petto con una smorfia piccata.
«Ma guarda che hai fatto. Sei veramente un incapace.»Strinsi i denti, pronto per dirgliene frettolosamente quattro. Nella Gilda degli Assassini non per niente ero conosciuto come uno con la lingua taglientissima, oltre che il coltello. Però mi zittii in fretta, visto che si era già preso la libertà di girare intorno al fuoco e afferrarmi il polso, strattonandolo, per poi avvicinare le labbra e soffiare sulle dita arrossate dal bruciore. «Mmh... Dov'è la pomata?» Era abbastanza vicino da potermi rendere conto che aveva le labbra davvero sottili, e che ad ogni parola si intravedeva la punta un po' più affilata dei canini. Sì. Sembrava proprio una strana specie di uomo lupo.
Voltò la testa verso lo zaino che ci aveva dato giorni prima Tynam, rovistando frettolosamente nelle tasche. Colsi proprio quell'occasione per spingerlo a terra, piantandomi sopra di lui con un ginocchio sulla pancia, ficcato per bene sotto alle costole in modo da mozzargli il fiato, la mano sulla gola, le dita ficcate precisamente intorno alla trachea. Poteva essere grande e grosso, ma io sapevo quali punti toccare per mozzargli il fiato e fargli contrarre la faccia in quell'espressione dolorante.
«Io, al contrario di te, sono molto bravo ad ammazzare la gente tanto facilmente. Perciò se non rispondi alle mie domande, salvatore o no, ti strappo le corde vocali con le unghie.» ringhiai, premendo contro alla carne e affilando gli occhi. Il mio ginocchio premette ancora più a fondo contro al suo stomaco, prepotentemente. Non avevo voglia di farmi prendere per stupido da un tizio che per una spedizione ad Ender non si era portato dietro nemmeno un'arma o un cavallo.
Helias, smettila. Io e te non siamo nemici, non hai bisogno di...
Non continuò a sussurrarmi nella testa, perché un fruscio non troppo lontano da noi riecheggiò nella radura. Mi congelai, allentando la presa, abbastanza da fargli muovere la testa e afferrarmi la mano, in modo che potesse rovesciare la situazione. Restai intrappolato a terra sotto di lui, che mi teneva fermo per i polsi, pur senza curarsi di me. Gli occhi gli lampeggiavano di paura, mentre si guardava velocemente intorno. Anch'io mi accorsi che quelli che si avvicinavano fra gli alberi erano soldati del Re.
Ci troveranno. E' troppo tardi per fuggire, non faremo in tempo. E sono troppi. No.. No no no. E ora cosa cazzo mi invento? Merda...
Non credevo che avesse intenzione di mandarmi anche quell'ultimo pensiero, ma nell'angoscia generale doveva averlo fatto involontariamente. Poi, come sempre quando qualcuno prende una decisione al posto tuo, successe tutto molto velocemente. Afferrò velocemente la coperta che avevo sistemato vicino al fuoco per dormirci vicino e se la buttò sulle spalle. Sopra entrambi, fino a coprirci la testa, anche se spuntavano i piedi.
Ti prego. Stai al gioco.
E a quel punto mi baciò. In realtà fu difficile non assecondarlo, visto che per la sorpresa e per l'angoscia ero impietrito. Ma anche sul punto di una crisi isterica. Eravamo gli unici in quello stramaledetto bosco, come credeva di cavarsela facendo una cretinata del genere? Sarebbe stato molto meglio combattere. Non era consapevole del mio potenziale, lui. Potevo farcela. Perciò mi divincolai, mordendogli le labbra, con l'unico risultato di graffiarmi la lingua con i suoi canini, visto che rispose schiudendo la bocca, spingendo il viso contro al mio. Senza darmi vie d'uscita. Fui costretto ad assecondarlo, inspirando frettolosamente col naso. E fu proprio nel momento in cui io decisi di abbandonarmi al bacio che percepii sensazioni così intense da farmi vibrare l'anima. Era come sentire cosa provava lui mentre lo baciavo. Come percepire il battito del suo cuore dentro alla mia gola.
Ansimai contro alla sua bocca, a quello strano sapore di uva spina e fragole, di pini e di qualcosa di puro e perfetto. Era come toccare la luce del sole e sentirsi riscaldati. Qualcosa che non avevo mai provato prima d'ora. Nemmeno con Yul.
«... Danno dentro. Ohh, voglio proprio andare a dare un'occhiatina.» Voci che si mescolavano, passi, sferragliare di spade. Risatine. «E chissà se posso unirmi alla festa, eh?» Non mi chiesi nemmeno cosa avrebbero pensato se avessero scoperto che sotto alla coperta si nascondevano due uomini, e che quei due erano pure i ricercati. «Vecchio volpone, vuoi divertirti solo tu!» Altri rumori, i nostri cuori che battevano più forte. Un ansimare ritmico da entrambi. Non seppi dire se per la paura o per qualcos'altro.
«Smettetela di ciondolare, coglioni. Siete la vergogna del nostro reggimento. In questo momento stiamo facendo qualcosa di molto più importante. Muovetevi immediatamente.» Una voce severa e acidula li ammonì in fretta e ricominciarono a camminare, superandoci velocemente, finché di loro non rimase che il lontano nitrito dei loro cavalli e dello sferragliare delle armature di chi andava a piedi. Ezrael si staccò soltanto allora, ma io rimasi imbambolato e steso con la schiena a terra senza dire niente ancora per qualche secondo.
Finché non ritornai in me. Non potevo credere che l'idea più idiota del secolo ci avesse salvato la pelle. Ma in realtà in quel momento ero più concentrato su qualcos'altro. «Non provarci mai più, hai capito brutto pazzoide?!» sibilai, mettendomi a sedere per spintonarlo, furioso. Ma non ero furioso con lui. Ero furioso per aver provato una sensazione del genere anche dopo aver perso Yul. Con un illustre sconosciuto, per di più, e di quelli odiosi.
Rimasi senza parole quando si mise a ridere, aspro. «Non farti strane idee Helias, sarai anche abituato a farti tutti gli uomini che incontri, ma io non sono come quelli.» Che cosa? «E con me non attacca. Pensavi forse che tu fossi una specie di abile seduttore? E' solo una questione di feromoni fra razze che tutti cadevano ai tuoi piedi, non certo perché...»
Ignorai l'ultima strana parte, mentre ancora assorbivo le sue prime parole, assolutamente basito.
«Mi stai dando del puttaniere?» cercai di mantenere la calma, mentre lo fissavo con uno sguardo di fuoco.
«Veramente della puttana.» La mia mano si mosse più veloce del pensiero e prima ancora che potessi rendermene conto l'elsa del pugnale sporgeva dall'albero dietro di lui. La traiettoria gli aveva sfiorato di qualche millimetro la guancia e una ciocca di capelli giaceva sulla sua spalla, distaccata dal resto della chioma.
«Sai, io non manco mai il mio bersaglio.» Lo misi in guardia, con un tono di voce ghiacciato, poco prima di mettermi in piedi per spegnere il fuoco pestando coi piedi sui ciocchi. Dopo, salii sul cavallo e partii, perfettamente consapevole del rischio di un ritorno da parte dei soldati. Oppure del rischio che avevo di accoltellarlo mentre dormiva. Dopo tutto quello che era successo con Yul, darmi "della puttana" dopo che lui mi aveva costretto a baciarlo era davvero un colpo basso.
***
Il mio perfido salvatore aveva ottenuto proprio quello che voleva. Avevo smesso di fargli domande proprio perché avevo cessato di rivolgergli la parola. Non avevamo fatto che passare un'intera settimana di silenzio assoluto, se non per qualche monosillabo necessario alla sopravvivenza. Le giornate si susseguivano con la caccia, il cibo, e continui movimenti verso un misterioso luogo a nord-ovest. A volte si fermava a guardare la strada, gli alberi; a fissare gli animali e la terra come in cerca di qualcosa. Proprio per quello avevo capito che non stavamo semplicemente fuggendo. Stavamo andando da qualche parte, solo che non voleva dirmi dove ed io non sapevo se fidarmi e continuare a seguirlo, o se doverlo davvero uccidere nel sonno e andarmene per la mia strada.
Del resto, non avevo più nulla da perdere, cosa che mi spinse a continuare a farmi condurre chissà dove. Ovviamente senza dirci una parola, con l'inverno che prendeva piede. A conti fatti era quasi un mese che ero fuggito da Ender. Un mese di libertà, un mese di alberi, soldati, freddo, notti insonni, incubi. E quel bacio che un po' continuava a perseguitarmi, anche se ogni volta che guardavo Ezrael sembrava che lui avesse dimenticato la mia esistenza. Nulla di più frustrante per uno come me.
Finché un giorno in cui la neve aveva incominciato a cadere, finalmente, il viaggio finì. Erano passati una decina di giorni dal litigio e nessuno dei due aveva deciso di rompere quel fragile equilibrio di rabbia e silenzio. Quel decimo giorno fu lui a farlo, fermandosi da qualche parte in mezzo al nulla.
«Siamo arrivati.» smontò dal cavallo ed io, fomentato dalla curiosità, feci lo stesso. Mi colse di sorpresa quando con due pacche violente ai cavalli li fece partire in tutta fretta dalla parte opposta, lasciandoci a piedi nel bosco. Lo guardai con un'aria fra il nervoso e l'esasperato. La nostra via d'uscita era fuori uso.
«Arrivati dove? Io non vedo proprio niente. E hai fatto scappare i nostri mezzi di trasporto.» Mi sbattei una mano contro la faccia. Forse avrei dovuto ucciderlo nel sonno e andare per la mia strada.
«Guarda meglio.» mi consigliò, mentre sbattevo un piede a terra, spazientito. Eppure feci come mi aveva detto: mi guardai intorno davvero, cercando di non vedere soltanto il bosco nella sua semplicità. In effetti, la vegetazione era cambiata rispetto alla foresta che avevamo percorso per tutta la fuga. C'erano un sacco di pini, sì, ma erano meno fitti, lasciando spazio ad ampie radure ed enormi pietre cosparse di muschio verde e neve. La luce, poi, batteva contro precisi punti dove le rocce bianche e perlacee erano scoperte, decisamente simili a marmo, infrangendosi e facendo a specchio, riflettendo i raggi di sole in altri punti ancora. E così si creava un reticolato di sole che sembrava formare uno strano disegno contro al terreno. E poi il vento. Era assurdo, ma potei giurare che il modo in cui spirava fra le foglie e le cortecce creasse un suono simile a della musica, ad un canto.
«Senti, forse non volevo dire quello che ho detto, tempo fa.» esclamò all'improvviso, spezzando l'equilibrio di quella luce e quella strana magia.
«Forse?» Sollevai un sopracciglio, ma lui non disse niente. E poi mi venne in mente: luce e magia. Un luogo di luce e magia... Mi ricordò qualcosa di molto familiare. Ma non poteva essere. «Che siamo venuti a fare qui, esattamente?» Ezra però aveva ricominciato ad ignorarmi, ed ora stava girovagando fra gli alberi sovrappensiero. Lo sguardo dritto a terra, a seguire le linee di luce con uno sguardo concentrato e il volto inclinato di lato.
«Dev'essere qui, dev'essere sicuramente qui...» borbottava, senza darmi spiegazioni. Sembrava un folle, mentre si accovacciava a terra a tastare il muschio e le pietre, con uno sguardo spiritato e i capelli nivei che gli si affacciavano sugli occhi. «Sì, sì, il vecchiaccio l'aveva detto... Deve... Ma...» Sbatté un pugno a terra. Io non potei fare niente. Rimasi a guardarlo senza avere una spiegazione. «Il sole, il sole... Quando batte e lo zenit è...» farfugliò qualcosa senza senso fra le labbra. «AH, CI SONO!» Sobbalzò in piedi, iniziò a girare in tondo e poi tornò seduto. «E' qui. E' qui. Eccolo!» Strappava muschio e neve a mani nude, finché non fu soddisfatto. «Vieni.» Con le sue splendide maniere mi strattonò per il braccio fino al punto dove trafficava fino a qualche secondo prima.
E proprio lì, in mezzo al nulla, su una lastra di pietra sotto al muschio e alla neve, circondato da un anello formato dai raggi di sole, c'era una piccola serratura. Non sembrava un forellino, no. Era chiaramente la forma di una serratura.
«Il vecchio ha detto che tu sapevi come tornare.» Mi fissò in cerca di una risposta, ma io ricambiai lo sguardo interrogativo, aggrottando la fronte e scuotendo la testa.
«Non so di chi parli. Vecchio chi? Tornare dove?» Senza rispondermi minimamente, mi mise una mano sul petto, le dita fredde che scivolavano sulle clavicole, contro alla pelle nuda e calda, in silenzio. Trattenni il fiato. Non mi resi conto che aveva afferrato il laccio che tenevo intorno alla gola e adesso aveva preso in mano il ciondolo.
«L'hai sempre avuta tu... Ma certo.» Lesse per qualche secondo le iniziali incise, poi mi strappò dal collo la chiave di mia madre senza chiedere il permesso. «Prestamela un attimo.» Fu facile collegare le due cose. La serratura. La chiave. Per troppo tempo mi ero chiesto cosa potesse aprire, rigirandomela fra i palmi, tenendola appesa all'altezza del cuore giorno dopo giorno. Avevo sperato nelle cose più strane e nei tesori più bizzarri.
Invece, scattò dentro alla serratura di una roccia. In un posto strano in mezzo ai boschi del nord. Alle mie orecchie suonò con un sonoro crack e poi un click. Dopo, le pietre iniziarono a spostarsi sotto ai nostri piedi, costringendoci ad indietreggiare per lasciare spazio a quella che sembrava una scala a chiocciola scavata nella roccia, che proseguiva verso il basso, dentro al buio.
Rimasi letteralmente senza parole. Era un passaggio. La chiave che mi aveva lasciato mia madre era un passaggio per un luogo che non conoscevo e che, aperto, mi gridava di entrarci e scoprire tutto. Ezrael, invece, che sapeva molto più di quanto pensassi, stava esultando. Al punto che mi buttò le braccia intorno alla schiena, in un abbraccio improvviso.
«Ce l'abbiamo fatta Helias! Ce l'abbiamo fatta!» Mi tenne stretto, inondandomi col suo profumo di lavanda e qualcosa di simile al miele, dolce all'olfatto. Ma sotto al tatto, nel mio abbraccio, era solido e spigoloso. E speranzoso. Sollevato. Felice. «Siamo a casa!» Si staccò per guardarmi in viso, le mani sulle spalle. Sorrideva, raggiante quanto il bosco intorno.
«Siamo ad Astrea!»
***
*NDA - Un angolo che risorge dalle ceneri, like a fenice*
Hola a tutti lettori!
Diciamo che per l'arrivo di questo capitolo bisogna fare i ringraziamenti ad un'autrice in particolare che mi ha fatto ritornare la voglia di non lasciare a morire le mie storie ma continuarle con coraggioH! Sono sorpresa anch'io, perché ho scritto questo capitolo (meno un pezzettino dell'inizio) di getto, dall'una di notte fino ad ora. Sono matta, ormai si sa. Ma sarà che ho trovato una canzone che mi ha ispirata tantissimo, sarà che ho finalmente dato forma al personaggio di Ezrael, sarà che mi mancava scrivere... Rieccomi qua! Spero che intanto il mio stile di scrittura non sia andato allo scatafascio e di non aver fatto troppi errori *parla colei che non correggerà mai a quest'ora della notte/mattina ma vuole troppo pubblicare per lasciare la sorpresina di prima mattina ai lettori* spero pure che il capitolo vi sia piaciuto, spero di non sparire di nuovo, spero di non essere linciat...
Vabbe', ci vediamo al prossimo capitolo, grazie a tutti per la vostra somma pazienza! <3
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