27. L'Assassino e gli amanti
«Ho sognato di te
come si sogna della rosa e del vento.»
- Alda Merini
L'incredibile si unì all'impossibile e divenne reale. Divenne vero.
Quell'istante prese forma, migliore che in qualsiasi mio sogno, che in qualsiasi mia speranza, e mentre il fiato mi si mozzava in gola e gli occhi mi si riempivano di lacrime, continuavo a correre verso di Lui come a rallentatore. Tutto quello che avevo passato, tutti gli orrori che avevo subito, diventarono cenere che si polverizzò non lasciando nient'altro dietro di sé che quella speranza.
La nostra vita mi passò rapidamente davanti agli occhi.
Lui che mi faceva cenno di mantenere il segreto del suo furto davanti al banco di un gioielliere. Lui che mi studiava e riconosceva, appena entrato nella Fortezza dell'Assassino. Lui che mi prendeva in giro, sghignazzando, mentre io ribollivo di rabbia ad ogni sua parola, ad ogni suo sorrisetto e sguardo. Lui che mi salvava dal Ballo dell'Orchidea. Lui che mi baciava in carrozza per la prima volta, che mi stringeva fra le sue braccia. Lui che mi regalava gli spartiti dello spettacolo che avevo amato. Lui che, nascosti dentro alle fogne prima del nostro ultimo colpo, mi dichiarava il suo amore. Lui e io a condividere una casa, un tetto, un letto, come mai avevamo fatto. Lui che ricopriva le pareti della nostra abitazione di non ti scordar di me per il mio compleanno. E Lui, sempre e solamente Lui, che si sacrificava per me.
Sentivo ancora il sapore del suo ultimo bacio sulle labbra.
Eppure Yul Pevensie era lì. Finalmente era lì.
Circondato da cieli stellati e nastri di seta bianca e azzurra. I veli ondeggianti del baldacchino su cui era steso sembravano respirare dolcemente mentre accoglievano e rilasciavano una brezza gentile, che profumava di quelle ninfee adagiate sul lago dove il giaciglio del rosso galleggiava senza peso. La valle era illuminata da luci fioche che danzavano nell'aria notturna come tanti piccoli fuochi fatui. Parevano fiammelle bianche che ardevano dentro a bolle di sapone iridescenti.
L'erba ricoperta di papaveri mi solleticava le caviglie, mentre le corolle dondolavano ebbre al ronzio del vento. I petali erano coperti da rugiada che sembrava fatta in minuscole perle di cristallo e il pistillo brillava d'oro dentro ai boccioli rosso sangue. Sembrava un peccato perfino calpestarli, quei fiori, ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era di raggiungere in fretta il baldacchino.
Lì, al centro del lago liscio e privo di increspature, come uno specchio in grado di riflettere l'immensità del cielo stellato sopra di noi, c'era il letto più grande e lussuoso che avessi mai visto, con lenzuola di seta bianca e grossi cuscini azzurri, con la seta cangiante che sembrava baluginare di verde o di viola ad ogni svolazzare di fiammelle e sfrecciare di lucciole.
Nel profondo remoto del mio essere, sentivo che c'era qualcosa di strano. La voce della ragione dentro di me non faceva altro che sussurrarmi che era troppo facile, che non potevo averlo già trovato. E' troppo facile, Helias. Ma la zittii velocemente, quando raggiunsi il fianco del letto e due muscolose braccia d'avorio si sollevarono dalla massa di lenzuola per afferrarmi al volo, tirandomi contro di sé. Aveva il torace nudo ma indossava un paio di pantaloni a vita bassa di un blu notte così intenso che, come tutti gli altri colori di quella bizzarra vallata, sembrava scintillare di luce propria.
«Finalmente sei arrivato, amore mio.» La sua voce. La cosa terribile di averlo perso per tutti quegli anni era avere nella testa solo un'eco di come fosse, in realtà, quella voce. Mi sembrava di poter udire ancora la sua risata. Il tono che assumeva quando si arrabbiava. Il suono era proprio lì, incollato dentro alla mente, eppure... In qualche modo mi sfuggiva. Il ricordo era vicino, ma non del tutto raggiungibile e quel suo essere inafferrabile rendeva così doloroso e frustrante non poter risentirla ancora una volta. Almeno una.
Eppure, adesso la sua voce - familiare ed invitante, rassicurante e reale - mi scivolò nei canali uditivi e mi fece singhiozzare. «Yul... Oh Dio...» boccheggiai, seduto a cavalcioni su di lui, una mano sulla sua guancia, lungo la linea dritta del naso, sulla curva della bocca, fra i suoi capelli. Era autentico. Tangibile. Lo potevo sentire sotto alle dita. «Oh mio Dio...»
Mi sollevò e mi fece stendere sopra di lui, in modo che io lo guardassi dritto negli occhi, mentre affondava le dita fra i miei capelli e allargava i riccioli come un ventaglio dorato che ci avvolgeva entrambi. Quando alzò lo sguardo incrociando il mio, fui folgorato da due impressionanti occhi blu scuro che sembravano essere stati tagliati direttamente dal cielo sopra le nostre teste per essere incastonati fra le sue palpebre. I capelli rosso sangue gli incorniciavano divinamente il volto, né più lunghi, né più corti, esattamente come li conoscevo io.
Le labbra carnose atteggiate in un ghigno solitamente irriverente erano stavolta curvate in un sorriso dolorosamente dolce. Fece scivolare le dita lungo il mio volto, ruvide e callose proprio nei punti dove mi ricordavo fossero, lì dove spingeva l'impugnatura delle armi. Poi mi baciò.
E la sua bocca. Oh, la sua bocca.
Quell'impensabile connubio di fresco e dolce, di menta e caramello, mi accolse con la stessa struggente amarezza dell'ultimo bacio, che portava con sé anche il sapore rugginoso del sangue. Ma non stavolta. Questa, c'erano solo quelle labbra travolgenti, passionali, familiari. Labbra che mi permettevano di ricordare il senso del mondo e tutti quegli aspetti così belli che avevo dimenticato, che avevo assopito e atrofizzato durante la mia prigionia ad Ender. Labbra in cui annegai disperatamente, labbra che sapevano di sale perché le mie lacrime le avevano raggiunte.
Ignorai il fatto che baciassero in maniera leggermente diversa da come ricordassi. In fondo, era passato del tempo, no? Ma avrei potuto dimenticare una cosa simile?
Le sue mani d'avorio mi liberarono della veste grezza sollevandomela da sopra alla testa e gettandola oltre il letto, dritta nel lago che si aprì in un piccolo gorgo per risucchiarla, facendola affondare in un oscuro oblio. Nudo sopra di lui, lasciai che le sue mani vagassero sul mio corpo, disegnando morbide carezze sulla schiena coperta da vecchie cicatrici, che non avevano mai avuto la possibilità di guarire. Le percorse con le dita, fino a raggiungermi la nuca, attirandomi verso il basso, contro il suo viso. Ci baciammo ancora. Non aveva senso porre fine a quel bacio: ogni centimetro che ci separava era un ostacolo che doveva essere eliminato.
Poi invertì le posizioni. Mi spinse facendomi sdraiare sulla schiena, con la testa fra i cuscini soffici, e non riuscii a non ridere quando mi troneggiò sopra con quell'aria beffarda e maliziosa, afferrandomi le braccia per tenerle ferme sopra la mia testa. «Yul... Sei davvero tu? Dimmi che lo sei, dimmi che sei tu... Dillo.» mormorai, mentre mi tempestava il petto di baci. Non si alzò a guardarmi, né a rispondermi. Le sue labbra mi avvolsero un capezzolo ed inarcai la schiena, sospirando.
«Yul... Per favore...» soffiai, implorante, ancora con gli occhi velati di lacrime. Era lui. Doveva essere lui. Per forza. «Yul...» Mi prese per i fianchi e non mi accorsi nemmeno che si era tolto i pantaloni: il suo nudo corpo muscoloso, divinamente scolpito, perfetto in ogni suo rigonfiamento, in ogni sua asperità, in ogni avvallamento, curvatura e depressione, scivolò contro il mio. «Aaah-» gemetti, mentre la sua durezza prendeva a strofinarsi sulla mia fessura senza entrare.
«Ovviamente sono io.» sussurrò, curvo sul mio orecchio, anche se sapevo - e non lo volevo ammettere, perché era così bello e così reale averlo qui con me - che era una bugia. Perché era stato troppo calmo e controllato, quando mi aveva visto. Perché lo era ancora. Perché sembrava che fosse un dolce gioco, quello che si stava verificando sotto il baldacchino di veli e nastri color pastello.
E non il ritrovamento di due anime che si erano bramate fino al punto da diventarne una sola, un solo spirito che però era stato dolorosamente amputato in due, separato dalla morte. Era questo che intendevo per ritrovamento. Due parti di un tutt'uno che tornavano ad unirsi. Ma il meccanismo d'unione non era scattato, non come mi aspettavo facesse.
«Sempre e per sempre l'uomo dei tuoi sogni.» continuò, baciandomi le palpebre chiuse, quasi leccando via le lacrime che mi orlavano le ciglia, prima di entrarmi dentro con un movimento lento del bacino. Riconoscevo perfino quella sensazione: il suo corpo dentro di me, il mio che pareva fatto a sua misura. Arricciai le dita dei piedi, reclinando la testa all'indietro mentre stringevo i pugni e separavo un polso dalla sua presa per avvinghiare una mano sulla sua spalla.
C'era sempre stato qualcosa in Yul che faceva ruotare il mio mondo sul suo asse. Anima, corpo, carattere, sorrisi, sesso... Lui aveva tutto.
Entrambi lasciammo andare un gemito quando il contatto fra i nostri corpi si fece più approfondito. Era così bello. Così perfetto. Così caldo e duro. Per un attimo rimasi immobile, sentendolo completamente dentro di me, sapendo che avrei potuto non godere mai più di una sensazione del genere. Perché anche se era lui, al tempo stesso non era lui. E quando avrei scelto di affrontare la realtà e mi sarei allontanato da lì... Accantonai tutto. Non volevo pensarci.
«Muoviti Yul...» ansimai, perché si stava godendo anche lui il mio corpo, ma di conseguenza era rimasto fermo dentro di me fino all'elsa del suo membro.
Ridacchiando beffardo, depose un bacio nell'angolo della mia mascella, dove viso e collo s'incontravano. «Impaziente, affamato Hel...» sospirò, proprio come avrebbe fatto lui. Strinsi i muscoli intorno alla sua virilità, sottraendogli ogni volontà di resistermi. «Ngh-» un mezzo ringhio, arrochito fra le labbra.
Poi si aggrappò a me ed iniziò a pompare dentro e fuori con intensità misurata, stringendo le dita sul mio fianco tanto forte da lasciare l'impronta. Gli avviluppai la vita abbracciandola con le cosce, le caviglie incrociate sul suo fondoschiena marmoreo, contratto mentre spingeva contro di me. Spostò le dita e ben presto iniziò ad accarezzare la mia erezione, lasciando strisciare le dita dalla punta fino alla base. Roteai gli occhi all'indietro.
«Non- Asp... Oh-» gemetti, cercando di fermarlo, perché altrimenti sarei venuto troppo presto, ma lui aumentò la velocità delle spinte contro di me, fino a lasciarmi senza fiato, ad aggrapparmi ai cuscini e a contorcermi sotto di lui, coi fianchi che rispondevano ai suoi colpi andandogli incontro senza che la mia testa lo comandasse.
«Avanti.... Vieni.» sospirò, scrutandomi con occhi blu talmente carichi di lussuria da farmi perdere il lume della ragione molto prima di raggiungere l'orgasmo. «Vieni per me.» soffiò, ed io non potei fare niente per trattenermi oltre. Il piacere mi travolse in una scarica di brividi e di fulmini, meravigliosamente, facendomi tremare come se covassi il terremoto dentro. Gli sporcai la mano e il petto, e lui rise con quel suo fare beffardo e compiaciuto, quasi avesse vinto una sfida fatta con se stesso.
«Dannazione... Yul..» mugolai, raddrizzandomi sui gomiti, mentre lui leccava via i rimasugli del mio seme dalle dita, guardandomi con una tale concupiscenza che tornai duro con una tale velocità da risultare imbarazzante.
Roteando su di sé, spostò le posizioni in modo tale che fosse lui quello appoggiato sul materasso, la schiena adagiata fra la moltitudine di cuscini e il viso piegato per guardarmi dal basso. Io ero a cavalcioni su di lui, la sua erezione ancora dentro di me, fino a colmarmi completamente. Toccò qualche punto particolarmente sensibile, al mio interno, e prima che urlassi di piacere lui si piegò su di me fino a far toccare il nostro petto, soffocando il suono con un bacio. Un bacio così sensuale che avrei potuto venire di nuovo solo per quello.
«Il mio Bel Coraggioso... Siamo fatti l'uno per l'altro, lo sai.» sussurrò roco, con le labbra umide a qualche centimetro dalle mie, che si spostarono sul mio collo lasciando qualche piccolo segno rosso, che sulla mia pelle candida sembrava stesse seminando uno dei tanti tulipani che s'affastellavano nella valle intorno a noi.
«Ma tu non sei lui.» sospirai, con un tono che non aveva niente di interrogativo ma assomigliava ad una semplice, recondita certezza. Perché sapevo bene che fare l'amore con Yul - il vero Yul - aveva un altro sapore. Anche se questo ci si avvicinava molto bene.
«Eppure, posso essere lui ogni volta che lo vuoi.» disse, con un sorriso furbo ed invitante che gli disegnò quelle adorabili fossette sulle guance. Le accarezzai con la punta delle dita, come non facevo da anni, e una fitta di nostalgia e struggimento mi fece dolere il cuore. «O posso essere anche altri.» Avvicinò il suo viso al mio, toccando le mia bocca con la sua, che divenne più sottile mentre la baciavo, mentre le guance si incavavano leggermente, lasciando sparire le fossette per sostituirsi con più lineamenti affilati rispetto ai precedenti.
«L'altro che ti piace tanto...» disse una voce diversa, dura, cavernosa. Quando mi tirai indietro, a guardarmi c'erano un paio di occhi viola ametista. Sgranai le palpebre, sorpreso da quel cambiamento, che era tutt'altro che illusorio. Lo potevo sentire sotto le dita - e anche dentro di me - ed era assolutamente tangibile, quel cambiamento.
«Ma come...?» bisbigliai, prima che mi afferrasse rudemente i polsi per tirarmi verso il basso, facendo entrare il suo membro nel mio corpo fino all'ultimo centimetro. Ansimai, sobbalzando sul suo corpo in risposta alle spinte del suo bacino, su cui sedevo ancora a cavalcioni. Incapace di comprendere che cosa volesse da me, incapace anche solo di formulare un pensiero di senso compiuto ormai, lasciai che rotolassimo su un fianco, con le gambe intrecciate come le nostre membra bollenti.
Con Yul potevo essere il ragazzo di una volta, il vero me stesso, con tutte le mie gioie e tutti i miei dolori. Con Ezrael potevo essere chiunque, il principe, o l'assassino, o il pirata... Il perdente o il vincitore, senza conseguenze. Eppure, l'unico uomo che amavo era sempre e soltanto il mio rosso.
«O forse lui?» continuò l'uomo, quasi mi avesse letto nella mente: sotto le mie mani, le spalle s'ingrossarono e la pelle si scurì fino a raggiungere un chiaro color caffellatte. Trattenni il fiato, mentre affondavo le mani in una zazzera di riccioli nero mezzanotte. «Lui ti ha amato tanto, sai?» disse, con un forte accento esotico.
«Selim?» Il Sultano di Costantinopoli era stupendo quasi fosse uscito da una fiaba, non lo avevo dimenticato. La sua pelle calda profumava d'incenso e sandalo e i suoi baci sapevano di spezie dolci e un po' piccanti. Mi prese il volto fra le mani, con la stessa delicatezza con cui avrebbe potuto tenere un gioiello, una tazzina di porcellana.
«Sei stupendo, mio Bel Temerario.» soffiò con la sua voce arabeggiante che portava con sé l'aria misteriosa del deserto di notte. Era bello vederlo, anche se mi faceva male, perché ricordavo esattamente il modo in cui ero stato costretto a spezzargli il cuore. Gli avevo portato via un consigliere. Gli avevo portato via una madre. E, infine, gli avevo portato via un amato, lasciandolo completamente solo. Mi chiesi quale fine potesse aver fatto e sperai, in cuor mio, che avesse avuto più fortuna di me.
Mi spinse nuovamente sotto di sé, le braccia tese ai lati della mia testa, ingabbiandomi. «O forse è lui quello che ti piace, visto quanto l'hai sempre desiderato?»
Emisi un verso soffocato, simile al suono che produci quando qualcuno ti strangola e tu vuoi chiedere aiuto ma non ce la fai in tempo. Gli occhi si affusolarono in una forma vagamente a mandorla, mentre le iridi divennero d'oro scintillante. La pelle, tornata di un chiaro color latte, sfoggiava un deciso contrasto con i capelli nero pece, ondulati appena, lunghi fino alla nuca. Li portava sempre legati, ecco perché fu strano vederli così sciolti intorno al viso.
«No...» Le mie mani, ancora ferme sul petto di quello che era il Sultano di Costantinopoli, sentirono la saldezza dei suoi muscoli pronunciati e la ruvidità delle numerose cicatrici che invece di rovinarlo, gli conferivano ancora più fascino. Il mio mentore era lì, nudo, dentro di me, in una situazione in cui mai eravamo stati.
Alaister Noir. «Non lui!» annaspai, aggrappandomi alle lenzuola per cercare di mettermi seduto e di farlo uscire dal mio corpo. I suoi occhi gelidi si affilarono mentre le labbra carnose si piegavano in un sorriso ferino, crudele allo stesso modo di sempre.
Mi tornò in mente tutto quello che aveva fatto. Ingannarmi e farmi lavorare per una schiavista, cosa che mi aveva portato ad ammazzare una delle poche persone a Darlan che avrebbe lavorato per salvare schiavi e ribelli. Prendere i miei soldi e quelli di Yul, usati per comprarci la libertà, e spenderli in una sola notte con Lysandro. Toglierci ogni possibilità lavorativa, il che ci aveva costretto a rischiare con la missione ad Ender. Anche se avevo origliato i suoi discorsi e avevo sentito che ci avrebbe salvato, alla fine non era venuto.
E sapevo che, se l'avesse fatto, avremmo vinto. Però non era venuto.
«Lo hai voluto, ma ora lo detesti...» continuò, con quella voce elegante e fredda, prima che ritornasse ad essere quella così familiare ed irresistibile di Yul Pevensie, che sorrise. «Mio Bel Tormentato. Odio vedere qualcuno soffrire, tu più di ogni altro.» Mi prese le mani e se le portò alle guance, curvando il viso per baciarne i palmi. «Resta qui con me e diventa il mio Re. Realizzerò tutti i tuoi sogni.»
Poi mi afferrò per le natiche e mi spinse di nuovo contro di sé, ricominciando quella danza carnale: dentro e fuori, ancora e ancora, fino al punto da sentirmi implodere. Fino a dover pregarlo di farmi venire una seconda volta. Allacciai le mani dietro alla sua nuca e allargai le cosce per permettergli di muoversi meglio, scivolando insieme a lui fra le coperte per andargli incontro.
«Yul.. Aanh-» sospirai con forza, graffiandogli la pelle su cui però non rimase alcun segno, raggiungendo di nuovo l'orgasmo, stavolta insieme a lui, che era uscito fuori e aveva riversato il suo piacere sul mio corpo, sporcandomi. Senza fiato, tornai a respirare piano, ancora scosso in piccoli spasmi di goduria.
Lentamente, mi si adagiò accanto, su un fianco, il volto sollevato e sorretto da una mano, il gomito che puntellava un cuscino, gli occhi intensi che continuavano a fissarmi mentre io facevo lo stesso. «Dimmi chi sei.» sussurrai, allungando una mano per sfiorargli il petto. Il cuore batteva piano sotto alle mie dita, anche se indossava il volto di un ragazzo morto, a cui avevo sentito quello stesso cuore spegnersi. Dovetti trattenere le lacrime per l'ennesima volta.
«Ho già detto che sono l'uomo dei tuoi sogni, mio Bello.» Increspò le labbra in un sorrisetto irriverente. «Dovresti chiedermi, piuttosto, qual è il mio nome.» Sbattei le ciglia, annuendo col capo, perché era esattamente quello che intendevo scoprire. «Sono Morfeo.» Allungò la mano per accarezzarmi un ricciolo biondo, spostandolo dagli occhi verso una tempia. «Sei nella mia umile casa.» produsse una risata bassa e vibrante, a cui mi accodai anche solo per il piacere di ridere con Yul. Chiamarla casa sarebbe stato un eufemismo, comunque.
Era una collina di papaveri che si perdeva a vista d'occhio su un orizzonte di stelle, con quel lago di ninfee bianche e quel singolo letto che galleggiava miracolosamente sull'acqua. Non c'erano mura, solo una brezza gentile e profumata e la sensazione di assoluta libertà in quell'universo di magia. Morfeo mi prese fra le braccia e mi cullò gentilmente, posando la mia testa sulle sue gambe e continuando a far scivolare le dita fra i miei capelli, in una coccola riposante.
«Adesso dormi, sei così stanco e così provato da tutto ciò che quegli animali ti hanno fatto...» sussurrò, lasciando scorrere le falangi sulla mia fronte. Sentii le palpebre farsi pesanti, eppure avevo paura a chiudere gli occhi. Non potevo fidarmi di nessuno, nemmeno di questo essere così strano e particolare, così calmante e familiare. «Sei al sicuro nella mia casa, dormi e resta con me, almeno per questa notte.» Temevo che, quando avessi riaperto gli occhi, lui non sarebbe stato lì con me.
«Non vado da nessuna parte...» continuò, a voce sempre più bassa, un flebile sussurro di velluto. «Dormi.» E quando lo disse, caddi finalmente addormentato fra le sue braccia, un sonno profondo ma rassicurante in cui non esistevano incubi, ma solo speranze.
❖ ❖ ❖
Mi risvegliai lentamente, cullato dal sentore dei fiori e dalla morbidezza setosa di grossi cuscini imbottiti, che mi circondavano il viso come un nido accogliente. Non dormivo così bene da quando avevo lasciato la mia piccola ma confortevole casa a Skys Hollow, quella comprata a poco prezzo sopra un magazzino e condivisa con l'uomo che amavo.
Non appena mi ricordai di lui, mi tirai a sedere: cercai con gli occhi quello che non era Yul, ma che gli somigliava come una goccia d'acqua, eppure non era sul letto. Mi spostai sul bordo del materasso morbido, scostando i veli azzurri per guardare l'orizzonte notturno oltre il baldacchino.
Sollievo amalgamato allo stupore mi fecero battere il cuore, quando vidi Morfeo nuotare con possenti bracciate dentro al lago, fermandosi solo quando ne ebbe raggiunta la riva opposta. Posando i gomiti sul bordo muschioso ricoperto di papaveri, si ravvivò i capelli rosso sangue zuppi d'acqua oltre la fronte ed immediatamente dopo si volse a guardarmi. Un sorriso radioso ed irresistibile gli aprì le labbra fino a mostrare i denti, accompagnato dalle consuete fossette. Sospirai, sentendo il cuore fare una capriola, mentre lui mi fece cenno con la mano di seguirlo, di andare verso di lui.
Abbassai gli occhi sul lago, tentennando, diviso a metà fra l'urgenza di raggiungerlo e il mio poco amore per l'acqua: a stento sapevo nuotare. Mentre affrontavo il serpente Apophis e anche all'arrivo nei Regni del Caos, ce l'avevo fatta per adrenalina, disperazione e fortuna. Ma l'acqua e io non eravamo alleati, per niente. Sollevai gli occhi su Morfeo, che annuì con un cenno rassicurante del capo e continuò a tenere la mano tesa verso di me, senza darsi per vinto.
Mi arresi: mi misi a sedere sul ciglio del letto e con cautela toccai il pelo dell'acqua. Lì dove il mio alluce si era posato, una serie di anelli concentrici avevano iniziato ad aprirsi e allargarsi. Eppure, il mio piede non affondò, trovando invece una superficie solida su cui posare, contrariamente alle apparenze. In piedi, camminai sul lago senza affondare e proseguii verso di lui, che mi guardava e mi aspettava. Quando fui a pochi metri dal raggiungerlo, lentamente l'acqua si aprì e mi lasciò gradualmente cadere.
Morfeo mi prese al volo prima che sprofondassi sott'acqua, avvolgendomi con le sue braccia muscolose e stringendomi in quell'abbraccio. Avevo la sensazione che quell'uomo mi conoscesse almeno quanto lo faceva Yul. Sapeva quali erano i miei sogni, conosceva anche i miei incubi, e nonostante quello mi amava lo stesso. Anzi, dal modo luminoso in cui i suoi occhi mi osservavano, sembrava mi adorasse.
«Eri così bello mentre dormivi che avrei voluto svegliarti con un bacio.» esordì, tenendo fede alla promessa perché mi baciò adesso. Il buon senso diceva di allontanarlo, perché non era il vero Yul. Stava solo usando la sua faccia per irretirmi. Tuttavia, non riuscii ad evitare di circondargli il collo fra le braccia e ricambiare, schiudendo le labbra per incontrare la sua lingua, che s'intrecciò avidamente alla mia, mentre mi spostava di schiena contro al bordo del lago. Spostò la bocca sul mio collo, ricalcando i segni che mi aveva già procurato per poi spostarsi sui capezzoli, che venerò avidamente succhiando e mordicchiando.
Mugolai, chiudendo gli occhi, il corpo che si riempiva di eccitazione ancora una volta. Poi mi sollevò per la vita e mi posò sulla riva alta. Seduto, mi aprì le ginocchia e le mie nudità esposte si ritrovarono all'altezza del suo viso. Avvampai davanti allo sguardo ardente che mi indirizzò dal basso, prima di afferrarmi le cosce e posarsele sulle spalle. Tornò a vezzeggiarmi la pelle: morsi, baci, risucchi tempestavano l'interno coscia, finché non arrivò a lambirmi l'intimità con la bocca.
«Ah! Yul!» gemetti, infilando le dita fra i suoi capelli rossi. Incapace di restare seduto, abbandonai la schiena sulla riva, sentendo i petali di papavero setosi contro la pelle nuda. La sua bocca mi divorò molto lentamente, con quel desiderio vorace ma che non richiedeva alcuna fretta, perché mi voleva gustare fino all'ultimo secondo e fino all'ultima goccia.
Lo sentii succhiare ancora e ancora e ancora. Annaspai, sentendo le sinapsi del cervello saltare una ad una, i pensieri implodere e perdersi fra le lucciole che mi piroettavano davanti al campo visivo, prima che io chiudessi gli occhi e mi lasciassi andare, venendo dentro alle sue labbra. Liberò il mio sesso leccandosi la bocca carnosa e ridendo appena, soddisfatto. Quindi mi tirò nuovamente nell'acqua e mi aiutò a lavarmi, senza lasciarmi andare, forse consapevole del fatto che non fossi un bravo nuotatore. Mi ricordò la prima volta fra me e Yul: quando lui si era infilato nella mia camera, dentro al mio bagno, e si era messo ad insaponarmi finché io non mi ero fatto sedurre.
Mi sentivo così strano, mentre lo guardavo in faccia e vedevo il mio bell'assassino dai capelli fulvi. Era come vivere dentro ad un sogno, dentro ad una fantasia. Mi attirò fuori dal lago e, facendo strisciare un dito sul mio petto, come per magia fui coperto da un peplo che era un morbido sbuffo di velo blu notte, trasparente. Scintillava alla luce delle fiammelle che ci avvolgevano.
Mano nella mano come una coppia di amanti, passeggiammo per il colle ricoperto di papaveri, finché non raggiungemmo un'enorme e possente quercia, i cui frutti sembravano racchiusi in dei tondi bozzoli di vetro luminoso. Un tappeto di grandi e soffici cuscini azzurri si stendeva alle sue radici e Morfeo andò a sedersi, accogliendomi sul suo grembo. Allungò un braccio verso i rami più bassi, staccando un frutto che, quando venne reciso dal ramo, esplose come una bolla di sapone. Al suo posto, sul palmo dell'uomo c'era un sontuoso muffin al cioccolato, con una montagnetta di crema al burro tempestata da perle dorate.
Nella Casa della Sapienza avevo mangiato della cucina squisita, ma non mangiavo cibo come quello che il rosso sorreggeva sul palmo da anni, dai tempi delle salette raffinate da tè a Skys Hollow. Spalancai le labbra, sinceramente sorpreso. «Tutto per te, amore.» mi mise il dolcetto fra le mani e staccò un altro frutto, che divenne una coppa di cristallo piena di fragole fino all'orlo. Un terzo frutto si tramutò in un calice di vetro soffiato pieno di vino rosso, denso e corposo, che profumava d'amarena. Quando morsi il muffin, il sapore del cioccolato banchettò con le mie papille gustative facendomi vedere il paradiso. Sospirai.
«Non capisco perché stai facendo questo per me...» Dopo tutto quello che avevo passato, sembrava un piccolo angolo di Paradiso inaspettato.
«E' passato molto tempo da quando ho avuto un ospite. E tu non sei un ospite qualunque.» Mi baciò il collo teneramente. «Conosco i segreti della tua mente. So quello che ami. So quello che temi.» Avrebbe potuto distruggermi, proprio per quello. «Te l'ho detto: voglio che diventi il mio Re. Resta con me, stanotte.» Ero già rimasto lì la notte prima, mi dissi. E lui mi lesse nella mente. «Qui nell'Oltretomba, ogni notte è per sempre.»
Per un lungo, meraviglioso istante, mi concessi il lusso di immaginare la mia vita insieme a Morfeo, che era l'incarnazione di Yul perché letteralmente interpretava l'uomo dei miei sogni. Avrei vissuto notte dopo notte insieme a lui, dimenticando l'idea folle di combattere un nemico del tutto fuori dalla mia portata. Non ci sarebbero stati più pericoli, avrei dimenticato le ombre oscure del mio passato. Avremmo fatto l'amore, mangiato cibo delizioso e riso fino ad un'alba che non sarebbe mai arrivata.
Si avvicinava in maniera pericolosa alla vita che desideravo con Yul nel Continente Meridionale, quella che ci era stata portata via. Ma era proprio quello il punto: Morfeo non era Yul. Assomigliava a lui, si muoveva, rideva, parlava come lui. Ma non era lui.
«Tu sei la migliore delle droghe.» ammisi, col cuore gravido di sofferenza. Se solo avesse potuto essere lui... Avrei lasciato tutto. Astrea, la profezia, la volontà di mia madre, i miei sogni su Yaakov e Qiana, i miei piani col principe Adrian. Perfino Ezra. Avrei scelto una vita da codardo, se lo era accanto al mio amore. «Ma non posso restare qui.» conclusi, bevendo da una coppa d'argento una bevanda dolce e dorata che sapeva di latte e miele. «Ci sono troppe cose che devo portare a termine.»
«Cose terribili.» rispose, assumendo un'espressione grave. «Cose troppo pericolose.» Era sinceramente preoccupato. «Il Redivivo segue ogni tuo passo.»
Mi irrigidii, sentendomi gelare solo a sentirlo nominare. «Come lo sai?»
Sorrise placidamente. «Vedo i sogni di molti.» Mi accarezzò le gambe coperte dal peplo. «E so quanto orrore ti aspetta ancora.» La sua mano si fermò, dopo, sotto al mio mento, sollevandomi un poco il viso per guardarmi negli occhi. «La tua missione è nobile e il tuo amore è intoccabile. Ma tutto quel sangue? E' un prezzo folle da pagare.» Mi spazzolò dal labbro superiore una briciola di muffin. «Resta qui con me. Nella mia casa sei al sicuro da ogni pericolo, là fuori no. L'unico scopo del Redivivo è seminare il male e divorare i vivi per far pullulare la morte, anche se dovrebbe restare confinata nell'Oltretomba. E desidera usarti e poi distruggerti.»
«Riconosco che sia spaventoso...» E ammetterlo, per me, era già dare soddisfazione a quel mostro. «... Ma non posso stare fermo qui a non fare niente, mentre l'uomo che amo è chissà dove. Forse in pericolo, proprio in questo momento.» Finalmente abbassai gli occhi sul mio palmo, come non avevo fatto per tutto questo tempo: doveva esserci un frammento dell'Osso, la spada che mi avrebbe aiutato a sconfiggere mio padre. Avevo un dovere anche nei confronti di mia madre, che era morta per proteggermi. Io avrei dovuto proteggere la sua gente.
Morfeo sospirò, prima di sorridere tristemente. «Mio Bell'Intrepido. Ora ti desidero ancora di più.»
«Aiutami, Morfeo.» Sollevai una mano per posarla sulla sua guancia. «Devo trovare un altro frammento della spada con cui ucciderò il Redivivo.» Ricordai i versetti che per necessità avevo imparato a memoria. La pelle del Caos era già stata guadagnata. Ora cosa restava? «La testa del buio. La piuma del capro. La mela delle fiamme. La maschera di sangue.» elencai, riflettendoci. «Non so nemmeno in che regno siamo.»
«Sei nell'Ade.» rispose, storcendo le labbra in una smorfia. «E penso di sapere che cosa sia la testa del buio.» Aprii bene le orecchie. «E' l'elmo dell'oscurità che appartiene al signore dell'Oltretomba... Ade, per l'appunto. Gli permette di diventare invisibile.» Notizia non del tutto buona. Come si ruba qualcosa che non si può vedere?
«Come faccio ad arrivare a lui?» Era il secondo problema. Nella Duat, nonostante ciò che mi era capitato, avevo avuto fortuna: io ero direttamente capitato nelle mani del Signore dell'Oltretomba ed Ezra era finito a lavorare per chi, fra tutti, possedeva più informazioni. Immaginavo che non avremmo avuto la stessa fortuna stavolta.
«Non vorrei dirtelo.» Distolse lo sguardo mentre rifletteva sulla richiesta che gli avevo appena posto. Sorseggiò il vino dentro alla sua coppa e le sue labbra scintillarono, rosse.
«Per favore, Morfeo.» sbattei le ciglia, accarezzandogli il petto. Finalmente sorrise, con quelle due fossette, come divertito nel constatare che gli stavo facendo gli occhi dolci per farlo parlare.
«Non serve usare trucchi con me, mio Bello.» sfiatò, accarezzandomi dolcemente i riccioli, prima di tornare serio. Vedevo quell'espressione sul volto di Yul solo quando parlavamo di noi stessi, del nostro passato, delle nostre ferite. Quando ascoltava pazientemente le mie disavventure e, a volte, con le missioni che si prendeva a cuore. «Ade organizza spesso delle feste nella sua residenza nei Campi Elisi.»
Finii la bevanda dorata dentro alla coppa, osservandolo attentamente. «Ovviamente l'accesso agli Elisi è esclusivo a pochi individui eletti, che hanno dimostrato in vita di essere davvero eccezionali.» continuò, mentre piegavo la testa di lato, seguendolo con attenzione, come quando Alaister mi illustrava tutti i dettagli di una missione. «Ed ecco che arriva la parte problematica. L'unico modo che ti consente di entrarci è vincendo i combattimenti nell'Arena del Tartaro.»
«L'Arena del Tartaro... Sembra una cosa interessante.» esclamai, con un sorrisetto che iniziava a colorarsi pericolosamente di furbizia. Morfeo strinse la presa del mio corpo.
«Non lo è. E' il luogo dove si riuniscono molte fra le creature più pericolose di tutto l'Oltretomba. Nemmeno il mio peggior nemico dovrebbe finire lì.» Strinse gli occhi, teso. «L'ultima persona che dovrebbe metterci piede sei tu. Alcuni potrebbero conoscerti.» Mi lanciò uno sguardo preoccupato. «Altri, potrebbero perfino lavorare per il Redivivo.» Mi prese il volto fra le mani. «E tutto il resto di quei mostri non vedranno l'ora di divorarti.» Un'ombra pesante gli scuriva gli occhi blu. «Sei troppo Bello per finire lì.» Mi avvolse stretto a sé e il profumo di menta tipico di Yul fu un ottimo modo per dissuadermi. «E' troppo pericoloso. Resta.»
«...Come vinco?» sussurrai molto piano sulla sua pelle, e la sua stretta si allentò un poco.
«Convinci i Titani, coloro che detengono il potere nell'Arena. Sconfiggi tutti i nemici e non abbassare mai la guardia. Mai.» Quasi mi era passata la fame, visto il modo fatale con cui ne parlava, come se si trattasse di vita o di morte. Sicuramente era così. Ma l'atmosfera da sogno rendeva perfino quel pericolo remoto, lontano.
«Se vinco nell'arena... Se riesco a rubare l'elmo di Ade...» Ed erano degli enormi, giganteschi, pachidermici se. «... Come me ne vado da questo regno?» Sempre ammesso che lo avrei lasciato da vivo.
«Sei sempre più ambizioso, mio Bel Coraggioso.» mi guardò dalla testa ai piedi con un'occhiata ammirata. «Uscire dall'Ade è l'impresa più difficile di tutte.» Iniziavo quasi a sentire la mancanza delle sevizie di Osiride. «Devi scendere nell'Erebo, un punto perfino più profondo e oscuro del Tartaro. Interroga le Parche. Se sarai convincente forse ti lasceranno passare.»
La lista di se, forse e ma stava iniziando ad allargarsi in maniera sempre più vertiginosa. Storsi le labbra. Non potevo sperare in nessun Dio e in nessun miracolo. Sapevo solo che dovevo farcela: questo era il prezzo da pagare se volevo riavere Yul. Il prezzo da pagare se volevo vendicarmi di mio padre.
«Sei ancora sicuro di voler andare?» disse Morfeo, leggendo nel mio cuore le incertezze che lo attanagliavano. Sospirai.
«Sicurissimo.»
❖ ❖ ❖
Nell'Oltretomba, ogni notte è per sempre.
Eppure, una volta definiti i contorni della nuova missione, era già arrivato il momento di prepararsi e mettersi in moto. Non avevo idea di dove fosse finito Ezrael e cercarlo era in cima alla lista dei miei obiettivi. Avevo passato una dose massiccia del mio tempo a farmi spiegare da Morfeo tutto ciò che mi serviva sapere sull'Ade. Come spostarmi, quali percorsi fossero i meno pericolosi, di chi dovevo maggiormente preoccuparmi e di come fosse il Signore dell'Oltretomba che governava questo regno.
Era stato premuroso e gentile come un vero amante, quasi fosse il vero Yul, di cui sfoggiava il viso. Ero io a guardarlo come tale? O forse era lui che non possedeva volto, se non quello desiderato dalla persona che lo guardava? Magari era per questo che amava così tanto gli ospiti. Perché senza di loro, non aveva un'identità.
Pronto per la partenza, mi aveva magicamente vestito di un peplo scuro: le bretelle di tessuto drappeggiato si abbottonavano sulle spalle mediante una fibbia d'argento scintillante, come lo era quella della cintura che mi stringeva la vita. Aveva anche un cappuccio ed era lunga alla coscia, comoda e forse anche po' troppo ariosa, lì sotto. Dovevo solo abituarmi, immaginai. Gli avevo chiesto un paio di pantaloni, ma a quanto pareva non sapeva di cosa stessi parlando. Anche se lui stesso ne indossava un paio: probabilmente era il mio modo di guardarlo che condizionava come fosse vestito.
Mi aveva fornito poi una sacca piena di cibo, insieme ad una grande borraccia di pelle ricolma di quella bevanda d'oro dissetante. Si era perfino premurato di disegnarmi una mappa. L'unica cosa che mi mancava - estremamente fondamentale - era un'arma. Eppure, la magia di Morfeo non generava nulla che provocasse violenza, anche se serviva per difendermi. Ecco perché la mia strategia sarebbe stata quella di ottimizzare i poteri degli straeliani contenuti nei miei braccialetti e muovermi furtivo. Potevo farcela.
In piedi sul pelo dell'acqua, con i sandali di cuoio e argento circondati dalle ninfee, volsi il mio sguardo color ghiaccio verso l'uomo che mi aveva coccolato in questa notte infinitamente lunga. I capelli rosso sangue, gli occhi blu notte, le labbra carnose dall'irresistibile ghigno beffardo. Una fitta di dolore tanto forte da farmi piegare in due mi colpì il cuore, ma restai stoicamente piantato sulle gambe. Anche se mi si stavano velando gli occhi di lacrime. Maledizione.
«Era tanto tempo che non dormivo così bene.» sospirai, rivolgendogli un sorriso ammantato di malinconia. «Il tuo letto caldo è il più accogliente.»
«Ne sono lieto.» disse, con un luccichio dentro agli occhi. Occhi di un uomo che avrei potuto anche non rivedere mai più. Boccheggiai, esitando: che senso aveva andarsene? Avevo Yul proprio lì! Avevo un posto da sogno sicuro da chiunque, per sempre. Cibo a volontà e la prospettiva di una vita eterna senza nessun problema al mondo. Mi si chiuse la gola in un nodo e dovetti impegnarmi per ritrovare lo stesso ostinato coraggio che mi aveva spinto a dire di no a quella vita idilliaca.
«Sono pronto.» tagliai corto, prima di esitare ancora. L'altro annuì, sollevando la mano: l'acqua sotto ai miei piedi iniziò ad incresparsi, pronta ad aprirsi in una voragine che mi avrebbe inghiottito. «Aspetta!-» Senza alcun preavviso corsi verso di lui: mi afferrò al volo e, fra le sue braccia, mi abbandonai ad un ultimo bacio, prima di andarmene.
Un bacio di addio, che sapeva di menta e caramello esattamente come il primo che io e Yul ci eravamo dati.
❖ ❖ ❖
*NDA - L'angolo in slow down di un'autrice insonne*
Hola a tutti!
E dai, un po' lo sapevate che non era Yul, suvvia, non vi arrabbiate con me! u.u (Vabbe'...). Sto sviluppando una specie di ossessione per le canzoni in versione slowed, che sono la mia colonna sonora di ogni capitolo. Ma rallentato è tutto migliore! Cretinate a parte, finalmente Helias ha avuto un pizzico di gioie (o è solo la quiete prima della tempesta). E' stato bello scrivere il cameo di Selim, quel tenero personaggio bistrattato! Vi fidate se vi dico che un giorno tornerà? *coff coff*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima ~
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