37. L'Assassino e il Diavolo
«Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
- Joan Baez
Non avevo perso i sensi, non stavo sognando e non ero nemmeno tornato indietro nel tempo per ritrovarmi nuovamente a tu per tu con un vecchio nemico che, l'ultima volta, mi aveva quasi ucciso. Ero vivo, nonostante fossi nell'Oltretomba, e bene o male avevo recuperato il controllo su me stesso. Non ero dentro un incubo.
Eppure, le braccia del Conte Alucard - lo sgradevole vampiro che mi aveva reso per giorni un giocattolo nel suo castello, in Transilvana - ora mi strizzavano come un pupazzo, tenendomi appiccicato a lui, ingabbiato contro il suo corpo.
«La mia dolce preda è venuta direttamente nella tana per essere spolpata...» gongolò, strofinando il suo naso contro al mio collo come un animale selvatico. I miei capelli, piuttosto che rizzarsi sulla nuca, si sarebbero volentieri staccati dal cranio per darsi ad una fuga precipitosa. Il ricordo delle sue mani, impositive e violente, intorno al mio collo, mi annodarono lo stomaco dall'angoscia. «Proprio come la prima volta.»
Sì, perché ero stato io ad andare nel suo castello, convinto di poterlo affrontare, quando nemmeno immaginavo che genere di mostro fosse.
«Lasciami. Andare. Subito.» sibilai, scandendo parola per parola con minaccia, consapevole però che fossi disarmato, mezzo nudo e molto meno forte di lui. I miei occhi schizzarono verso il punto dove avevo lasciato Yul ed Ezra, squadrando la folla, che si godeva la festa e i suoi cruenti festeggiamenti senza curarsi di noi.
Con sgomento, mi resi conto che quei due, dopo che erano stati ipnotizzati come me e si erano lasciati andare ai loro istinti e desideri più bassi e selvaggi, adesso che avevano perso l'oggetto della loro spasmodica brama - io - si erano rivoltati l'uno contro l'altro. Si stavano picchiando brutalmente. Yul aveva la meglio, essendo un sicario addestrato, ma Ezra usufruiva dei poteri che aveva tenuto in serbo per il viaggio di ritorno dai Regni del Caos. Coglieva di sorpresa il rosso con i poteri magici - fiamme e ghiaccio - sovrastandolo, prima di venir di nuovo messo sotto torchio, colpito da una tempesta di pugni.
Ezra, svegliati!
Mi rivolsi prima a lui, un po' perché col nostro legame mentale sarebbe stato più semplice farlo risvegliare, ma soprattutto perché temevo che ferisse gravemente Yul con quelle fiammate, più di quanto stesse facendo l'assassino con la sola forza bruta. Tuttavia, compresi che non c'era verso, perché nella sua testa c'era una specie di muro invalicabile dove la mia voce non lo raggiungeva. Qualcuno o qualcosa si stava mettendo fra noi.
Lì vicino a loro, invece, c'era ancora Qiana. Teneva stretta una posata nell'unica mano sana, il coltello sporco del mio sangue, e continuava a fissarmi con uno sguardo da pazza, come se fosse pronta a tornare all'attacco, disposta a tutto per ottenere ciò che desiderava. La mia mano. O meglio, i frammenti della spada dentro la mia mano. Ancora più preoccupato, mi resi conto che Lyle era sparito.
«Nessuno verrà a salvarti, piccolo assassino.» sussurrò il Conte, accarezzandomi il petto con le mani viscide, mentre io mi divincolavo e inarcavo come potevo per far in modo che i suoi polpastrelli non mi toccassero la pelle. «Sono tutti contro di te. Sei solo.»
Strinsi i denti. Il vampiro pensava di poter abbassare le mie difese, ma usava mezzucci ridicoli: avevo già sperimentato la solitudine, quella vera e disperata, quando ero stato ad Ender. Ma ne ero uscito e adesso né lui, né nessun altro, mi avrebbero fermato. Raggiunsi le ultime perline che mi rimanevano intorno al polso e lasciai che gli ultimi brandelli di potere straeliano mi investissero con un fremito dalla testa ai piedi. Mi mossi con la supervelocità, in maniera talmente rapida che non si aspettò né la testata dritta al naso, né che corressi via dalle sue braccia per scappare verso la calca.
Tuttavia, non combattevo contro un avversario con normali capacità. Anche lui era velocissimo, e non solo. Mi raggiunse immediatamente e mi afferrò per la nuca, come si prendono i cuccioli per la collottola. Per un attimo - terribile e spaventoso - credetti che mi avrebbe spezzato il collo, invece con la sua forza sovrumana mi sollevò di peso e mi scaraventò per metri, facendomi cozzare contro la tavolata imbandita. Mi schiantai contro coppe, vassoi e candelabri, sentendo il cibo insozzarmi la pelle nuda, finendo poi per rotolare dall'altro lato del tavolo e cadere rovinosamente sul pavimento.
La botta mi tolse il fiato, ma non mi impedì di rimettermi subito in piedi. Alucard però si lanciò contro di me e tornai a terra, inchiodato per le mani a terra come un animale senza vie di scampo. «Sei diventato un po' più forte...» osservò, assottigliando le labbra rosse in un ghigno. Era esattamente come lo ricordavo: occhi scarlatti, capelli bianchi come la neve e un'espressione da invasato omicida. «Ma non abbastanza.»
Mi affondò i canini affilati nel collo e non si risparmiò: un gemito di dolore mi scosse dalla testa ai piedi, mentre affondava le zanne con brutalità. Gli picchiai le spalle e gli affondai le unghie nella schiena, cercando di ferirlo, ma era come colpire una montagna di massi. «Yul...» chiamai, mentre tutto il mio corpo diventava un'arma. E io scalciavo, spingevo, mi opponevo in ogni modo, piegandomi nel tentativo di allontanare la bocca di quel mostro dalle mie vene. Ma era tutto inutile.
«Yul!» ululai, un grido che si innalzò sulla folla, mentre graffiavo la faccia del Conte aprendogli profondi solchi sulle guance, che si richiudevano immediatamente. Il malefico bastardo beveva avidamente, come se non aspettasse altro che la mia linfa vitale. «YUL!»
Mi parve che l'aria fischiasse quando il corpo di Alucard mi venne strappato di dosso. L'effetto sorpresa fu fatale per il vampiro, sul cui collo venne scaraventato il bordo affilato di un vassoio d'argento. Non ebbe lo stesso effetto di un'ascia, perciò l'assassino del Conte dovette affondare il vassoio sul collo del vampiro più volte, finché non gli staccò del tutto la testa.
Pochi istanti dopo, il corpo di Alucard si tramutò in cenere e una sfera di luce rosso sangue fluttuò a qualche centimetro dal pavimento. Sollevai gli occhi sul mio salvatore e il mio cuore si rasserenò quando incontrai gli occhi blu zaffiro di Yul. Aveva sentito il mio grido e si era risvegliato. Si liberò dal vassoio buttandolo a terra; il rumoroso clangore metallico venne inghiottito dalla musica. «Era lui. Il fottuto stronzo che ti ha quasi ucciso in Transilvania.» ringhiò, correndo a sorreggermi fra le sue braccia, con gli occhi puntati sui due fori sanguinanti che avevo sul collo.
«Sì.» pigolai, quasi senza voce, indebolito per il sangue che mi era stato portato via e per quello che continuava a colare, sia dalla gola che dal polso che Qiana mi aveva tagliato.
«Non sono mai stato più felice di uccidere qualcuno.» sbottò con sarcasmo, scuotendo la testa per cercare di liberarsi da quella rabbia, o dalla sensazione di essere stato ipnotizzato, per ritornare alla realtà. «Oddio, sei ferito.» La furia venne rapidamente sostituita con la preoccupazione.
«Guarirò velocemente.» Dopo che ero entrato nell'Oltretomba, il mio corpo aveva iniziato a rigenerarsi in maniera ben più rapida della norma.
«Certo, ma a meno che tu non voglia diventare un'esca appetitosa per questi squali, è meglio se fasciamo le tue ferite...» Yul si guardò intorno, puntando la tovaglia.
«E' colpa tua. Sei arrivato in ritardo.» borbottai, ironico, mentre lui stracciava lembi di pizzo e seta bianca e me li arrotolava intorno al polso e al collo. Lo vidi rivolgermi un sorriso sghembo.
«La prossima volta arriverò in groppa ad un cavallo bianco.» Mosse un sopracciglio, irriverente. «Tutto nudo, ovvio.» Mi accorsi, grazie a quella battuta, che si era rivestito e indossava almeno un paio di pantaloni per coprirsi. Non che non fosse un gran bel vedere - mi era mancata anche quella vista - ma non mi piaceva l'idea che qualcuno che non ero io potesse vederlo nudo.
Per fortuna aveva qualcosa addosso, rispetto a prima. E con prima, intendevo quando io, Yul ed Ezra avevamo fatto... Il rossore salii ferocemente sulle mie guance. Non ebbi comunque il tempo di soffermarmici, perché Yul mi trascinò via dal tavolo, con un'espressione improvvisamente molto seria. «Hanno capito che abbiamo ammazzato uno dei loro.»
Imprecai, sperando che attraversare la calca e mescolarci ai ballerini servisse per farci perdere di vista. Mano nella mano, ci lasciammo sballottare dai danzatori. «Hai visto Lyle? L'ho perso completamente di vista e sono preoccupato.»
«No, ma ho visto quella faccia di cazzo di Enzorel.» sbuffò, puntando gli occhi oltre la folla. Avevamo smesso di camminare contro corrente e adesso Yul mi stringeva la vita con un braccio. Con la mano destra tesa di lato, eravamo nella classica posizione del valzer e fingevamo di muoverci allo stesso ritmo degli altri. «Stavolta non la passa liscia. Ti ha messo le mani addosso.»
Seguendo la traiettoria del suo sguardo, mi resi conto che Ezra e Qiana, ora vicini, continuavano a fissarci con una brama famelica negli occhi che era selvaggia e spaventosa. Presto avrebbero fatto la loro mossa, se non ci ammazzava prima qualcuno dei vampiri che ballavano intorno a noi. Anche se non ci guardavano, avevo l'impressione inquietante che ci seguissero con la coda dell'occhio. «E' ipnotizzato.» ritornai a parlare di Ezra. «Lo eri anche tu! E anche io!»
Insomma, non era colpa di nessuno dei tre se eravamo finiti a fare... A fare... Accidenti, non riuscivo proprio a dirlo.
«Lo so che era ipnotizzato e non posso dargli tutta la colpa se siamo finiti in quella cosa a tre.» borbottò Yul, ammettendolo al posto mio. Cosa a tre. Ecco che la mia faccia diventava di nuovo rovente. Per fortuna l'avevo interrotta presto. «Ma c'è qualcosa di strano in lui, qualcosa che proprio non mi convince...» Scosse il capo. «Lascia stare. L'importante è che lui e Qiana ci stiano lontano. Questa cosa degli alleati diventati nostri nemici è proprio bastarda.»
Fece una pausa e riprese: «E, ehi, stiamo ballando insieme.» Battei le palpebre, confuso davanti a quell'affascinante sorrisetto, che sbeffeggiava la tensione del momento. «E' la prima volta che accade.»
«Non dirai sul serio... Abbiamo partecipato ad un sacco di balli insieme.» risposi, facendo mente locale per rendermi conto che, effettivamente, l'unica volta che avevamo ballato insieme era in una quadriglia insieme ad un mucchio di sconosciuti, al Ballo dell'Orchidea. Aveva ragione. «Be', è la prima volta perché tu te ne stavi sempre in disparte a fissare la pista da ballo con una faccia da guastafeste.»
«Non fissavo la pista da ballo. Fissavo te.» chiarì, corrucciato. «Mi assicuravo che nessuno ne approfittasse e ti mettesse troppo le mani addosso. Tutto qui. E comunque non ti devo rivelare ogni mio trucco.» continuò, col ghigno che avrebbe avuto un colpevole, mentre io cercavo di trattenere una risata.
«Vuoi dire ogni tuo segreto da stalker?» lo pungolai, esattamente come facevo un tempo, quando eravamo rivali e ogni scusa era buona per prenderci in giro a vicenda.
«Stalker? Quindi tutta la mia beneficenza come tua guardia del corpo non è stata apprezzata?» Corrucciò le labbra in una smorfia sensuale. «A questo punto dovresti pagarmi, Hel. In natura va anche bene.» tornò a sorridere con quella sua espressione arrogante che avevo sempre odiato e amato.
«Te lo puoi proprio sognare. Non pago gli stalker.» dissi, mentre arrossivo, ben sapendo che ci avrebbe messo esattamente due secondi a prendersi tutto ciò che voleva da me, in qualsiasi momento. Quell'adorabile bastardo di Yul Pevensie.
«Pazienza. Vuol dire che mi accontenterò del tuo modo carino di flirtare con me.» Intrecciò le dita della destra con le mie, attirandomi più vicino, petto contro petto. «E mi gusterò questo primo ballo.» Sollevò la mano per farmi fare una piroetta, facendomi finire di schiena fra le sue braccia, in una trappola in cui sarei rimasto piacevolmente per sempre. «Insomma, che c'è di male nel divertirsi un po' mentre i nostri compagni di viaggio sono ipnotizzati e dispersi e un mucchio di gente inquietante ci fissa?» Schioccò la lingua. «Dobbiamo tornare a fare il nostro stupido lavoro, vero?»
«Cioè trovare un modo di salvare i nostri amici, cercare il frammento di spada e salvare il mondo?» chiarii, sentendo il suo volto nella curva del mio collo e le sue labbra che vibravano una risata contro la mia pelle, vicino all'attaccatura dei morbidi riccioli dorati.
«Detto così sembriamo proprio degli eroi.» Gli lanciai uno sguardo eloquente e lui rispose con un ghigno beffardo. «Come no.» sbuffò, ironico, sapendo che fossimo ben altri. Non volevamo salvare il mondo. Volevamo salvare il nostro futuro e volevamo giustizia - e il sangue dei nostri nemici - per quello che ci era successo.
Separammo i nostri corpi dalla posizione di ballo ed io cercai di non sospirare per la delusione. Mano nella mano, cercammo di liberarci dalla ressa danzante, ma prima che potessimo uscirne quattro vampiri ci sbarrarono la strada, mettendosi spalla contro spalla come un muro invalicabile di corpi. «Oh, finalmente qualcuno ci dà il benvenuto alla festa.» Yul piegò le labbra in un'espressione sardonica. «Grazie e addio.»
Ci voltammo per camminare a passo svelto fra la folla di danzatori, decisi ad uscire dalla parte opposta. Tuttavia, altri tre individui, coperti di sangue dalla testa ai piedi, ci bloccarono. Imprecando, mi resi conto che le coppie che ballavano si stavano restringendo intorno a noi, un cerchio di corpi che ci tappava nel mezzo della pista.
«Tsk... Ci apriremo la strada a forza.» sbottai, stringendo i pugni. «Ti copro le spalle.» dissi a Yul, che capì al volo.
«E io le tue.»
Ci posizionammo schiena contro schiena, con i pugni allineati davanti alla faccia. Non avevamo armi e lottare a mani nude non sarebbe servito per fare del male a quei mostri, ma avremmo potuto comunque avanzare lottando. Sperando che nessuno dei vampiri riuscisse a tagliarci la gola con quelle unghie affilate come rasoi. Assumere quella posizione difensiva fu come un segnale per il nemico: ci attaccarono simultaneamente, da tutte le parti. Erano davvero tanti da gestire e io non avevo più poteri da usare né carte nel mio mazzo da sfoderare.
«Tutto questo sembra un bruttissimo déjà vu!» urlai, schivando un'artigliata chinandomi in basso. Mi riferivo a quel giorno sul patibolo, quando io e il rosso stavamo combattendo contro frotte di guardie.
«Tranquillo tesoro, stavolta ho intenzione di restare vivo!» Il suono di un pugno zittì Yul per un momento e io, standogli alle spalle, non capii se l'aveva incassato lui o l'aveva tirato a qualcuno. «Qualsiasi cosa voglia dire quaggiù!» riprese, tirando un calcio così forte che l'essere che aveva colpito si schiantò su un gruppo di vampiri che rientravano nel mio campo visivo. Caddero l'uno sull'altro come birilli ma si rimisero in piedi a velocità sovrannaturale.
Sorrisi e l'adrenalina si diffuse dentro di me come un fuoco d'artificio. Avevo dimenticato com'era combattere con Yul, la sensazione che mi dava. Quasi come fare l'amore: una perfetta sincronia di movimenti. Colpire, affondare, muoversi all'impazzata fino alla fine, senza arrese. Roteammo su noi stessi, invertendoci di posto per destabilizzare i nostri avversari, mentre tiravo ad un uomo un calcio laterale tanto forte da sentire il crack della mascella che si spezzava.
Mentre gli avversari indietreggiavano, noi continuavamo a muoverci col puro scopo di liberarci dalla calca. Pugno, calcio, ancora calcio e gomitata. «Ancora!» esclamai, così ci scambiammo il posto di nuovo: un movimento rapido, tattico, ma nel farlo riuscii a captare lo sguardo sfuggente che Yul mi rivolse. Elettrizzato, eccitato, complice. Ci muovevamo con la stessa abilità letale, lui giocando di forza e io sfruttando la velocità.
Nell'istante in cui riuscimmo a liberarci dall'ingorgo di nemici e lasciare la pista da ballo, entrambi con le nocche scorticate e le mani che pulsavano, iniziammo a correre. Non c'era un posto a vista dove fuggire, nessuna via d'uscita: eravamo chiusi dentro un castello pieno di mostri. A metà fra un complesso intrico di scale alle spalle e una sala piena di vampiri assetati dall'altra. Il pavimento era scivoloso di sangue e tutti, ogni singolo commensale, sembrò voltarsi all'improvviso guardarci. La musica si zittì.
Il silenzio era assordante come un grido. Indietreggiai e Yul mi strinse contro di sé, con la mascella serrata e lo sguardo cupo. Siamo spacciati, pensai, quando dalle gradinate spuntarono decine di inquietanti figure coperte di nero dalla testa ai piedi, con lunghi cappucci appuntiti. La presa del rosso si fece ancora più serrata. Immediatamente ci circondarono, senza esplicare cattive intenzioni: non erano armati e le loro mani erano nascoste dalle maniche lunghe fino a terra. Eppure, mi trasmettevano una sensazione di pericolo e negatività.
Vᴇɴɪᴛᴇ. Vᴇɴɪᴛᴇ ᴅᴀ ᴍᴇ.
Riconobbi immediatamente la voce cupa e penetrante che mi era entrata nella testa e mi aveva spinto a fare cose di cui non ero responsabile. La sentì anche Yul, perché aveva sussultato per la sorpresa. Ci scambiammo una lunga occhiata eloquente, che racchiuse in sé una lunga discussione su cosa fosse il caso di fare. Potevamo ancora continuare col gioco del gatto e del topo, facendoci inseguire finché non avremmo trovato una via d'uscita. Oppure... Affrontare qualsiasi cosa ci aspettasse. Io ero per l'ultima opzione e Yul non sembrava d'accordo, ma si rese conto che non avevamo scelta.
Gli incappucciati ci circondarono e ci fecero intuire senza dire una parola che dovevamo seguirli. Non eravamo nemmeno legati, ma era chiaro che non ci avrebbero permesso di fuggire. Deglutii, salendo un gradino alla volta molto lentamente, pur di guadagnare tempo, e senza mai lasciare la mano di Yul, che teneva la mia con tanta forza quanta era la tensione palpabile nell'aria e nel silenzio. Oltre le scale, ci aspettavano altre piscine piene di sangue, dentro con sguazzavano vampiri e umani in preda all'estasi, rendendo quel posto a metà fra un bordello e un mattatoio. Distolsi lo sguardo, disgustato.
E poi, finalmente, un pesante tendaggio di velluto rosso, come quello posto davanti ad un palco teatrale, venne scostato per mostrare un immenso trono. Sorgeva dall'interno di una vasca di sangue ed era fatto, letteralmente, di persone. Persone ancora vive, che erano piegate e unite in posizioni strane, come una scultura d'arte vivente un po' bizzarra, fino ad assumere la forma di un trono. Ed erano tutti precisamente immobili, nessuno fiatava sotto il peso della creatura che ci sedeva sopra e che, con un solo sguardo, mi paralizzò sul posto dal terrore. Sembrava uscito da un incubo. Da una storia dell'orrore.
Il Diavolo era davanti a me e riconoscerlo dai ricordi dei bassorilievi inquietanti, posti dentro ai templi e alle chiese di Skys Hollow, fu ancora più agghiacciante. Era come vedere un mostro, da sempre presente nelle tue fantasie, prendere vita di fronte a te e diventare reale. Yul si mise immediatamente davanti a me, fungendo da scudo e coprendomi alla vista di quella cosa. Anche io non potevo più vederlo, ma non servì: ce l'avevo stampato negli occhi.
"La piuma del capro strappare" diceva la profezia. Ero stato stupido a non capirlo. Il Diavolo era una creatura con un corpo mascolino e massiccio, il volto di un caprone dagli occhi rossi e gigantesche ali d'argento che si spalancavano dietro di lui. Gli incappucciati, ancora disposti intorno a noi, si tolsero di dosso i mantelli neri rivelando i corpi nudi e si prostrarono a terra, fino a toccare il pavimento con la fronte, in segno di folle adorazione. Mi sentii tremare le gambe.
Iᴏ sᴏ ᴄʜᴇ ᴄᴏsᴀ ᴠᴏʟᴇᴛᴇ. Sᴏ sᴇᴍᴘʀᴇ ᴄᴏsᴀ ᴠᴏɢʟɪᴏɴᴏ ᴛᴜᴛᴛɪ.
Parlò, violando le nostre teste, i nostri pensieri. Spuntai da dietro alle spalle di Yul - non avere gli occhi sul nemico era una debolezza - e lui non mi ostacolò, ma continuò a tenermi le braccia intorno al corpo, protettivo.
Pᴏssᴏ ᴅᴀʀᴠᴇʟᴏ ᴇ ᴘᴏssᴏ ᴀɴᴄʜᴇ ғᴀʀᴠɪ ʟᴀsᴄɪᴀʀᴇ ɪʟ ᴍɪᴏ ʀᴇɢɴᴏ.
Presi un profondo respiro, sentendo lo stomaco annodarsi. «A che prezzo?» Ebbi l'impressione che il Diavolo ridesse, anche se era un suono lugubre ed aspro, tremendo. Al mio fianco, Yul sudava freddo ma continuava a monitorare la situazione.
Nᴇssᴜɴ ᴘʀᴇᴢᴢᴏ. Dᴏᴠʀᴀɪ sᴏʟᴏ ɢɪᴏᴄᴀʀᴇ ᴀʟ ᴍɪᴏ ɢɪᴏᴄᴏ.
Yul emise un verso dolente, come se lo avessero colpito. Avevo l'impressione che quel solo fosse riduttivo e che quel gioco non sarebbe stato divertente.
Vɪɴᴄɪ ʟᴀ ᴘᴀʀᴛɪᴛᴀ ᴇ ᴀᴠʀᴀɪ ʟᴀ ᴘɪᴜᴍᴀ ᴇ ʟᴀ ʟɪʙᴇʀᴛᴀ̀ ᴅᴀ ϙᴜᴇsᴛᴏ ʀᴇɢɴᴏ.
«E tutti i miei amici verranno con me.» sottolineai, mettendo in chiaro gli estremi di quella specie di patto.
Cᴇʀᴛᴏ. Tᴜ ᴇ ɪ ᴛᴜᴏɪ ᴀᴍɪᴄɪ sᴀʀᴇᴛᴇ ʟɪʙᴇʀɪ ᴅɪ ᴀɴᴅᴀʀᴠᴇɴᴇ. Aᴄᴄᴇᴛᴛɪ ᴅɪ ɢɪᴏᴄᴀʀᴇ?
Il Diavolo allungò una mano all'apparenza umana, benché artigliata, verso di me. Col palmo aperto verso l'alto, in attesa di una stretta. Yul mi strattonò, forte. «Non esiste proprio che tu faccia una follia del genere.» sibilò fra i denti, a pochi centimetri dal mio volto. «Hai già affrontato abbastanza. Ci andrò io.»
«No!» sbottai. «Sono io che devo raccogliere questi frammenti. Io che li porto addosso. Se li prendessi tu che cosa succederebbe?» Era la verità solo in parte. Invece, avevo troppa paura di metterlo in pericolo e di perderlo di nuovo. Fino ad ora me l'ero cavata bene: potevo superare l'ostacolo anche questa volta. E inoltre, la profezia stabiliva che dovessi essere io a prendere il frammento. «Devo farlo io.»
«No.» Lui scosse la testa. «Non posso lasciartelo fare. Non posso.» Le sue mani strinsero le mie tanto forte da far male, ma era troppo teso e spaventato per accorgersene.
«Ascolta, Yul...» iniziai, con voce più bassa e più dolce, conciliante. Capivo cosa stava provando. «Se le cose sono finite male, due anni fa, è perché non ci siamo fidati abbastanza di noi due.» ammisi, con la voce rotta dal dolore. Non avevamo affrontato ancora una simile conversazione, ma sapevo che era la verità: Alaister ci aveva ingannato entrambi, così maledettamente bene, perché sapeva come sfruttare i nostri punti deboli. Yul non si era fidato abbastanza di me da permettermi di collaborare con lui, durante la finta missione ai cancelli di Ender.
Lui voleva dimostrare, forse a me o forse a se stesso, di potercela fare senza la collaborazione di Sfavillo. Di essere un degno assassino, degno di stare con me. Era colpa mia, che per anni lo avevo trattato orribilmente, se per orgoglio aveva deciso di estromettermi dal salvataggio di quegli schiavi. Se solo ci fossimo fidati entrambi l'uno dell'altro, allora avremmo immediatamente capito che era una trappola.
Invece ci era tutto sfuggito di mano. Yul era stato ucciso. Io ero diventato uno schiavo.
«Ma vorrei che ci fidassimo l'uno dell'altro. E vorrei che tu creda in me, tanto quanto io credo in te. E nel tuo valore.» sussurrai, posandogli una mano sul cuore.
«Ma io mi fido di te.» mi rispose il rosso, la voce bassa e vibrante come una carezza vocale, arrendevole, benché i suoi occhi fossero tanto cupi che il blu notte pareva tendere al nero. «Però ho anche paura di perderti.»
Piegai le labbra in un sorriso dolce e un po' dispettoso. «Allora dovrai solo ripetere la nostra formula magica finché non ritorno.»
«Mi chiamo Yul Pevensie e non ho paura?» Mi rivolse uno sguardo esasperato, ancora un po' spaventato, ma anche affettuoso, come se fosse veramente una formula magica. «Non so se stavolta funzionerà.»
Mi alzai sulle punte dei piedi per schioccargli un bacio sulle labbra. «Basta crederci, Yul.» Gli strinsi un braccio. «E adesso lasciami andare.» Esitò, parecchio titubante, ma alla fine la sua presa si allentò quel tanto da consentirmi di sgusciare via dalle sue braccia. «Stai attento. Non fare stupidaggini. E non morire.» Corrugò la fronte. «Per favore.»
«Visto che me lo chiedi per favore...» lo sbeffeggiai un po', solo per rincuorarlo, mentre mi allontanavo da lui. Poi gli diedi le spalle e camminai verso il Diavolo, che ci aveva ascoltato e fissato per tutto il tempo come un animale in gabbia che medita come sbranarti quando si libererà. «Accetto di giocare al tuo gioco, alle condizioni stabilite.»
Inghiottii il nodo che mi stava chiudendo la gola e appoggiai una mano su quella del Signore degli Inferi, cercando di non cedere al terrore che ribolliva dentro di me. Anche se aveva un volto da caprone, ebbi l'impressione che sorridesse, quando le nostre dita si toccarono.
Cʜᴇ ɪʟ ᴅɪᴠᴇʀᴛɪᴍᴇɴᴛᴏ ɪɴɪᴢɪ.
E poi una sensazione di pesantezza alle palpebre mi fece chiudere gli occhi.
❖ ❖ ❖
La sensazione non fu quella di risvegliarsi, ma di passare da un sogno ad un altro. I contorni della mia vista erano sfocati ed anche se ero stato drogato una sola volta nella mia vita - al Ballo dell'Orchidea - ero abbastanza certo che provassi qualcosa di simile. Ero intontito e avevo la testa pesante. Il corpo non rispondeva granché ai comandi e, il semplice fatto di non riuscire a muovermi correttamente, gettò dentro di me puro panico.
Bᴇɴᴠᴇɴᴜᴛᴏ ᴀʟ ᴍɪᴏ sᴘᴇᴄɪᴀʟᴇ ɢɪᴏᴄᴏ﹐ Hᴇʟɪᴀs Gʀᴇᴀɢᴏɪʀ.
La luce intorno a me si accese di colpo, accecandomi. Fu facilissimo capire dove mi trovavo: era uno dei miei luoghi preferiti. Ero a teatro, seduto in una platea vuota come unico spettatore e legato sulla poltrona in prima fila. Immobilizzato. Non avrei potuto muovere un muscolo neanche volendo. Di fronte a me, un piccolo palcoscenico era ancora coperto dalla tenda di velluto e nell'aria si sentiva la musichetta da circo di un carillon.
L'ᴜɴɪᴄᴀ ʀᴇɢᴏʟᴀ ᴘᴇʀ ᴠɪɴᴄᴇʀᴇ ᴇ̀ sᴄᴇɢʟɪᴇʀᴇ.
Irrequieto, cercai di capire cosa stesse per accadere, ma a parte quell'allegra e sinistra musichetta, non si sentiva nulla e non volava una mosca. Impossibile intuire cosa si nascondesse oltre il sipario.
Rɪᴄᴏʀᴅᴀ ᴄʜᴇ ɴᴏɴ ᴇsɪsᴛᴏɴᴏ sᴄᴇʟᴛᴇ ɢɪᴜsᴛᴇ ᴏ sʙᴀɢʟɪᴀᴛᴇ. Esɪsᴛᴏɴᴏ sᴏʟᴏ ʟᴇ ᴛᴜᴇ sᴄᴇʟᴛᴇ.
Poi, le tende si aprirono e rivelarono cosa, o meglio chi, c'era sul palcoscenico. Il cuore saltò qualche battito, mentre raggelavo fino alle ossa. Capì immediatamente che cosa volesse da me, che cosa fosse quel gioco, che scelta dovessi fare. «No. NO!» urlai, cercando di strattonare i polsi legati contro i braccioli della poltrona, invano. Non ci riuscivo, perciò tornai a guardare il palco, disperato.
La scena messa in atto era un patibolo, con due pali per l'impiccagione. A sinistra, seduto su una botola chiusa e privo di sensi, c'era Lyle, col cappio intorno al collo. A destra, Ezrael era nelle stesse condizioni.
Ezra, svegliati! Svegliati, ti prego, devi svegliarti! Svegliati, subito! SVEGLIA!
Gli urlai nella testa, ma lui non diede segno di avermi sentito.
Dᴀᴍᴍɪ ᴜɴ ɴᴏᴍᴇ. Sᴄᴇɢʟɪ ᴄʜɪ ᴅᴇɪ ᴅᴜᴇ ᴅᴇᴠᴇ ᴍᴏʀɪʀᴇ.
«Mai! Non parteciperò al tuo gioco perverso! Avevi detto che me ne sarei andato con tutti i miei amici!» Ma non avevo specificato in che condizione, mi resi conto. Non avevo detto che avrebbero dovuto essere vivi. Oh Dio. «Non sceglierò! Nessuno dei due morirà, mi hai sentito?!»
Sᴇ ɴᴏɴ sᴄᴇɢʟɪ﹐ ɪɴᴠᴇᴄᴇ ᴍᴏʀɪʀᴀɴɴᴏ ᴇɴᴛʀᴀᴍʙɪ ᴇ ᴛᴜ ᴘᴇʀᴅᴇʀᴀɪ ʟᴀ ᴘᴀʀᴛɪᴛᴀ. E' ᴛʀᴏᴘᴘᴏ ᴛᴀʀᴅɪ ᴘᴇʀ ᴛɪʀᴀʀsɪ ɪɴᴅɪᴇᴛʀᴏ.
«No... No!» Ci doveva essere un modo per uscirne. Mi guardai intorno, sentendo il cuore martellare dall'urgenza di uscirne. Ma non c'era modo.
Sᴄᴇɢʟɪ ᴠᴇʟᴏᴄᴇᴍᴇɴᴛᴇ﹐ ɪʟ ᴛᴇᴍᴘᴏ sᴄᴏʀʀᴇ.
Sopra al palcoscenico comparve il quadrante di un orologio. Le lancette iniziarono a muoversi e, dalla loro velocità, intuii di avere un minuto al massimo. Ci doveva essere per forza un altro modo per vincere. Non poteva essere tutto così crudele e assurdo. Ci doveva essere una possibilità per salvarli entrambi... Ma il tempo scorreva e mi resi conto che non mi veniva in mente nessun modo. Poi mi ricordai dell'unico potere che mi era rimasto addosso: uno dei tre anelli, che contenevano magie potenti ed imprevedibili. Ezra aveva detto di usarli solo in casi disperati. Questo era un caso molto più che disperato. Era fatale.
Strinsi i denti, obbligandomi a muovere almeno un muscolo. Uno solo. Mi bastava premere il cristallo in cima all'anello. Forse, se riuscivo a spingere il dito ingioiellato contro quello accanto, il cristallo si sarebbe attivato. Ma non ci riuscivo. Non ero fisicamente in grado di muovermi. Potevo solo parlare: non riuscivo nemmeno a chiudere del tutto le palpebre. «Avanti... Avanti.» ansimai, con la fretta addosso, il cuore che martellava e le lancette che ticchettavano furiose, come una promessa mortale.
Il tempo stava per scadere. Con un'orribile presa di consapevolezza, mi resi conto che non sarei riuscito ad usare l'anello, perché non importava quanto mi sforzassi. Il mio corpo non rispondeva ai comandi. «Oddio no, no, no.» Non avevo scelta... Se non quella di scegliere. «Non posso scegliere nessuno dei due! NON POSSO!»
Non potevo davvero.
Lyle era il mio amico d'infanzia. Se ero vivo oggi, era grazie a lui: mi aveva dato un posto dove vivere quando non avevo niente e nessuno. Ero un bambino spaventato che aveva appena perso tutto e lui era arrivato, come un miracolo, a darmi la speranza. Gli avevo già voltato le spalle quando lui era diventato un cortigiano e io non lo avevo nemmeno riconosciuto. Era morto per colpa delle macchinazioni che Alaister voleva nascondere e che riguardavano me.
Aveva ancora qualcuno che lo amava, un sogno da raggiungere e una vita da vivere che gli era già stata rubata una volta. Non potevo sceglierlo. E se, scegliendolo, il futuro che avevamo visto non si sarebbe mai avverato? Il mio futuro insieme a Yul.
Però, non potevo scegliere neanche Ezra. Era collegato a me in maniera così profonda che l'idea di ucciderlo mi faceva paura. Era il mio guardiano e lo era stato per mia madre. Mi aveva salvato la vita così tante volte che ne avevo perso il conto. Era parte del mio popolo e come avrei potuto guardare negli occhi sua sorella e dire che lo avevo ucciso? Dopo tutto quello che io ed Ezrael avevamo passato e provato... Non potevo. Non potevo scegliere lui, non importava quanti futuri avrei messo in discussione insieme a Yul, perché la mia felicità non doveva avere come prezzo la vita dell'uomo che aveva fatto di tutto per farmi restare vivo.
Perciò, né Lyle né Ezra erano sacrificabili. Semplicemente erano insostituibili entrambi. Ma se non potevo scegliere uno di loro, sarebbero morti entrambi. E io non potevo permetterlo.
«Mi arrendo, hai vinto! Fai finire questo gioco, fammi uscire! Non posso scegliere!» gridai al vento che mi circondava.
Lᴇ ʀᴇɢᴏʟᴇ ᴅᴇʟ ɢɪᴏᴄᴏ ɴᴏɴ ᴘʀᴇᴠᴇᴅᴏɴᴏ ʟ'ᴀʀʀᴇsᴀ. Pᴜᴏɪ sᴄᴇɢʟɪᴇʀᴇ﹐ ᴏᴘᴘᴜʀᴇ ᴘᴜᴏɪ ɴᴏɴ ғᴀʀʟᴏ ᴇ ʟᴀsᴄɪᴀʀʟɪ ᴍᴏʀɪʀᴇ.
«No, ti scongiuro. Ti scongiuro! Io non posso!» gridai, fino a sgolarmi, mentre le lancette battevano i loro ultimi rintocchi. Cercai di muovermi e divincolarmi ancora, senza risultato. Tentai di contattare telepaticamente Ezra ancora una volta, invano.
Tʀᴇ...
«Non puoi farlo! Farò tutto quello che vuoi!» Il cuore mi martellò nelle tempie, fortissimo.
Dᴜᴇ...
«TI PREGO!» Dolore e impotenza si mescolarono dentro di me, raggiungendo un livello di orrore profondissimo. Sentii le lacrime scivolarmi copiose sulle guance, incontrollabili, mentre gridavo.
Uɴᴏ...
L'unica cosa rimasta da fare era seguire le regole. Era scegliere. «LYLE!» gridai il nome e fu l'istinto a scegliere, mentre piangevo disperatamente. Il tempo era scaduto e, nel preciso istante in cui la botola sotto Lyle si apriva, lui spalancò gli occhi. Come consapevole che fosse arrivata la sua ora... Crack. Il suono di un collo che si spezza e di una vita che finisce.
Eppure, accadde un fatto strano. La sua anima non comparve. Il corpo di Lyle rimase a penzolare dal cappio, come un lenzuolo steso ad asciugare, e poi le tenebre calarono di nuovo all'interno del teatro, mentre io riprendevo fiato, nel tentativo di non vomitare. «Ho vinto. Lasciami andare.» sibilai nel buio, con la voce rotta dal pianto.
Iʟ ɢɪᴏᴄᴏ ɴᴏɴ ᴇ̀ ᴀɴᴄᴏʀᴀ ғɪɴɪᴛᴏ. Mᴀɴᴄᴀ ᴀɴᴄᴏʀᴀ ᴜɴ·ᴜʟᴛɪᴍᴀ sᴄᴇʟᴛᴀ.
«BASTA!» ringhiai, pieno di ira cieca e di dolore. Lyle era morto. E quell'orrore era colpa mia: avevo pensato di potermela cavare, di poter gestire tutto. Ma ero finito all'Inferno e nessuno può cavarsela in un luogo tanto meschino e disumano.
La luce si accese di nuovo e il sipario era di nuovo chiuso. Dentro di me tremavo ancora all'idea che quel "gioco" di torture non fosse ancora finito. In effetti, quando le tende si aprirono e rivelarono chi era al centro della scena, pensai che la partita si fosse spinta troppo oltre. Eppure, allo stesso tempo, capii che c'era qualcosa di sbagliato. Il Diavolo aveva commesso un errore.
Seduti sulle botole e con il cappio stretto al collo, stavolta, c'erano Yul da un lato e mia madre dall'altro, le due persone a cui tenevo di più al mondo, due persone che erano state uccise per colpa dei meschini intrighi del Re. Mia madre, però, non si trovava nell'Oltretomba. Me lo aveva detto lei: era in un altro luogo, un posto migliore. Quello voleva dire che il Diavolo non poteva avere potere su di lei... O almeno, speravo che la mia intuizione fosse giusta. E se avevo ragione, significava che nulla di questo gioco era reale.
Era una farsa. Una tortura pensata apposta per me, ma finta.
Strinsi i denti, fissando l'orologio sospeso sopra al palcoscenico, la lancetta che si muoveva veloce, il tempo che correva. L'idea di uccidere mia madre, anche se per finta, mi fece stringere il cuore. Ma sapevo che lei non era qui, sentivo che fosse tutto falso. Un gioco, aveva detto il Diavolo. Era soltanto un gioco.
«Scelgo mia madre!» esclamai, molto prima che il tempo scadesse. La bionda aprì gli occhi viola e, in quell'istante, la botola si aprì sotto di lei, lasciandola appesa.
Fɪɴᴇ ᴅᴇʟ ɢɪᴏᴄᴏ.
❖ ❖ ❖
Battei le palpebre, riprendendo conoscenza.
Fu come se mi fossi incantato per un secondo di troppo e fossi tornato bruscamente alla realtà. Subito, mi resi conto di essere ancora di fronte al trono del Diavolo. La mia mano era posata su quella artigliata del Signore degli Inferi, come se avessi appena accettato di giocare insieme a lui e ancora dovessi affrontare la prova. Qualche passo dietro di me, Yul mi fissava con apprensione. Mi girai a guardarlo, intontito e con gli occhi lacrimosi.
«Allora?» sussurrò. Avevo l'impressione che per lui non fosse passato neanche un istante. Era successo tutto nella mia testa, come una cupa ed inquietante fantasia. Tolsi la mano da quella del Diavolo, indietreggiando.
«A cosa serviva quel gioco perverso?» sibilai, con gli occhi iniettati di sangue per via del pianto. Non avevo ancora la certezza che le mie intuizioni fossero giuste e avevo ancora l'immagine di Lyle che penzolava dal cappio stampata negli occhi. Non me lo sarei mai perdonato.
Qᴜɪ ɴᴇssᴜɴᴏ ᴘᴀɢᴀ ᴄᴏɴ ʟᴇ ᴀɴɪᴍᴇ. Nᴏɴ ᴛɪ ᴀᴠʀᴇɪ ᴍᴀɪ ᴅᴀᴛᴏ ᴄɪᴏ̀ ᴄʜᴇ ᴅᴇsɪᴅᴇʀɪ sᴇɴᴢᴀ ᴘᴀɢᴀʀᴇ ᴜɴ ᴘʀᴇᴢᴢᴏ. C'ᴇ̀ sᴇᴍᴘʀᴇ ᴜɴ ᴘʀᴇᴢᴢᴏ.
Avrei dovuto immaginarlo.
Lᴀ ɴᴏsᴛʀᴀ ᴍᴏɴᴇᴛᴀ ᴇ' ɪʟ ᴅᴏʟᴏʀᴇ. E ɪʟ ᴛᴜᴏ ᴍɪ ʜᴀ sᴏᴅᴅɪsғᴀᴛᴛᴏ.
Il dolore. I suoi sudditi facevano il bagno nel sangue di povere vittime ipnotizzate, uccidevano indiscriminatamente e mangiavano anime. Era un Regno così grottesco che avevo la pelle d'oca. «Perciò ho vinto?» La mia non aveva l'aria di essere una domanda. Avevo preso le mie scelte, avevo visto il mio amico d'infanzia e mia madre venir impiccati. Era un prezzo sufficientemente alto da pagare per la vittoria. Ed ero stanco che la strada verso la spada fosse sempre così cruenta.
Yul mi raggiunse e mi prese per mano, trascinandomi indietro, come se non si fidasse a lasciarmi troppo vicino al Diavolo, che mi fissava con i suoi occhi di caprone, rosso sangue. Quest'ultimo non disse niente, ma alzò una mano artigliata e schioccò le dita con un suono che risuonò nel silenzio. Dal nulla, Ezra apparve accanto a noi, massaggiandosi la testa. Immediatamente dopo, comparve anche Qiana, che si stava avvitando la mano finta intorno al polso e aveva l'abito da ballo tutto stracciato. Sicuramente l'aveva sbrindellato lei.
«Dov'è Lyle...?» ansimai, col cuore in gola, rivolto agli altri due, oppure allo stesso Signore degli Inferi, che li stava facendo apparire uno ad uno. «No no no.» Se mi ero sbagliato, se Lyle era davvero morto, allora...
Una terza persona spuntò che era china a terra a vomitare. Corsi verso di lui, stringendolo con forza fra le braccia tremanti, incurante dell'odore di bile e della pozza di vomito vicina ai miei piedi. «Accidenti, credo di essermi ubriacato...» sospirò il brunetto, che stavo stritolando senza nemmeno accorgermi di piangere sulla sua spalla. «Ugh, se mi stringi così forte vomito ancora. Mi sa che qualcuno mi ha baciato... La sua bocca sapeva di pesce!» Gli ci volle qualche secondo, mentre io ridacchiavo fra le lacrime, a rendersi conto della situazione.
«Grazie a Dio... Grazie.» sospirai, mentre Lyle mi fissava con la fronte corrugata e poi notava l'essere alato, con un muso da caprone, seduto su un trono di corpi umani. La confusione si trasformò in orrore.
Dɪᴏ ɴᴏɴ ᴄ'ᴇɴᴛʀᴀ ɴɪᴇɴᴛᴇ.
Mi girai a guardare il Diavolo, che si era strappato una piuma dalle imponenti ali e ora la porgeva verso di me, come un invito. Nell'istante in cui feci un passo avanti, Qiana mi accompagnò, serrandomi la mano intorno al polso per fermarmi. «Sei sicuro di quello che fai?» bisbigliò, guardandomi negli occhi. «Con questo frammento li avrai tutti e cinque dentro di te. Potrebbe succederti qualcosa di brutto.» Lanciò un'occhiata alle nostre spalle, verso Yul, che mi guardava con la mascella serrata.
«Abbiamo scelta?» sospirai e lei mi lasciò andare, ma Yul ed Ezra sopraggiunsero al suo posto.
«Sì che ce l'abbiamo. Possiamo lasciar perdere tutto... E trovare un posto dove vivere nell'Oltretomba.» mi disse il rosso, guardandomi nella speranza che lasciassi perdere.
«Che idiozie stai dicendo? Hai idea di cosa abbiamo passato per arrivare dove siamo ora?» rispose lo straeliano. «Non possiamo certo tirarci indietro.» I suoi occhi color ametista puntarono i miei, di ghiaccio. «So che farai la scelta giusta.»
«Non esiste nessuna scelta giusta che implichi la tua morte.» mi sottolineò Yul, con sguardo severo e disperato. La sua voce vibrava di panico e lo percepivo perché assomigliava alla mia quando era lui ad essere in pericolo.
Purtroppo però, Ezra aveva ragione e, per quanto a Yul non piacesse, lo sapeva anche lui. A questo punto, era troppo tardi per ripensarci. Era tardi sin da quando avevo solcato l'ingresso dell'Oltretomba: ero deciso ad ogni costo a ricongiungermi con l'uomo che amavo e ci ero riuscito. Volevo recuperare la spada e avrei completato anche quell'obiettivo. Non diedi loro una risposta, ma avanzai verso il Signore dell'Oltretomba che mi aspettava. Trattenendo il respiro, allungai la mano verso la piuma...
Le mie dita sfiorarono la punta e l'ultimo frammento d'osso magico penetrò nella mia carne, unendosi agli altri. Il dolore esplose così velocemente che caddi a terra, contorcendomi. Avevo lava nelle vene e vetro al posto delle ossa e l'agonia esplodeva dietro agli occhi, come se qualcosa mi stesse mangiando dall'interno. Il mondo intorno a me divenne ovattato e confuso, mentre tremavo in preda alle convulsioni e mi veniva la schiuma alla bocca.
Qualcuno si mise ad urlare, mentre gli spasmi mi sballottavano. Molte mani mi tennero bloccato contro il pavimento, mentre qualcosa mi veniva messo in bocca per evitare che mi azzannassi la lingua durante le convulsioni violente. Non riuscivo a respirare. Avevo fuoco e spine nel petto e mi dibattevo come un'anguilla. Poi sentii che la mia mano veniva stretta con forza e il suono lontano di una voce penetrò attraverso la coltre di dolore.
«Sono qui, amore mio. Sono qui con te.» L'agonia si placò, venendo sostituita da una melliflua, calmante oscurità. «Resisti.» mi sussurrò l'inconfondibile timbro di Yul, mentre io cadevo molto lentamente nel buio. Prima che svenissi, sentii: «Torneremo a casa.»
E sapevo che aveva ragione. Saremmo tornati finalmente a casa.
❖ ❖ ❖
*N D A - Un angolo un po' cagionevole ma pure energico*
Hola!
Eeehh ultimamente me ne stanno succedendo di tutti i colori a livello di salute (io ed Helias ce la stiamo vedendo entrambi molto bene, eh... *ironia*) ma si sopravvive e l'ispirazione non manca! Che dire, aspettavo da tanto tempo che Yul facesse la pelle ad Alucard e scriverlo è stato un piacere ahahah. Comunque, questi capitoli nell'Oltretomba sono un costante tenervi sulle spine, ma ammetto che questo secondo libro è decisamente più dark del primo, penso sia particolarmente angst xD il terzo, paradossalmente, sarà il più divertente da scrivere. E anche se fino ad ora vi ho detto "manca poco" in maniera piuttosto generica, ormai posso stabilire con certezza che mancano solo due capitoli alla fine. Eeeebbene sì. Non ci sto credendo nemmeno io, dopo i miei secoli di lentezza, ma spero che mi seguirete fino alla fine <3
Ci vediamo al penultimo capitolo ~
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