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33. L'Assassino e il labirinto


«Vendetta, il boccone più dolce che sia mai stato cucinato all'Inferno.»
- Walter Scott


Stavolta saremo insieme
, avevo detto.

E Lyle era ancora lì, al mio fianco, i capelli castani un po' scompigliati e il tramonto che gli splendeva negli occhi verde smeraldo. Il fatto che avesse superato il Giardino senza conseguenze, voleva dire che i morti potevano spostarsi, viaggiare. E, forse, potevano anche raggiungere la superficie. Il mondo dei vivi.

Ezra, attraverso il nostro legame, percepiva la mia gioia e la viveva in un modo contrastante. I miei sogni e le mie speranze si riflettevano in lui e gli regalavano un po' di ottimismo, ma al tempo stesso gli ricordavano il perché fossi tanto speranzoso e lo incupivano. Sapeva che se Lyle poteva viaggiare con me, allora poteva farlo anche Yul, ovunque lui fosse.

Restai a fissarlo, dal basso della gondola. Lo straeliano era proprio sulla punta, in piedi, a fare il gondoliere: stringeva il remo e ci faceva scivolare fra i canali che si snodavano in mezzo alle pagode.

Non ricambiò il mio sguardo, sebbene fosse consapevole che lo stessi osservando. Il tramonto gli scintillava sulla pelle chiarissima, facendogli splendere i capelli d'argento che sporgevano dal cappuccio del mantello. Gli occhi d'ametista scorrevano sull'acqua e il canale rifletteva la sua ombra con un qualcosa di misterioso.

In effetti, tutto di quel regno era misterioso. Il cielo era un eterno tramonto che spolverava di rosso e arancio il paesaggio e la città era palpitante di vita, se così si poteva dire, visto che eravamo nell'Oltretomba. Pagode, torrette e palafitte coi tetti a falde spioventi erano laccate di scarlatto, nero e oro. Non c'erano strade a collegare le abitazioni e gli isolotti pieni di alberi di ciliegio in fiore, ma viuzze e sentieri d'acqua, su cui spostarsi con le gondole.

C'erano molte persone sulle barche. Tutti, dal primo all'ultimo abitante, indossavano maschere rosso sangue, su cui erano scolpite facce demoniache.

«"La maschera di sangue svelare"» esordì Lyle, citando un verso della profezia. «Così diventa un po' difficile, però...» meditò, continuando a guardare i cittadini da sotto al cappuccio del mantello.

«Lo so. E' come cercare un ago in un pagliaio.» osservai, schioccando la lingua contro al palato. Non avevamo mai avuto difficoltà a trovare i frammenti della spada, fino ad ora. Ezra era diventato un aiutante scriba, nella Duat, e così aveva scoperto facilmente cosa fosse la pelle del Caos. Nell'Ade, Morfeo mi aveva semplificato le cose il più possibile, sapendo quante avversità ci fossero sulla mia strada. E nel Giardino, Lyle era stato una manna dal cielo.

Stavolta nessuno ci avrebbe aiutato, dovevamo arrivarci da soli.

«Inizio a sentirmi pure un po' esposto...» sussurrò il bruno, coprendosi meglio la faccia. Noi eravamo gli unici senza maschera, infatti.

«Forse state solo interpretando male la profezia.» rifletté Ezra, dall'alto del suo remo. «Il verso dice che questa maschera va svelata. Dobbiamo solo capire in che senso.»

«Sì, ma come?!» incalzò Lyle, pensieroso.

«Non lo so.» sospirai. «E le risposte non cadranno dal cielo. Perciò, guardiamoci intorno. Magari troviamo una taverna, le locande offrono sempre un sacco di suggerimenti utili.» Ma la domanda era: esistevano le taverne, laggiù? La logica mi diceva di sì. In fondo, se eri morto, l'alcol doveva essere un ottimo deterrente per la noia. «Ehi, Ly. Dimmi una cosa... Voi potete ubriacarvi?» E con voi intendevo "i morti".

Drizzò la schiena. «Sì, sì. Anche drogarci. Nel Giardino circolava una certa erba che...» Scrollò le spalle. «Non è importante.» Mi misi a ridacchiare. Lysandro-il-cortigiano era il tipo da sorseggiare tè nelle sale raffinate, non fumare erba. Al massimo sniffava colonie nelle botteghe dei profumieri! Be', c'era anche da dire che nei bordelli l'uso delle droghe andava fortissimo.

«Quindi ha senso che ci siano posti in cui bere e svagarsi.» dissi. Come se l'avessi invocata, la nostra gondola oltrepassò una piccola pagoda dall'aria losca che in strambi caratteri diceva "Fumeria d'Oppio". Senza nascondere niente, come se lì tutti potessero drogarsi quanto volevano. «Okay, forse quello è meglio di no...» sbuffai una mezza risata.

Non trovai strano che fossi stato in grado di comprendere quei caratteri astrusi, nella Duat riuscivo addirittura a capire i geroglifici. Era come se, una volta arrivato nel regno dei morti, io fossi in grado di parlare la loro lingua. Un unico linguaggio universale per tutto l'Oltretomba.

«Oh, che ne pensate di un negozio? Forse non è una taverna, ma...» Lyle indicò una pagoda il cui ingresso, fatto di ripide scalette di pietra, era quasi affondato dall'acqua. Un'insegna imponente recitava: "Pagoda Incantata / L'Emporio della Volpe".

«Tanto vale fare un tentativo.» decise Ezra, remando in quella direzione, per poi ormeggiare la gondola accanto all'ingresso di pietra, legandola in modo che non venisse sospinta via dalla corrente. Scendemmo dalla barchetta uno alla volta. «Attenti, è tutto scivoloso.»

Le babbucce erano davvero poco indicate per questo tipo di Regno: si impregnarono d'acqua in un istante e diventarono spugnose. Diedi la mano a Lyle e tutti e tre ci recammo verso l'ingresso dell'Emporio. La porta era tempestata da lucidi coralli rossi. Lanciai un'occhiata verso Ezra, che annuì, prima di girare la maniglia ed entrare.

L'odore persistente dell'incenso mi scivolò nelle narici. Il pavimento era pieno di grossi cuscini di seta colorata - sempre su toni sanguigni - ma ricamati a filo d'oro. Dal soffitto di legno intarsiato pendevano decine di gabbiette per uccelli, benché la maggior parte fossero coperte da stoffe che ne nascondevano l'interno. 

Una parete del negozio era completamente dedicata alle maschere scarlatte: venivano esibite dietro a vetrine e sfoggiavano stili diversi. Quasi tutte avevano smorfie grottesche e facce demoniache, raramente volti femminili o animaleschi. Dal lato opposto, invece, la parete era dedicata ai libri. Mi avvicinai, terribilmente attratto: piccoli, grandi, antichi oppure nuovi. C'era talmente tanta cultura dall'aria così arcana che il mio cuore stava battendo ad una velocità stratosferica e già mi stavo chiedendo come avrei fatto a comprarli tutti. Proprio mentre alzavo la mano per toccare i dorsi di pelle lavorata, qualcuno si schiarì la voce.

Mi trattenni a stento dal sobbalzare, voltandomi con finta disinvoltura verso il bancone. Lì sul retro c'erano scaffalature stracolme di pozioni che gorgogliavano, barattoli pieni di occhi che si muovevano, bottiglie colorate, sacchetti e bambole e ninnoli di ogni tipo. Era quel genere di negozio pieno di così tanti input da stordirti.

«I signori desiderano?» si annunciò il negoziante. Che era, in realtà... Un bambino. La sorpresa mi zittì per un minuto fin troppo lungo. Feci qualche passo avanti, mentre Lyle si soffermava imbambolato alla vetrina delle maschere.

Il bambino in realtà non era visibile in faccia: indossava una maschera da volpe, rossa e bianca, da cui emergevano solo un paio di occhi neri. Piccolino, stava dietro al bancone probabilmente in piedi su uno sgabello o un rialzo. Non osai comunque sottovalutarlo. Quegli occhietti brillavano di furbizia. Appoggiai le mani sul bancone, mentre Ezra si metteva al mio fianco.

«Le vostre merci sono molto interessanti. Ma ancora di più lo sono le informazioni.» esordii, andando dritto al dunque. La volpe non si scompose.

«Siete appena arrivati, vero? Non vedo le vostre maschere. E nemmeno le vostre lanterne di carta.» fece presente e io non battei ciglio, come se sapessi perfettamente di che parlava. Possibile che le lanterne di carta fossero il mezzo con cui le persone di questo Regno contenevano le anime? «Quindi, mi chiedo proprio come intendete pagare...»

Aprii le labbra in un sorriso furbo. «Con altre informazioni, ovviamente

La volpe inclinò la testa di lato. «Ditemele. Starà a me giudicare se saranno valide.»

Strinsi le labbra. Io ed Ezra ci scambiammo uno sguardo fugace: se provava a fregarci? Dovevamo rischiare lo stesso. Non avevamo molta scelta, visto che non avevamo "soldi", ovvero anime. «Bene. Le nostre sono informazioni piuttosto intriganti... Mi aspetto che manteniate la parola data e che ci direte tutto quello che vogliamo sapere, dopo.» mi assicurai. La volpe non rispose, continuando a fissarci, in attesa. «Io e il mio amico qui non siamo morti. Siamo persone vive che hanno trovato un passaggio verso il Regno dell'Oltretomba e lo hanno attraversato.» raccontai.

Se la volpe era colpita, fu impossibile dirlo per colpa della maschera che indossava. In ogni caso, il bambino rimase zitto, rendendo evidente il fatto che si aspettava di sentire altro e lo pretendeva. Presi un profondo respiro. «So che l'Aldilà, o almeno il passaggio dal Regno dei vivi ad esso, è stato creato a causa del Redivivo. Una creatura maligna e potente capace di controllare il Caos.» Ancora silenzio. «E io sono suo figlio. E sono venuto qui per trovare l'arma che lo ucciderà.» Silenzio, di nuovo. «E per cercare la persona che amo.» Ezra si irrigidì al mio fianco.

«Come si chiama?» chiese il ragazzino.

Strinsi la mascella, combattuto, mentre Lyle, che ci aveva raggiunto, chiese: «Che importanza ha?»

«Tutto ha importanza.» rispose il negoziante, che aveva l'aspetto di un bambino ma parlava e pensava come qualcuno che invece possedeva un'acume allenato nei secoli.

Immaginai che mentirgli potesse essere controproducente e farci saltare l'accordo. Dopo tutto quello che avevo rivelato, non ne valeva la pena. Ma se dicendogli il nome di Yul, avessi messo inavvertitamente in pericolo l'uomo che amavo? Difficile dire se il negoziante fosse buono o cattivo... Sembrava semplicemente furbo.

«Questa informazione sarà costosa, però.» avvisai, come se potessi addirittura permettermi di trattare. «Si chiama Yul Pevensie.»

La volpe annuì, finalmente soddisfatta. «Che cosa volete sapere?»

«Dove siamo, prima di tutto.» iniziai.

«Questo Regno è volgarmente chiamato Red Mask. Per via della nostra usanza di coprirci la faccia con le maschere. A tutti importa del proprio anonimato. Dei propri segreti.» Il suo tono si fece ancora più criptico di quanto già non fosse. «Ma il nome ufficiale del posto è Feng Du. Un tempo si chiamava Diyu... Sapete, i luoghi cambiano nome spesso.» Fece una lunga pausa, piuttosto sentita. «Come le persone. Diventano qualcun altro quando meno te lo aspetti.» esclamò, guardandomi dritto negli occhi, con uno scintillio che mi parve allusivo. Come se parlasse di qualcosa che potevamo capire solo io e lui. Chissà cosa, poi.

«Stiamo cercando una maschera in particolare. La...» corrugai la fronte «maschera di sangue.» suonava più come una domanda, che un'affermazione. «Potrebbe essere legata all'arma con cui uccidere il Redivivo. Perciò, immagino che sia un oggetto piuttosto potente. Avete qualche idea?» tentennai, speranzoso.

«La maschera dell'Imperatore Rosso.» rispose la volpe. Il tono con cui lo aveva detto era quasi scontato, come se lo potessimo sapere anche noi. «Il Signore di Red Mask. Il nuovo governo è iniziato da poco, siete fortunati. Se volete avvicinarvi a lui, dovreste prontamente sfruttare la situazione.»

«Quale situazione?» chiese Ezra.

«La selezione per diventare il cavaliere dell'Imperatore. Inizia proprio oggi, alla Pagoda Reale. E'  molto facile da trovare, non passa inosservata.»

Mi drizzai sul posto: avevamo un ottimo tempismo, o un pessimo tempismo? «Facciamo ancora in tempo a partecipare?!»

«Se vi sbrigate...»

«Bene. Allora-»

«Aspettate. Le vostre informazioni erano buone. Prendete tre maschere... Offre la casa.» propose la volpe, indicando con un ditino la vetrina dove erano esposte.

«Oh sì! Ci speravo proprio!» si esaltò Lyle, scegliendo una maschera scarlatta tutta scolpita con fiori di ciliegio, che aveva puntato sin da quando era entrato. «Grazie!» cinguettò, mentre Ezra ne sceglieva una da demone con la bocca spalancata, tutta piena di zanne. Io, invece, presi una maschera da volpe rossa, bianca e oro, col muso sottile che lasciava scoperte le labbra e nappe di seta a cui erano legati dei sonagli.

Ci preparammo a lasciare il negozio, andando piuttosto di fretta. «Ehi, biondo.» chiamò il negoziante. Mi voltai, alzando un sopracciglio. «Presta attenzione ai dettagli.»

«In che senso?» chiesi, corrucciando la fronte. Ma la volpe si era già rintanata nel retrobottega e non ne uscì più.



La volpe non mentiva: la Pagoda Reale risaltava all'occhio. Era gigantesca, monumentale, eretta su così tanti piani che poteva passare tranquillamente per una torre fortificata. Era talmente mastodontica che la punta della pagoda spariva oltre le nuvole tinte d'oro e arancio.

«Che posto! In confronto il Giardino era una bettola.» sussurrò Lyle, con la testa piegata per guardare verso l'alto, mentre Ezra remava strategicamente per immettere la gondola in un sistema di carrucole idrauliche - simile al funzionamento di un mulino - che trascinavano la barca verso l'alto, a superare un piano dopo l'altro. Le pareti esterne della pagoda e le balconate erano laccate di scarlatto, pieni di giardinetti pensili con alberi di ciliegio e aceri rossi.

Molte altre imbarcazioni si susseguivano dietro e davanti a noi, in una profusione di cittadini diretti alla Pagoda Reale. Raggiungemmo l'ultimo piano e la nostra gondola fu ormeggiata in seconda fila, tutt'intorno ad un affollato piazzale circolare. Saltammo di barca in barca per raggiungere il pavimento di granito vermiglio, immergendoci nella ressa di gente mascherata. Per fortuna lo eravamo anche noi.

La maggior parte di loro stringeva bastoni da cui pendevano lanterne in carta di riso. Dall'interno, intravedevo il bagliore luminoso delle anime. «Altro che posticino sobrio...» mormorò Lyle, con un tono pieno di meraviglia. Mi guardai intorno anche io.

Era chiaramente una sala del trono. Oltre al piazzale, gigante abbastanza da permettere ad un numero spropositato di gente di stazionare, c'era una gradinata alta e ripida che sopraelevava un trono. Esso, circoscritto da imponenti colonne tempestate di rubini e sorvegliato da guardie-samurai, era scolpito nella madreperla luccicante e decorato da dragoni d'avorio con le zanne spalancate. Lo schienale del trono era così alto che la spalliera stessa sorreggeva candelabri a bracci, tutti accesi, a gettare luce sull'uomo che era lì seduto.

I miei occhi si fermarono insistentemente su di lui.

Il fisico scolpito era coperto da un kimono di seta color vinaccia pieno di dettagli floreali, drappeggiato sul torace in una vertiginosa scollatura a V che ostentava il suo petto villoso. Stringeva con fermezza i braccioli del trono, ma la posa era un po' indolente, con le gambe aperte e il capo che ciondolava di lato, come se si beffasse di tutti i presenti.

Non potevo guardarlo in faccia, però. Aveva il volto completamente coperto da una maschera, ben più grande delle dimensioni di un viso umano - abbastanza da nascondergli i capelli e il collo - scolpita in un ghigno demoniaco e con corna lunghissime. La maschera stessa era di un rosso luminoso che pulsava, come un cuore palpitante.

«Bentrovati, miei sudditi.» esordì, con una voce talmente forte che riempì ogni centimetro della sala del trono, con solennità. Ma non era proprio una voce: più un ringhio animalesco e gutturale. La maschera, chiaramente magica, distorceva il suo timbro vocale rendendone irriconoscibile il suono. «Avete accorso in massa alla mia chiamata

Le persone, avvolti da mantelli, kimono, cheongsam e changshan, tutti abiti di seta sui toni rossi, si accalcavano sotto alle gradinate con venerazione, come se l'uomo lì seduto fosse un Dio. «E io sono fiero del mio popolo.» Un'onda di acclamazioni si sollevò dal basso, mentre le persone sollevavano le mani, con lo stesso trasporto con cui si alzano le dita verso il cielo nella speranza di toccare le stelle.

«E anche se il mio dominio è iniziato da poco, ho ancora bisogno di ognuno dei membri di Red Mask. Di voi, la mia gente fedele.» pronunciò, mentre tutti pendevano dalle sue labbra. Io, Lyle ed Ezra scivolammo in mezzo alla calca per avvicinarci e guardare meglio.

«Le mie guardie sono forti e valorose.» Accennò ai samurai che circondavano il trono. «Ma, oltre alla mia devota consigliera...» Una donna emerse da dietro ad una colonna, alta e snella, con una maschera demoniaca e folti capelli castani. Quando i miei occhi si soffermarono su di lei, la mia mano - quella che nascondeva i tre frammenti di spada - iniziò a bruciare.

«Ahia, ma che diamine...» mugolai, stringendo il pugno. Mi beccai qualche sguardo storto fra la folla.

«Che c'è?» sussurrò Ezra.

«Niente... E' la mano. Ha iniziato a farmi male all'improvviso.» Scossi il capo, mentre lui corrugava la fronte, malcelando la preoccupazione.

«... Ho necessario bisogno di un braccio destro che faccia parte del popolo. Il mio cavaliere.» continuò l'Imperatore Rosso. «E l'unico modo per scegliere, come miei pari, è sottoporvi alla stessa prova con cui io sono diventato Imperatore.» Un persistente brusio si diffuse fra i presenti. «Affrontare il labirinto del Feng Du.»

Poi, si sollevò la maschera.

«No. No no no no...» fu Lyle ad ansimare quelle sillabe strozzate, mentre indietreggiava di riflesso, tirandosi il mantello fin sopra alla maschera. Con paura. Con vergogna. E orrore.

«Non è possibile...» sussurrò Ezra.

I suoni circostanti divennero lontani, ovattati. Le mie orecchie fischiarono, o almeno fu quella l'impressione, come quando ti tirano uno schiaffo e il colpo rimbomba nei canali uditivi. Il mondo si rimpicciolì, piccolo come il nocciolo sputato di una ciliegia. E restammo solo io e l'uomo sul trono. 

Lo guardai dritto in faccia, mentre l'odio nudo e crudo mi si agitava in fondo alle viscere e scorticava ogni sentimento positivo dentro di me, sostituendolo con una collera selvaggia che mi cantava nelle orecchie "lo ucciderò, lo ucciderò, lo ucciderò".

Alaister Noir sorrise dall'alto del suo trono imponente, affilando gli occhi gialli con la pupilla sottile, come quella di un coccodrillo. «Credete di esserne capaci?» domandò lui, con la voce che conoscevo bene, la voce dell'uomo che mi aveva cresciuto, viziato, allenato e tradito. Parlava della sfida nel labirinto, ma dal suo tono sembrava che mi chiedesse se sarei stato capace di ucciderlo.

Oh sì. L'avrei ucciso. Ma lentamente. In tutta calma. Così che potesse provare almeno una minima parte del dolore che avevo sentito io sin da quando mia madre era morta. No, ucciderlo sarebbe stato un regalo. Nemmeno trucidarlo e torturarlo sembrava abbastanza sufficiente come vendetta.

«C-com'è possibile che sia qui? Quando sono morto, lui era ancora fra i vivi... Insomma...» balbettò Lyle, con un tono pieno d'ansia, sempre più angosciato. Alaister avrebbe sofferto anche per lui. Lyle era morto per colpa sua, non volevo neanche immaginare quello che aveva dovuto passare fra le sue mani. In fondo, il Re degli Assassini aveva comprato la sua verginità. La sola idea che quel bastardo potesse mettere le mani addosso ad un mio amico mi corrodeva l'anima dalla furia.

«Chissà. Magari qualcuno l'ha ammazzato di nuovo e ci ha fatto un favore.» ringhiai, pur a bassa voce per non attirare l'attenzione.

«M-ma... I morti possono morire due volte? E tornare di nuovo qui??» Scosse la testa, liquidando quella domanda. «Senti, Helias, forse sarebbe meglio lasciar perdere...» continuò: potevo vedere la paura brillare attraverso le fessure della sua maschera.

«Non possiamo lasciar perdere. Dobbiamo prendere il frammento della spada.» disse Ezra, perentorio.

«Infatti. Non ho affatto intenzione di lasciar perdere. Ma non si tratta più della spada. E' diventata una questione personale.» sibilai, la voce bassa ma assolutamente velenosa. Alaister era proprio lì, in cima alla gradinata, così vicino eppure inarrivabile. Avrei potuto salire tutti quei gradini, ammazzare ognuna di quelle guardie e farlo fuori. Nelle mie fantasie la scena si stava ripetendo in continuazione.

Ma nella realtà non potevo farlo. Quelle guardie sembravano brutali. E Alaister era pur sempre il Re degli Assassini, il mio mentore. Ucciderlo sarebbe stata la prova più difficile di tutte. Se ci fossi riuscito, un'intera popolazione che lo venerava mi avrebbe dato la caccia. No, dovevo fare le cose secondo le regole.

«Non farti ottenebrare dalla vendetta.» mi bisbigliò Ezra, stringendomi il braccio. «Potrebbe essere pericoloso.»

Non dissi niente. Seguii lo sciamare della folla, che si era spostata alle estremità della sala circolare, sgomberandone il centro, dove si era aperta una tonda voragine simile alla bocca di un pozzo.

«Che gli aspiranti cavalieri offrano il loro sangue!» disse Alaister, ora che si era tolto la maschera la sua voce era completamente umana, benché continuasse a darmi i brividi. Uno alla volta, donne e uomini mascherati si fecero avanti: si tagliarono i palmi e lasciarono cadere qualche goccia di sangue dentro al buco nel pavimento di granito. Appena il sangue spariva nel buio, i loro nomi comparivano, incisi sulle pareti della sala del trono. Anche io mi feci avanti, sebbene Lyle mi trattenesse per il polso.

«Non farlo...» mi supplicò. Gli rivolsi solo uno sguardo triste, prima di liberarmi dalla sua presa. Quindi mi tagliai la mano con un coltello e lasciai che il mio sangue cadesse nel vuoto.

"Helias Greagoir" comparve sul muro. Adesso non si tornava più indietro.



Scoprii molto presto che la Pagoda Reale era così grande perché il labirinto era nascosto proprio sotto di essa. Ogni piano della Pagoda nascondeva un livello di labirinto. Lo scopo della sfida era raggiungere per primi la sala del trono, emergendo proprio dalla fossa in cui ogni gareggiante aveva versato gocce di sangue.

I contendenti si erano tutti accalcati intorno alla base della pagoda, vicino ai numerosi ingressi. La nebbia si era alzata e avvolgeva le barche, mentre i canali continuavano a luccicare di una plumbea luce arancio. A turno, gli sfidanti lasciavano le loro imbarcazioni e salivano sulla banchina, ma nessuno era ancora entrato dagli ingressi spalancati e oscuri. Essendo una sfida a tempo, saremmo entrati tutti insieme, ognuno da una porta diversa. Ognuno con le stesse possibilità.

«Ricapitoliamo velocemente. Quante armi hai?» iniziò Ezra, che sapeva essere molto pragmatico, specialmente dopo tutte le avventure che avevamo affrontato insieme.

«Ho ancora i tre coltelli da frutta, il batticarne e le forbicine.» Alzai le spalle. Mi sarebbero bastati, anche se lo straeliano stava storcendo le labbra in una smorfia, non reputandoli abbastanza. Ricordava tutte le volte in cui mi ero trovato disarmato e avevo dovuto cavarmela con quello che la situazione offriva: nel castello del vampiro, per esempio. Era stato proprio Ezra a dirmi di creare un paletto.

«E i poteri?»

«Mi resta ancora un po' di potere del fuoco e del ghiaccio. E ho ancora tutti i cristalli della supervelocità.» Mi indicai il braccialetto, pieno di perline luminose. «Non li ho mai usati.» Ed ero stato fortunato: in questo caso, si rivelavano perfetti. «Poi, mi resta un ultimo anello speciale.» Gli altri due li avevo usati nella Duat.

«Usa quel potere solo se sei davvero disperato.» disse, guardando l'ingresso oscuro del labirinto con un'espressione contrita.

«Non possiamo aiutarlo in nessun modo?» chiese Lyle, ansioso. L'albino si fermò a pensarci.

«A dire la verità, se mi concentro, posso estendere il nostro legame mentale e farti sentire la voce di altre persone.» mi disse Ezra, rispondendo anche alla domanda del bruno. «Ricordi quando ho cercato di avvisarti di non andare ad Ender? Quando hai sentito la voce di mia sorella?»

Il ricordo evocato ritornò all'improvviso: era quando ancora mi chiedevo se salvare gli schiavi di Ender fosse la cosa giusta da fare. Non sapevo fosse una trappola, all'epoca. Ed Ezra aveva tentato di mettermi in guardia. Ma adesso che ci pensavo... «Tu come facevi a sapere che era una trappola?» Se guardava il mondo attraverso i miei occhi, allora avrebbe dovuto esserne anche lui all'oscuro. Come me.

Il suo volto si irrigidì, ma fu solo per un singolo istante. Un attimo che credetti di aver immaginato, vista la disinvoltura con cui mi rispose dopo: «Il vecchio saggio aveva avuto un'altra delle sue visioni.» Non avevo ragione per mettere in dubbio le sue parole, perciò alzai le spalle.

«Comunque, mi ricordo.» Non aveva fatto in tempo a dirmi che era una trappola: qualcosa aveva interrotto la nostra comunicazione. Un attacco esterno del Re, probabilmente.

«Be', posso farlo ancora. Farò in modo che tu possa sentire la mia voce e quella di Lyle. Ti daremo tutto l'aiuto possibile. Non fare pazzie.» disse, con un tono duro e severo, gli occhi viola che lampeggiavano come chi si aspetta le cose peggiori.

«Per favore, stai attento.» Lyle mi strinse in un abbraccio, che io ricambiai senza pensarci due volte, inalando il suo profumo, che stava iniziando a diventare sempre più familiare ormai. Ancora era difficile credere al fatto che l'avessi ritrovato e che fossimo amici. Con un sospiro, sciolsi l'intreccio di braccia e salii sul pontile. Mi sistemai la maschera da volpe sul viso.

«Non vi preoccupate. Vincerò.» dissi, prendendo un profondo respiro. Soltanto un labirinto mi separava dal consumare la mia vendetta. Soltanto un labirinto, e poi il peso oscuro che gravava da anni sulla mia anima si sarebbe un po' alleggerito. «Lo so che vincerò.» Non c'erano altri scenari ammissibili.

Avrei vinto. Perché dovevo vincere.



Oltre l'ingresso mi aspettava un angusto cunicolo di pietra. Era buio ed umido, silenzioso e spettrale, talmente stretto che se allargavo le braccia potevo toccare le pareti opposte con le mani. Fu così che mi orientai: toccando e camminando alla cieca. Finché, in fondo al tunnel, notai un'insegna illuminata da fiaccole rosse.

"Il piano delle sbarre sospese"

Il corridoio si fermò e, più in basso di mezzo metro, si spalancò una sala immensa. Non c'era il pavimento. Al suo posto, passerelle di metallo si intersecavano formando un percorso. Erano talmente sottili che un piede non ci stava in larghezza e, se si cadeva di sotto, punte di metallo affilato aspettavano di infilzarti e renderti un colabrodo.

Le pareti circostanti della sala erano coperte di porte: tunnel da cui uscirono decine e decine di contendenti. Alcuni, correndo, non si accorsero del dislivello fra il tunnel e la sala e caddero. Atterrarono sulle sbarre sottili, persero l'equilibrio e restarono infilzati in schizzi di sangue. I loro cadaveri, dopo qualche minuto, si trasformarono in anime che restarono ad illuminare il fondo.

Presi un profondo respiro e superai la zona sicura calandomi verso il basso con attenzione. Saggiai una sbarra con la punta del piede. Non era un piano d'appoggio stabile e le babbucce peggioravano la situazione. Il buio, inoltre, mi faceva a malapena vedere il sentiero. Sentii, più avanti a me, qualcuno urlare e precipitare di sotto.

Non mi feci intimorire. La vertigine non era mai stata un problema: avevo imparato a camminare sui cornicioni, a restare appeso per ore ai palazzi. Alaister era stato severissimo in ogni allenamento. E adesso, proprio grazie ai suoi insegnamenti, avrei vinto al suo gioco e mi sarei preso la sua testa.

Tesi le braccia ai lati del corpo per equilibrarne il peso e proseguii un centimetro dopo l'altro, senza fretta. Non avrei fatto quel percorso velocemente solo perché era una gara a tempo: il trucco per superare il piano era farlo con calma. Un passo dopo l'altro, sempre più vicino alla porta d'uscita. Le sbarre cigolavano in maniera sinistra, eppure non cedettero quando raggiunsi con successo il grande arco di pietra del tunnel che portava al livello successivo.

Il resto della strada la feci correndo, per recuperare il tempo sprecato. I corridoi avvolti dalle tenebre si diramavano in sentieri diversi e io non avevo alcun modo per capire quale fosse la strada giusta. Forse non esisteva neppure una direzione corretta ed una sbagliata. Mi limitavo a seguire l'istinto. Dopo qualche svolta e altri gradini, comparve la seconda insegna luminosa.

"Il piano della montagna di coltelli"

Il nome non mi piaceva affatto. Oltrepassai la soglia del cunicolo stretto ed esaminai la seconda stanza: stavolta il pavimento c'era. Era il soffitto ad essere altissimo. Il passaggio verso il tunnel successivo era situato a decine di metri in alto e l'unico modo per raggiungerlo era arrampicarsi sulla parete fatta completamente di lame affilate. Coltelli seghettati erano i punti d'appoggio sulla quale arrampicarsi. Se solo avessi ancora avuto dalla mia parte il teletrasporto e il volo!

«Fantastico, davvero...» sussurrai, stracciando gli orli della tunica che indossavo per avvolgere la stoffa intorno ai palmi e alle dita, lasciando liberi solo i pollici. Almeno così avrei avuto un minimo di protezione. Poi, mi issai sui primi coltelli. La pressione del mio peso sulle lame così sottili rendevano inevitabile tagliarsi, ma le babbucce e le fasce facevano il loro lavoro. 

Il problema fu quando arrivai vicino all'uscita: le lame iniziarono a muoversi, scattando avanti ed indietro come il movimento di una sega. Ad uno sfidante proprio accanto a me era saltato un dito: di riflesso, il tizio era caduto e, atterrando metri più in basso, si era spaccato la testa. Qualche secondo dopo, era un globo di luce senza vita. Storsi le labbra in una smorfia.

Vai avanti, puoi farcela!

Fu Lyle a parlarmi. Il suono della sua voce nella mia testa - al posto di quella di Ezra - fu così sorprendente che per poco non caddi anche io. Ma sorrisi e continuai la salita, stando attento a non farmi saltare le dita. Era una fortuna che la costola che mi ero rotto nell'Arena fosse ormai guarita, altrimenti l'arrampicata sarebbe stata ancora più complessa.

Le fasciature rudimentali intorno alle dita iniziarono a sanguinare - mi ero tagliato più volte - rendendo scivolosa la presa, ma non osai mollare, nemmeno quando sentii la babbuccia stracciarsi e la pianta del piede destro venir pugnalata. Raggiunsi il tunnel d'uscita con la fronte imperlata di sudore, issandomi al suo interno fino a restare seduto, con la schiena contro al muro di pietra a riprendere fiato e le mani e i piedi martoriati che gocciolavano sangue.

Ma non avevo tempo per restare a crogiolarmi. Mi rimisi subito in piedi, correndo verso il piano successivo. Una svolta dopo l'altra, mi resi conto che quando vedevo delle scale, allora quella era la strada giusta. Infatti, poco dopo che comparivano i gradini, proprio come ora, si mostrava un'insegna circondata da fiaccole rosse.

"Il piano della fossa di fuoco" Un altro nome rassicurante.

Il pavimento della sala era cosparso di braci ardenti, per così tanti metri che anche chi avesse avuto scarpe spesse si sarebbe trovato con le suole sciolte dalle fiamme e i piedi bruciati, molto prima di arrivare oltre la soglia della salvezza. Io avevo babbucce di stoffa stracciate e insanguinate. Nonostante ciò, superai con facilità l'ostacolo.

Mi bastò ricoprire le scarpe di ghiaccio e girare la perlina della supervelocità: superai come un fulmine i carboni fiammeggianti senza bruciarmi. Quando raggiunsi l'altro lato, il ghiaccio intorno alle mie calzature si era sciolto e sentivo semplicemente la stoffa bagnata contro la pelle.

Finalmente avevo capito lo scopo della prova. Il motivo dell'esistenza di quel labirinto. Era una questione di resistenza, più che di velocità. Fino a quanto sei disposto a soffrire per vincere? Era una prova di determinazione e di sopportazione. Ecco perché avrei trionfato sugli altri. Nessuno aveva la minima idea di quanto fossi determinato ad arrivare in fondo. Ad ogni ostacolo, immaginavo la morte di Alaister e la goduria che avrei provato a sgozzarlo. Ad ogni ostacolo, ricordavo cosa avevo passato per colpa sua.

Con quelle immagini come un chiodo fisso nella mente, superai abilmente "Il piano del martello", dove degli enormi tronchi cadevano dal soffitto per spiaccicare tutti coloro che passavano, mentre io facevo slalom con la supervelocità, come una saetta in mezzo al cielo. Attraversai con successo anche "Il piano dei calderoni", dove vasche giganti schizzavano da tutte le parti getti di olio bollente. Sprecai tutto il potere che mi permetteva di utilizzare il ghiaccio: dovetti creare strati su strati di scudi gelati che partivano da entrambe le mani e che mi proteggevano da ogni schizzo bruciante.

Raggiunsi nuovamente il tunnel, salvo ma con un altro braccialetto di perline grigio spento intorno al polso, che si frantumarono dopo un po'. Intanto, il numero dei gareggianti si era notevolmente snellito, ma ne rimanevano ancora molti. Sentivo il rumore dei loro passi rimbombare nei cunicoli circostanti, perciò corsi, non intenzionato a farmi superare da nessuno.

"Il piano degli specchi"

Oltrepassai l'insegna fiammeggiante. Ad aspettarmi non c'era una sala piena di pericoli, solo un corridoio più stretto, le cui pareti erano fatte proprio di specchi. Vedevo la mia immagine catturata da un sacco di angolazioni. Un tempo mi sarebbe piaciuto avere un posto simile a Skys Hollow, solo per potermi rimirare con i miei completi preferiti e vederli calzare perfettamente su ogni centimetro del mio corpo. Peccato che la situazione fosse leggermente diversa.

Rallentai il passo, camminando con cautela per via della mancanza apparente di insidie. I miei riflessi mi guardavano, mi sorridevano, ogni tanto ammiccavano, ogni tanto facevano smorfie. Uno batté dentro allo specchio alla mia destra, con un rumore di vetro che mi fece quasi sobbalzare. «Guardati, fin dove sei arrivato...» esordì, proprio con la mia voce. «Deve essere bello essere vivi a discapito degli altri. Ogni giorno cammini sulla pila di cadaveri che hai creato tu.»

Rivolsi uno sguardo torvo al mio gemello. «Non ci credi?» Rise. «Guarda tu stesso.» Tutto il corridoio di specchi mostrò l'immagine della stanza lussuosa di un bordello. Una donna dai capelli d'oro e un vestito rosa cipria, che veniva ripetutamente pugnalata. Sussultava ad ogni coltellata, gocciolando sangue dalle labbra, finché non cedette cadendo morta sul tappeto.

«Mamma...» un singulto strozzato mi chiuse la gola, vedendo che il suo omicida si muoveva verso l'armadio, dove un me bambino era nascosto.

«Ed è morta perché lui voleva te. E' tutta colpa tua.» sghignazzò il mio riflesso. «E' sempre colpa tua. Quante persone hai ucciso a sangue freddo... Sapevi i loro nomi? Sapevi che avevano una famiglia? Dei figli?» Gli specchi si coprirono di altre immagini. Altre uccisioni. Ogni assassinio che avevo fatto a Skys Hollow: io che attiravo nel buio un nobile e gli tagliavo la gola. Io che saltavo da un palazzo e atterravo sulla schiena di un uomo spezzandogli il collo nell'impatto. Io che pugnalavo un altro nello stomaco, un altro dritto al cuore, un altro in un occhio.

Non mi ero mai visto dall'esterno mentre uccidevo, ovviamente. «Sì, quell'espressione di distaccata disumanità e un pizzico di soddisfazione... Pensavi di fare la cosa giusta, eh? Non ti fai neanche un po' di disgusto?»

Helias, non starlo a sentire! E' solo un trucco, vai avanti, non ti fermare!

Ezra mi riscosse dalla visione ripetuta dei miei omicidi. Spiaccicai lo sguardo sul pavimento ed iniziai a correre, col cuore che batteva violento contro la cassa toracica. «Pensa un po' come dev'essere stato uccidere Joseph Martin...» L'uomo su cui Alaister mi aveva ingannato. Quello che simpatizzava coi ribelli e che mi era stato spacciato per uno schiavista. «Hai idea di quanti schiavi siano stati catturati, torturati e uccisi per colpa tua?» Ebbi un tuffo al cuore. Era vero, per colpa mia documenti su case sicure erano finite nelle mani del Re. «Quante persone innocenti, quanti bambini...» Mi sentii mancare.

Non lo ascoltare! Tappati le orecchie!

Col cuore pesante, mi premetti i palmi delle mani sulle orecchie e continuai a correre. Eppure, nella strada di fronte a me, su tutti gli specchi del corridoio, iniziò a comparire l'immagine di un patibolo. «No...» sussurrai. «Non questo.»

«Questa invece è la mia parte preferita.» ridacchiò uno dei miei doppioni. Le mie gambe si bloccarono, restando immobile a guardare me e Yul schiena contro schiena, a combattere contro un cerchio di guardie armate. Così tante che sembravano un esercito e noi eravamo due contro il mondo.

«No no no...» ansimai, mentre Yul si parava davanti a me proprio quando un soldato stava per trapassarmi. La spada gli infilzò il petto e lui cadde a terra. Sentii le lacrime piovere incontrollate sulla mia faccia, mentre guardavo l'uomo che amavo morire e il me stesso di un tempo lo teneva fra le braccia. E lo pregava disperatamente di restare con lui, piangendo.

«Anche lui è morto per colpa tua. E' sempre colpa tua. Ovunque vai la gente muore.» sibilò la mia voce. «Assassino.»

Non è colpa tua. Le persone che ti amano hanno scelto di sacrificarsi per te. Non è colpa di nessuno.

Continuò Ezra, con un tono fermo ma calmo, cercando di convincermi. Senza nemmeno essermene reso conto ero a terra, in ginocchio, senza fiato.

Ti prego, sii grato del nostro sacrificio e vai avanti.

Lyle. Sentire la sua voce, la voce di qualcuno che era morto per colpa delle macchinazioni di Alaister, mi fece ricordare cos'era importante. Vincere. Uccidere l'Imperatore. Ammazzare Alaister Noir.

«Morte, sempre morte, non c'è altro capace di farti andare avanti...» sghignazzò un riflesso.

«Ti sbagli!» Mi rimisi in piedi. Drizzai le spalle, asciugai il viso dalle lacrime. «Non è solo vendetta. Lo faccio per amore. Per amore di Yul. E vaffanculo se pensi di potermi fermare! Conosco le mie colpe!» ringhiai, riprendendo a correre, mentre gli specchi iniziavano ad esplodermi intorno e schegge di vetro mi ferivano. Mi coprii il viso con le braccia e non mi fermai finché non raggiunsi il tunnel successivo, al sicuro da quella fottuta trappola psicologica.

«Dannazione. Quanti altri piani ci sono?» sospirai, parlando da solo, stanco e pieno di tagli. Il buio tornò ad infittirsi, perciò proseguii a tentoni lungo il corridoio, senza fermarmi, una curva dopo l'altra.

Superai "Il piano del respiro", una stanza ricolma di fumo grigio e asfissiante, facendo tutto il percorso strisciando di pancia sul pavimento, con un lembo della maglia tirato sulla faccia. Un bastardo con una maschera da demone-corvo aveva anche cercato di strangolarmi, probabilmente tentando di liberarsi della concorrenza in quel modo. Gli avevo rifilato una pedata in pieno stomaco, spedendolo lontano da me, e poi l'avevo perso in mezzo al fumo.

Raggiunto il ciglio de "Il piano rosso", mi fermai.

Oltre la porta ad arco non c'era il pavimento. Solo una piscina gigantesca piena di sangue e, molto più lontano, il corridoio successivo. Bisognava nuotare per metri in quella pozza se volevo arrivarci. Solo che quella non era acqua. E io non sapevo nemmeno nuotare. «Oh no...» Cosa potevo fare? Dubitavo che usare la supervelocità mi avrebbe consentito di camminare sul sangue senza affondare.

Hai già nuotato in passato. Devi farlo di nuovo.

Mi ricordò Ezra, anche se io scuotevo la testa con scetticismo. Avevo nuotato nelle fogne, quando stavo per morire affogato, anche se in quel caso era stata la corrente a trascinarmi. Avevo anche nuotato nel lago del Serpente del Caos, ma in quel caso mi stavo lasciando affondare, piuttosto. Erano tutte situazioni disperate in cui non avevo pensato, in cui il mio corpo si era mosso da solo.

«Non posso...» Ma se volevo andare avanti e vincere, non avevo scelta. Mi sedetti sul bordo di pietra del tunnel, affondando prima un piede, poi l'altro. Calai con cautela le gambe e presi un profondo respiro, prima di tuffarmi.

Ovviamente, non si toccava. Affondai sempre più verso il basso, agitando le braccia senza un costrutto. Il sangue era caldo e denso, non si galleggiava. Era come dimenarsi in una melma che puzzava di metallo e che mi entrava negli occhi, nel naso, nella bocca. Il senso di vomito fu così feroce che mi arrotolai su me stesso per non rimettere, mentre continuavo a cadere a picco. La superficie si allontanava sempre di più. Il respiro iniziava a mancarmi.

Non mollare adesso!

Chi aveva parlato, Lyle o Ezra? Non lo capivo. Era tutto confuso e io ero perso. Perso in quel mare di sangue che mi circondava da tutte le parti, senza possibilità di risalita. Con il fiato corto e la nausea crescente. In trappola.

Ricorda cos'è importante. Ricorda che là fuori c'è Alaister, che aspetta solo di vederti perdere. Muovi le gambe e risali! Devi farlo per noi. Per te. Per Yul.

Lyle. Era Lyle, sì, che mi parlava proprio ad un passo dall'affogare. "Per Yul". Non potevo arrendermi adesso. Non potevo semplicemente farlo.

Mi agitai, sbattendo furiosamente le gambe per risalire verso l'alto, con bracciate violente e disperate, nel tentativo di galleggiare in un liquido che non era fatto per il nuoto. Non vedevo niente. Non sapevo dov'era la superficie. Era solo tutto rosso e mi mancava il fiato. Eppure, una manata dopo l'altra, riemersi. Spalancai le labbra e ripresi fiato, inalando a pieni polmoni, senza potermi ancora rilassare. Utilizzai la supervelocità per nuotare rapidamente dall'altro lato della sala, sollevando spruzzi e schizzi scarlatti come un pedalò impazzito.

Fu liberatorio raggiungere il tunnel di pietra. Mi pulii le mani contro al muro e poi mi tolsi via il sangue dalla faccia. Liquido scarlatto grondava dalla punta dei miei capelli a quella delle scarpe. Sperai che le mie abilità di guarigione mi salvassero da qualsiasi malattia avrei potuto prendermi, nuotando in tutti quei fluidi umani. Be', era decisamente l'ultimo dei miei problemi.

Corsi al prossimo livello, adesso più che mai intenzionato a vincere e ancora incredulo di aver effettivamente imparato a nuotare. "Il piano dei vermi" era proprio ciò che diceva il nome. Una stanza piena di insetti schifosi che, attratti dall'odore del sangue, mi saltavano addosso sperando di infilarsi nelle mie ferite. Li avevo abbrustoliti tutti menando palle di fuoco a destra e manca, anche se qualcuno era riuscito a sfuggire, infilandosi fra i miei capelli e nei vestiti. Anche superando il piano avevo la disgustosa sensazione di sentirmeli strisciare addosso.

"Ultimo piano: le tenebre"

Il mio cuore fece una capriola. Un piano ed ero fuori. Un'ultima prova e poi... Poi avrei vinto, mi sarei avvicinato ad Alaister e lo avrei ucciso.

Quando superai la porta ad arco, invece dell'oscurità ci fu la luce ad aspettarmi. Fiaccole rosse brillavano intorno al perimetro della stanza vuota, emettendo un leggero crepitio in un silenzio che rimbombava per quanto fosse profondo. Mi guardai intorno, alla ricerca di ostacoli, ma la sala di pietra era sgombra. Perciò, dopo qualche reticenza, camminai verso l'uscita. Fu allora che rimasi bloccato. Le mie caviglie non si muovevano.

Abbassai gli occhi sui miei piedi e notai che la mia ombra mi teneva ferme le gambe. «Ma che diavolo...?» Una sagoma fatta di tenebre si sollevò dal pavimento e la mia ombra mi fronteggiò, mettendosi fra me e l'uscita. Cacciai fuori il coltello dall'orlo dei pantaloni e la mia ombra si ritrovò armata. In men che non si dica, iniziò ad attaccarmi con le stesse mosse d'attacco che conoscevo io.

Schivai da un lato, colpii, lei schivò da un lato e poi emulò il mio colpo. Era la mia ombra. Conosceva ogni mia mossa e contromossa. Si muoveva come mi muovevo io. «Levati!» sibilai, mandando un fendente con l'intenzione di affettare in due quella sagoma scura. Deviò il mio attacco in maniera formidabile, sfruttando il mio braccio teso per attirarmi in avanti e farmi cadere di faccia a terra. Rotolai sulla schiena, schivando una pedata, e mi rialzai con un balzo. «Non mi lascerò battere da una banale imitazione di me stesso!»

Sprecai le ultime perline che avevo per lanciare palle di fuoco, nella convinzione che potessi scacciare con la luce quella ombra. Invece, più chiarore creavo, più la sagoma diventava gigantesca, sovrastandomi. Fu così che compresi. Il suggerimento era presente nel nome stesso del piano. "Il piano delle tenebre". Le tenebre...

Corsi alle fiaccole che circondavano la stanza. Le buttai a terra, una dopo l'altra, pestando le fiamme fino a spegnerle, mentre la mia ombra mi seguiva e mi braccava cercando di fermarmi. Invano. La stanza piombò nel buio più totale e tutto divenne silenzioso. Nom c'erano più ombre.

Cercai l'uscita, muovendo le braccia in avanti sulle pareti fino a trovare un punto vuoto. Mi infilai nella porta ad arco e corsi, uno svincolo dopo l'altro, fino a raggiungere l'ultima rampa di scale.

Sugli ultimi gradini c'era un ultimo sfidante. Il bastardo con la maschera da demone-corvo, che evidentemente si era fatto strada ammazzando molti altri gareggianti.

Avevo superato dieci piani. Dieci ostacoli. Il peso della mia coscienza mi aveva stuzzicato fino a farmi vacillare ed ero quasi annegato di nuovo. Non mi sarei fatto battere da nessuno. Gli saltai addosso, circondandogli il collo con le gambe in una presa a ganascia. Il mio peso lo sbilanciò all'indietro, facendolo crollare di schiena a terra. Rotolammo lungo le scale, ma non lo mollai.

«Arrenditi.» ringhiai, stringendo le cosce intorno alla sua gola fino a vedere le vene gonfiarsi. «O ti uccido.» Si divincolò, afferrandomi le gambe e sbattendo la schiena a terra nel tentativo di liberarsi. Rinvigorii la presa: a quel punto, un essere umano qualsiasi avrebbe sentito la mancanza d'aria ed iniziato a soffocare. Ma quel bastardo non demordeva. Inutile sperare che si arrendesse.

Tenendolo ancora intrappolato, estrassi dai pantaloni il coltello e gli tagliai la gola. Solo dopo qualche minuto, quando fui sicuro che il suo corpo si trasformasse in un globo di luce fluttuante, lo lasciai. Poi alzai gli occhi sulle scale. Dall'alto arrivava la luce scarlatta del tramonto. Ferito, inzuppato di sangue fino all'osso e con i vermi fra i capelli, salii i gradini a due a due. Finché la mia figura non apparve dall'abisso proprio al centro della sala del trono, sotto agli occhi dei sudditi, che aspettavano la risalita del vincitore.

Sentii qualcuno imprecare, realizzando la sconfitta del proprio beniamino. Invece, Lyle stava esultando, mentre Ezra mi fissava a braccia incrociate e con l'ombra di un sorriso che tirava agli angoli delle labbra. Ma io non guardavo loro. Guardavo il mio nome, inciso nel muro di granito, che brillava di luce propria. Accanto ai nomi dei contendenti erano stati incisi quelli di coloro che avevano scommesso. Né Ezra né Lyle avevano puntato su di me per non attirare l'attenzione, perciò mi aspettavo nessuno l'avesse fatto.

Invece, un nome accanto al mio campeggiava come una promessa di morte. L'Imperatore Rosso. Alaister aveva scommesso su di me.






*NDA - Un angolo da sorprendenti aggiornamenti veloci*

Hola!
Ho scritto questo capitolo alla velocità della luce, 1 perché molto ispirata (vi parlerò delle mie ispirazioni su questo regno dell'oltretomba e anche gli altri in un apposito extra, fra qualche capitolo), e direi che è chiaro a tutti che questo è il mondo del POV misterioso. 2 perché ho una certa ansietta di arrivare al prossimo capitolo. Ebbene, il prossimo sarà... Sarà... Eh. Non posso fare spoiler. Ma sarà TANTO, tante cose, il più importante della storia. Vi stupirà? Forse. O forse no.
So solo che appena pubblicato questo, mi metterò subito a scrivere il prossimo. Lo pubblicherò verso il fine settimana, perché non sto veramente nella pelle. Intanto, spero che questo vi sia piaciuto!
Alla prossima <3 

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