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39. La fine dell'Assassino, l'inizio dell'Eroe [Finale libro 2]


«Amami o odiami,
entrambi sono a mio favore.
Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore,
se mi odi, sarò sempre nella tua mente.» 

- William Shakespeare


«Mi chiamo Helias Bloomwood.» ansimai, stringendo la parete di roccia sotto alle mani sanguinanti. Un corpo non allenato non avrebbe mai potuto farcela e, in cuor mio, sperai che Lyle non stesse affrontando la mia stessa arrampicata. 

In ogni caso, i deliri che avevo letto nel vecchio diario di Alaister - che si firmava come Hēi  - assumevano un senso. "Ai muri piace mangiarci. Il vento adora tagliarci la carne. Gli effetti della risalita peggiorano mano a mano che si prosegue. Deve essere un sistema di protezione. Astuto."

All'inizio, non avevo capito bene che cosa volessero dire quelle frasi. Soltanto adesso comprendevo il loro reale significato. Alaister e il Redivivo avevano seguito lo stesso itinerario fatto da me e il resto del gruppo. Anche loro avevano superato i nove fiumi, anche loro avevano sacrificato qualcuno, anche loro erano usciti da quel cancello.

Una volta superato quello, pensavo di rispuntare direttamente nel Mondo dei Vivi, da qualche parte nei Regni del Caos. Invece mi sbagliavo. Ciò che Alaister diceva nel suo diario era vero: bisognava risalire dalle viscere della terra a mani nude e farsi strada, con tutte le proprie forze, fino a raggiungere la superficie, uscendo fuori dal varco in un'arrampicata al limite dell'impossibile.

Lo stesso varco in cui mi ero buttato, mano nella mano con Ezra, all'inizio del nostro viaggio. Nella bocca dell'Inferno si cade e dalla bocca dell'Inferno si deve uscire con le unghie e con i denti.

Perciò scalavo metri di rocce e avevo l'impressione che le pietre avessero i denti e mi azzannassero le dita. Il vento puzzava di zolfo ed era come tagliente, mi aggrediva, mi lasciava dei segni. Le ferite si aprivano sulla pelle diafana stillando sangue e rendendo la presa scivolosa, appiccicosa. L'aria era umida, stantia e asfissiante, e nella fossa era tutto buio.

Ma non era solo quello il problema. Alaister aveva parlato di "effetti della risalita" perché accennava anche a ciò che succedeva a livello sensoriale e mentale. Ero confuso. Intontito. Avevo l'impressione che più salivo, più perdevo coscienza di me stesso. Il respiro rallentava e il senso del tatto veniva meno, al punto che a volte credevo di galleggiare nel vuoto. Di non essere niente. Aria che svolazza nell'etere, una vita nata per morire...

Che cosa sono? Chi sono io?

«Io mi chiamo Helias Greagoir.» ricominciai, stringendo i denti sino a sentirli scricchiolare.

Chi sono? Chi sono chi sono chisonochisono?

«Io sono...» Presi un profondissimo respiro. «... Io ero Sfavillo. Ho ventun'anni.» L'aria mi aprì uno squarcio sulla guancia, doloroso, ma quel dolore mi aiutò a restare ancorato alla realtà. «Sono nato in un bordello a Skys Hollow. Mia madre si chiamava Edna Bloomwood.» Il sangue gocciolò dallo zigomo al mento come una lacrima. «No, si chiamava Elynor Greagoir. Era la principessa di Astrea... Questo fa di me il futuro sovrano di Astrea.» mi ricordai.

Le braccia tremavano violentemente per la fatica. Difficile capire quanti metri mi dividessero dalla libertà. Alzai la testa, ma il buco d'uscita della fossa era lontanissimo. Sembrava soltanto un miraggio. Una mia fantasia.

Sicuro di essere nella bocca dell'Inferno? Forse è solo un sogno. Niente di tutto questo è vero. Sei parte di questa oscurità dal quale non uscirai mai...

«No!» Picchiai il pugno contro la pietra. Faceva male, ma era reale. «E' reale. Io sono reale. Sono il figlio del Re di Darlan. Sapevo che fosse un tiranno, non che fosse un mostro cannibale.» Sei come lui. «Non sono come lui.» mi dissi, ad alta voce. «Devia l'animo delle persone. Usa i morti come suoi soldati. Ha creature del caos al suo servizio.» ripetei, ancora, come se stessi convincendo una giuria che stava solo nella mia testa. Stavo impazzendo, ma almeno non smettevo di arrampicarmi.

Puntellai i piedi negli appigli e nelle sporgenze, continuando a salire. Sangue, roccia sbriciolata e sudore mi cadevano negli occhi, quasi accecandomi, ma non mollavo. C'ero quasi!

«Io sono umano.» No, non sei umano. «Ma sanguino. Certe cicatrici rimangono. Anche se il mio corpo guarisce più in fretta. Anche se sono più veloce e più resistente.» E salii ancora, stringendo i denti, con la fronte madida di sudore. «E sono caparbio e coraggioso! Sono forte!» ringhiai, motivandomi. «E anche più bello!» La mia buona, vecchia vanità mi aiutava a mantenermi lucido. E anche parlare mi aiutava, mentre salivo e salivo e salivo, senza fermarmi.

«E tutto questo mi permetterà di tornare a casa!» Saltai per raggiungere un'altra sporgenza. La roccia mi morse la mano, ma non sussultai nemmeno, mentre la voce della mia stessa coscienza continuava a sibilare, a provocare, a mettermi in crisi.

Pensi davvero che Skys Hollow sia casa tua? Lì ti aspetta solo morte.

«E' vero. Ucciderò molte altre persone prima di arrivare al mio obiettivo.» Ne ero consapevole, le strade di Skys Hollow erano intrise di sangue che avevo versato e che avrei versato ancora. «Ma non m'importa. Qualsiasi posto insieme a...» Un attimo di esitazione. 

A chi? Non c'è nessuno con te. Sei solo. Sei sempre stato solo. 

«No. E' falso!» Se mi stavo affannando così tanto per uscire da questo abisso, era solo perché c'era qualcuno ad aspettarmi là fuori. Lo sapevo. Lo sentivo. E, mentre iniziavo a vedere la luce, all'improvviso ricordai. Le sfide, le litigate, il ghigno beffardo, i baci dolci e i nostri capelli fusi insieme sul cuscino in un misto di ciocche bionde e rosse. Come oro e sangue. «Yul! E' la ragione per cui mi sono buttato nell'Oltretomba!»

Perché qualsiasi posto insieme a Yul è casa. 

In quel momento, le mie dita toccarono l'orlo della fossa. Luce plumbea mi coprì la testa, mentre mi issavo fuori fino ai gomiti, stanco ed insanguinato. Una mano mi afferrò il braccio e mi tirò via da quell'oscuro baratro.

Mi abbandonai a pochi centimetri dall'ingresso dell'Oltretomba per riprendere fiato, steso a terra, con la spada che dondolava al mio fianco e le braccia a penzoloni. Sfinito ma vivo. «Oh, grazie al cielo.» sospirai, guardando il soffitto. Sussultai quando una faccia spuntò nel mio campo visivo, incurvata sopra di me, coi capelli d'argento tesi nella mia direzione.

«Ce l'abbiamo fatta.» esordì Ezrael, tendendomi una mano, che io afferrai. Mi aiutò a rimettermi in piedi e barcollai un attimo, il tempo di stabilizzarmi sulle gambe, prima di lasciarmi andare ad una risata così liberatoria che sembravo impazzito.

La missione era finita. Ed era stata un successo.

«Siamo fuori dall'Oltretomba. Ezra, ce l'abbiamo fatta sul serio! Non ci speravo nemmeno... E'... è pazzesco.» esclamai, a metà fra la risata e l'incredulità. Sorrise anche lui, ma fu un gesto inquieto e fugace. C'era qualcosa che non andava. Soltanto allora mi guardai intorno.

Riconobbi la Grotta dei Segreti, con le sue pareti fatte di ossa e le scene cruente scolpite su di esse. Chissà quanto tempo era passato da quando eravamo entrati nell'Oltretomba... Scossi il capo e lanciai uno sguardo all'entrata spalancata della caverna. Da fuori si intravedeva una grande vallata tutta bianca: sembrava che a ricoprirla fosse la neve, invece erano ossa.

«Dov'è Yul?» domandai. La sua assenza era fin troppo evidente, c'era un innaturale silenzio. «E dov'è Lyle?» Aggrottai la fronte, lanciando un'occhiata perplessa allo straeliano. Silenzio. Gli intensi occhi color ametista rifuggirono il mio sguardo per nascondere il dispiacere che vi si leggeva dentro. «Ezra, dove sono Yul e Lyle? Dove sono?!» incalzai, scuotendolo per un braccio.

«Loro...» Fece una pausa d'esitazione che mi dilaniò dentro. Non c'erano. Loro non c'erano.

«Forse non sono ancora usciti! E' un'arrampicata faticosa, è normale che ci mettano tanto!» cercai di convincermi. Perciò mi sporsi sul ciglio del baratro, fissando il buio in fondo all'Abisso e gridando i loro nomi.

«Helias!» Ezra mi tirò via, quasi avesse paura di vedermi precipitare. «Sono passate due ore da quando sono uscito dalla fossa! Non si sono fatti vedere.»

«No... No.» Mi sentii tremare le gambe. «So che sono usciti dall'Oltretomba. Li ho visti uscire con me!» gridai, nel panico e con la voce stridula. «Forse sono venuti fuori dalla fossa prima di noi! Saranno qui nei dintorni, magari ci aspettano, o forse pensano che siamo usciti prima di loro e sono andati a cercarci!» Era l'unica spiegazione sensata che mi davo, perciò corsi fuori dalla grotta, col cuore che mi ruggiva nelle orecchie e una sola frase che mi rimbombava nella testa.

Non può essere. Non può essere, non può essere.

«YUL?! LYLE!» gridai a squarciagola, sentendo la mia voce riverberare nella valle e rimbalzare fra le rocce e i cumoli d'ossa. Ezra corse fuori e mi strattonò, fino a stringermi a lui.

«Ci farai scoprire dai mostri del Caos! Calmati e rifletti!» mi urlò in faccia. «Loro non sono entrati nell'Oltretomba da quella fossa, come abbiamo fatto noi. Non ne hanno avuto bisogno, perché ci sono entrati morendo. Quindi saranno riapparsi da qualche altra parte!» disse, tutto d'un fiato, tanto che dovette prendersi qualche secondo per respirare. «Devono essere nel posto in cui sono morti. O forse, in cui sono stati seppelliti.» meditò, a voce più bassa.

«Oddio... Deve essere così. Deve, per forza.» mi rassicurai con un sussurro tremante, mentre Ezrael mi prendeva fra le sue braccia e mi cullava per rasserenarmi. Il mio petto premuto al suo, la guancia sulla sua spalla, la sua mano fra i riccioli dorati: mi teneva stretto a sé e io mi sentii un po' meno disperato. Non avevo idea di dove fossero Yul e Lyle, ma almeno adesso eravamo nello stesso mondo.

Li avrei ritrovati.

«Oh, mi dispiace tanto, Helias...» bisbigliò l'albino, mentre con la mano mi accarezzava il fianco.

«No, non dispiacerti, altrimenti sembra davvero che io li abbia persi. Invece sono sicuro che siano usciti e che li ritroveremo.» risposi. Dovevo pur credere in qualcosa per non perdere la speranza.

«No, non mi dispiace per quello.» Parlò lentamente e il suo tono di voce mutò, sorprendente come un serpente che cambia pelle. «Ma per questo

«Eh?»

Sentii qualcosa bagnarmi le scarpe e, abbassando lo sguardo, notai i nostri stivali sporchi di sangue. Il mio sangue. In quel preciso, improvviso momento, la mia consapevolezza fu come un risucchio d'aria ghiacciata, dolorosissima, e altrettanto acuto e immediato fu lo shock che provai. 

...

...

«Cosa?» esalai, guardando la mia spada conficcata nella mia pancia. E la mano che ne stringeva l'elsa era quella di Ezra, lo straeliano, il mio guardiano, il ragazzo che mi aveva salvato la vita innumerevoli volte.

Ezra mi aveva sottratto la spada dal fianco, mentre mi abbracciava, e mi aveva pugnalato. Ezra mi aveva pugnalato.

Ancora fusi in quell'abbraccio, mi scrutava con uno sguardo vacuo, mentre io mi tenevo aggrappato a lui per non cadere in ginocchio, con la lama dentro di me, che mi trapassava da parte a parte. Poi, con un violento strattone del braccio, estrasse l'arma dal mio corpo e mi guardò cadere.

Il sangue schizzava a fiotti mentre restavo steso ed inerme in una pozza scarlatta. Avevo l'impressione che il tempo andasse a rallentatore e, per un lunghissimo momento, la mia testa si svuotò. Non riusciva a capire. Non riusciva a comprendere come fosse possibile. L'unica domanda che risuonava insistentemente era:

Perché?

Perché?

La parola non trovò strada nella mia voce. Fu nella mia mente, con lo stesso stupido, oltraggiato ritornello: non può averlo fatto, non ha senso, lui mi ama, io servo ad Astrea, devo uccidere mio padre e non posso morire ancora. Non posso morire ancora.

Ma potevo. E lo stavo per fare.

C'era sangue ovunque e non osavo vedere la ferita, ma mi circondai il ventre fra le braccia, mentre Ezra incombeva sopra di me, con la spada in una mano. Voleva dare il colpo di grazia, credevo. Invece, con le dita libere mi tastò il collo. Voleva uccidermi con le sue stesse mani?

No. Era peggio di così. Stava cercando qualcosa... E la trovò. La chiave di Astrea, che ora stava macchiando col mio stesso sangue. Con le poche forze che mi rimanevano, gli afferrai il polso per fermarlo dal rubarmi l'unica cosa che mi restava di mia madre.

«Perché?!» gracidai, in una specie di sibilo agonizzante che sembrava mi fosse stato strappato dall'anima.

«Perché è sempre stato questo il piano, sin dal principio.» La sua mano si chiuse a pugno intorno alla chiave. «Come credevi che sapessi che la tua missione ad Ender fosse una trappola? Come pensavi che le guardie di Darlan conoscessero l'ubicazione di una Astrea sotterranea, grazie a cui attaccarci o provare a raggiungerci attraverso gli scavi dei campi di lavoro?» Sbuffò leggermente. «E la visione che ha avuto il vecchio saggio, in cui tu morivi, motivo per cui io dovevo correre a salvarti... Chi pensi l'abbia elaborata?»

«Tu...» gemetti. Mi veniva da vomitare, mentre le forze mi stavano abbandonando e faticavo ad arrivare fino in fondo a quel ragionamento. Che senso aveva? Era impazzito?

«Sì, proprio io. Sono sempre stato una sua spia, ancora prima di nascere.» Affilò lo sguardo. «Lui sapeva che Qiana fosse nel Feng Du e stesse puntando a rimettere insieme i pezzi della spada.» Lui? Lesse la domanda muta dentro ai miei occhi sbigottiti e affilò le palpebre in uno sguardo micidiale. «Tuo padre.»

Nella mia testa esplose un grido. Un grido furioso e assordante, ma che si espresse ad alta voce solo con un singulto strozzato, che mi fece male. Ormai il sangue mi ricopriva, viscoso, e dovevo avere un pallore grigiastro. Ma tenevo ancora con forza la presa intorno al polso di Ezra, difendendo la mia chiave.

«Mi ha chiesto Lui di andare a prenderti da Ender. Ti ha cresciuto come il suo soldato perfetto, solo tu potevi conquistare i frammenti della spada prima di Qiana. Grazie a te, ora quest'arma» sollevò la lama dentro la sua mano «potrà essere consegnata al Redivivo, che la distruggerà una volta per tutte.» Grazie a te. Il mio dolore si acuì e la mia presa sul suo polso si indebolì. «Sai, Alaister non era affatto d'accordo col liberarti da Ender. Per lui dovevi restare lì a marcire, è andato su tutte le furie quando ha scoperto che ci eravamo mossi senza neanche avvisarlo. Secondo lui saresti pericoloso, ma guardati adesso.»

Non lo diceva con il sorriso, il tono perverso ed ironico di Ciril Crow o la gelidità di Alaister. Era distante e duro, invece, come se mi accusasse. Un tono di biasimo, quasi rabbioso. Velenoso. Astioso almeno quanto il peso infinito del suo tradimento. Ma si può chiamare traditore qualcuno che non ti è mai stato fedele, nemmeno per un istante?

Fece forza sulla chiave, strattonando il laccetto, ma io non lo lasciavo andare, anche se avevo la mano scivolosa di sangue. E fredda. E il viso pieno di lacrime. «N-no... Non.. farlo...» ansimai, cercando di impedirglielo. Non era una preghiera, non lo stavo implorando. Era un avviso. Se avesse preso la chiave...

Se avesse preso la chiave sarebbero morti tutti. Anche sua sorella. Tutti.

«Non farlo...» Il mio campo visivo iniziò a scurirsi. Sapevo che stavo per perdere conoscenza, ma cercai in tutti i modi di costringermi a restare sveglio. Ogni fibra del mio corpo era dolore, bruciore e urla che mi si agitavano in gola.

«L'ho già fatto.» E mi strappò via la chiave dal collo. 

Ogni parte di me si contrasse nel tentativo disperato di muovermi e reagire, ma ero debole, il corpo non rispondeva ai comandi. E la ferita non si rimarginava. Forse perché era troppo grave. O forse perché ero stato trafitto con quella spada. Un'arma maledetta, leggendaria, nata per uccidere mio padre. Ed io ero pur sempre sangue del suo sangue.

Ma chi poteva dirlo? Sapevo soltanto che Ezra mi aveva usato, esattamente come aveva fatto Alaister. E che sarei morto senza poter dire addio a Yul.

Strinsi i denti, concentrandomi su qualsiasi sensazione pur di non lasciarmi andare a quell'oblio, anche se le palpebre si facevano pesanti come macigni. Intanto, lo straeliano estrasse un'intera fila di cristalli magici dalla tasca dei pantaloni, che aveva sempre tenuto nascosti con la scusa che "servissero per il ritorno". Ma era un ritorno pensato per una sola persona. Come avevo fatto ad essere così cieco?

Mi lanciò un ultimo sguardo e nei suoi occhi passò un lampo quasi invisibile, un nugolo di sentimenti così fugaci e rapidi che pensai di averli solo immaginati.

«Addio, Helias.» Fu l'ultima cosa che mi disse.

Anche io lo osservai un'ultima volta e, sebbene non avessi voce, fossi prostrato a terra, sanguinante e senza forze, il mio sguardo bruciava. Bruciava abbastanza da poter incendiare tutto il mondo. E gli prometteva, in silenzio, indelebilmente: "Tornerò per te. Tornerò e la pagherai".

Poi i miei occhi si chiusero, senza nessuna certezza che si sarebbero mai riaperti.





Lysandro aprì gli occhi di colpo.

Riprese fiato così velocemente che il suono del risucchio dell'aria, da dentro ai suoi polmoni, fece un suono simile ad un urlo. Il suono che fa un'anima che rientra nel corpo? Possibile. Rimbombò fra le gole strette della voragine in cui il ragazzo si era ucciso, due anni prima, per sfuggire ad una morte peggiore fra le mani del Re degli Assassini.

Era stato costretto al suicidio, ma adesso era tornato. E sapeva che sarebbe successo: quando aveva scoperto, in quelle lettere segrete, che Alaister fosse stato nell'Aldilà, si era detto che allora avrebbe potuto buttarsi e un giorno resuscitare, proprio come lui. Quel giorno era giunto.

Era morto come Lysandro, il frivolo cortigiano malato di tisi, ma era ritornato come Lyle, il ragazzo abbandonato alla strada, ma che non era più solo. Un ragazzo che aveva degli amici e dei sogni. Un ragazzo capace di amare. Il primo pensiero che fece, adesso che era di nuovo vivo, fu indirizzato proprio a lui.

Axel.

Chissà se l'avrebbe rivisto. Masticò quel nome fra la lingua e il palato, fra le labbra e i denti. E poi si accorse che respirava. La sua pelle era calda, il battito era forte e inalava l'aria dentro e fuori, sì, proprio come una persona viva. Si tirò in piedi, stringendosi la faccia fra le mani. Non era un sogno.

«SONO VIVO!» gridò, alzando le braccia in aria, dondolando in modo buffo come chi fa la danza della pioggia.

A quel punto, notò che non indossava più gli abiti provenienti dalla Corte degli Inferi, ma una vestaglia, quella che aveva il giorno in cui era morto. Era come se il tempo si fosse fermato, da allora, e soltanto adesso avesse ripreso a scorrere. L'anima si era spostata dall'Oltretomba e aveva velocemente viaggiato, tornando ad abitare quel corpo che aspettava e aspettava, senza sosta, in un burrone dimenticato dal mondo. Forse era quello che facevano tutti i cadaveri al cimitero. Aspettavano un ritorno che non avveniva mai.

Il crepaccio dentro cui Lyle si trovava era talmente stretto che, se tendeva le braccia, poteva toccare le pareti da un lato e dall'altro. Ed era profondo. Sollevò lo sguardo e fissò il cielo, grigio ed ombrato, a molti metri più in alto.

Dove si trovava?

Aveva spesso preferito dimenticare, ma adesso fu costretto a ripercorrere il giorno della sua morte per capirlo. Tempo addietro, lui e Alaister si erano trasferiti in una tenuta di campagna non troppo lontana da Ender. Poco dopo, Lyle aveva scoperto la corrispondenza fra il Re degli Assassini e il tiranno di Darlan e, quando Alaister Noir lo aveva beccato, si era messo a correre fuori dalla magione, nel cuore della foresta.

Era stato un inseguimento serrato, una corsa disperata. Aveva fatto un po' di metri, ma non molti, perché non aveva scampo contro un famigerato sicario. Poi era incappato in un burrone. Alle strette, Lyle ci si era gettato dentro, morendo sul colpo incontrando il suolo.

Da quelle parti dovevano esserci altre magioni nobiliari - oltre alla tenuta Noir - perciò non era totalmente disperso nel nulla. Magari sarebbe apparso qualche aristocratico a cavallo, durante una battuta di caccia. Se avesse urlato, forse qualcuno si sarebbe accorto di lui. Sperava solo che non lo facessero le persone sbagliate.

«EHIII!» gridò e il suono si propagò infinite volte, perdendosi verso l'alto. «SONO QUAGGIÙ! C'E' QUALCUNO?» urlò, stringendo i pugni, fino a sgolarsi. «QUALCUNO MI SENTE? AIUUUTO!» Era troppo in basso. Doveva salire, in un modo o nell'altro.

Sapeva di non essere bravo come Helias o Yul. Era un cortigiano, lui le mani se le esfoliava ogni giorno con creme di bellezza, non le usava certo per combattere o arrampicarsi ovunque! Ma voleva sopravvivere.

Si avvinghiò alle sporgenze e, senza fare troppo lo spericolato, si guadagnò mezzo metro. Non era tanto, ma la giudicava una conquista. «AIUTATEMI! SONO QUI SOTTO, VI PREGO!» ululò, battendo anche i piedi e le mani contro le pareti per fare baccano, nella speranza che qualcuno lo sentisse.

A dir la verità, almeno dallo scorcio di cielo che vedeva, Lyle intuiva non fosse una bella giornata. Nessuno avrebbe pensato di farsi una passeggiata fra i boschi senza il sole a picchiare forte. Anzi, c'era da aspettarsi il peggio: si sarebbe presto messo a piovere, le rocce all'interno della gola in cui si trovava sarebbero diventate scivolose e l'arrampicata ancor più impervia e rischiosa.

Però, se c'era una cosa che Lyle aveva imparato da Helias e Yul, era che non bisognava mai arrendersi. Il destino ce la metteva tutta a rovinarti la vita, ma stava a te decidere se lasciarlo fare o contrastare la sua forza violenta. L'ex-cortigiano non poteva lasciarsi andare, non ora che era di nuovo vivo, non ora che era... libero. Non aveva più vincoli con la badessa del bordello, Sophia, né con Alaister. A dir la verità, per quanto ne sapevano loro, Lyle era morto e stramorto.

La cosa gli suscitò un risolino febbrile, una smania gioiosa e quasi matta, totalmente incoerente con la situazione in cui era: in fondo ad un burrone ad aspettare di essere salvato, lontano da tutti i suoi amici. Fu l'idea della libertà, l'idea di poter coltivare i propri sogni e di poter rivedere Axel a dargli il coraggio per salire un altro po'. 

Il mondo era gigantesco e aveva davvero paura che non avrebbe mai rivisto quel ragazzo. Chissà che faccia avrebbe fatto, scoprendo che Lyle era ancora vivo! Si sentì speranzoso, elettrizzato, felice. E si guadagnò un paio di metri ancora.

Finché non sentì il suono di passi. Molti, molti passi. Allora il cuore sobbalzò e il brunetto ricominciò ad urlare.

«EHI! EHI, EHI! FERMATEVI, SONO QUI! SONO QUIIIII!» Si mise a saltare, ad urlare, a lanciare pietre per fare rumore. «AIUTATEMI, PER FAVORE! AIUTO!»

I passi si arrestarono. Soltanto in quell'istante a Lyle venne l'orribile dubbio che si trattasse di uno squadrone di soldati, magari quelli che stavano ancora cercando Sfavillo, fuggiasco da Ender. Eppure, se così fosse, che cosa avrebbero potuto fargli? Ai loro occhi sarebbe passato per un semplice civile caduto per sbaglio in un burrone e vivo per miracolo.

Una figura si sporse dentro al crepaccio, ma in controluce fu difficile vedere di chi si trattasse. Nonostante ciò, Lyle sventolò le braccia, saltò e gridò come un pazzo. «SII'! QUI!» L'individuo si ritrasse velocemente. «COSA? NO! EHI! EHIIIII!»

Qualche attimo dopo, la cima di una corda venne gettata all'interno del burrone, strisciando verso il basso. «LEGATELA INTORNO ALLA VITA E CERCA DI NON IMPIGLIARTI MENTRE TI TIRIAMO SU!» lo avvisarono dall'alto, mentre il ragazzo faceva rapidamente come gli era stato detto e si preparava.

Se le cose si fossero messe male, poteva sempre fingersi stupido. Lyle lo aveva sempre fatto con estremo successo ed immaginava che le guardie del Continente Magico lo avrebbero lasciato in pace. Tuttavia, quando venne trascinato fuori dal crepaccio, si rese conto che le proprie ipotesi erano così sbagliate da esserne il totale rovesciamento.

Erano una ventina di persone vestite con abiti umilissimi, la maggior parte smunte, ferite e con chiari lividi intorno a polsi e caviglie. Quelli non erano soldati... Anzi, avevano tutta l'aria di essere fuggiaschi da qualche campo di prigionia nelle vicinanze. Non Ender, perché fuggire di lì era impossibile, ma da qualche altra parte di certo. Molti giovani, altri di mezza età, tutti armati e con sguardi così feroci da far intuire che fossero proprio ciò che erano. Dei ribelli sopravvissuti.

Lyle si chiese se anche il suo sguardo fosse così e fu molto strano specchiarsi in occhi speculari ai propri: verde smeraldo, con quella stessa intensa determinazione. Appartenevano ad una corpulenta donna di mezza età, con la matassa di capelli nocciola nascosti sotto ad un fazzoletto e un abito tutto stropicciato, che era china sopra di lui e gli offriva la mano, pur con leggera diffidenza.

«Chi sei, ragazzo? Come sei finito laggiù?» disse Tynam, la donna che una volta aveva aiutato Sfavillo a nascondersi, senza chiedere nulla in cambio.

«Mi chiamo Lyle.» rispose, accettando la mano per rimettersi in piedi. «Ed il motivo per cui mi trovavo lì è... complicato.» Ma aveva tempo per raccontarlo e molte persone disposte ad ascoltare.

Fra di loro c'era quella donna dagli occhi verde smeraldo. In quell'istante, lei stava pensando che Lyle avesse gli stessi occhi e lo stesso nome di un figlio che, vent'anni prima, aveva abbandonato. E questa non poteva essere una coincidenza.





«Sbrighiamoci, stare qui in bella vista non mi rende tranquillo.» disse il principe ereditario di Darlan, guardandosi intorno furtivamente, il cappuccio nero tirato fin sopra alla testa e il cuore in gola. «Vieni, scava in questo punto!»

«Sarebbe tutto più facile se mi aiutassi anche tu, Adrian.» ribatté l'ex Capitano della Guardia Reale, Raven Kenneth, sbattendo la vanga contro la terra brulla, con aria seccata.

Dopo che i loro movimenti e i loro piani segreti erano stati scoperti da Vincent Valerius Kavendish, niente di meno che il Re del Continente Magico e il dittatore che spaventava molti - figlio compreso -, avevano ripreso a scappare. Raven aveva perso il suo lavoro, lo status e tutti i suoi benefici. Sperava che non fosse successo niente di brutto alla sua famiglia, solo perché voleva proteggere il suo migliore amico, Adrian.

Insomma, Adrian Kavendish aveva dei poteri, motivo per cui suo padre l'avrebbe giustiziato... Anche se il Re aveva promesso al figlio che, ritornando a casa, non gli sarebbe successo niente. "Era fiero di lui" a quanto diceva la sua lettera, ma né Adrian né Raven ci credevano. Ancora non sapevano come il Re avesse scoperto quel segreto, o il fatto che Adrian stesse cercando di allearsi con i ribelli per generare un colpo di stato.

Avevano avuto solo il tempo di fuggire dalla Baia del Teschio e far perdere goffamente le loro tracce. L'idea era di sparire, magari viaggiare verso il Continente Meridionale per non farsi trovare, invece il principe ereditario aveva insistito per fare la strada inversa e dirigersi nella tana del lupo. Skys Hollow, la capitale.

Man mano che il tempo passava, molte stranezze stavano iniziando a capitare, senza alcuna spiegazione. Bambini avevano iniziato a sparire in circostanze misteriose. Panico ed irrequietezza si stavano diffondendo a Darlan, perché scoppiavano episodi di violenza gratuita ed immotivata. E il sole... Il sole stava marcendo

Bastava alzare la testa verso il cielo per accorgersene: era grigio e spento e il sole era un cerchio pallido simile al tuorlo di un uovo andato a male. Giorno dopo giorno peggiorava e nessuno sapeva capire il perché.

In contemporanea a ciò, il Re e la sua cerchia di nobili fedeli organizzava feste, parate, balli. Specchietti per le allodole e utili distrazioni, così che la gente non si accorgesse delle stranezze che succedevano. Adrian, nel frattempo, restava nascosto ed indagava. Stava cambiando anche lui: molto presto erano iniziate le visioni. Sogni di universi e di mondi paralleli, meravigliosi e inquietanti, lo tormentavano ogni notte. Ci aveva messo un po' per capire che si trattasse dell'Oltretomba e che il protagonista di ogni visione fosse Sfavillo.

Ma nell'ultima aveva visto qualcun altro e qui entravano in gioco Adrian e Raven. Il principe incrociò le braccia, schioccando la lingua. «Dammi tregua, Rav! Io già ho l'arduo compito di dirti dove scavare.» rimbrottò, osservando l'amico che spalava il terreno in cerca di qualcosa lì sotto. Cadaveri, per la precisione.

«Sì, ma è l'ennesima buca che mi fai aprire!» sbuffò il bruno, i capelli chiusi in un codino sulla nuca, le maniche della camicia rimboccate fino ai gomiti e il sudore ad imperlargli la fronte. Era tutto il giorno che scavava. Avevano avuto fortuna a non attirare l'attenzione, fino ad ora.

«Non te la prendere, non sono io che decido come funzionano le visioni. Nessuno mi ha detto quando e dove spunterà quel tizio, so solo che succederà oggi, qui da qualche parte...» chiarì Adrian, che si guardava intorno, nel bel mezzo della campagna sperduta di Skys Hollow. Non era la parte ben curata dove i nobili avevano le loro magioni di classe.

Era, invece, la zona dove le guardie della città scaricavano immondizia di qualsiasi tipo... Umana, specialmente. Un tempo, dopo le esecuzioni pubbliche, si creavano grandi pire dove bruciare i cadaveri dei criminali giustiziati; l'usanza era andata in disuso per via della puzza, quindi i soldati avevano iniziato a raccogliere i corpi per buttarli fuori città. Era contro la legge reclamare la salma di un uomo freddato dalla "giustizia" del regno, perciò i soldati con quei corpi potevano farci tutto ciò che volevano.

Una triste, amara verità, che non stava rendendo le cose facili ad Adrian e Raven.

«Avanti, deve essere qui da qualche parte...» brontolò il corvino dagli occhi di ghiaccio. Alla fine si convinse e prese anche lui una vanga, mettendosi a scavare. «Dio... Che puzza di morto...» ansimò, con gli occhi che lacrimavano. Una fossa comune, eccola! La sua pala aveva appena trovato un braccio, putrefatto ovviamente.

«Ma che stiamo facendo...» brontolò Raven, smettendo di scavare. «Ti rendi conto che stiamo profanando delle fosse comuni solo perché sei convinto che un uomo vivo esca di lì?» Guardò il principe in cerca di un tentennamento, ma lui non mollava.

«Non trattarmi come se fossi un pazzo! Hai visto anche tu che ho dei poteri e so-» Si immobilizzò, con la bocca ancora aperta a mezz'aria. «Lo senti anche tu?» sussurrò.

«No, che cosa?» fece l'altro, ad alta voce.

«Ssshh!» Adrian mimò di fare silenzio e si picchiettò l'orecchio. Solo allora Raven prestò effettivamente attenzione. C'era un piccolo, impercettibile rumore. Veniva dalla terra sotto di loro. Gli occhi celesti del principe lampeggiarono di comprensione, un "avevo ragione!", come se fino ad allora non ci avesse creduto nemmeno lui. «Da dove viene??»

Il suono era così basso che era difficile capirlo. Ma diventava più forte mentre i secondi passavano. Poi, una mano uscì improvvisamente dalla terra, artigliando l'aria.

«Cazzo! Aiutami Adrian, sbrigati!» gridò Raven, scavando a mani nude nel punto, perché con la pala avrebbe potuto colpire la persona che stava uscendo da lì sotto. Il principe prese la mano del tizio che stava letteralmente risorgendo dalla tomba e iniziò a tirare.

«Forza, forza!» ansimò, spingendo, mentre l'uomo tirava fuori da metri di terra anche l'altro braccio e poi, finalmente, la testa. Quest'ultimo prese il primo respiro dopo tanto tempo che il suo corpo attendeva. Tossì terra e fango, con la bocca che sapeva di sangue, polvere e morte. Il resto venne da sé: lo aiutarono ad uscire completamente dalla fossa, mentre scavavano e lui avanzava carponi, sporco dalla testa ai piedi, coi vestiti ancora macchiati di sangue rappreso.

«Ce la fai a metterti in piedi?» gli fu chiesto, ma il ragazzo era talmente confuso ed intontito che non rispose. Così lo presero per i gomiti, da un lato e dall'altro, e lo tirarono sulle gambe. Restò in piedi e respirò ancora, avidamente.

«Sono vivo...» sussurrò, con la voce roca, toccandosi il petto e guardandosi i palmi delle mani. Gli offrirono un po' d'acqua e lui bevve come se non l'avesse fatto da anni, cosa effettivamente vera. Si versò il liquido fresco sul viso infangato, sui capelli rossi, sulle mani insanguinate. Poi si guardò intorno e fissò i suoi salvatori. «Dov'è... dov'è-» mormorò un nome a voce così bassa che fu impossibile da capire. «Chi siete?»

«Chi sei tu, piuttosto!» Adrian incrociò le braccia contro il petto, proprio curioso di sapere perché un ragazzo fosse appena risorto da una fossa comune e perché lui avesse ricevuto una visione in merito.

«Pevensie.» rispose l'uomo, schiarendosi la voce. «Yul Pevensie.»

Dritto sulle proprie gambe, l'Assassino alzò la testa, guardò quello strano cielo grigio e decretò che, qualsiasi cosa fosse successa di lì in avanti, avrebbe fatto tutto il possibile per ricongiungersi ad Helias. Anche se erano divisi, anche se erano dispersi, restavano legati indissolubilmente l'uno all'altro. E se era stato Helias ad affrontare perfino l'Inferno per trovarlo, stavolta sarebbe stato compito di Yul trovare la sua metà.

Si mise la mano sul cuore e, come una promessa ineluttabile, pensò intensamente:

"Ti troverò. Noi siamo l'inizio di questa storia e insieme la faremo finire."





Oltrepassato il rischioso Mare dei Mostri sotto forma di aquila, Ezrael volava sopra l'Oceano Cristallino. Le sue ali frustavano violentemente l'aria e il vento increspava le piume. Gli artigli delle sue zampe stringevano la spada leggendaria e dentro al becco teneva nascosta la Chiave. Di fronte a lui solo chilometri d'acqua e cielo grigio spento, con un sole inquieto, pallido, come se anche l'astro del mattino fosse stato pugnalato e stesse per morire.

E' già iniziata, pensò. La fine

Le nebbie dei Regni del Caos avevano nascosto quell'improvviso cambiamento nel mondo, ma adesso Ezrael sapeva che il piano del Redivivo di riportare il mondo al suo stato originario, facendolo sprofondare di nuovo nel Caos, era cominciato. Si vedeva dal cielo. E in questo piano, Ezra aveva avuto un ruolo fondamentale. La rabbia fece irruzione e lo sommerse, per qualche breve secondo, ma dovette nasconderla in fretta.

Il Re di Darlan percepiva le sue emozioni e l'albino non poteva certo vacillare. Che stupidi sentimenti, che stupido cuore! Ezra avrebbe voluto strapparselo dal petto, sarebbe stato tutto più facile. Tradire Helias sarebbe stato più facile.

Quando i suoi occhi avevano incontrato quelli dell'Assassino morente, ciò che aveva visto Ezrael era stato proprio quello che temeva: un'improvvisa esplosione di violenza, dolore e disgusto. Lo straeliano aveva distolto lo sguardo bruscamente, rendendosi conto solo in quel momento - come un folle - che aveva continuato a nutrire una speranza. Di cosa?

Non che Helias non sarebbe stato furioso, non era folle fino a quel punto, ma forse sperava in uno sprazzo fugace, un indizio che di loro due sarebbe rimasto qualcosa. Che un giorno il biondino lo avrebbe perdonato... E amato al posto di Yul. Ma quella speranza era scomparsa e aveva lasciato Ezra vuoto. Perso.

Perfino il suo modo di volare sembrò scorticato e arido.

Ma in fondo, era meglio così. Se non poteva essere amato, gli andava bene anche essere odiato. Sarebbe stato comunque un sentimento forte, abbastanza perché Helias continuasse a pensare a lui e non lo guardasse più con occhi compassionevoli. Compassione... Quella non ci sarebbe stata mai più, poco ma sicuro.

Eppure, se solo Ezra gli avesse detto tutta la verità... Se solo avesse potuto farlo! Ma non poteva. Voleva mettersi a ridere amaramente, per quanto fosse terrificante la realtà in cui viveva, oppure a piangere. Invece, lo straeliano si era limitato a mostrare ad Helias quella facciata brutale perché non aveva nient'altro da offrirgli e nessun altro modo per nascondere il senso di colpa. Il pentimento. Tutta la rabbia e l'accusa che si riflettevano nei suoi occhi erano rivolte a sé stesso, non ad Helias, come erroneamente quest'ultimo aveva creduto.

Se solo avesse potuto prendergli il volto fra le mani e baciargli le labbra insanguinate, sussurrandogli "lo sto facendo solo per te".

Perché era stato proprio Ezrael a proporre al Re di Darlan di uccidere suo figlio, di uccidere Sfavillo. Ma l'aveva fatto a fin di bene. L'aveva fatto per Helias. Per salvarlo da un destino peggiore. E troppo spesso, quando vuoi salvare chi ami, sei disposto perfino a diventare il cattivo della storia.

Questa era la parte che il destino aveva dato ad Ezra, da così tanto tempo che aveva smesso di ricordarsene. Ho smarrito la mia anima, avrebbe voluto gridare. Invece si era limitato a tenersi la maschera sul viso e lo avrebbe fatto ancora. Se il mondo voleva fare di lui un cattivo, avrebbe interpretato il personaggio fino in fondo, fino alla fine.

Ma almeno per oggi, in un istante fugace e quasi inavvertibile, si concesse di fare il suo ultimo gesto da guardiano, incurante delle conseguenze. Infilò la sua coscienza nella testa del suo principe, del suo protetto, sapendolo in pericolo. Subito sentì l'anima di Helias - vaniglia, sensualità, dolore, vendetta - sfiorargli i sensi. Ed era in pericolo. Urlò solo:

Adesso svegliati!






𝔼 ℙ 𝕀 𝕃 𝕆 𝔾 𝕆


La sconfitta ha un sapore talmente amaro - metallo e lacrime e sangue - che può diventare solo sinonimo di fine. Ma non era la fine. Non era arrivata la mia fine.

Non ancora.

Il buio era confortante. Nel buio non esistevano problemi né abbandoni, non esisteva la solitudine o il tradimento e nemmeno la rabbia. Il buio era accogliente e silenzioso, teneva lontani gli incubi e le speranze infrante. Ma rimanerci a lungo significava dimenticare che il mondo, là fuori, era un posto fin troppo pericoloso per restare addormentati.

Adesso svegliati!

Una voce... Ma era impossibile che fosse la voce dello stesso uomo che mi aveva accoltellato, perché non avrebbe dovuto aiutarmi. Forse era solo una fantasia. O lo spettro di un ricordo. Come un flash rapido, mi tornò alla mente tutto ciò che avevo perso.

Un alleato prezioso e affezionato. L'unica arma in grado di uccidere mio padre. Il mio dolce amico d'infanzia. L'uomo che amavo con tutto me stesso.

Il viaggio era iniziato con me solo, svuotato, in trappola, quasi morto, senza niente e senza nessuno. E finiva esattamente nello stesso modo.

Eppure, a differenza dell'Helias appena uscito da Ender, stavolta avevo delle inconfutabili ragioni per non arrendermi. Ragioni per combattere, ragioni per aggrapparmi all'ultimo spiraglio di respiro dentro ai miei polmoni. Dannazione, non avevo la minima intenzione di morire, non adesso che avevo trovato Yul, non ora che avevamo la possibilità di guadagnarci un futuro! Soltanto io avrei potuto scegliere quale fosse la mia fine... E questa non lo era di certo.

Svegliati, subito!

Spalancai le palpebre e mi svegliai.

Mente, anima e corpo, riuniti sotto le fronde di un albero contorto. Occhi aperti, respiro corto dentro al petto, pelle intrisa di rosso e polsi legati con corde spesse, sollevati verso i rami più alti, a lasciarmi penzolare come una pallina di Natale.

Mi dolevano le spalle per via della posizione e avevo sanguinato copiosamente: lì dove il mio sangue aveva gocciolato sul terreno, rigogliosi tralci di rose rosse erano germogliati, fiorendo tutt'intorno all'albero da cui dondolavo. Sembrava che i Regni del Caos si fossero nutriti di me. Esattamente come aveva fatto Ezra. Si era nutrito della mia disperazione e l'aveva usata per consolarmi, perché mi fidassi di lui. Si era nutrito della mia speranza per spingermi a conquistare la spada, così che potesse poi sottrarmela.

Ancora una volta ero stato cieco di fronte all'evidenza, perché mai, mai mi sarei aspettato un simile tradimento. Ma il destino aveva cercato di darmi dei segnali. Ci aveva provato, sin dall'inizio.

A cominciare dallo strano comportamento di Ezrael, lunatico, così controverso, prima servile e paziente e poi brusco e burbero. No, non era davvero lunatico. Adesso che sapevo la verità, l'impressione era che non avesse mai capito esattamente quale parte interpretare. La finzione si era sovrapposta al vero sé stesso e, tutt'ora, non sapevo cosa di lui fosse reale e cosa invece falso. E i suoi sentimenti, invece? Tutte le volte che ci eravamo avvicinati, tutti i baci e le carezze? Dovevano essere bugie. Al ripensarci, mi assaliva la nausea.

Stava giocando con me, mentre io mi mettevo a nudo con lui, letteralmente. Quanto doveva essersi divertito.

"Mio fratello è un ragazzo strano. Ci sono volte in cui lo guardo e mi sembra di non conoscerlo, sembra che pensi e parli come un'altra persona..." ricordai immediatamente le parole di Kleira, la sorella gemella di Ezra, che avevamo lasciato nella Astrea sotterranea. Perfino lei, anche se all'oscuro di tutto, aveva cercato di farmi capire la verità.

Così come aveva fatto mamma. "Tutti indossano una maschera. E tu non devi mai, mai fidarti delle maschere". Finalmente capii che non parlava soltanto di Alaister, o Lyle; né solo di Qiana o di Yul. Parlava soprattutto di Ezrael. Stava cercando di mettermi in guardia, di avvisarmi di un pericolo di cui nemmeno conoscevo l'esistenza.

Ma lo avevo capito quando ormai era troppo tardi.

Ogni pezzo del puzzle si incastrò finalmente nel posto giusto, dando un senso ai comportamenti bizzarri del mio guardiano. Quando aveva finto, per esempio, di non sapere chi fosse Hēi. Invece, essendo un alleato di Alaister, conosceva anche la sua vecchia identità. "Ezra, mi stai mentendo?" gli avevo chiesto in merito, ricevendo una risposta fin troppo evasiva. Ecco anche il motivo per cui aveva gettato il diario di Hēi così velocemente: aveva paura che scoprissi qualcosa di troppo.

"Devi dirmi qual è l'antidoto!" il ricordo di Ezra che urlava, proprio quando stavo per morire dopo essere stato morso da tutti quei serpenti, ritornò all'improvviso. Avevo pensato si trattasse di una semplice allucinazione e avevo lasciato perdere, ma adesso sapevo con chi lo straeliano stesse parlando. L'unica creatura che conosceva i mostri del Caos, con cui evidentemente l'albino aveva un legame mentale.

Mio padre, il Re di Darlan. Ed ero vivo soltanto perché gli servivo.

Adesso capivo come Ezra facesse a non finirei nei guai e a cavarsela sempre nell'Oltretomba, come se sapesse esattamente che cosa fare, con chi parlare, in che punti comparire... E infatti lo sapeva. Glielo diceva il Redivivo, che nell'Aldilà c'era già stato.

E - oddio - mio fratello Adrian, il principe ereditario di Darlan, mi aveva mostrato i suoi poteri e parlato dei suoi piani segreti di rivoluzione. Anche se avevo detto ad Ezra di non spiarmi, lui aveva sicuramente visto tutto e riferito al suo "padrone". Una nuova ondata di rabbia e disgusto mi travolse con vibrante intensità. Ero ancora abbastanza vivo da provare una tale brutale, empia collera, in grado di farmi tremare dalla testa ai piedi.

Ero vivo!

Ed era strano, considerato che ero stato pugnalato. Lo shock, il dolore e l'assurdità del tradimento avevano fatto passare in secondo piano dove fossi stato pugnalato. Me ne accorsi adesso, per colpa della fitta bruciante che mi investì, abbassando poi lo sguardo sulla carne lacerata. La ferita era brutta, ma la zona era tutt'altro che mortale: nel bassoventre, a destra, vicino all'appendice.

Uno strano punto dove pugnalare, se si ha l'intenzione di uccidere. E poi, perché legare ad un albero qualcuno che sarebbe presto morto? Erano scelte totalmente incongrue con ciò che Ezrael aveva detto e fatto. Ma che importanza aveva? Il mio guardiano era una spia del Redivivo e questa verità mi distruggeva, perché implicava che, la prossima volta che l'avrei incontrato, l'avrei distrutto io.

Mi aveva sottratto la spada che tanto faticosamente avevo conquistato. Mi aveva rubato la chiave che apparteneva a mia madre. Mi aveva ingannato, illuso e raggirato. Mi aveva raccontato un mucchio di bugie e, alla fine, mi aveva quasi ammazzato. In qualunque modo la vedessi, non esisteva uno scenario in cui avrei potuto risparmiarlo.

Prima di cedere a fantasie di sangue e vendetta, però, dovevo liberarmi e capire come lasciare i Regni del Caos. Superare il Mare dei Mostri non era un'impresa facile, anche avendo una nave e un equipaggio. Cose che io non avevo. Mi restavano soltanto me stesso e la mia insaziabile voglia di rivalsa.

«Ahh, merda!» Strattonai i polsi legati, dondolando avanti ed indietro come una pendola nel tentativo di sbrogliare la stretta delle corde. Che senso aveva appendermi così in alto? «Avanti!» brontolai, a denti stretti. Non avevo nemmeno un coltello grazie al quale tagliare i legacci: di solito trovavo soluzioni molto fantasiose per uscire dai guai, ma indossavo solo uno stupido paio di pantaloni e degli stivali.

Un latrato da incubo lacerò l'aria, facendo tremare la terra. «Cazzo!» sibilai, muovendo le mani per cercare disperatamente di liberarmi. Cos'è che Ezra mi aveva detto sulle creature del Caos? Fiutavano il sangue anche su larghe distanze. E io non ne avevo persa solo qualche goccia. Un altro verso mostruoso risuonò fra gli alberi, molto più vicino del primo.

Un mostro apparve fra gli arbusti in lontananza. Aveva la pelle lattiginosa cosparsa di vene nere e gli arti lunghissimi, tanto che camminava a quattro zampe come un ragno. «Oddio, no...» ansimai, vedendo la creatura che gli si affiancò subito dopo. 

Abominevole ma familiare: un essere alto tre metri, con la pelle grigia e spessa e tre braccia per lato, con sei armi diverse per ogni mano. La minuscola e sproporzionata testa da neonato, con due occhi e due bocche, era puntata verso di me.

«Sì! CiBooOoO!» sibilò, con una voce acutissima. Era il primo mostro che aveva attaccato me ed Ezra, appena arrivati nei Regni del Caos, e da cui eravamo scampati con grande difficoltà. Conosceva molto bene il mio odore. Ero riuscito a fermarlo solo congelandolo... Come avrei potuto affrontarlo adesso? Quando apparve, dietro ai due mostri, una schiera di segugi con gli occhi rossi e la bava fra le zanne affilate, il terrore iniziò a montare ed inquinò la mia capacità di analisi.

«Merda! Merda, merda, merda!» sibilai, agitando le braccia con una forza matta e disperata, il cuore che mi martellava nelle orecchie, il sangue che mi pulsava nelle tempie. I mostri stanno venendo a prendermi.

Ghiaccio da dentro alle viscere. Brividi e terrore. I mostri stanno arrivando a divorarmi. Una paura familiare, a cui stavo per soccombere, mi travolse. Vedevo tutto attraverso un velo di panico, impotente nella mia trappola, col ventre ferito esposto al nemico, la testa a penzoloni, le gambe tremanti, mentre le bestie avevano ormai raggiunto le radici del mio albero.

All'improvviso, capii. Ecco perché ero stato legato così in alto! Non per intrappolare me, ma per tenere lontane le creature dal mio corpo. Purtroppo, non era bastato: si stavano arrampicando.

Tutti quei mostri, tutte quelle zanne, nell'istante di raccoglimento che precede il balzo sulla preda... Se ci fosse stato del tempo per pensare in quell'istante - quell'istante così carico di intenzioni, così colmo di fame e promesse di sangue - avrei ripetuto infinitamente l'unico mantra che era in grado di darmi forza anche in momenti in cui la speranza sembrava ormai morta.

Mi chiamo Helias Greagoir e non ho paura.

Mi chiamo Helias e non ho paura.

Io non ho paura.

Le bestie mi saltarono addosso ed io serrai gli occhi. Un impeto ardente di furore, frustrazione e sofferenza, talmente profondo da far esplodere tutta Darlan, si sprigionò dentro alla mia anima. «FERMATEVI!» gridai, così forte da sentir tendere violentemente le vene sul collo. L'istante si paralizzò.

Un secondo.

Un respiro, un altro secondo ancora. Non stava succedendo niente. Niente. Perciò aprii lentamente le palpebre, con cautela. I muscoli gonfi delle mostruosità erano diventati flaccidi. Le fauci erano rimaste spalancate, immobili, e la saliva gocciolava.

Il piccolo esercito di bestie si era semplicemente... fermato.

Come?

Sconvolto dall'immensità della mia disperazione e della morte imminente, a stento capii come comportarmi. Com'era possibile che i mostri si fossero tutti semplicemente fermati, con il mio corpo così vicino, a portata di morso? No. Mi stava sfuggendo qualcosa. «State lontani da me!» urlai.

Come un unico essere, le creature che si erano arrampicate fino a raggiungermi le gambe e tutte quelle che si erano accalcate sotto, ora si allontanarono bruscamente, restando a fissarmi a debita distanza. Tutti gli occhi su di me, immobili. Come in attesa. Tentai di uscire dalla nebbia di spavento e confusione che mi avvolgeva.

«Andate via, andate via!» strillai, tirando calci contro l'aria, con la ferita che doleva ad ogni piccolo movimento.

E allora vidi, con tutto il mio sbigottimento, che l'intero gruppo di mostri adesso si stava girando e se ne stava andando. Possibile che...? La nebbia cominciò a diradarsi. «FERMI! FERMATEVI!» gli gridai dietro. Si fermarono all'istante, invece il mio cuore prese a galoppare ancora più forte.

Poteva forse... Era stata forse opera mia?

Di nuovo, ricordai le profetiche parole di mia madre riguardo all'Oltretomba. "Una volta entrati non è un posto da cui si esce facilmente. Qualcosa in te potrebbe cambiare, potresti uscirne diverso". Effettivamente qualcosa era cambiato. Ma non era stata solo opera del viaggio. "E' un'arma disgustosa. Non tenerla troppo vicino a te, fidati. Altrimenti ti farà del male. A meno che non te l'abbia già fatto" lo aveva detto anche Qiana, parlando della spada.

Tutte le disavventure che avevo passato nell'Oltretomba... Tutto il tempo in cui avevo tenuto i frammenti dell'antica spada dentro di me... Era ovvio che ne fossi uscito diverso. E non immaginavo fino a che punto. Dovevo ancora scoprirlo.

«Venite a liberarmi!» ordinai. Così fecero tutti insieme, come un unico corpo, lacerando con artigli e denti le corde e lasciandomi andare. Strisciai contro il tronco e ruzzolai sulle radici, gemendo di dolore, ma rimettendomi rapidamente in piedi. Avendo finalmente ricevuto una conferma, restai per un attimo paralizzato dallo shock.

Sapevo controllare i mostri del Caos. Esattamente come sapeva fare il Redivivo. E questo cambiava tutto.

Perché non ero più soltanto un assassino. I limiti di ciò che potevo fare, come qualsiasi altro essere umano, all'improvviso si cancellavano, offrendomi nuove possibilità. Possibilità che adesso vedevo negli sguardi mostruosi delle creature. Esse arrivavano numerose, attratte, accalcandosi le une sulle altre, restando a guardare. Tutte in attesa di ordini, di essere comandate, di avere un padrone.

Strinsi i pugni, alzai il mento e presi un profondo respiro. «Adesso inchinatevi.» Come un'onda, i mostri si abbassarono, uno dopo l'altro, finché anche l'ultima delle bestie non fu inginocchiata al mio cospetto. Versi, ringhi, latrati: fu tutto silenzio, maestoso e solenne, come se anche quei mostri capissero cosa fosse cambiato.  

All'improvviso, ebbi l'impressione di essermi liberato dal peso insostenibile di essere uno strumento. Non ero più una pedina manovrata dal Redivivo o un eroe destinato a riportare Astrea all'antico splendore. 

Io ero soltanto io. Un ragazzo che aveva superato ogni sorta di sofferenza, che aveva resistito e che non aveva mai smesso di sperare. C'era talmente tanto in ballo - talmente tante persone da salvare, talmente tante persone da vendicare - ma per un attimo ogni cosa svanì e la miccia della speranza bruciò intensa nella mia anima, al punto che ebbi l'impressione di poter raggiungere il mio lieto fine con Yul e quasi toccarlo.

Sapevo che ci sarebbero state ancora molte lotte da affrontare. Ma ero pronto. Sì, ero finalmente pronto. Lo percepii, mentre guardavo la mia schiera di mostri e pensavo:

Mi chiamo Helias Greagoir e combatterò per il lieto fine che mi merito, perché non ho più paura.





𝕋𝕠 𝕓𝕖 𝕔𝕠𝕟𝕥𝕚𝕟𝕦𝕖𝕕...







*NDA - Un angolo finale di sorpresa e shock e ringraziamenti*

Hola!

E' sempre un miracolo arrivare alle note finali dell'ultimo capitolo. Non pensavo che ce l'avrei fatta. Se vi dicessi che non credevo che questa storia sarebbe mai finita, vi assicuro che non mentirei! Il sequel è iniziato nel 2018, dopo tanti tentennamenti e l'intenzione di non continuare affatto la storia, invece poi l'ho ripresa in mano, ma sempre molto alla rilenta. Devo dire che fra il 2021 e il 2022 ho avuto un bel ritorno, fra la giusta ispirazione e la spinta necessaria per concludere. E sono molto, molto contenta di esserci riuscita!

Come ho già detto, in questo peregrinaggio di anni passati e aggiornamenti a singhiozzo, purtroppo ho perso un po' di lettori affezionati, ma ringrazio tantissimo chi è rimasto perché non ce l'avrei fatta senza il vostro supporto, perciò sappiate che la conquista di questo finale la dedico a tuuutti voi! Con la promessa che il terzo libro, invece, avrà tempistiche ben migliori. Ormai ho preso il ritmo e non intendo perderlo!
Ma dopo questa lunghissima premessa, ritorniamo a parlare del finale: ve lo aspettavate? Immaginavate il doppio gioco di Ezra? E soprattutto, cosa vi aspettate per il seguito? Io ho già tutto pronto e sto già lavorando sul prologo. Questo terzo capitolo delle Cronache sarà il più stimolante di tutti, in quanto a situazioni, e non vedo l'ora!

Ditemi pure che cosa ne pensate, di sicuro manderò qualche avviso a chi stava aspettando che "I Signori dell'Oltretomba" finisse per leggerlo tutto insieme. Non togliete la storia dalla biblioteca, perché manderò un avviso quando starò per pubblicare il seguito.
Grazie per avermi seguito anche in questa avventura! Io vi aspetto ne:
"Le Cronache dell'Oltretomba 3 - Il Principe dei mostri" <3

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