30. L'Assassino e gli Elisi
«Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo,
gridando: "Guai a voi, anime prave! ..."»
- Dante Alighieri
Se Ender aveva messo a dura prova la mia sanità mentale, l'Arena del Tartaro metteva in difficoltà ciò che di umano restava dentro di me.
Avevo imparato l'assassinio come si apprendeva un'arte, con la stessa cura con cui un ballerino imparava i passi di danza o un pianista intonava i suoi primi accordi. In tutto quello che facevo c'era un'intrinseca giustezza, oltre che giustizia, e il sangue che avevo sulle mani era quello sozzo di chi a sua volta ne aveva sparso a volontà. Convivevo con il mio lavoro perché c'era bisogno che qualcuno mettesse un freno alla violenza provocata da individui scellerati e prepotenti.
L'assassinio era una particolare specie di vocazione.
Ma quelli che stavo facendo all'arena non erano omicidi sotto commissione... Erano delle dure e crude esecuzioni pubbliche. Non c'erano solo mostri affamati di carne umana a combattere nelle fosse, c'erano anche persone come me, persone che lottavano per restare vive, che sgomitavano per mantenersi a galla in quel marasma truculento di sangue e odio e violenza e fame di morte.
Sconfiggerli - una parola migliore per dire ucciderli - significava ammettere che la mia vita valeva più della loro. E riuscivo a farlo solo perché nemmeno loro si facevano tante remore nel cercare di ammazzarmi. Non per quello era più facile. Nonostante ciò, pian piano il nome di Sfavillo si era fatto leggenda anche nel regno dei morti. Non ci avevo messo poi tanto a raggiungere la vetta: fra me e i Campi Elisi, dove avrei trovato Ade e il frammento della spada che lui custodiva, rimaneva un ultimo incontro. La fossa numero uno mi aspettava.
Ancora non sapevo chi fosse il mio sfidante ma, visto che eravamo alla fine, immaginavo che non sarebbe stato facile come freddare un pigro e grassoccio funzionario di Skys Hollow. Ad avvalorare l'ipotesi, a meno di un'ora dallo scontro, ero stato portato nella caverna piazzata esattamente sotto alla fossa uno: era riempita da ogni genere di arma possibile ed inimmaginabile. Era la prima volta che mi veniva data la possibilità di scegliere con cosa lottare. Spade, asce bipenni, alabarde, tridenti e pugnali luccicavano dalle rastrelliere alla penombra velenosa delle fiaccole verdi, come un monito mortale. C'erano talmente tante lame che avevo l'imbarazzo della scelta. Quella era la prova schiacciante che, lassù, mi aspettava qualcosa di infernale.
In più, oltre al solito perizoma sdrucito che indossavo come abbigliamento standard, mi avevano dato una rudimentale armatura di cuoio leggero, con parabracci, parastinchi e una protezione per il torace. Il sentore del pericolo era lampante e, sopra alla mia testa, oltre al soffitto di stalattiti, riuscivo a sentire già le grida assatanate di centinaia, milioni di spettatori che attendevano l'inizio dello scontro. Molti di più rispetto alla norma, perché quella si prospettava una sfida epica. Avrei mentito nel dire che non avessi paura, ma era un sentimento che andava a braccetto con l'adrenalina e l'impazienza. L'impazienza di vincere, abbandonare il Tartaro, l'Ade e trovare l'unica persona di cui mi importasse qualcosa.
Ezra non si era ancora fatto sentire, anche se doveva essersi accomodato sugli spalti da un pezzo. La sua opinione avrebbe potuto fare la differenza sulla scelta dell'arma, ma dato che satiri armati di tridenti mi stavano dando fretta, dovetti prendere una decisione. Mi infilai arco e faretra a tracolla, mi allacciai due pugnali intorno alle cosce e l'ascia più leggera che l'arsenale offriva al fianco, a penzolare dall'usurato manico di legno. Volevo poter prendere altro, invece i satiri ringhiarono che non c'era più tempo.
Mi indicarono con le armi affilate un punto in particolare al centro della caverna: c'era una piattaforma, collegata ad un sistema di pulegge ed ingranaggi, su cui sarei dovuto salire e come un montacarichi mi avrebbe portato verso l'alto, facendomi comparire direttamente sul terreno di combattimento. Intanto, mentre camminavo e i miei sandali si posizionavano su quel quadrato di pietra, iniziai a sentire la familiare e malefica voce dell'Empusa che iniziava a presentare lo show.
«Pronti allo scontro che resterà incollato nelle vostre testacce di merda?!» Arrivava ovattata dal piano superiore, ma riusciva a distinguersi bene attraverso la spirale di urla. «Oggi non avremo un semplice spargimento di sangue! Nossignore! Oggi avremo LITRI, FIUMI, L'INTERO STIGE SI COLORERA' DI ROSSO!» Un ruggito di grida vibrò così forte che ebbi l'impressione che tutta la caverna sussultasse.
I satiri si posizionarono ai lati delle manovelle che azionavano il montacarichi e la piattaforma di pietra iniziò a salire. Strinsi i pugni, sentendo il cuore battere così forte da ruggirmi dentro alle orecchie. Sollevai il capo verso il soffitto pieno di stalattiti: una botola si stava aprendo per consentirmi di passare e un po' di sabbia di vetro mi piovve addosso. Man mano che lo spiraglio si apriva, i rumori e le urla inferocite della folla incominciarono ad investirmi come il getto impetuoso di una cascata.
«Da un lato abbiamo...» Raggi di luce verdastra mi colpirono gli occhi ed io affilai lo sguardo, ma senza coprirmi il volto dietro ad una mano. Mi assicurai invece di alzare il mento per sfoggiare il mio volto più duro e più feroce, man mano che la piattaforma si alzava e la mia figura spuntava dal basso raggiungendo il livello della fossa. «... SFAVILLO, IL FAMIGERATO!»
«SFAVILLO SFAVILLO SFAVILLO SFAVILLO!» intonarono gli spettatori, come un'unica voce che si sollevò tutt'intorno a me, battendo ritmicamente i piedi sugli spalti e i pugni sulle ginocchia. Erano talmente tanti che per un attimo mi sentii schiacciato, rischiando di vacillare sotto la forza di quella tifoseria sfrenata. Fu solo per un breve secondo, perché poi colsi la palla al balzo: rivolsi a tutti un teatrale inchino, prima alla mia destra, poi alla mia sinistra, sollevando il pugno in aria.
Adoratemi. Investitemi di gloria. Presto me ne andrò di qui.
Mentre mi pavoneggiavo, con gli occhi cercai Ezra fra la folla, ma la fossa era troppo ampia e c'erano troppe creature. I loro attributi mostruosi si mescolavano come un carnevale di ali, zanne, artigli e sputi. «Dall'altro lato abbiamo...» Spostai gli occhi sul mio avversario, oltre la figura dell'Empusa. Sapevo che avrei dovuto mantenere la recita, ma inevitabilmente la mascella mi cedette e mi chiesi come, esattamente, avessi fatto a non vederlo prima.
Sono morto.
Dovevo tenermelo per me, ma ero certo che la forza paralizzante di quel pensiero avesse raggiunto anche Ezrael, ovunque si trovasse.
«IL CENTIMANO, L'IMBATTUTO!» La folla si alzò in piedi, stavolta, mettendosi a gridare, saltare, svolazzare, strapparsi i vestiti, i capelli, perfino la carne di dosso. Erano come impazziti. «CHE VINCA IL PEGGIORE!» concluse in un grido portentoso la presentatrice, prima di venir risucchiata dalle sabbie, scendendo nella caverna sotterranea mediante lo stesso marchingegno con cui io ero salito.
Ero ancora a bocca aperta, la testa all'indietro per guardare il mio avversario. Era completamente fuori dalla mia portata, peggiore di qualsiasi cosa avessi mai affrontato prima, perfino del Kraken.
Era semplicemente gigantesco, più grosso di un palazzo e più equipaggiato di un esercito: il suo nome non era un titolo fantasioso né un eufemismo. Rifletteva la realtà. Quel gigante dalla pelle grigia aveva decine e decine di braccia di diversa misura che gli spuntavano dalla schiena, come fosse un ragno con centinaia di zampe. Ogni mano sfoggiava un'arma diversa: una mazza, una lancia, una spada, un martello, un piccone... Poteva uccidermi in così tanti modi diversi e perfino farlo contemporaneamente.
Sentii le ginocchia tremare e i palmi sudare, tanto che dovetti asciugarmeli contro le cosce, dove andai ad afferrare l'elsa dei pugnali. Ma che cosa potevano fare due pugnali contro quel bestione? Prima che un'enorme mano piena d'artigli mi raggiungesse, iniziai a correre per evitarla: l'intero terreno dell'arena stava tremando e non sapevo se fosse per via dello schianto del pugno del Centimano contro il pavimento, o per via del fatto che avessi l'impressione che la fossa si stesse muovendo.
Poi mi resi conto che l'intera piattaforma si stava sollevando, gravitando nel vuoto come un disco di sabbia su cui io continuavo a correre in cerchio, saltando, schivando e zigzagando fra una marea di mani che si abbattevano contro di me.
Il Centimano non si stava muovendo, in realtà: si limitava a spostare le braccia più lunghe nella mia direzione e per sfuggirgli dovevo arretrare. Ad un certo punto della corsa mi ritrovai in equilibrio precario sul ciglio della piattaforma, un cerchio sospeso che galleggiava in aria. Sotto di noi, a metri e metri di distanza, gli spalti.
Molti spettatori alati si erano sollevati in aria e seguivano il combattimento facendo avanti ed indietro in modo da riportare quello che succedeva a chi era rimasto in basso. I miei occhi incrociarono quelli sgranati e attenti di un'arpia, che svolazzava intorno alla piattaforma con un ghigno disumano, seguendo lo scontro. Fu una distrazione che pagai a caro prezzo.
Un colpo d'accetta mi arrivò in mezzo alla schiena: l'avevo sentita arrivare ma non mi ero spostato abbastanza in fretta da schivarlo del tutto. Mi colpì col piatto della lama e mi spedì con ferocia oltre la piattaforma, in una caduta libera verso il vuoto. Mi aggrappai con tutte le mie forze al bordo di pietra della fossa, le dita che premevano contro i bordi pieni di sabbia a vetri e le gambe a penzolare, rivolte agli spalti molto, molto più in basso. Migliaia di teste rivolte verso l'alto mi guardavano, impazienti di vedermi precipitare.
Sentivo i polpastrelli scivolosi di sangue, ma non osavo arrendermi, né lasciarmi andare: mi avvinghiai alla piattaforma, sollevando una gamba per arpionarmici contro.
I poteri Helias, usali!
La voce di Ezra arrivò come una manna dal cielo. All'improvviso mi ricordai, come un idiota, che potevo volare. Mollai la presa. Centinaia di migliaia di spettatori gridarono e mentre io mi lasciavo cadere, con una mano ruotai un cristallo intorno al braccialetto che portavo al polso. Sentii immediatamente la forza di gravità perdere la sua presa su di me. Il mio corpo si librò in un libero, elegante e fluido fluttuare senz'ali.
Il Centimano, vedendomi cadere, pensava di aver già vinto: sfruttai l'effetto sorpresa quando schizzai da sotto alla piattaforma e guizzai verso di lui come una scheggia e con l'ascia fra le mani. Mozzai il braccio che veniva verso di me con un colpo secco all'altezza del polso. Era difficile, quasi quanto tagliare di netto il tronco di un albero.
Strinsi i denti, menando fendenti mentre il sangue del mostro mi schizzava in faccia e una trentina di braccia mi caricavano tutte insieme. Ruotai su me stesso, volando in mezzo a quel tunnel intrecciato di arti nella speranza che si annodassero fra loro come fili ingarbugliati di un gomitolo. Così mi accorsi che il mio avversario non era poi tanto veloce. La stazza e il numero esagerato di braccia lo rallentavano: si ostacolava da solo, le mani si scontravano fra loro e a volte alcune di esse sembravano muoversi diversamente dalle altre, non seguendo i comandi del suo possessore.
Dal canto mio, continuavo a reciderle svolazzando fastidioso come una zanzara affamata di sangue. Avevo perso il conto di quante dita o braccia avessi già tagliato, ma non era abbastanza. Che differenza faceva amputare sette braccia, se ne restavano altre novantatré? Ad un certo punto mi afferrò a mezz'aria e con il palmo mi schiacciò furente contro il pavimento. Il colpo fu così brutale da farmi gridare.
Sapevo, dal rumoroso crack che avevo sentito, che mi ero rotto almeno un paio di costole, che due dita erano piegate in maniera innaturale e che la spalla era uscita dalla sua normale posizione e tirava dentro alla pelle facendo un male cane. Avevo anche battuto la testa e il sangue mi colava copioso accecandomi l'occhio sinistro. Ero messo male, ma poteva andare molto peggio.
Vidi un grosso pugno sollevarsi sopra di me ed io rotolai di lato - urtando la spalla e ululando d'agonia - appena in tempo perché atterrasse contro il punto dove mi trovavo prima. Mi tolsi dal raggio d'azione del bestione volando indietro, col corpo che strisciava sulla sabbia tagliente. Fluttuando tornai in piedi e, a denti stretti, mi afferrai il polso. «Tre... Due... Uno.» Tirai e, attraverso un ultimo spasmo di dolore, la spalla tornò a posto con uno schiocco sonoro.
Il Centimano si stava spostando lentamente con tutta la sua gigantesca mole verso di me: di buttarlo fuori dal ring e farlo precipitare non se ne parlava. Chissà quante tonnellate pesava. Però mi venne un'altra idea. Mi tolsi l'arco dalla schiena ed incoccai velocemente una freccia. La mano con cui la stavo tenendo in tensione era proprio quella con le dita fratturate, perciò tremava irrefrenabilmente. Non mi arresi, allineando la punta acuminata di metallo con la faccia della creatura. Non stavo mirando proprio al suo volto, ma ad un punto ben più piccolo e preciso.
Tirai, ma la mano ferita mi tradì all'ultimo momento e la freccia rimbalzò contro l'elmetto che indossava il mostro, lasciandolo illeso. «Fanculo.» sibilai, ricominciando a correre per evitare una decina di asce che mi cadevano addosso e aprivano solchi nella piattaforma di pietra. Girai attorno al ring da combattimento, riacquistando la distanza necessaria per effettuare un secondo tentativo.
Incoccai la freccia. Le dita spezzate gridarono di pura agonia ed io battei le palpebre per scacciare le lacrime che mi offuscavano la vista, mentre prendevo precisamente la mira. Poi lasciai la presa e guardai la freccia disegnare la sua fulminea traiettoria. La punta di metallo andò a segno.
Un centro preciso nel piccolo occhio sinistro del Centimano, che guaì e ringhiò come un animale ferito. I suoi attacchi si fecero improvvisamente più feroci, ma anche più imprecisi. Volai per schivare colpi di mazza che sollevarono una pioggia di detriti. La piattaforma su cui combattevamo era ormai crivellata di colpi e piena di sangue, per via di tutte le braccia che avevo reciso alla bestia. Ancora in volo, afferrai un'altra freccia.
Restava un solo occhio. Stava lì, nel mezzo dell'elmetto, e sembrava chiamarmi. «Forza... Forza.» Mi pulii la faccia dal sangue che avevo sugli occhi con un movimento rapido della mano e tornai a stringere l'arco: tesi l'elastico. Tirai la freccia indietro, stringendo le dita spezzate ed insensibili intorno alle setole, mentre allineavo la punta affilata con la scanalatura nel legno che faceva da mirino. Era difficile volare e al tempo stesso restare perfettamente fermo per non sbagliare la mira. Tuttavia, era meglio restare a fluttuare fuori dal ring, nel vuoto, lontano dalle mire delle braccia armate del gigante.
Ora che avevo capito le sue tempistiche, non incontrai intoppi: la freccia si conficcò nel secondo occhio del Centimano, accecandolo del tutto.
Si scatenò l'Inferno. Novanta braccia iniziarono ad agitarsi tutte insieme in ogni direzione, con lame taglienti che fischiavano nel vento e affettavano l'aria. Atterrai sul bordo della piattaforma quasi in punta di piedi, piegando le ginocchia per muovermi furtivo, quasi acquattato su me stesso. Era come camminare su un sentiero costellato di trappole, dove un piede al posto sbagliato mi avrebbe fatto saltare una gamba. Dondolavo sulla punta dei sandali di corda e ogni tanto piroettavo su me stesso, come in una danza, appena in tempo per evitare un'ascia o un pugno enorme. Ma senza fare rumore.
La piattaforma si stava nuovamente abbassando, ritornando a livello degli spalti, come se fosse chiaro a tutti che la lotta si stava volgendo alla fine. Ognuno di quegli spettatori voleva vedere come andava a finire. Continuai a scivolare silenzioso in avanti, con l'ascia fra le mani. Una lancia si conficcò così vicino a me che sentii l'aria spostarsi sulla pelle, ma non osai sussultare, mentre raggiungevo lo spazio fra le gambe del Centimano.
Poi, con un unico movimento rapido, abbattei l'ascia contro la sua caviglia, tagliandogli via il piede di netto per azzopparlo. Perse l'equilibrio e caracollò verso il pavimento. Anche se decine di mani subito si tesero in avanti per attutire la caduta, le estremità delle frecce che erano ancora infilate nei suoi bulbi oculari, cozzando contro il pavimento, spinsero dentro al cranio e glielo conficcarono da parte a parte, uscendo dall'altro lato della testa.
Il gigante ululò, un suono che si unì alle grida assetate di sangue del pubblico. Le sue braccia continuavano a muoversi in spasmi furiosi, animate dalle ultime forze che gli erano rimaste.
Una mano mi abbrancò, le dita massicce si avvinghiarono intorno al mio torace e alle mie gambe per iniziare a stritolarmi. Le costole già rotte, sotto quella pressione, mi fecero quasi piangere dal dolore. «E lasciami!!» mugolai, roteando l'ascia che gli amputò le dita. Mi liberai fra schizzi di sangue e con un ultimo grido feroce abbassai l'accetta sul suo collo spesso.
Una volta. Due, tre, quattro. Finché finalmente la testa del Centimano non rotolò a qualche metro lontano dal suo corpo e tutte le numerose braccia si afflosciarono sulla piattaforma, inerti.
Il pubblico si alzò in piedi, in una esultanza violenta ed unanime. Stracci, stendardi, mani o addirittura teschi mi volarono addosso, immaginai come quando si lanciavano i fiori a teatro sugli artisti. Ignorai il disgusto e alzai trionfante il pugno verso l'alto, ma quel solo gesto tirò sulle costole e mi fece quasi piegare su me stesso.
«E il vincitore di questo mese...» La voce dell'Empusa mi raggiunse a malapena, ovattata. «... del nostro lurido Tartaro è...» Mi doleva il torace, mi pulsava la mano, mi girava la testa. Il mondo stava iniziando a diventare nero. «... SFAVILLOOOO!»
Caddi in avanti e restai a terra.
❖ ❖ ❖
Sapore di metallo in bocca.
Mi accorsi di avere una moneta infilata sotto la lingua appena in tempo perché non la inghiottissi. Prima di drizzarmi a sedere e sputarla in una mano, mi guardai intorno con aria confusa. Le tenebre avvolgevano ogni cosa, a parte fiochi bagliori di stelle che tappezzavano il cielo sopra di me. Steso a pancia in su, riuscivo a sentire lo sgocciolio dell'acqua e il moto lento del fiume che mi trascinava in avanti.
«Ti sei svegliato.» mormorò Ezra, col viso che spuntava nel mio campo visivo, inclinandosi sopra di me. I capelli color mercurio puntarono nella mia direzione e gli occhi color ametista scintillarono mentre mi esaminava dall'alto. Mi tirai a sedere, non senza un lamento.
Le costole mi facevano meno male di prima, così come le dita fratturate, ma la testa continuava a pulsare ferocemente. Aprii le labbra per liberarmi dalla moneta, ma quando infilai le dita sotto alla lingua la trovai vuota. Un obolo dorato ora dondolava fra le dita grigie di un inquietante vecchiaccio barbuto ed incappucciato che si ergeva sul bordo della nostra gondola, occupato a traghettarci. Una luce rossastra gli scintillava nelle orbite, che mi parve soddisfatta quando si fece cadere la moneta nella tasca del mantello scuro.
Lanciai uno sguardo confuso ed inquietato al mio guardiano. «Dove stiamo andando?» Non era esattamente la domanda giusta da porre. «Cosa è successo?» mi corressi, reggendomi la testa pesante fra le mani. I miei soffici boccoli dorati erano ancora incrostati di sangue secco.
«Hai vinto.» disse, facendo scivolare una mano sulla mia guancia. Sussultai per il dolore: una scheggia, o semplicemente la sabbia tagliente, doveva avermi escoriato. Sentivo dolore ovunque, in realtà. «Siamo in viaggio verso i Campi Elisi.»
«Mi aspettavo una degna cerimonia di premiazione...» risposi, arricciando le labbra in una smorfia indispettita. «O come minimo, che qualcuno mi rattoppasse.»
«Credo che al Tartaro interessi ben poco rimettere in piedi i suoi combattenti.» Schioccò la lingua. «Importa solo del sangue. E ce n'è stato decisamente abbastanza.» Fiatò con un sospiro spazientito dalle narici. «Se non altro, coi pirati potevo almeno fingere di essere d'aiuto.» borbottò, affilando lo sguardo verso lo Stige, che scorreva nero come catrame sotto di noi.
«Ehi, lo sei stato.» sussurrai, appoggiando una mano sulla sua. Non sapevo nemmeno io perché lo stavo rincuorando, visto che ero io quello ferito, stremato e anche confuso dalle ultime conversazioni avute. Lui nemmeno voleva che trovassi Yul!
«No, non è vero. Non ti ho salvato con Osiride. E nell'Arena potevo solo restare a guardare.» Anche se eravamo seduti sulle assi della gondola, l'uno di fronte all'altro, riuscì ad attirarmi sopra le sue gambe facilmente, con un movimento deciso del braccio. Fu in grado di non farmi male, tenendo le mani delicatamente posate sui miei fianchi. «Da qui in avanti ti proteggerò, Helias. Non ti lascerò più solo ad affrontare l'Oltretomba.» Mi sfiorò la fronte con le labbra, in un bacio appena percettibile. «Te lo prometto.»
Non sapevo nemmeno io come reagire a quest'improvviso momento di tenerezza. Il nostro rapporto era così: costellato da alti e bassi, come il moto perpetuo delle onde. Avevamo affrontato il nostro momento peggiore nella Casa della Sapienza e il nostro momento migliore in viaggio verso il Regno del Caos. Ora, mentre gli eventi dell'Oltretomba ci sballottavano senza darci il tempo di respirare, definire quello che avevamo era ancora più complesso.
Con cautela, sollevai una mano per sfiorargli lo zigomo spigoloso. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta in cui ci eravamo fatti un bagno - io soprattutto - eppure lui profumava comunque di pini, quasi Astrea e quelle valli muschiose fossero un prolungamento del suo essere. Mi ricordava il profumo di mia madre, un odore che sapeva di casa.
Quante di quelle promesse erano pronunciate perché teneva a me? E quante perché gli importava del suo popolo e sapeva cosa avrei potuto fare per loro? Restava un mistero. Non ero nemmeno sicuro di volerlo sapere. «Ci credo, Ez.» dissi, abbastanza convinto che mi avrebbe protetto per davvero. «Che fine hanno fatto le tue corna?» domandai, accorgendomi solo in quel momento del suo aspetto troppo normale.
«I cristalli si sono esauriti.» Sollevò il polso per farmi vedere uno dei braccialetti che gli adornavano il polso: tutta una fila era diventata grigia, diversa rispetto al familiare pulsare colorato della magia degli straeliani. Lanciai un'occhiata ai miei: tenevo a mente quali fossero i cristalli abbinati a certi poteri solo perché avevano colori diversi. Mi ero disfatto dei cristalli ingrigiti del teletrasporto, ormai scarichi. Anche quelli del volo erano andati, restava una perlina che pulsava debolmente.
«Appena in tempo, comunque. Nell'istante in cui sei svenuto hanno levato il Centimano dalla fossa e mi hanno fatto scendere al tuo fianco. Crono è arrivato di fronte a noi e mi ha consegnato il nostro premio.» spiegò, accennando con un piccolo colpo della testa verso il traghettatore inquietante. «Due oboli d'oro. Appena ho infilato il tuo sotto alla lingua sei sparito. Ti ho seguito a ruota e» allargò leggermente le braccia. «eccoci qui.»
«Ma... Possiamo parlare?» sussurrai, muovendo gli occhi verso il vecchio incappucciato. Era un problema che dovevo pormi prima, comunque. Lui fece spallucce.
«Credo gli importi solo delle monete.» mormorò di rimando. Volevo iniziare a costruire un piano sulla base delle informazioni che avevo raccolto grazie a Morfeo, ma poi un'accecante luce dorata iniziò a scintillare da dietro alla schiena di Ezra. Ancora seduto sulle sue ginocchia, alzai la testa per sbirciare dalla sua spalla.
«Oh.» sospirai di sorpresa e meraviglia. Arzigogolati cancelli d'oro massiccio, sorretti da candide colonne ioniche, si stavano spalancando per far passare la snella gondola su cui ci trovavamo io e il mio guardiano. Oltre l'ingresso il cielo del mattino era terso e limpido, subito prima invece era buio e oscuro, benché screziato di qualche sparuta stella, molto migliore rispetto alle nuvole velenose del Tartaro o alle volte rocciose dell'Ade. La linea di demarcazione fra esterno ed interno era netta, come tracciata da una matita.
Un attimo prima che varcassimo i cancelli, l'imbarcazione si fermò. Da dentro, un gruppo di ninfe innaturalmente alte e snelle, simili a steli di fiore e con capelli fatti di nuvole e luce, mossero le mani. Una folata di vento delicato s'innalzò e ci trasportò con lui, facendoci fluttuare oltre la soglia.
❖ ❖ ❖
Qualche ora dopo mi trovavo nel bagno più sfarzoso che avessi mai visto. Ninfe fatte di nuvole, luce, oppure foglie e vento, avevano passato parecchio tempo a grattare via lo sporco dalla mia pelle, rimuovendo con attenzione ogni rimasuglio di sabbia vetrosa e ogni scheggia infilata fin sotto all'epidermide. Pulito e profumato come una saponetta alle rose, stavo a mollo sul bordo di una grande piscina piena di acqua turchese, mentre statue a forma di putti alati continuavano a gettare acqua da anfore sorrette fra le loro manine paffute.
A qualche metro da me, riuscivo a vedere la schiena muscolosa di Ezrael. Si lavava sotto al getto di una fontana, con strati di schiuma che a malapena gli coprivano le nudità. Chiunque avrebbe sospirato davanti ad una vista simile, soffermandoci per un po', mentre io... Distolsi frettolosamente lo sguardo.
Incontrare Morfeo mi aveva rimesso coi piedi per terra. Rivedere Yul, anche se era solo un'illusione, rendeva ciò che avevo fatto con Ezra qualcosa di simile ad un tradimento. E la continua attrazione che provavo nei suoi confronti non faceva che peggiorare le cose. Eppure, dannazione, non rivedevo il mio amato da due anni. Non sapevo nemmeno se l'avrei ritrovato. Una parte di me diceva che era normale sentirsi attratto dal fisico possente di un uomo che stava sempre al mio fianco. L'altra parte, che non era affatto giusto. Sospirando, mi lasciai affondare nell'acqua profumata.
Quando finalmente tutta la sporcizia del Tartaro fu eliminata e anche le mie ferite fasciate e medicate, venni avvolto da strati di velo e seta talmente soffici che parevano anche quelle nuvole. Indossavo un chitone bianco drappeggiato su entrambe le spalle e tenuto fermo da spilloni dorati. Legato e morbidamente sblusato in vita da un laccio color bronzo, cadeva intorno alle cosce in una corta gonna con spacchi laterali che arrivava poco sopra le ginocchia. Era difficile abituarsi alla mancanza di pantaloni, visto che là sotto tirava una certa aria... Ma pazienza.
Ai piedi mi avevano infilato dei sandali pieni di lacci d'oro che salivano fino al polpaccio. Dorate erano anche le foglie d'alloro della corona che mi cingeva il capo e si confondeva fra i riccioli quasi fossero un tutt'uno. E mai mancavano i bracciali di cristalli, l'ultimo anello rimasto e la collana con la chiave di mia madre.
Anche Ezra indossava un chitone, una versione meno candida però: color antracite, fissata da spille d'argento e una cintura di pelle nera. Come il mio, il suo capo era coronato, in maniera ben più vistosa di me visto che era lui il mio "padrone" e i meriti della mia vittoria ricadevano soprattutto su di lui, non sullo schiavo responsabile di aver massacrato chissà quanti combattenti. Cioè io. Ovviamente portava a tracolla, con dei lacci di cuoio fissati ai manici, un'anfora di creta dipinta dentro a cui teneva tutte le anime che avevo raccolto nelle mie lotte.
Il fatto che Ezra non avesse più attributi mostruosi era un problema, per fortuna non c'era nessuno del Tartaro lì che potesse dimostrare il nostro inganno. Poteva farsi passare semplicemente per un essere umano più cattivo o furbo di me.
L'uno di fianco all'altro, in piedi sulla profonda gradinata di pietra che scendeva ripida e offriva un generoso spaccato sui Campi Elisi, rimanemmo ad osservare il paesaggio per qualche secondo. Un dolce digradare di colli erbosi e lunghe file ordinate di cipressi ospitavano imponenti padiglioni di marmo bianco. Le colonne candide decorate da foglie d'acanto di pietra, grappoli di glicine e tralci d'uva rossa si susseguivano l'una dopo l'altra in mezzo a fiaccole accese. Tavolate impressionanti erano imbandite da luculliani banchetti stracolmi di leccornie dolci e salate. Decanter d'oro luccicavano e il vino scorreva a fiumi fra le bocche dei commensali.
Tutta la valle era affollata: satiri dall'aria paciosa e paffuta, ben diversi da quelli del Tartaro, giocavano con Ninfe dai capelli fatti di rami e fiori. Molte altre persone dall'aspetto umano, vestite di seta, velo e velluto di sfumature candide, fra l'avorio, l'oro e l'argento, ballavano, ridevano e cantavano. Creature alate strimpellavano lire scintillanti mentre altre, all'ombra dei cipressi, pizzicavano corde di imponenti arpe. Flauti traversi e flauti di pan s'intrecciavano a quell'armonia e l'atmosfera generale era gioiosa, pacifica e al contempo sfrenata.
All'orizzonte, su un punto dove il cielo si rannuvolava, un monumentale palazzo fatto d'ossidiana scintillante catturava l'attenzione. Il Signore dell'Oltretomba, padrone di quel palazzo e di tutto il regno in cui mi trovavo, sedeva dentro ad un padiglione rialzato, lontano rispetto al cuore pulsante della festa, forse perché così poteva squadrare tutto e tutti con un cipiglio arrogante. Non che potessi vederlo, visto l'elmo nero che gli nascondeva la faccia. Il suo padiglione era nero d'ossidiana, diverso dagli altri, contornato da nastri d'oscurità e protetto da uno stormo di corvi avvinghiati al frontone spesso del tempio.
Strideva fortemente con l'atmosfera gioiosa dei Campi Elisi, ricordando a tutti chi era a comandare, lì. Ade era un individuo muscoloso, avvolto da un chitone nero lungo fino ai piedi, le braccia nude aggrappate con prepotenza sui braccioli del suo trono e un pennacchio porpora che usciva fuori dall'elmo. L'elmo stesso sembrava inconsistente, come fatto di tenebre e gli avvolgeva tutta la faccia da un manto d'ombra da cui uscivano fuori solo le labbra carnose.
Al suo fianco sedeva la donna più bella che avessi mai visto. Sebbene il suo peplo fosse bianco come quello di molti altri, sembrava una sposa in quella veste. I capelli rossi erano acconciati in morbide onde tanto lunghe che le raggiungevano i piedi. Fiori di magnolia le coronavano il capo insieme ad una corona che brillava come stelle. Abbigliata e riempita d'oro, nonostante fosse stupenda aveva sul volto un'espressione di cupa insoddisfazione che mi fece sorridere.
Quindi Morfeo aveva ragione.
Scesi i gradini al fianco di Ezra e molti si girarono a guardarci, ma nessuno si preoccupò di annunciarci o di chiederci chi fossimo, come se l'atmosfera lì fosse del tutto distesa, libera. Erano affascinati da noi, ma al contempo a nessuno importava sapere delle nostre identità. Ci mescolammo lentamente fra la folla, prendendo familiarità con l'atmosfera.
Riscoprendomi più affamato del previsto, mi diressi prontamente al banchetto, placando il mio appetito con dolcetti al miele ripieni di frutta secca e mele rosse. Non vedevo cioccolato da nessuna parte - male - ma lì tutto il cibo sembrava molto più gustoso e paradisiaco ad ogni morso. «Se hai finito di ingozzarti, pensiamo al piano.» Ezra mi tirò per il braccio verso la pista da ballo, una piattaforma di marmo contornata da statue d'oro.
«Ehi! Lasciami stare, me lo merito! Sai quanto ho combattuto?» mugugnai a bocca piena, indispettito, mentre mi spolveravo via le briciole dal chitone ed inghiottivo l'ultima cucchiaiata di qualsiasi-cosa-fosse al miele. Mi posò le mani sui fianchi, ondeggiando lentamente al ritmo di arpe. Davanti alla sua espressione seria, mi leccai via dalle labbra lo zucchero appiccicoso e gli circondai il collo fra le braccia. «E' la prima volta che io e te balliamo così, o sbaglio?» abbozzai un sorrisetto.
«No. Non sbagli.» Si strinse nelle spalle. «Non sono un tipo da ballo...» Sentii le sue grandi mani scivolare fin dietro alla mia schiena, intrecciando le dita per stringermi un po' più vicino a sé. «Per oggi si può fare un'eccezione. Visto che te lo meriti.» disse, ironico. Alzai gli occhi al cielo, sospirando. «Allora, come facciamo a prendergli l'elmo?» si curvò sopra di me per sussurrarmelo vicino al volto. Molto vicino.
Aumentai la velocità del ballo, facendo finta di incurvare la testa un poco di lato, lontano dalla traiettoria tentatrice delle sue labbra, solo per via del ritmo. «Morfeo mi ha spiegato che Ade e Persefone, la donna che vedi al suo fianco, sono una coppia problematica praticamente da sempre.» mormorai. Ero piuttosto certo che spettegolare sui padroni di casa alla loro festa non fosse molto apprezzato.
«E quindi?» Scoccò un'occhiata prudente al loro padiglione.
«Continuano a pugnalarsi a vicenda, cercando di far vacillare l'altro per primo. Chissà, forse lei spera che lui le conceda un divorzio abbastanza benefico da guadagnarci. Magari Ade, invece, spera che vedendo il suo posto di sposa messo in discussione si pieghi al suo volere come una servetta.» Arricciai le labbra in un sorrisetto. «Almeno, queste sono le teorie di Morfeo. Il punto è» assottigliai le palpebre «che possiamo infilarci in questa piccola faida...»
Ezra mi fece fare una giravolta, attraendomi con la schiena contro al suo petto. Le costole dolenti sussultarono appena. «Cos'hai in mente?» Sciolse la presa e ritornai di fronte a lui.
«Potremmo farli ingelosire.» Avevo sulla faccia un'espressione furba delle mie, quelle che covavano cattive idee. Ma accidenti, avevo ucciso un gigante con cento braccia. Ero benissimo capace di diventare il terzo incomodo nel matrimonio di un Signore dell'Oltretomba! «Tu ti occupi di Persefone.»
Alzò un sopracciglio. «Che dovrei fare?»
Mi strinsi nelle spalle. «Flirta un po'. Insomma, corteggiala... Sarai pure capace di farlo, no?» Col suo caratteraccio, iniziavo a metterlo in dubbio. Storse le labbra in una smorfia, cosa che me lo fece dubitare ancora di più. «Sono sicuro che, se avrai successo, Ade sarà abbastanza irritato da voler ripagarla con la stessa moneta. Ed è qui che entro in gioco io. Lo seduco e rubo l'elmo.»
L'albino emise una risata, dentro cui avevo sentito una sfumatura vagamente sprezzante. «Andiamo! Fai troppo affidamento sul tuo fascino. E se lui non apprezzasse la compagnia maschile?» Morfeo non mi aveva dato alcun suggerimento sulla cosa.
«Lo scopriremo. Fino ad ora, però, non ho mai fallito.» Piegai le labbra in un sorrisetto vezzoso. «Sai com'è? Feromoni straeliani. Che cosa non fa la magia...» Gli appoggiai un dito sul petto, fra i drappeggi di seta del chitone grigio. «... Anche su chi non dovrebbe funzionare.» Gli lanciai uno sguardo allusivo e poi mi distaccai dalla sua presa. Lo sentii borbottare fra le labbra. «Coraggio. Separiamoci, facciamo finta di divertirci e aspettiamo che quei due si dividano. Poi tu vai all'attacco.»
Senza udire un'altra parola mi allontanai, tornando presso il tavolo delle vivande. Mi mancava il buon cibo. Quell'atmosfera festosa mi ricordava i balli a cui un tempo partecipavo a Skys Hollow. Un uomo dalla pelle azzurra mi sorrise dall'altro lato del tavolo alzando il calice verso di me e io emulai il gesto, perfettamente a mio agio in questo tipo di ambiente. Non risultò per niente difficile mescolarmi fra gli altri, ma non smisi di tenere d'occhio l'albino: si teneva in disparte con un'espressione scocciata da guastafeste.
Eccola! Sta scendendo!
Lo avvisai, notando che la splendida donna dalla lunga chioma si era alzata dal suo trono e ora, con un'espressione graziosamente corrucciata, sfilava lungo la gradinata del nero padiglione per allontanarsi dal marito. Lo stormo di corvi la tenne d'occhio, muovendo i becchi nella sua direzione, ma nessuno dei volatili abbandonò la posizione. Contemporaneamente, lo straeliano aveva distaccato la schiena da una colonna e ora si avvicinava alla fanciulla con un sorriso appena accennato. Stava facendo le cose secondo i piani. Bravo Ezrael.
Nascosi il viso dietro una coppa di vino dolce come una caramella, mentre li tenevo d'occhio: lui s'inchinò e poi le fece il baciamano. Lei rise civettuola e si illuminò come non aveva fatto per tutta la serata. Poi scivolarono verso la pista da ballo e, mentre Ezra la teneva stretta, iniziarono a danzare. La folla si fece da parte per lasciare spazio, come attratti dalla vista della loro regina che splendeva, anche se fra le braccia di un altro. In verità, erano splendidi insieme: i capelli d'argento di lui si abbinavano a quelli di fuoco di lei, che scintillavano mentre volteggiavano in sincrono. Ebbi un'inaspettata presa di consapevolezza, davanti a quel quadretto.
Non ero affatto geloso, come mi capitava quando vedevo tutte le ammiratrici di Yul affollarsi in massa intorno a lui civettando "Lord Cain!" di qua e "Lord Cain!" di là. Sentii solo una certa amarezza, perché era l'ennesima conferma del fatto che non potevo amare Ezra, perché non avrei mai abbandonato il ricordo dell'unico uomo che aveva rubato il mio cuore e, da allora, non l'aveva mai lasciato andare.
Scossi la testa e girai loro le spalle, proseguendo verso il padiglione dove Ade ancora sedeva. Anche dal basso delle gradinate potevo vedere il Signore dell'Oltretomba rigido sulla sua seduta. La sua regina lo stava umiliando davanti a tutti, mostrandosi così raggiante fra le mani di un altro uomo: era il momento migliore per annunciarsi. Mentre salivo le scale nero pece, sentii decine di piccoli occhi rapaci che si fissavano su di me. Continuai a scalare le gradinate, disinvolto. Raggiunta la cima, pochi metri mi dividevano dal grande trono scuro e da quei nastri di tenebra che facevano calare la notte solo dentro al padiglione.
«Mio Signor Ade.» tubai, afferrandomi gli spacchi del chitone per allungarmi in un profondo inchino che mi fece sussultare dal dolore alle costole. «Ci tenevo davvero a porgervi i miei più sinceri ossequi.»
Non si mosse granché, teneva la testa piegata verso la pista da ballo, molto più in basso. Le gambe un po' aperte in una postura indolente, arrogante, ma le mani ben strette sui braccioli. Trasudava anche lui un certo potere, esattamente come Osiride. Non osavo sottovalutarlo, non ero nemmeno armato. Oggi non avrei versato sangue.
«Non sopporto perdere tempo con chi pecca di piaggeria. Dimmi cosa vuoi.» disse, con voce bassa ma potente, che riempì tutto il padiglione e mi fece rabbrividire nei sandali.
«Ho pensato voleste conoscere il combattente che ha messo in ginocchio l'Arena del Tartaro.» proseguii senza vacillare, il tono sicuro ma un po' meno adulatore. Finalmente girò il capo nella mia direzione: con l'elmo magico - a cui puntavo - a coprirgli la vista, era difficile capire dove posasse gli occhi. Ma ero certo che mi stesse guardando molto bene.
«Tu?» il suo tono vibrava d'ironia, mentre io mi avvicinavo ostentando sicurezza e un sorriso sinuoso.
«Io. Non siete curioso di sapere come ho fatto?» sussurrai, la voce che assumeva una sfumatura misteriosa, maliziosa, mentre mi fermavo a pochi centimetri da lui, le mie ginocchia che quasi gli toccavano la veste.
Allungò una mano per afferrarmi il viso, il pollice che premeva sul mento, ruotando la mia faccia a destra e poi a sinistra. Appoggiai una mano sul bracciolo del trono, sul suo polso. Stavo rischiando il tutto per tutto e lo sapevo. Lo sentivo. Ma la mia vita era sempre stata costellata dal pericolo.
«Quanta insolenza.» sbottò, mentre il mio cuore accelerava i suoi battiti e mi restava impigliato in gola. «Mi piace.» E mi attirò a sedere sulle sue ginocchia, consapevole che dal basso ci avrebbero visti. E ci avrebbe visto anche la stessa donna che ora ballava deliberatamente con qualcuno che non era lui. Nonostante il piacevole risultato, non mi concessi di rilassarmi. Eravamo appena all'inizio.
«Se è vero che sei tu il famoso lottatore di cui ho sentito parlare, raccontami come hai fatto a vincere.» continuò, accarezzandomi il labbro inferiore con il pollice, mentre una mano morbida come velluto e bianca come l'avorio si poggiava sull'interno della mia coscia, disegnando lenti cerchi.
«Con la stessa dose di coraggio che mi ha spinto ad avvicinarmi qui, da voi.» Se gli piacevano le sfide e le persone sfrontate, potevo dare a quella creatura potente ciò che cercava. Mossi la coscia in micromovimento che spinse la mano altrui un po' più sotto alla gonna del chitone. Emise una risata bassa, un suono piacevole e oscuro come un pomeriggio invernale. «Quando ero vivo ho appreso l'arte dell'assassinio, che mi ha insegnato a non arrendermi mai.»
«Ora capisco perché eri destinato al Tartaro.» disse, compiaciuto.
«Ma non mi sono arreso ad esso. Ed eccomi qui...» sussurrai, facendo scivolare la mano sulle spalle muscolose dell'uomo, le labbra vicine al suo collo, morbido e dolce come un frutto da cogliere, eppure audace e sfrontato come il lottatore che aveva massacrato tantissime creature per stare seduto proprio in questo momento sulle ginocchia di Ade. «Oh! Ci guardano tutti!» feci notare gongolando, non controllando se qualcuno lo stesse facendo, in verità. Lo davo per scontato.
Infatti, la sua testa virò lentamente verso la pista da ballo, dove doveva trovarsi la sua consorte insieme ad Ezra. Gli appoggiai una mano sulla mascella, l'unico punto scoperto dall'elmo. Poi allungai il collo e lo baciai. Il desiderio di rivalsa fu più grande della cupidigia, perciò mi avvolse le braccia intorno alla schiena e rispose con slancio al mio bacio. Solo che le mie guance premevano contro il metallo dell'elmo e i nostri nasi venivano ostacolati dalla protezione posta lungo il naso. Mugugnai un lamento.
«Non riesco, così...» sospirai, anche se in realtà riuscivo comunque a sfiorargli le labbra. Dovevo trovare pur un modo per fargli togliere quel maledetto elmo. Doveva funzionare. Pregai che lo facesse. Perché se non accadeva...
«Come ti chiami?» soffiò sulle mie labbra.
«Valentine.» Sentivo che dire il mio vero nome a qualcuno di così potente, qualcuno che avrebbe potuto ricordarlo e perseguitarmi fino a farmela pagare, sarebbe stato problematico.
«E dimmi, Valentine, perché stai cercando di farmi togliere l'elmo?»
Il sangue mi si ghiacciò nelle vene. Le mie spiccate doti recitative mi consentirono di non sussultare, limitandomi ad un pigro sorriso malizioso. «Perché voglio vedere il viso del leggendario Ade... E' un male, per voi? Pecco forse di piaggeria?»
Avanti, fallo. Avanti!
«Ragazzo impudente...» Il tono divertito precedette il suono sinuoso dei suoi capelli corvini che venivano svelati, mentre sollevava l'elmo e lo posava sul tavolino al fianco del trono, dov'era un decanter d'oro pieno di vino. Nemmeno per un momento posai gli occhi sull'oggetto tanto agognato, benché fossi estremamente consapevole di quella piccola vittoria, mentre osservavo i lineamenti di quell'uomo stupendo e spettrale insieme.
Subito dopo mi baciò. Gli posai una mano sulla guancia liscia, mentre le nostre labbra s'incontravano ed iniziavano a conoscersi. Le mie dovevano sapere di miele, dopo tutti i dolcetti che avevo trangugiato, le sue sapevano di vino e di una spezia profumata che dava alla testa, come una droga. Era così facile perdersi nell'immensità di un bacio come quello - un po' come mi aspettavo fosse annegare nello Stige - ma la mia mente era tutta sull'elmo. La mano libera, infatti, si allungò verso il tavolino.
Prima che potessi anche solo sfiorarlo, dita rigide si serrarono intorno al mio polso, bloccando l'incedere della mano verso l'elmo. Ade aveva smesso di baciarmi e si era distaccato, rivolgendomi uno sguardo minaccioso.
«Un combattente, un assassino, o un ladro?» Quello fu il segnale per terminare la mia messinscena. Allungai il collo e gli azzannai la mano che mi intrappolava il polso. Non se lo aspettava proprio. Nemmeno io, in realtà, mi ero mosso senza pensarci. Poi la mia mano bruciò i centimetri che mi separavano dall'elmo e lo afferrò.
Anche se afferrare non era la parola giusta. Piuttosto, affondai in quelle tenebre: non era vero metallo, era come toccare l'oscurità, come infilare le dita nell'acqua ghiacciata. Accadde tutto molto velocemente: la mia pelle inghiottì quelle tenebre come carta assorbente e l'elmo di solidificò in un frammento d'osso simile ad un ago. Come la prima volta, si conficcò violentemente nel mio palmo - quasi fosse una parte di me - senza nemmeno una goccia di sangue, per quanto doloroso fosse il processo.
E di nuovo, come la prima volta non ebbi il tempo di razionalizzare quanto successo: feci un salto indietro, sgroppando dalle gambe di Ade. «CHE COSA HAI FATTO?!» stava tuonando, così violentemente che la terra iniziò a tremare. Ma io avevo già raggiunto il ciglio delle gradinate e, ruotando l'ultimo cristallo che mi consentiva di levitare, spiccai il volo lanciandomi di sotto.
Ce l'ho fatta! Andiamocene, ora!
Era sempre quello il problema dei miei piani. Si soffermavano troppo sul durante e non contemplavano mai il dopo, quasi fossi convinto che, con un po' di fortuna, ce la facessi sempre. Ecco da cosa scaturiva la maggior parte dei miei guai. Ma come potevo pianificare, se i nostri avversari erano totali incognite? Non erano umani nemmeno lontanamente.
Mentre ancora stavo volando verso il basso, sentii il frullare d'ali e con un tuffo al cuore capii che i corvi stavano venendo ad attaccarmi in massa. Prima che si azzuffassero su di me, rendendomi carne trita per via del becco e artigli, il cristallo magico si esaurì e caddi semplicemente verso il basso.
Atterrai in piedi come un gatto, mentre ninfe, creature e umani si aprivano a ventaglio intorno a me per starmi lontano, tutti ugualmente scioccati che la loro pace venisse brutalmente messa a repentaglio. In quella folla quasi avevo perso di vista Ezra, ma poi lo intercettai al centro della pista da ballo e gli corsi incontro, urlando: «Prendi la ragazza! E' il nostro ostaggio!» Stupida idea sorta da uno stupido momento di panico.
Così fece. Dalla posa danzante, la attirò schiena contro il suo petto, intrappolandole la gola nella piega del gomito. «Lasciateci andare tutti interi, o le spezzo il collo.» ringhiò lo straeliano, mentre Persefone si faceva bianca in volto. Tutto sommato, poteva anche funzionare...
Però Ade era già arrivato ai piedi della gradinata e ci fissava con uno sguardo folle e omicida stampato in volto, mentre i corvi roteavano nel cielo sopra di noi. Gli bastò battere solo un piede a terra. Dalla punta del suo sandalo si aprì una crepa vertiginosa che corse verso di noi, spalancandosi in una voragine che divise in due la pista da ballo, separando con uno schiocco Ezra da Persefone.
Lingue di tenebra fuoriuscirono dal baratro come tentacoli neri e mi circondarono le caviglie tanto improvvisamente che non riuscii a schivarle. Caddi pancia a terra con un urlo di dolore, atterrando sulle costole fratturate, e artigliai l'erba ficcandoci le unghie per restare aggrappato, mentre i tentacoli mi tiravano dentro l'abisso. «EZRA!» urlai, sollevando una mano verso di lui.
«NO!» Si tuffò verso di me. Le nostre dita si sfiorarono... E con un incontro di palmi riuscirono ad intrecciarsi. Eppure, invece che trarmi in salvo, fu lui a venir trascinato dentro insieme a me.
Sopra le nostre teste l'abisso si richiuse e venimmo risucchiati dalle tenebre.
❖ ❖ ❖
*NDA - L'angolo notturno dell'autrice (s)cuffiata*
Hola a tutti!
Ma perché ogni volta che scrivo e ho bisogno di musica, mi ritrovo sempre con le cuffie rotte? Aaah. Ed eccoci ad un altro capitolo in cui mi dico "stavolta non succeranno troppe cose, non scriverò un altro papiro" e invece succedono cataclismi e scrivo il doppio rispetto alla norma. Ammetto che avrei voluto scrivere un altro pezzetto per far finire il tutto con un colpo di scena ANCORA più grosso, ma poi sarebbe diventato ancora più lungo e... no no, vi risparmio il colpo di scena per il prossimo capitolo.
E parliamo del prossimo. Niente spoiler, ovvio, ma ci sarà una SVOLTA. Sto aspettando di scrivere questo capitolo da anni. Seriamente. Tipo il mio cervello: *nel 2018* "quando scriverò quel capitolo finalmente mi sentirò meglio" *e torniamo al 2022* "finalmente". Lo farò uscire sicuramente quanto prima, visto che mi prudono le mani per la voglia di scriverlo eheh.
Alla prossima <3
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