23. L'Assassino e l'arrivo
«Quando un uomo vuole qualcosa, deve essere consapevole di stare correndo un rischio. Ma è proprio questo a rendere la vita interessante.»
- Paulo Coelho
«Calma e sangue freddo.» mi imposi, massaggiandomi le tempie fra le dita, in cerca di una soluzione funzionale che ci avrebbe permesso di uscire da quel posto orribile e torturante. Poi spalancai le labbra e sgranai gli occhi. «Ma certo! Che stupidi a non averci pensato subito!» esclamai, battendo un pugno sul palmo.
Certe volte le soluzioni più efficaci erano quelle che ti stavano proprio sotto agli occhi. Ciò che le mie iridi color diamante stavano inquadrando adesso, era il braccialetto di piccoli cristalli allacciato intorno al mio polso. «Abbiamo ancora il teletrasporto!» esclamai, piegando le labbra in un ghigno che era sì furbo, ma anche sollevato.
Ezra, che fino ad allora aveva picchiato i pugni contro la porta d'ingresso, si voltò per lanciarmi uno sguardo che andava dall'approvazione alla speranza. Calciando via i resti delle poltroncine che avevo lanciato contro alla finestra per sfondarla senza successo, ci incontrammo a mezza strada nell'androne, prendendoci vicendevolmente le mani. «Penserò io al luogo dove teletrasportarci. Tu non pensare a niente.» mi avvisò. Pensare a nulla era assolutamente impossibile, ma mi sforzai di svuotare la mente.
Chiusi gli occhi, corrugando la fronte, in attesa di sentire quel familiare senso di vertigine che m'investiva quando ci spostavamo di colpo da un'altra parte grazie all'ausilio della magia. E l'incanto avvenne: il luccichio viola che precedeva la nostra sparizione crepitò nell'aria in un piccolo lampo. Effettivamente svanimmo, e fu tutto rapido quanto battere le palpebre, esattamente come ricordavo.
Quando aprii gli occhi, capii subito dove ci eravamo materializzati. Poltroncine, tavolini, un bancone dietro alla cui parete era appeso un armadietto di legno con tante chiavi. Non ci eravamo spostati affatto. Nemmeno di un millimetro. Eravamo scomparsi solo per riapparire esattamente lì, nell'atrio dell'hotel infestato dai mostri del nostro passato.
«Perché non ha funzionato?» domandò l'albino, digrignando la mascella. Avrei voluto saperlo anch'io.
«Troveremo un'altra via d'uscita.» mi sforzai di essere positivo. Anche se sentivo ancora il sapore del vomito in bocca e la sensazione del sangue versato sulle mani. Anche se l'uomo che mi aveva schiavizzato da piccolo era solo un frutto malato di questo posto, ed io non avevo accoltellato altro che aria. Eppure era sembrato così maledettamente reale: la consistenza e la durezza del suo viso, quando gli avevo affondato il pugnale in faccia, il calcio che mi aveva tirato in pieno stomaco, la sua voce odiosa nelle mie orecchie. Ma non lo era. «Per ora torniamo nella nostra camera, prendiamo tutto quello che abbiamo lasciato indietro.»
Ezra annuì e schiena contro schiena - io ero quello che camminava all'indietro, con le lame a mezzaluna sguainate - molto lentamente, tornammo verso il corridoio del primo piano. Era sgombro e deserto, immerso nel silenzio esattamente come l'avevamo lasciato. Forse fummo fortunati, o forse era semplicemente il volere dell'albergo stregato che non incontrassimo altri ostacoli: ci fiondammo dentro alla porta della stanza in cui "alloggiavamo" e riprendemmo fiato, come se avessimo corso lungo tutto il percorso, quando invece avevamo trattenuto il respiro.
«Qui c'è tutto.» disse il mio guardiano, trafficando nelle nostre borse per contare armi e provviste.
«Approfittiamone per prendere un ricambio.» proseguii, sapendo che i nostri ricambi si erano sporcati quando erano caduti in mare. D'altra parte, l'idea di lasciare in questo postaccio infestato tutti quegli splendidi abiti di lusso mi faceva piangere il cuore. Avrei portato con me un paio di completi, anche se Ezra sarebbe stato l'unico a vedermeli indosso. Forse lo facevo proprio per quello.
«Dubito che sia una buona idea...» rifletté ad alta voce, mentre stavo scostando le grucce con l'intenzione di scegliere gli abiti migliori. Mi voltai a guardarlo, corrucciato. «Rifletti... La sala da ballo era devastata, non certo come l'abbiamo vista quando abbiamo spalancato le porte e ci siamo entrati. Probabilmente nemmeno questa stanza è veramente come la vediamo adesso.» Si guardò intorno ed io feci lo stesso, trattenendo un brivido. «Forse nemmeno ciò che indossiamo.» Fece vagare gli occhi color ametista sul mio corpo.
Immaginai che dovessi preoccuparmi e fissarmi i vestiti a mia volta, invece arrossii leggermente, ricordando ciò che avevamo fatto su quel letto non troppe ore prima. Merda.
«Be', meglio indossare indumenti polverosi che andare in giro con abiti inzuppati del nostro sudore.» minimizzai, ficcandomi un po' di vestiti nello zaino, consapevole che là fuori - se fossimo riusciti ad uscire - il caldo soffocante ci avrebbe aggrediti nuovamente insieme alla nebbia e ai mostri. Si strinse nelle spalle.
«Io non voglio avere più niente a che fare con questo postaccio.» concluse, senza prendere nulla a parte i nostri averi, cambiandosi perfino d'abito per rimettersi quello che indossava quando eravamo arrivati, anche se la sua camicia era stracciata e sporca di fango e sangue. Mi domandai che cosa poteva aver visto in quella sala da ballo, cosa lo stava spingendo ora a liberarsi di tutto ciò che lo collegava all'albergo. Il suo sguardo era scioccato e il suo viso pallido come quello di un fantasma. Cosa poteva sconvolgere tanto un uomo che era segregato dalla nascita dentro a caverne sotterranee?
Lasciai cadere quella domanda muta per sporgere la testa di riccioli biondi oltre la soglia della porta, sbirciando nel corridoio. «E' libero.» sussurrai, uscendo dalla camera con passo felpato, mentre Ezrael mi seguiva a ruota. Scegliemmo di andare verso la parte opposta rispetto alle scale, senza fare rumore, come con la paura di svegliare qualche mostruosità addormentata. Anche se non sapevamo affatto cosa stavamo affrontando.
«Proviamo ad aprire qualche porta e vedere dove conduce.» sussurrò l'albino, alle mie spalle, tanto vicino che potevo sentire il suo petto sfiorare la mia schiena e il suo bacino il mio fondoschiena. Stavolta era lui che mi copriva le spalle e, il modo in cui lo stava facendo, mi distraeva abbastanza da non accorgermi del pericolo incombente quando spalancai l'uscio di una stanza a caso.
Le fiamme mi ruggirono in faccia con una vampata di calore così forte da farmi venire le lacrime agli occhi, e il mio guardiano dovette tirarmi bruscamente indietro per una spalla, salvandomi per un pelo da una brutta ustione.
«Ma che cazzo...?» Il fuoco avvolgeva i mobili di una camera da letto che era il perfetto duplicato di quella in cui avevamo dormito noi: le fiamme salivano dal letto fino al soffitto, annerendolo tutto, mentre lingue rosse correvano per le tende e divoravano l'armadio, le poltrone, i comodini, riempiendo di fumo grigio tutta la sala. Ezra chiuse la porta con un botto rumoroso, così in fretta da impugnare la maniglia sopra la mia stessa mano.
«Il fuoco non si espande oltre alla stanza.» osservò, stringendo il pugno sopra alle mie dita. Il suo tocco era caldo e solido, e lo interruppi frettolosamente sfilando via la mano da sotto al suo palmo. Se volevo restare in vita dovevo essere concentrato. Era già abbastanza grave che fossi finito in un covo di serpenti e fossi quasi morto, soltanto per una stupida distrazione. Queste defaillance si addicevano a Sfavillo, al Re dei Pirati? No, ovviamente.
«Continuiamo ad aprirle. L'uscita deve essere qui, da qualche parte.» dissi, stringendo le labbra, le mani ora ferme sull'impugnatura delle armi allacciate alle loro fondine ai rispettivi lati dei fianchi. Ora consapevoli del pericolo, lasciai controvoglia che Ezrael si mettesse davanti a me, occupandosi di aprire le porte.
La seconda che venne spalancata, mostrava oltre la soglia solo un buio profondissimo ed impenetrabile. Fissando quella tenebra per più di due secondi, mi sentii mancare l'aria. Lanciai un'occhiata allo straeliano, scuotendo la testa. Ero abbastanza certo che l'uscita non fosse lì come ero convinto che una volta entrati in quel buio, sarebbe stato impossibile venirne fuori. Ezra chiuse la porta e proseguimmo ancora.
Il terzo tentativo fu perfino peggiore. Oltre l'ingresso della camera, in piedi, immobile e fermo con la faccia in poltiglia che si muoveva e che respirava attraverso la ferita sanguinolenta, c'era il vecchio pervertito, il mio ex-padrone, che pensavo di aver lasciato nella sala da ballo. Non avrei saputo dire se io e l'albino vedessimo la stessa cosa, ma lui fece un balzo all'indietro, come se fosse appena stato colpito.
«Vieni qui, puttanella! Ti punirò per quello che hai fatto!» ringhiò, la voce che gli usciva dalla carne aperta come se gli provenisse dal fondo della gola. Al suo fianco comparve Ciril Crow, di nuovo, che sorrideva col suo inimmaginabile sadismo.
«Chissà se lo impiccheranno o gli taglieranno la testa...» parlò con la voce dei soldati che mi facevano da guardia nelle segrete del Castello di Cristallo, mentre aspettavo di andare incontro al mio destino. Poi gli occhi di Crow diventarono color ghiaccio, tramutandosi in uno sguardo di una malvagità paralizzante, che mi fece venir voglia di accucciarmi a terra, tremante. Prima che potesse cambiare volto e mostrarsi nella mia peggior paura, chiusi la porta con un tonfo assordante. Il corridoio si fece nuovamente silenzioso.
Lo straeliano era appoggiato alla parete, con una mano sul petto, a stringersi la stoffa stracciata della camicia dentro al pugno, la fronte imperlata di sudore. «Ezra...?» chiamai, appoggiandogli delicatamente una mano sul braccio. Sussultò, poi si rese conto che ero io e il suo volto recuperò colore. «E' tutto okay?»
«Sì, sì, sto bene.» Riprese fiato, asciugandosi la fronte con il dorso della mano. «Non credo che troveremo l'uscita, continuando così.» Ero consapevole che stessimo prolungando la tortura, ma che altro dovevamo fare? Mi azzannai il labbro inferiore e scossi la testa, cercando di calmare la tensione e i nervi a fior di pelle. Era troppo difficile.
«Continuiamo solo a camminare. Non possiamo rimanere qui dentro per sempre, cazzo!» sbottai, fallendo nello stare calmo o anche solo nel perseverare coi sussurri. Pensavo fosse una sciocchezza, invece mantenere quel silenzio era stata una scelta saggia. Proprio quando il mio tuonare s'interruppe, sentimmo il pavimento del corridoio tremare.
In contemporanea, io e lo straeliano ci girammo a guardarci, come per capire se sentissimo quello che percepiva l'altro. Bastò uno sguardo per sapere che entrambi sentivamo tutta la struttura tremare. D'istinto, ci afferrammo la mano, inconsapevoli di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Poi intuimmo che il tremore veniva direttamente dalle doppie porte dipinte di rosso scarlatto in fondo al corridoio. Avevano l'aria di essere porte per un'uscita d'emergenza, o per arrivare in qualche altra ala dell'albergo. Indietreggiai, ma fu comunque troppo tardi.
Come un fiume che esplode rompendo una diga, le porte si spalancarono violentemente e una cascata di sangue piombò con irruenza dentro al corridoio, schizzando le pareti e venendo verso di noi, così in fretta che ci eravamo già messi a correre. Senza lasciarci la mano.
«Non fermarti!» mi urlò Ezra, con qualche schizzo di sangue in faccia, che lo aveva già raggiunto.
«Come se potessi farlo!!» gridai, teletrasportandoci qualche metro in avanti, raggiungendo la tromba delle scale. Potevamo scendere come avevamo già fatto, oppure potevamo salire: scelsi l'ultima opzione, sperando che il torrente violento di sangue non ci raggiungesse in quel modo. Avevo i pantaloni e le scarpe inzuppate di sangue, quando raggiungemmo il secondo piano stavo seminando gocce cremisi per tutto il parquet chiaro. Quel sangue era inquietante almeno quanto l'idea che ci affogassi dentro: mi era bastato annaspare nelle fogne di Skys Hollow.
«E adesso?»
«E adesso...» proseguii, guardandomi intorno. Tutto quel sangue aveva diffuso un cattivo odore che permeava l'aria, anche se non aveva raggiunto il secondo piano: ci era rimasto incollato addosso. «Adesso...» ripetei. Non ne avevo idea e il dubbio, l'incertezza e la tensione si fusero alla sensazione persistente di essere spiato. Ancora quella sensazione. La stessa che avevo percepito nella foresta del Caos.
Rimasi in silenzio, col fiato sospeso e il cuore in gola, osservando il corridoio circostante con cautela. Non avevo la più pallida idea di cosa fare, volevo solo poter andarmene da lì. Volevo... Non aveva importanza. La terra riprese a tremare e non servii vederlo per capire che quell'ondata di sangue stava tornando, peggiore di prima: tutte le porte delle camere da letto si spalancarono, eruttando liquido scarlatto, caldo e viscoso, che ci investì da tutte le parti, travolgendoci. Boccheggiai, cercando di nuotarci dentro e di emergere oltre la superficie, ma aveva una consistenza densa, appiccicosa, era difficile galleggiarci.
Ezra! Ezra... aiuto...
Mi sentii soffocare e non vidi altro che rosso, rosso da tutte le parti, rosso che mi invadeva il naso, la bocca, gli occhi, nauseabondo e caldo e vomitevole. Ma il mio guardiano mi teneva ancora per mano. Lo sentii stringere e tirarmi a sé, dentro alle sue braccia, sospinto nel vortice di sangue, finché non fummo gettati nell'atrio principale, atterrando con un volo di due piani.
Steso lungo il pavimento in una pozza sanguinosa, con la faccia sul petto di Ezrael, mi tirai a sedere soltanto per vomitare, tremando in preda agli spasmi. L'albino tossiva, ma si riprese più in fretta di me, recuperando avidamente l'aria, che almeno dentro all'albergo non era rarefatta quanto l'esterno. Nessuno di noi due disse una parola, ancora scossi, ancora disgustati, ancora in trappola. Eppure, quando percepii per l'ennesima volta la sensazione di essere tenuto d'occhio, non mi trattenni oltre.
«Chi sei?! Fatti vedere!» esclamai, con ferocia. Ero ad un passo dall'impazzire. Eppure, sentii l'angoscia, la rabbia e la nausea scemare, quando i miei occhi si posarono su quella ragazza. Di nuovo lei. Era in piedi accanto alla tromba delle scale, coi lunghi capelli corvini ad incorniciarle un volto sfuggente, sfocato, sebbene gli occhi gialli brillassero nel guardarmi. Le mancava una mano, ma l'altra se ne stava tesa verso la scala, il dito puntato, come ad indicare qualcosa.
«Con chi stai parlando?» disse Ezra, guardando verso il punto dove stavo fissando io, confuso.
«Ma come...» Studiai il suo volto, ma pareva sinceramente dubbioso. La vedevo soltanto io? Cielo, stavo andando fuori di testa. Scossi il capo, mettendomi in piedi su gambe incerte, strizzando la camicia madida di sangue e i capelli biondi, che erano diventati tutti rossi. Cercai di pulirmi la bocca, ma anche la mano con cui lo stavo facendo era insozzata. Mugolai un verso di stizza prima di camminare verso la donna. Era ancora lì, col braccio teso e l'indice puntato verso le scale.
«Ma dove vai?» Il ragazzo dai capelli color mercurio mi seguì a ruota.
«Non lo so!» sbraitai, raggiungendo la donna, che tuttavia scomparve non appena le fui di fronte. Compresi con parecchio ritardo che non stava indicando i gradini, ma un punto preciso dietro alla scala. C'era una minuscola porticina. Lanciai uno sguardo al mio guardiano. Forse non stavo impazzendo. «Andiamo.»
Aprii con cautela quel piccolo passaggio, infilandomi in una stanzetta di legno simile ad un magazzino, piena di statue mezze distrutte, lampadari rotti e carta da parati stracciata. La ragazza era ferma in un angolo, rivolta verso di me, che mi guardava dritto negli occhi senza muovere un muscolo.
«Sai almeno dove stai andando?» borbottò Ezra, insanguinato dalla testa ai piedi, solo due occhi viola che si distinguevano da pelle e capelli rossi. Evidentemente doveva essere strano seguire uno con gli occhi persi nel vuoto. Ma qualcosa mi diceva che lei ci stava tenendo d'occhio da un bel po'. Quel qualcosa mi suggeriva che lei ci avrebbe portato dove dovevamo giungere.
«Mmhh.» mugugnai a labbra strette, camminando piano verso la ragazza senza mano, che sparii nuovamente quando la raggiunsi. Era in piedi proprio su una botola e la sua sparizione me la fece notare. Impugnai il manico ad anello e sollevai il coperchio di tegole, sentendo il legno cigolare in modo sinistro. L'albino sporse la testa, aggrottando la fronte. Una ventata d'aria calda ed umida ci accarezzò i nasi: dall'alto si vedeva solo una scaletta di legno a pioli che calava verso un tunnel semi-buio di terra e fango.
«Non mi sembra...»
«Dobbiamo andare.» lo interruppi, stringendo i pugni. «Fidati di me, è la direzione giusta.» Non aspettai la sua approvazione: mi calai per primo verso l'ignoto, atterrando coi piedi sul terreno sano e salvo. «Qui tutto ok!» urlai dal basso per farmi sentire. Pur brontolando, lo straeliano fu al mio fianco dopo qualche minuto. Sguainai un'arma, mentre nel palmo palesai una piccola pallina di fuoco, che diffuse un fioco bagliore all'interno del tunnel.
Nessuno dei due disse nulla: respiravamo piano, camminando a passi felpati, così vicini per il timore di perderci fra gli svincoli nei cunicoli. Davanti agli incroci, la ragazza compariva per indicarmi la via giusta, solo per il tempo necessario, lasciandosi subito dopo inghiottire nel buio. Ezra aveva smesso di farmi domande, decidendo davvero di fidarsi di me. In fin dei conti finalmente avevamo dei risultati: pian piano vedevamo la luce in fondo al tunnel. Letteralmente.
«Per tutti gli Dei...» sfiatò, scioccato, quando emergemmo dai cunicoli a gattoni, facendo forza sui gomiti e sguazzando nel fango. Immediatamente fuori, ci ritrovammo su un'immensa vallata. Sembrava ricoperta di neve, da lontano, ma bastava guardarsi sotto ai piedi per capire che il paesaggio bianco era fatto d'ossa. Ti scricchiolavano sotto alle scarpe.
Ossa ovunque. Esattamente come nei miei sogni.
«Questo posto...» sussurrai, sentendo lo stomaco chiudersi come un riccio, cacciando fuori tutti gli aculei. Qui da qualche parte, secoli e secoli fa, c'era anche Lui. Il Redivivo. E Yaakov e Qiana, con cui continuavo a sentire un sinistro collegamento, per inspiegabili ragoni. Perché? Cosa avevano a che fare con me?
«Non mi piace. Non mi piace per niente.» sibilò, tirandomi più vicino. C'era uno strano senso di repulsione che mi cresceva da dentro. Tutti i miei campanelli d'allarme, il mio istinto d'assassino e la mia coscienza più profonda stavano dicendo, in coro, che dovevo andarmene di lì. Scappare via, a gambe levate. Ovunque ma non lì. Ovunque. Ma non. Lì.
E forse proprio per questo sentivo di essere nel posto giusto. Un luogo dove un vivente non avrebbe dovuto trovarsi mai. «Nemmeno a me.» bisbigliai, sentendo venir meno la voce, obbligandomi a fare qualche passo, anche se mi tremavano le gambe. L'aria si era fatta ancora più rarefatta. Era quasi irrespirabile. Ma dovevamo andare avanti, perché c'eravamo quasi, lo percepivo. No, lo sapevo.
Da lontano, spuntando come uno scoglio in mezzo alla nebbia marina, vedevo l'ingresso frastagliato e roccioso di una grotta. Era l'unico punto di riferimento in mezzo alla foschia e l'avrei seguito senza mai perderlo di vista. Ma ovviamente non poteva andare tutto liscio: forse era l'odore del sangue che avevamo addosso, forse il suono delle ossa che scricchiolavano ogni volta che le calpestavamo, forse era la nostra semplice presenza viva in quella desolazione spaventosa. Una schiera di segugi ci si parò davanti, mettendosi fra noi e la caverna, con le fauci esposte che gocciolavano saliva e gli occhi rossi vuoti, di una vacuità divorante, che ghiacciava il sangue nelle vene.
Sentii la mano di Ezra intrecciarsi alla mia, con una determinazione e una forza che mi ricordò il periodo della fuga da Ender, quando tutto il mondo ci era contro e c'eravamo soltanto noi due. Io pazzo, denutrito e debole e lui inconsapevole di come funzionasse il mondo fuori dal suo regno sotterraneo.
Vola!
Gli indirizzai il pensiero nello stesso momento in cui i segugi ci si lanciarono addosso, nello stesso istante in cui i nostri piedi si sollevarono dal suolo d'ossa. Tagliammo il vento in due, schizzando in avanti come se delle ali invisibili ci fossero spuntate ai piedi. Volare era incredibile, sconvolgente e faceva anche venire un po' le vertigini. Ma non serviva imparare a farlo: era un dolce e libero librarsi senza peso, mentre l'aria ci frustava il volto e il sangue si seccava definitivamente sulla nostra pelle.
Sentivo le bestie seguirci via terra, fra un ringhio e un ululato, ma non guardavamo in basso. Almeno, io non lo facevo. Mi limitai a spalancare le braccia e ad urlare con una specie di incredula estasi. Il regno del Caos mi aveva portato ogni tipo di emozione. Speranza, paura, angoscia, rabbia, terrore, desiderio, rassegnazione, nausea, disgusto, sbigottimento. Estasi.
Avevamo quasi raggiunto la bocca spalancata della grotta, poi Ezra esclamò: «Oh cazzo.»
Dall'alto stavano arrivando gli stessi uccellacci, simili a giganteschi pipistrelli, che avevo visto al nostro arrivo, sulla riva. Puntavano proprio verso di noi, con gli occhi scarlatti iniettati di sangue. Fu talmente brusco il mio tentativo di evitarli che, atterrando, mi schiantai contro il suolo, ruzzolando dolorosamente fra le ossa aguzze. «Forza forza forza!» Lo straeliano mi tirò su, spingendomi a correre, perché i segugi ci avevano quasi raggiunto. Era l'ultimo tratto e, non appena l'ingresso fu visibile, l'albino ci teletrasportò direttamente all'interno, pregando che l'ingresso si richiudesse prima che tutte quelle mostruosità ci raggiungessero. E così... fu.
L'enorme pietra davanti alla soglia rotolò fino a sigillare l'entrata, da entrambi i lati. Non si tornava indietro. Ma non avevo alcuna intenzione di farlo, sarei rimasto lì ad affrontare ciò che mi aspettava.
Non era esattamente una grotta: più la guardavo, più mi pareva di trovarmi all'interno di un cranio gigantesco. Le pareti sembravano fatte di ossa, ricoperte di incisioni che raffiguravano cruenti sacrifici, visibili nonostante l'oscurità soffocante. Il silenzio era riempito di bisbigli e lamenti e l'intera spelonca era spaccata in due da un crepaccio: dall'altro lato, l'uscita era aperta. Proprio sopra di essa, un'iscrizione era sbalzata sulla parete.
"Per superare la morte bisogna aprire il proprio cuore".
Riflettei sul significato per qualche secondo. Se eravamo nel posto giusto, allora questo era il luogo di cui parlava Hēi nel suo diario: la Grotta dei Segreti. Poteva voler dire quello, con "aprire il proprio cuore?". Sentivo, però, che arrivare dall'altra parte della caverna non era ciò che dovevamo fare.
In mio aiuto, la misteriosa fanciulla apparve. Il dito della mano ancora intatta si sollevò e, invece di puntare verso l'uscita, si indirizzò dritto verso il vuoto dentro al crepaccio, ad indicare il buio in fondo alla voragine. Quel singolo gesto, accompagnato dalla fissità intensa dello sguardo della ragazza, mi fece assalire da un'ultima, soncertante, sconvolgente visione.
Quindi Qiana fu ritenuta degna di impugnare l'Osso. L'orribile spada fatta coi sacrifici degli straeliani, perpetrati nei secoli dei secoli.
Ma ogni magia, come tutte le magie, aveva un prezzo. Specialmente quando l'incantesimo era così maligno e così pregno di vendetta come quello. Eppure non le importava. Suo fratello l'aveva amata troppo e si era sacrificato al suo posto, perciò adesso toccava agli altri. Non provò rimorso quando la spada tagliò la testa di sua madre e affondò nel cuore di suo padre, gli stessi genitori che li avevano lasciati andare verso quell'infausto destino. L'Osso bramava sangue e anche lei amava troppo suo fratello. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Yaakov.
Usò la testa e il cuore per costruire un'elsa, finché l'arma non fu finita. Finché lei non fu pronta per solcare la collina di terra morta e spoglia. Lì, su uno scranno di ossa bianche e pietra nera, di sangue e di nebbia, sedeva il Redivivo con la testa incoronata di spine. Acciambellato ai suoi piedi col capo appoggiato docilmente al ginocchio del suo padrone, c'era lui. Capelli corvini ed occhi dorati, con una gelidità nel sorriso che non credeva di avergli mai visto. Era stato corrotto dal Caos, per sempre.
«Sorella mia» disse Yaakov «sei venuta ad onorare il nostro signore con la tua morte.» Perché ovviamente il Redivivo sapeva del loro inganno, sapeva che Qiana non era morta. La stava solo aspettando.
«Con gioia.» sussurrò la ragazza, inginocchiandosi al cospetto del Re del Caos a testa bassa, cercando di tenere a freno il terrore, con l'Osso piccolo piccolo dentro alla tasca del vestito, che sembrava bruciare contro al palmo. «Ma prima, permettetemi di vedere il vostro vero volto.» Sollevò il viso verso il biondo e gli occhi di diamante della creatura scintillarono.
La fanciulla dovette soffocare un grido lancinante in fondo alla gola, quando la bocca del Redivivo si spalancò, le mascelle si allungarono orribilmente e la mandibola toccò terra, rendendo lo spazio fra le sue labbra tanto ampio da poterla inghiottire in un sol boccone. Nel buio fra i denti dell'essere, vide molti volti agitarsi e una serie di mani allungarsi verso di lei.
Quello fu l'istante.
Cacciò fuori dalla tasca l'Osso, che dentro alla sua mano assunse la forma di un'imponente e affilatissima spada e caricò verso il Redivivo, senza esitazione, con l'intenzione di trapassarlo da parte a parte. E porre fine a tutto quanto. Per sempre, in eterno. Così come doveva essere, così com'era destino che fosse.
Ma poi, proprio quando la spada era sul punto di affondare in mezzo alla bocca del Mostro, suo fratello piombò fra lei e il maligno, a braccia spalancate, con un sorriso grottesco sulla faccia. Consapevole che sua sorella non avrebbe osato distruggere anche lui. E così, infatti, non fu.
Nella frazione di qualche scioccato secondo Qiana abbassò la spada, che si conficcò nel terreno ai piedi di Yaakov e del Redivivo, proprio alla base di quello scranno. Il contatto dell'Osso con il trono del Mostro che controllava il Caos fu del tutto inaspettato. La Terra si spaccò in due, si aprì, si rivoltò e tremò come volesse esplodere in se stessa.
Le nebbie e le creature generate dal Caos sparse nel resto del mondo ne vennero risucchiate, sparendo nel baratro pieno di oscurità. E il Redivivo cadde.
«NO!» Ma accadde lo stesso anche a suo fratello. L'aveva amato troppo, più della sua stessa vita. Perciò non si oppose, quando lui le afferrò la caviglia, trascinandola con sé dentro al burrone. L'energia dell'Osso fu talmente violenta che qualsiasi cosa generò, lì sotto, portò la spada ad esplodere e spaccarsi in pezzi.
E quello che rimase di loro, dei gemelli e del Mostro, fu quella collina di ossa, quel cratere simile ad una grotta e quella voragine oscura.
Ripresi bruscamente fiato, venendo fuor dalla visione. «Sei Qiana.» sussurrai, sollevando gli occhi verso la figura della ragazza. Ma lei era già scomparsa, come se non fosse mai esistita. Portata via insieme a quella sorta di sogno ad occhi aperti. «E' quello.» Indicai la voragine, avvicinandomi a passi incerti, non riuscendo ancora a capacitarmene. «Quello è l'ingresso.» Era il nostro arrivo. La nostra meta, la nostra destinazione. E lo sentiva anche Ezrael, perché era anche il suo popolo, la sua storia e la sua eredità.
Guardando il baratro, lo realizzai e capii che dovevo crederci.
La vita un giorno sarà vissuta in pace se hai ancora la forza di rialzarti in piedi.
Questa stessa esistenza mi aveva insegnato a riprendermi dopo ogni colpo e a caro prezzo. Adesso, con il vento che mi ruggiva sulla faccia e il buio che si dipanava dentro allo strapiombo, riuscivo a capirlo. Ogni momento vissuto mi passava davanti, ogni avventura, ogni nemico, ogni vittoria, ogni sconfitta. Ogni perdita.
Sentii le lacrime premere agli angoli degli occhi, pungermi il campo visivo, ma non mi solcarono mai le guance. Avevo il volto ben scolpito dalla rabbia e dal coraggio, il cuore madido di determinazione, le labbra premute le une contro le altre per trattenere una specie di grido di battaglia che mi gorgogliava dall'interno.
Mi guardai indietro: l'ingresso della caverna si era richiuso con il rotolare secco di una pietra e i rumori angoscianti di unghie e denti che grattavano col desiderio di entrare venivano quasi del tutto ovattati. No, non sarebbero entrati. E, comunque, se ci fossero riusciti non avrebbero trovato più nessuno.
Mi affacciai di nuovo a guardare il vuoto oltre il baratro, accompagnato dall'oscurità più assoluta, una talmente densa che non mi avrebbe sorpreso se avesse assunto materia solida. Se mi avvicinavo abbastanza, incominciavo a sentire dei bisbiglii, dei sussurri, una lingua troppo antica per essere compresa, ma che aveva qualcosa di delirante e raccapricciante.
Feci un salto indietro, col cuore che scalpitava dentro al petto, quando mi parve di vedere un movimento nel buio, una mano che si allungava verso di me, una faccia scolpita nella tenebra che gridava.
«Sei pronto?» mi disse Ezra, ricordandomi della sua presenza. I suoi occhi ametista luccicavano quasi quanto i suoi capelli e il suo corpo era la prova dei mille ostacoli che avevamo superato per arrivare dov'eravamo adesso.
Distolsi lo sguardo, solo per puntarlo nella voragine che ci aspettava, a qualche passo di distanza da noi. Avevo già visto la morte in faccia ed era stata spaventosa, ma mai quanto adesso, mai quanto quel buio assoluto che ci chiamava e sussurrava come fosse una persona in carne ed ossa.
«Un giorno scriverai la tua storia e questa ti sembrerà solo una delle tante cose assurde.» continuò lo straeliano, avvicinandosi con cautela verso di me, passo dopo passo, con una mano protesa nella mia direzione, dita aperte, in attesa.
«Dio, sono vanitoso, ma non fino a questo punto.» esclamai, con la forza di sorridere anche in una circostanza come questa. La mia storia. Quando era iniziata davvero? Socchiusi gli occhi e presi un respiro profondissimo, che mi ripulì da ogni insicurezza. Poi presi la sua mano. «Sono pronto.»
Se la morte ci aspettava, noi non l'avremmo fatta attendere.
Così facemmo due, tre passi indietro, dita intrecciate che tremavano un po', cuore a mille, sguardi che s'incontravano, prima di annuire all'unisono, dandoci il segnale per cominciare a prendere la rincorsa. Quando i nostri piedi incontrarono l'orlo del baratro, non ci fu più tempo per esitare. Saltai e mi tuffai a capofitto nel vuoto.
Aspettami Yul. Sto venendo a prenderti.
***
*NDA - L'angolo vacanziero dell'autrice assetata*
Hola a tutti!
Ho parecchie cose da dire in questo angolino. Prima cosa: chi ha capito a cosa mi sono ispirata per l'albergo?? Voi vincete un biscotto u.u sì, a Shining, adoro troppo le vibes di quel film (e la scena dell'ascensore coi fiumi di sangue che si disperdono nel corridoio). Seconda cosa: la fine di questo capitolo è anche l'inizio del prologo di Sfavillo, per chi ha iniziato la storia più recentemente se ne sarà probabilmente accorto! Terzo: dal prossimo capitolo inizia ufficialmente la parte clou della storia, che sarà sicuramente cruenta e zozza in ogni modo possibile(?), siete avvisati. E io non vedo l'ora di scriverla, ho aspettato fin troppo! Quarto: nel mio cavoleggiare giorni fa ho trovato una fanart e appena l'ho vista ero tipo "OMMIODDIO YUL!!". Il colore e la piega dei capelli, l'espressione, il fisico, la postura.. E' praticamente disegnato esattamente come lo immagino, lol. (Ovviamente voi siete liberi di immaginarlo come preferite, ma dovevo troppo condividere l'immagine e sentire la nostalgia uccidermi). Parliamo infine del capitolo: come sempre l'ho scritto di getto senza controllare, forse rileggerò presto (edit: l'ho fatto), ma non è detto, quindi spero che non ci siano troppe castronerie <3.
Alla prossima ~
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