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22. L'Assassino e l'hotel


«I mostri sono reali e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono.»
- Stephen King



Il mondo era intriso di fuochi e fulmini e oscurità. Tutto scorreva velocemente nella flebile apertura fra le palpebre socchiuse, mentre il mio stomaco era in fiamme e il sapore di metallo nella mia bocca si fondeva ad una sensazione di fresco improvviso. Mugolai un lamento, accorgendomi di avere la bocca occupata: altre labbra premevano sulla mie, la lingua altrui mi spingeva qualcosa in fondo alla gola e una mano scivolava sul mio collo.

«...oia!» Avevo l'impressione di soffocare, mentre dita sconosciute mi stringevano la trachea e si agitavano con movimenti rapidi e calcolati. «Ingoia!» Fu un riflesso incondizionato del mio corpo: grazie alla pressione sulla gola mi sentii inghiottire qualcosa, nonostante la bile e il sangue me la raschiassero con un senso di vomito crescente. Mi venne chiusa la bocca, tappata dietro una mano stretta così forte che quasi non respiravo, tutto per impedirmi di rimette quello che avevo appena inghiottito.

Poi caddi di nuovo nell'oblio, per quelli che sembrarono pochi istanti e invece dovevano essere... Lunghi minuti. Ore, forse? Le mie braccia penzolavano verso il basso, ondeggiando come pesi morti intorno a me, mentre sentivo la sua mano premere sotto alle ginocchia e sulla schiena. Sfarfallai le ciglia: fuoco e oscurità, indistinguibili, ancora per un momento. Poi intravidi il bagliore di una minuscola fiammella sopra di noi a diradare la cortina di tenebre fitta come una cappa di fumo.

Una pallina di fuoco grande quanto il palmo di una mano era sospesa poco davanti a noi, guidando il nostro cammino, la vedevo ondeggiare ad ogni passo di Ezrael, mentre mi teneva in braccio con disinvoltura, quasi non pesassi nulla. Sentivo la testa pesante come il resto del corpo: non riuscivo a muovere un muscolo, tant'è che abbandonai il capo all'indietro, lasciandolo ciondolare oltre la presa dell'albino. Nel piccolo spiraglio fra le mie ciglia riuscii ad intravedere i contorni di una struttura, un edificio spettrale che fece capolino fra gli alberi, quasi all'improvviso, come se fino a qualche istante non fosse stato lì e l'intero palazzo si fosse spostato per mettersi davanti a noi.

Probabilmente, era solo una sensazione dovuta al buio crescente. Eppure, quando la mia vista sfocata si spinse oltre i cancelli, oltre i colonnati di pietra e il chiostro dove campeggiava una statua di cui non riuscivo a vedere il soggetto, soffermandosi su quel luogo, ebbi un brutto presentimento. Tuttavia, fu una rapida sensazione, come ogni altra che mi circondava: le palpebre pesanti mi obbligarono al sonno e caddi ancora una volta nell'oblio.

Gridava.

Gridava così forte che sentiva le vene del collo scoppiare e non sapeva nemmeno se stava gridando per il dolore al braccio o per aver appena perso suo fratello. Sapeva invece di non dover urlare, perché altrimenti si sarebbero accorti che era ancora viva, ma sapeva anche che sarebbe stato meglio morire, oppure andare al suo posto. Yaakov l'amava troppo e non aveva voluto sentire ragioni, quando l'aveva costretta a sopravvivere, prendendosi di lei solo una mano, mentre lui andava a morire. Sentiva la mancanza del suo gemello peggio dell'arto che si era tranciata via di netto: carne, tendini e ossa saltati via.

Si stringeva al petto il moncherino, sudando copiosamente. Quello non aveva mai smesso di sanguinare per giorni e avrebbe pure lasciato che continuasse, se solo il proprio istinto di sopravvivenza non avesse avuto la meglio: alla fine lo aveva fasciato alla bell'e meglio e continuava a prestarci attenzione nella speranza che non si infettasse.

Doveva essere forte. Se voleva salvare suo fratello doveva essere forte, anche se non vedeva alcuna possibilità all'orizzonte, perché il Redivivo era forte come un Dio e lei non era altro che una ragazza disperata e distrutta a cui mancava una mano. Come avevano potuto abbandonarli così? Come avevano potuto mandare proprio loro a morte? Perché il mondo era così crudele? Voleva solo un po' di pace, voleva poter smettere di vivere come un essere braccato. Voleva che le nebbie si diradassero per guardare il sole, anche solo per un po'.

Ma sapeva che non sarebbe mai successo. Niente poteva brillare e niente crescere in questo regno di terrore: né fiori, né uccelli, né pesci. Gli alberi erano lì solo perché anche loro volevano mangiarti. Non c'era altro che terra carbonizzata, paludi putrescenti, gelidi laghetti e ossa. Centinaia di migliaia di ossa, perché i servi del caos gettavano ovunque i resti di quello che il Redivivo divorava.

Crollò a sedere su un cumulo di quelli che erano avanzi di antiche vittime, sentendo calde lacrime scorrere sul viso. Inavvertitamente, se le asciugò con il moncherino e la pressione della stoffa contro la carne viva tornò a farla sanguinare. Gemette, vedendo il proprio sangue rotolare verso il suolo, macchiando le ossa su cui era acciambellata. Vederle aveva smesso di farle qualsiasi effetto da un bel po'. Tutto lì era ossa. Eppure non si aspettava che quelle si mettessero a bisbigliare, quando il sangue le macchiò di rosso.

«Chi sei?!» gracidò, pallida per la paura e il dolore fisico e mentale. Raccolse un osso, quello più vicino, quello da cui era convinta provenisse suono.

«Il segugio mi uccise. Il Redivivo mi mangiò. Un tempo ebbi nome. Ora non l'ho.»

Qiana sentii il proprio sangue farsi di ghiaccio. Lasciò cadere l'osso a terra e ne raccolse un altro, macchiato del proprio sangue, che sembrava pesante come un macigno dentro al palmo.

«Chi sei?» domandò ancora, alzandosi in piedi per cominciare a vagare lungo la palude, parlando con quelle ossa, su cui gocce del suo sangue picchiettava lentamente, risvegliando le loro coscienze.

«Mio padre mi sacrificò, il mostro mi divorò, ho perso il mio corpo, ma non dimenticherò.» cantilenò l'osso, mentre lei lo raccoglieva e lo metteva da parte, infilandolo nelle pieghe del proprio vestito, inseguendo altri lamenti, altri ricordi, altro dolore, esattamente uguale al suo. Eppure lei era viva. Suo fratello l'aveva salvata da un destino come questo: diventare parte di queste ossa.

Una fra tanti. Una senza corpo. Una senza nome.

E non avrebbe sprecato quest'occasione, mai. «Ditemi, ossa.» Ne sollevò una manciata davanti al viso, con la mano chiusa a coppa, osservando i resti della sua gente, di coloro che erano stati impunemente scelti per permettere agli altri di vivere, in equilibrio sulla punta delle dita. Tutto il peso di quei sacrifici in una singola, piccola mano. «Volete vendicarvi?»

Il tramonto scintillava ancora feroce, rosso e rosa e oro, azzurro e blu e arancio, così tanti colori insieme, che sembravano perfetti esattamente come Lui, in quel preciso istante sui tetti di Skys Hollow, mentre il futuro assomigliava ad uno scrigno di gioielli, ma senza di essi, ancora da riempire, meravigliosamente vuoto per permettergli di darmi tutto l'amore che era in grado di offrire.

«Helias.» Sentirgli pronunciare il mio nome fu come una carezza. Mi cinse la vita, tirandomi a sé e appoggiando la fronte alla mia. «Come potrò mai ripagarti?»

Sentii il gusto dolce della mia risata fra le labbra. «Sono io ad essere in debito... Hai saldato il mio debito, mi hai salvato la vita... Sono io a dovertelo chiedere.»

«Non devi» rispose lui. Mi sfiorò le labbra con le sue e io chiusi gli occhi. «Ti amo.» mi sussurrò, mentre le nostre bocche si toccavano. «E da oggi in poi non voglio più starti lontano. Ovunque andrai, ti seguirò. Anche se questo significasse andare fino all'Inferno, dovunque sarai tu è dove vorrò stare anche io. Per sempre.»

Per sempre.

Ma il corpo di Yul si trovava all'improvviso steso sul patibolo, in una pozza di sangue, avvolto dai soldati, dalla folla, dal dolore, dal silenzio. Per sempre? No. Non esisteva nessun per sempre.

«Vuoi vendicarti?» Non esiste nessun per sempre.

«Vendicati.»

Vendicati.

V e n d i c a t i.

«AH!» Balzai a sedere, così velocemente che sentii le molle del letto cigolare e il materasso eccessivamente morbido far sobbalzare il mio corpo esile. Così velocemente che sentii la testa girare e un dolore martellante colpirmi alle tempie. Mi appoggiai una mano sul petto, sentendo il cuore correre una maratona, incapace di dimenticare quella voce graffiante e femminile che mi sussurrava: "vendicati ".

«Ehi, vacci piano.» Sfarfallai le palpebre e vidi Ezrael sedersi al mio fianco: allungò una mano per scostarmi qualche ricciolo dal viso, accompagnandomelo dietro all'orecchio. Rimasi per qualche istante immobile, come instupidito da ciò che avevo appena sognato.

Era un frammento di tempo che pensavo di aver dimenticato. Spesso, però, la vita mi ritornava in sogno, con incubi tremendi, ma anche con dolci attimi di stupore, come vedere Yul sul tetto della nostra nuova casa a Skys Hollow, che mi rassicurava che sarebbe andato tutto bene, nonostante gli intrighi perpetrati da Alaister. "Ovunque andrai, ti seguirò. Anche se questo significasse andare fino all'Inferno", aveva detto. Hai mentito, stupido assassino. Sentii i lembi delle mie labbra tirare sulle guance in un sorriso colmo d'amarezza, ma mi obbligai a non piangere. Ero io quello che stava andando fino all'Inferno per lui. E ci sarei riuscito, a qualsiasi costo.

«Helias?» mi chiamò l'albino ed io mi distaccai dai pensieri si affollavano dentro alla testa per tornare alla realtà.

«Ezra...» Sfarfallai lentamente le ciglia. «Come faccio ad essere ancora vivo?» Mi guardai le mani, girandole da un lato e dall'altro. Poi mi resi conto delle coperte sopra le mie gambe, del letto, della stanza intorno a me. Aggrottai la fronte. «Dove siamo?»

«Sei ancora vivo perché ti ho salvato.» Incrociò le braccia sul petto e notai che indossava una camicia diversa rispetto al ricambio intriso d'acqua di mare che si era portato dietro.

«Ma come??» chiesi, confuso, stringendo i pugni sulle lenzuola, che oltre il vago profumo di lavanda sapevano di stantio e di vecchio.

«Le casse di libri prese dal mercato nero sono tornate utili.» Fece un mezzo sorriso, che gli assottigliò le labbra. «Avevo letto qualcosa su alcune creature mitologiche velenose, pensavo fossero sciocchezze, e invece erano altre informazioni sui Regni del Caos.» Corrugò lo spazio fra le sopracciglia, con un'aria preoccupata. «Se non l'avessi letto, ora non saresti qui.»

Non sapevo perché, forse per le mie doti affinate come assassino, forse per il legame con lui, ma sentii che non mi stava dicendo tutta la verità, come quando avevo tirato fuori il nome dell'autore del diario, Hēi, e lui mi aveva detto che non ne sapeva nulla. «Ma... Ti ho sentito parlare con qualcuno, prima di svenire.»

Batté le palpebre, per un attimo stupito, forse perplesso, forse preso in contropiede. «Con chi avrei dovuto parlare?» I suoi occhi d'ametista mi guardarono accigliati. «Se avessimo almeno un'altra persona ad aiutarci in quest'impresa, sarebbe fantastico, ma siamo solo noi due.» Sospirò, grattandosi la nuca. «Stavi delirando, picchiavi l'aria, vedevi e sentivi cose che non c'erano.»

In effetti, ad un certo punto avevo iniziato a vedere delle ombre scure che mi giravano intorno alla testa, come a beffarsi di me. Che mi fossi immaginato tutto? «Mmhh...» Continuai a guardarlo con un leggero sospetto, dubbioso.

«Ti ho salvato la vita e mi guardi anche in quel modo?» borbottò, digrignando la mascella prima di alzarsi dal letto, ritornando in modalità orso, come era solito fare. Non che io gli rendessi le cose facili. Mi sentii subito uno stupido.

«Ez, scusa...» scostai le lenzuola e misi i piedi nudi sul pavimento, ma quando provai ad alzarmi incominciai a barcollare. Prima che potessi cadere mi prese al volo, avvolgendomi la vita fra le braccia. «Scusa.» mormorai, sfruttando la vicinanza fra i nostri corpi per guardarlo faccia a faccia. «E grazie.»

Mi aspettai che mi scostasse con una smorfia arrabbiata, invece mi premette contro al suo corpo, stringendomi le braccia intorno alla schiena, forte, senza dire una parola, almeno per qualche minuto. Mi sentii arrossire per quella dolcezza improvvisa o forse per il fatto che passata la manciata di secondi non scioglieva ancora quell'intrico di braccia. Mi schiarii la voce.

«Mi hai fatto spaventare.» Solo a quel punto mi lasciò andare, osservandomi a qualche centimetro di distanza con un'espressione talmente intensa da togliermi il fiato. «Come ti senti?»

Non mi ero soffermato a pensarci. «Molto bene, in effetti.» Era strabiliante, visto che ero ad un passo dalla morte fino a poco prima. «Aspetta... Quanto ho dormito?» chiesi, lanciando un'occhiata al letto alle mie spalle.

«Un paio di giorni.»

«Cazzo!» esclamai di getto, sgranando gli occhi. «E' successo qualcosa mentre mi riprendevo?» Di nuovo, mi guardai intorno, per sincerarmi di essere in una situazione di sicurezza. «Non mi hai ancora detto dove siamo.»

«Giusto.» Annuì, andando ad appoggiarsi con le spalle alla parete, braccia incrociate, occhi affilati il cui sguardo glicine sembrava come sempre scintillare di luce propria, mentre le ciocche color mercurio gli incorniciavano il volto nascondendo parzialmente le orecchie a punta. «Siamo in una specie di vecchio albergo abbandonato. Non è successo niente mentre dormivi, non volevo lasciarti solo, per cui non sono uscito dalla stanza per dare una controllata a questo posto.» Si umettò le labbra, lanciando un'occhiata fuori dalla finestra, incassata nella parete proprio accanto al punto dove si era sistemato lui. Fuori non si vedeva niente, tanto era fitta la nebbia. «Non so quanto sia sicuro qui, ma è un rifugio perfino migliore di quanto avrei osato sperare.»

Era vero. Il letto matrimoniale era grande e la camera spaziosa, piena di candelieri, poltroncine e tavolini, con un armadio a muro e una stanzetta annessa con una vasca da bagno, una toeletta e il vaso da notte. Ora che mi ero ripreso, ero in grado di camminare sulle mie gambe: spalancai le porte dell'armadio per curiosare e lo ritrovai ricolmo di vestiti.

«Wow!» C'erano abiti da donna ma anche da uomo, forse un po' demodé, eppure erano in tessuti pregiati, morbidissimi, ricamati, riempiti di perline o toppe colorate. Adesso capivo dove aveva preso la camicia Ezra. Era tutta traforata sulle maniche in pizzo sangallo, di un viola scurissimo, si abbinava ai suoi occhi e gli stava maledettamente bene. «Ma da dove viene questa roba??»

«E c'è anche l'acqua corrente, nel bagno.» mi avvisò lui, facendomi voltare di scatto a guardarlo con gli occhi sgranati. Sembrava che questo posto fosse fatto appositamente per accogliere nel miglior modo i suoi ospiti. Mi venne quasi da ridere.

«Cosa diavolo ci fa un posto come questo nel bel mezzo dei Regni del Caos?» Non sapevo se lo stavo chiedendo a lui o fosse una domanda generica. Ero solo molto stupito.

«Non ne ho idea.» S'infilò le mani nelle tasche del pantalone nero. «Se dovessi fare un'ipotesi, direi che è opera di qualche esploratore molto stupido. Avrà pensato di costruire un albergo in un luogo esotico che avrebbe stupito tutti gli abitanti delle grandi città... E poi è rimasto ammazzato.»

Non faceva una piega. Anche se, a livello pratico, la cosa sembrava piuttosto difficile: come si costruiva un edificio grande quanto quello che avevo visto, se non in anni? Come avevano fatto ad allestire un sito di costruzione in un luogo così pericoloso, senza essere attaccati? Magari i cancelli avevano aiutato. Forse avevano delle guardie molto valide. Qualsiasi potesse essere la versione della storia, non aveva importanza: l'hotel ci stava fornendo riparo, molto meglio di qualsiasi caverna o catapecchia ritrovata in mezzo al bosco.

«Non sono in grado di dispiacermi per lui.» risposi alla fine, con un ghignetto, acciuffando degli abiti accuratamente scelti per poi chiudermi in bagno. Esaminai la vasca da bagno, la ceramica appena ingiallita dal tempo, ma pulita perché probabilmente era opera di Ezra. Ricordai il suo splendido bagno scavato nelle caverne e nel cristallo, ad Astrea: sembrava passata un'eternità da allora. In effetti, il nostro viaggio era durato parecchi mesi. Ma finalmente eravamo nei Territori Sconosciuti. Mi veniva quasi da piangere per l'incredulità, nel riconoscere tutto lo sforzo compiuto e tutte le cose assurde ed incredibili che avevo fatto o affrontato, per essere dove ero ora.

Mi infilai in vasca, con un sospiro di sollievo, iniziando a cancellare via tutte le tracce di terra e soprattutto di sangue che mi erano rimaste incollate addosso, tanto bene da penetrare fin dentro alla pelle. In ammollo, continuai a perdermi nelle mie elucubrazioni. Potevo essere incredulo del traguardo raggiunto, ma ce n'era ancora di strada da fare. L'Oltretomba. Se era difficile affrontare il Caos, cosa avrei trovato nel regno dei morti? Cosa mi aspettava? Sempre che esistesse per davvero. Perché il dubbio c'era sempre.

Mugugnai un lamento: non era da me pensare troppo al futuro. In passato, lo facevo quando si trattava di pianificare ogni minimo dettaglio di una missione, oppure quando avevo bisogno di riflettere sull'accettare o meno l'incarico. Alaister aveva sempre apprezzato la mia assennatezza. Ma torturarmi in questo modo mi avrebbe solo logorato. Scossi la testa e uscii dall'acqua, asciugandomi con ciò che il bagno offriva - asciugamani impolverati - per poi indossare gli abiti che avevo scelto. Un pantalone blu notte e una splendida camicia a sbuffo di seta, di un carico blu di Persia, con bottoni d'avorio a chiudere i polsini.

Da quanto tempo non mi guardavo allo specchio, fiero di ciò che vedevo? Tre anni fa, l'avrei reputato perfettamente normale: mi sarei fatto stirare un vestito per partecipare a qualche festicciola aristocratica o magari per godermi l'opera dal palchetto privato di Alaister Noir. Adesso, mi mettevo un bel vestito per l'unica persona che avrebbe potuto vedermi, in un regno popolato da mostri interessati solo a smembrarmi e/o mangiarmi.

«Ta-daan!» esclamai, appena fuori dal bagno, aprendo le braccia, con le maniche a sbuffo che ondeggiavano dolcemente per il movimento improvviso. Ezra mi studiò per pochi attimi, scrutandomi dalla testa ai piedi, prima di sbuffare una risata dalle narici, a labbra chiuse.

«Non mi sembrano proprio gli abiti adatti ad affrontare il caldo e l'umidità che c'è qui fuori.» disse, sgonfiando il mio entusiasmo in poche e semplici mosse, mentre masticava della carne secca, seduto su una poltroncina.

«Davvero gentile, Ezra.» Alzai gli occhi al cielo, scuotendo con forza la testa. Non aveva tutti i torti. E poi, combattere con abiti del genere avrebbe rallentato i miei movimenti. Sarebbe stato anche un vero peccato rovinarli. Non mi rispose in alcun modo, si limitò a consegnarmi un tovagliolo in cui era avvolta carne e frutta secca, con un po' di pane raffermo.

Lasciai perdere il resto e mangiai avidamente fino all'ultima briciola, tracannando acqua dalla borraccia che lui mi porse subito dopo, immaginando la mia sete. Non bevevo e non mangiavo da giorni, era comprensibile. «Quanto ci fermeremo qui?» Avrei potuto partire anche immediatamente: non vedevo l'ora di arrivare alla meta, praticamente fremevo.

«Fino a domani, immagino. E' meglio stare attenti alle tue condizioni. Sei stato fortunato con l'antidoto, è stato davvero efficace. Ma non si sa mai.»

«Stai cercando di portarmi sfortuna?» borbottai, alzando un sopracciglio. Sì, ero ancora un po' offeso per il complimento che non mi aveva fatto.

«Al contrario.» Allungò un braccio verso di me, afferrandomi il polso per tirarmi sulle sue ginocchia. Mi tenni facilmente in equilibrio appoggiando una mano sulla sua spalla. «Lo dico perché ci tengo.» soffiò, accarezzandomi qualche ricciolo vicino alle tempie, prima di sfiorare le mie labbra con le sue. Feci scivolare la mano sulla sua coscia, incurvandomi più vicino a lui, mentre l'albino spostò la mano dal mio braccio alla schiena, premendomi contro di sé.

Il contatto con la sua lingua, quando schiusi la bocca, generò deliziosi brividi che mi corsero lungo la spina dorsale. Petto contro petto, capii l'inutilità della mia camicia di seta nuova di zecca quando desiderai sfilarmela via, memore di ciò che avevamo fatto per tutta la notte dentro all'Idra Spinata, giorni fa, per non morire di freddo. Un angolo piccolissimo della mia mente diceva che era sbagliato, che se sul veliero avevo ancora una scusa per fare quello che avevo fatto, qui no, qui non c'era ragione di contraccambiarlo ancora, di andare fino in fondo di nuovo...

Poi però mi allentò i primi bottoni della camicia, spostando le labbra sulla mia pelle, che vagarono sul collo, fra le clavicole, sul petto. E il dubbio si spense. Sentii i suoi denti stuzzicarmi i capezzoli, la lingua scivolare in un tocco lento e torturante, facendomi inarcare la schiena. Subito dopo mi liberò dall'indumento, sollevandomelo sopra alla testa fino a lasciarmi a torso nudo. Le sue mani tracciarono carezze sulle cicatrici che mi si affastellavano sulla schiena, un passaggio rapido che scese fino ad afferrarmi con una mano il sedere e con l'altra i capelli. Tornò a divorarmi la bocca con un bacio colmo di passione, mozzandomi il fiato nei polmoni.

Mi sentii ardere da cima a fondo, con un bisogno furioso che mi si concentrava sull'inguine. Udii il ringhio basso dello straeliano vibrare contro le mie labbra. Non riuscivo affatto a rifiutarlo. Allontanarlo non era quello che il mio corpo voleva.

Gemetti in risposta a quel bacio. Lui scostò la sua bocca sottile dalla mia. I suoi occhi erano due sfere d'ametista lucente. «Se non vuoi essere mio, dimmelo subito.» Il timbro graffiante della sua voce mi fece contrarre i muscoli del basso ventre. «Altrimenti ti butto sul letto e ti divoro.»

La mia testa era annebbiata dal desiderio e di tutta la frase riuscì solo a captare un "ti divoro". Schiusi le labbra, cinguettando un mugolio d'assenso, poco prima che lui mi sollevasse tenendomi le cosce fra le mani, per poi scaraventarmi sul letto lì vicino. Poi mi fu addosso, spogliandomi fino a quando non giacetti nudo fra le coperte, sotto il suo sguardo impietoso. Lui era ancora vestito, ai piedi del letto, appoggiato sulle ginocchia. Mi dimenai appena, in preda alla brama sotto allo sguardo malva di Ezrael, desideroso di prolungare il contatto fisico. Era meglio che lo facesse - veloce! - prima che i miei pensieri si rimettessero in moto.

Dal canto mio, neanche io riuscivo a smettere di fissarlo. La corporatura alta e muscolosa, mista al volto spigoloso così diverso dai tipici tratti di Skys Hollow, ai capelli d'argento lunghi fino al mento e ai canini leggermente affilati che s'intravedevano quando aveva la bocca schiusa, mi facevano desiderare di prendere l'iniziativa e spogliarlo prima che lo facesse lui. Quando si tolse la camicia con uno strattone rapido, mi venne l'acquolina in bocca e dovetti deglutire.

Poi piegò la schiena in avanti e s'incurvò all'altezza delle mie gambe, raggiungendo il mio membro indurito e tirandomi verso di lui per le cosce, in modo che le sue labbra potessero raggiungerlo. Circondò la punta con la bocca e, quando iniziò a succhiarlo, inarcai di colpo il bacino con uno strattone.

«Nnn... Ez.. non.. que- .. solo.. Entra..» biascicai, infilandogli una mano fra le lunghe ciocche, tirando un poco per cercare di allontanarlo dall'intimità indurita.

L'occhiata che mi lanciò dal basso bastò per mandarmi a fuoco. Allontanò la bocca solo per un attimo, parlando vicino alla punta umida, sentii il suo respiro stuzzicarmi la pelle sensibile. «Smettila di muoverti. Entrerò dentro quando sarò sazio. Ora stai buono.»

Lo sguardo scioccato che gli lanciai durò solo qualche secondo, prima che Ezra tornasse a torturarmi deliziosamente con le labbra, spingendosi ben oltre la punta. Gettai la testa all'indietro sui cuscini, boccheggiando, senza riuscire a controllare i gemiti. Quando iniziai ad agitarmi in piccoli spasmi di piacere, mi tenne fermo un fianco con una mano e usò l'altra per stuzzicarmi l'apertura, leccandosi un dito per poi farlo scivolare dentro di me, a cui seguì un secondo dito.

«Aah-! Ez.. sto per venire..!» lo avvertii, strattonando le lenzuola.

Si staccò, passandosi il pollice sul labbro inferiore prima di leccarselo, gesto che mi fece avvampare fino alla punta dei capelli. Era tutto molto diverso rispetto a quando l'avevamo fatto nel veliero: sembrava quasi più reale.

«Non ancora. Lo farai quando ti starò dentro.» Si ravvivò le lunghe ciocche chiare all'indietro, spazzandosele via dalla fronte, prima di slacciarsi i pantaloni e liberare l'erezione soffocata dentro ai pantaloni. La posizionò contro il mio anello di muscoli e mi penetrò con un movimento lento, senza smettere di guardarmi in viso: c'era qualcosa di terribilmente intimo, in quel gesto. E poi sopraggiunse anche quella strana sensazione di condivisione, come se sentissi ciò che provava anche lui, il modo in cui il mio corpo lo stringeva. Era inebriante, da capogiro.

Corrugò la fronte per lo sforzo, prima di iniziare a muoversi. Si accompagnò una delle mie gambe intorno all'anca, trattenendola, mentre i fianchi spingevano contro le mie natiche. Ti divoro, aveva detto. Non aveva tutti i torti: aveva un modo impetuoso di muoversi, con foga, come quando mangi qualcosa dopo settimane di digiuno. Sospirai e i miei gemiti vennero soffocati da un altro lungo bacio: gli infilai le dita fra i capelli e feci pressione sui talloni per muovermi contro di lui.

Adesso che il mio corpo si stava riabituando, mi resi conto di quanto fosse piacevole. Sentii tutto il mio corpo tendersi ed irrigidirsi, raggiungendo l'orgasmo: con un grido soffocato ci sporcai entrambi, tremando, ancora scosso dal piacere, mentre lui spingeva gli ultimi due colpi di bacino verso il mio sedere, uscendo poco dopo dal mio corpo per venirmi addosso.

«Ah.. cielo.. » sospirai, gli occhi lucidi di soddisfazione e il petto che si alzava e si abbassava, riprendendo fiato. Ezra si lasciò cadere al mio fianco, umido di sudore ma appagato quanto me, lo capii dall'ombra di sorriso che gli incurvava la bocca. Restai steso ed in silenzio, rilassato, ancora per qualche minuto. Poi balzai in piedi e tornai a ripetere ciò che avevo fatto quella mattina - ma lo era? Ottima domanda - cioè lavarmi e vestirmi.

Venti minuti dopo ero in piedi, in ghingeri, a sistemarmi la cintura delle armi intorno al bacino, assicurando i pugnali a mezzaluna nei rispettivi foderi.

«Dove stai andando?» chiese il mio guardiano, a voce bassa, con cautela, ancora steso fra le lenzuola.

«Visto che dobbiamo restare fino a domani, nessuno mi vieta di dare un'occhiata a questo posto.»

«No.» ringhiò, nemmeno lo avessi colpito in piena faccia. Alzai un sopracciglio. «Faremmo meglio a restare barricati qui dentro. Te l'ho detto, non sappiamo cosa c'è in questo posto. Come siamo entrati noi, può essere entrata qualsiasi altra cosa.» Si tirò a sedere, appoggiando la schiena contro alla testiera. «Evitiamo i rischi inutili.» Odiavo quando aveva ragione, ed ero ancora memore del morso dei serpenti che per pochissimo non mi avevano ammazzato. Ma...

«Abbiamo bisogno di informazioni per trovare l'ingresso dell'Oltretomba e quella che il tizio del diario chiama la Grotta dei Segreti.» affermai con sicurezza, stringendo le cinghie sui fianchi. «Non scopriremo niente se ce ne restiamo rintanati a girarci i pollici.» Sapevo di avere ragione, lo sentivo sulla punta del mio sorrisino irriverente. «Magari qui dentro scopriamo qualcosa...» Alzai le spalle e senza aspettare la sua risposta girai la maniglia ed uscii.

Sentii un'imprecazione soffocata mentre mi chiudevo la porta alle spalle, ma la ignorai, guardandomi intorno. Il posto era di un'eleganza quasi banale: parquet chiaro come i pannelli di legno alle pareti, con carta da parati di tessuto damascato sul beige e oro come i lunghissimi tappeti che proseguivano fino alla fine del corridoio. Applique dorati ai muri dove trovavano luogo candele spente e sciolte facevano da sfondo a un dito di polvere e qualche ragnatela. Una lunga serie di porte chiuse si susseguivano con numeri che iniziavano con l'1. Dovevamo trovarci al primo piano.

Da un lato il corridoio era chiuso, un semplice vicolo cieco. Dall'altro, si concludeva con un grande arco che si affacciava su scale a chiocciola col corrimano dipinto d'oro, ossidato dal tempo, tutto lavorato con motivi a fiori e foglie. Camminai in quella direzione, coi passi che rimbombavano in un silenzio agghiacciante, che avevo imparato fosse tipico del Regno del Caos. Eppure, quando raggiunsi la tromba delle scale, lo sentii. Lontano, ma c'era.

Musica.

Era un lieve suono di tamburi, appena accennato, che scandiva un ritmo lento, a cui si era aggiunto quello che mi sembrò un violoncello e subito dopo un violino. Scesi rapidamente le scale e, quando raggiunsi l'ultimo gradino, sentii il suono crescere d'intensità.

«Che diavolo...» Chi poteva suonare nel bel mezzo di un edificio abbandonato, nel bosco infestato da creature mostruose di un regno dimenticato dall'umanità? Oltrepassate le scale, raggiunsi un grande atrio, con colonnati di marmo, poltroncine beige e un bancone oltre cui era appeso un ampio pannello di legno che ospitava tutta una serie di chiavi scintillanti, coi rispettivi numeri di stanza. Vidi il riflesso di qualcuno alle mie spalle dal campanello dorato sulla superficie di marmo del bancone, e per poco non rischiai di pugnalare Ezrael alle mie spalle.

«Merda, non mi spuntare così alle spalle!» sbottai, rimettendo a posto il pugnale. Non l'avevo sentito arrivare, la musica aveva coperto i suoi passi.

Ignorò ciò che avevo appena detto e si guardò intorno. «Da dove pensi che provenga?» Parlava della musica.

«Sembra arrivare da lì...» feci un cenno del mento verso la grande porta rossa, chiusa, piazzata sulla parete sinistra dell'atrio, con grandi maniglioni centrali. L'albino doveva aver capito immediatamente cosa avevo intenzione di fare, perché mi afferrò per il polso e mi strattonò indietro.

«Non farlo.» disse, indirizzandomi uno sguardo eloquente, a cui risposi con un altro sguardo seccato, liberando il braccio con uno strattone, prima di proseguire in avanti, afferrare i maniglioni e senza esitazione spalancare la porta.

La musica mi ruggì in faccia con una forza dirompente, mentre i miei occhi color diamante scivolano sull'ampia sala da ballo. Mi sarei aspettato tutto, tranne che fosse così affollata. Sembrava che la gente fosse spuntata dal nulla, perché il resto dell'hotel era desertico. Evidentemente si erano tutti riuniti lì, impegnati in quelle danze sfrenata. Non vedevo traccia di un'orchestra o di un punto da cui arrivava la musica, eppure l'armonia partiva decisamente da questa stanza.

Stoffe colorate e vivaci, ampie gonne, uomini e donne che giravano e piroettavano, intrecci di braccia che si scambiavano quando i partner di ballo si mescolavano costantemente, come se tutti conoscessero tutti. Chiacchiere e risate rendevano l'atmosfera piacevolmente caotica, la gente parlava mentre danzava, si riuniva in piccoli cerchi e poi si salutava, riprendendo a stare a due a due, prima di unirsi di nuovo a qualche altro girotondo di quattro o cinque persone. Lanciai un'occhiata ad Ezrael, giunto accanto a me, che sembrava sorpreso tanto quanto lo ero io.

In prossimità della porta che avevo appena aperto c'era anche un piano bar, ricolmo di bottiglie di tutti i tipi, con un barista in frac che si muoveva zelante preparando cocktail a chiunque ballasse nei pressi: i danzatori allungavano semplicemente il braccio, afferravano lo stelo di un bicchiere e sparivano nella calca.

«Che cavolo ci fa tutta questa gente qui?» sussurrai all'uomo al mio fianco, che serrò la mascella, osservando dall'alto delle scale che scendevano verso la sala quanto stava succedendo.

«Non ne ho idea.»

Scesi i gradini, aggirando la ressa per raggiungere il piano bar, dove il barista di mezz'età lucidava bicchieri con un'espressione serenamente compiaciuta. Quando mi vide sedermi ad uno sgabello imbottito, smise di pulire calici e mi rivolse un sorriso cortese. «Cosa posso offrirvi?» Ezra si era seduto al mio fianco e aveva un'espressione affatto felice in volto. Come la maggior parte delle volte, del resto.

«Un bicchiere di brandy per me e il mio amico.» cinguettai, tirando un calcio sotto al bancone alla gamba del mio guardiano per intimargli di non fare quella faccia. Stavo cercando di sembrare a mio agio, come se fosse tutto perfettamente normale. Come se quella gente fosse in un palazzo a Skys Hollow a divertirsi, e non in un posto che sembrava cospirare contro ogni essere vivente per ammazzarlo. L'uomo si mise subito all'opera.

«Allora...» ripresi, appoggiando una guancia sulla mano, il gomito sul piano di legno. Il mio istinto mi stava gridando tutta una serie d'allarmi, ma il mio viso angelico, incorniciato da boccoli d'oro, non lo diede affatto a vedere. «... Quanta clientela! Noi siamo arrivati oggi.» Supposi che Ezra si fosse semplicemente infiltrato all'interno, prendendo una delle tante chiavi dal pannello nell'atrio e che fingerci clienti senza aver pagato un tubo potesse essere un azzardo con un inserviente. Poco importava. In fondo avevo ancora dei pugnali appesi ai fianchi e nessuno ci aveva fatto caso. «E gli altri, da quanto tempo sono qui?»

«Da tutta la stagione, signore.» rispose, allungando i bicchieri colmi di brandy verso di noi. Una risposta vaga, considerando che era impossibile capire che stagione fosse nel Regno del Caos. Ero sicuro che facesse sempre un caldo infernale e che il cielo fosse perennemente coperto dalla nebbia. «Qui c'è tutto il necessario, tutto ciò che serve per divertirsi...» sussurrò, con un placido sorriso, infilando del ghiaccio nei nostri bicchieri.

Non bere.

Avvisai l'albino, che fui sicuro avesse avuto il mio stesso pensiero. Tuttavia, presi ugualmente la coppa e me la portai alle labbra, fingendo di assaggiare.. «E dovreste divertirvi anche voi.» continuò l'uomo in frac, mentre io appoggiavo il drink sul piano. Il tono cortese e paziente con cui l'aveva detto sapeva tanto di minaccia.

«Sentite...» Dovevo escogitare un modo per scoprire cosa stava succedendo e come potevo arrivare al famigerato ingresso dell'Oltretomba. Tuttavia, prima che potessi aggiungere altro, una mano mi tirò via dallo sgabello. Ezra non fece in tempo a fermarlo: fui trascinato in mezzo alla calca di ballerini.

«Fermo!» sentii il rabbioso borbottare del mio guardiano da lontano, quando ormai la ressa mi aveva inghiottito. Il danzatore attraversò il mio spazio personale, afferrandomi le braccia per premermi contro di lui, facendomi piroettare e muovere con movenze complicate, mentre io cercavo di stare al passo e guardarmi intorno per trovare una via di fuga. O magari... Magari poteva essere un'occasione da cogliere.

«Siete un ottimo ballerino, messere.» Non rallentò il ballo nemmeno per sentirmi parlare, ed era difficile sentire la propria voce al di sopra della musica: sapevo di star gridando. Consapevole di non riuscire a fare giri di parole, cercai di passare direttamente al dunque. «E' forse vero che da qualche parte in questo regno c'è un ingresso per l'Oltretomba??» Non appena finii la frase, l'uomo mi spinse fra le braccia di un'altra dama, che mi sorrise con un'aria di cupa malizia, girandomi intorno mentre si muoveva sinuosa, battendo le mani a tempo.

Altre mani mi afferrarono, altre braccia mi fecero piroettare e danzare, con la musica che pian piano mi stava entrando nel cervello: bum-bum, il suono del tamburo a tempo col mio cuore. Poi mi ritrovai in un cerchio di quattro persone, le mani strette e le gambe che continuavano a girare in tondo. E girare, e girare, e girare. Avevo la costante impressione che qualcuno o mi osservasse, come quando ero nel bosco, da molto vicino. Ma non aveva importanza, perché non riuscivo a smettere di muovermi.

Un giro, e vidi facce sconosciute sorridermi di rimando, inebetite. Un giro, e captai un paio di occhi neri e astuti da qualche parte in mezzo alla folla, alle spalle delle persone che facevano parte della mia cerchia. Un giro, e ritrovai un sorriso sadico e familiare. Un giro, e mi resi conto che l'uomo che ballava e mi fissava con un folle sguardo predatorio da rapace, era qualcuno che avevo visto nei miei incubi. Qualcuno che desideravo sventrare tanto quanto il Re.

Sentii le mie labbra ululare un ringhio e mi buttai in avanti, rompendo il cerchio per lanciarmi contro quel fottuto bastardo. «Ciril Crow!!» gridai, vedendolo dall'altro capo della sala, inghiottito da un ingorgo di persone, gonne vaporose, cappelli piumati. Stava là e mi fissava, dondolando insieme agli altri in quella danza senza fine, sorridendomi, come se fosse la cosa più divertente del mondo.

L'uomo che mi aveva mandato a Treblin. L'uomo che aveva puntato la spada alla gola di Yul. L'uomo che ci aveva teso una trappola. L'uomo che aveva ottenuto il suo prestigio grazie alla gestione di Ender ed era diventato capo delle guardie della città. L'uomo che mi aveva colpito sul patibolo, facendomi svenire, facendomi abbandonare Yul lì. L'uomo che aveva sogghignato quando il Re aveva scelto, fra tutte le esecuzioni e le condanne possibili, proprio Ender. Come ci era finito nel Regno del Caos? Il suo compito di darmi la caccia lo aveva portato qui?

Non importava. L'avrei sbudellato e l'avrei fatto a pezzi.

«CIRIL!» urlai, facendomi largo fra la folla a gomitate e spallate: avrei estratto i falcetti, se solo non avessi rischiato di pugnalare anche la calca. Spinsi, corsi, sibilai, agitandomi come un dannato nel tentativo di raggiungere molto presto l'altro capo della sala. Ed ero talmente impegnato a guardare Ciril Crow con gli occhi iniettati di sangue, che non mi accorsi che qualcuno incombeva alle mie spalle. Mi afferrò per i capelli e mi scaraventò a terra, con talmente tanta ferocia da farmi male.

Stordito, alzai la testa per ritrovarmi a fissare il mio aggressore. Un urlo d'orrore per poco non mi sfuggì dalla bocca: lo sentii partire dallo stomaco, ma rimase poi fermo a metà gola. Immobile.

«Schifosa puttanella! Dovevi essermi utile!» gracidò la voce stridula e odiosa dell'omone grasso e avvizzito come una prugna andata a male, il volto paonazzo per l'alcol e la pancia prominente che saltava fuori dagli abiti pregiati. Mentre ancora ero a terra, immobilizzato dallo shock, mosse una gamba e mi calciò dritto allo stomaco, svuotandomi di tutta l'aria che avevo nella pancia. Eppure mi alzai velocemente in piedi, con i pugnali nelle mani, fronteggiando l'orribile uomo che mi aveva comprato all'asta quando ero piccolo, che mi aveva umiliato, picchiato, e provato a violentarmi prima che io lo sgozzassi. Il mio primo omicidio. Lui non doveva essere qui. Doveva essere morto.

«Vaffanculo, porco!» ringhiai, ficcandogli il pugnale proprio in mezzo agli occhi. E ancora, ripetutamente, sfigurandolo orribilmente mentre il sangue mi schizzava sulla faccia. Eravamo ancora in mezzo alla calca, ma nessuno stava urlando e nessuno mi stava ostacolando. Anzi, si erano aperti a cerchio ed erano intorno a noi, con le mani unite, a ballarmi intorno, ridendo, ridendo forte, in maniera inquietante e grottesca. L'unione delle loro risate fu tale da sovrastare la musica. Riuscii comunque a sentire la voce che arrivò, poco dopo.

«Passeroottooo!» Girai su me stesso, confuso da quella spirale di facce e quella sfilata di bocche spalancate in ghigni osceni, che non smettevano un attimo di sfrecciarmi attorno, senza darmi la possibilità di uscire dalla loro gabbia di arti e di mani e di vestiti. «Fiorellinooo!» cantilenò una voce maschile, ancora. La riconobbi solo quando lo vidi oltre alle persone che mi stavano circondando: era il Visconte Callum, l'uomo che mi aveva adescato per tentare di vendermi all'asta.

Erano tutti lì. Erano tutti lì per me, come fantasmi del mio passato, a non lasciarmi in pace. Roteai su me stesso, con le armi in mano e ancora sozzo di sangue, cercando una via d'uscita, ma le uniche cose che vidi furono persone ridenti. E Ciril Crow all'estremità della stanza, che mi scandagliava col suo ghigno sadico da pazzo omicida. E il Visconte Callum alla mia sinistra, oltre il cerchio, oltre i ballerini, che mi osservava con uno sguardo viscido e ammiccante. E il mio compratore alla mia destra, che sembrava essersi spostato come per magia oltre il girotondo anche se io non mi ero mosso. Non avrei potuto stabilire se mi guardasse: la sua faccia era una massa informe e sanguinolenta, eppure era in piedi, fermo fra la gente, come se nulla fosse.

Era tutto così raccapricciante, che mi fece venire voglia di vomitare.

«Andate via! Lasciatemi! LASCIATEMI IN PACE!» urlai talmente forte da sentire la gola dolere, sperando che Ezra mi sentisse, se era lì, da qualche parte. Vedeva quello che vedevo io? Sentiva ciò che sentivo io? Mi sentii ancora una volta sull'orlo del precipizio, al limite della ragione, oltre cui c'era il baratro profondo della follia.

Le persone non smettevano di girare intorno a me. Non smettevano di ridere di me. Era insopportabile.

E quando pensai di non poter più reggere altro, la vidi in cima alle scale, proprio all'ingresso della stanza, davanti alle porte spalancate. Immobile, una donna dai lunghi capelli corvini, a cui mancava una mano, col braccio che sanguinava copiosamente, mi stava osservando. Lo sapevo nonostante avesse il viso sfocato come se visto attraverso un vetro appannato. Riuscivo però a scrutare i suoi occhi dorati, due globi di oro puro che contraccambiavano lo sguardo. Si portò un dito alle labbra e con un fil di voce sussurrò:

«Sssh

La musica si spense e la stanza fu vuota all'improvviso. Completamente deserta. Mi resi conto, con un lungo, lunghissimo attimo di sgomento, che era sempre stata vuota. E che il mio pugnale non era affatto sporco di sangue. Eppure, caddi a terra e vomitai tutto quello che avevo mangiato in mattinata, senza rendermi conto di avere le guance impiastricciate di lacrime, finché non mi pulii la bocca con il dorso della mano, strisciando anche sullo zigomo.

Poi sopraggiunse Ezra, finalmente: un'occhiata veloce al suo viso mi fece vedere occhi spiritati e un pallore spettrale. Gli orrori che avevo visto io, doveva averli vissuti anche lui, qualsiasi cosa fossero. Mi abbracciò d'impulso, per un istante che fu brevissimo, prima di staccarsi con gli occhi sgranati. «Dobbiamo andarcene di qui. Immediatamente!» disse, con un'urgenza e un terrore assolutamente autentico.

Della ragazza in cima alle scale - decisamente familiare - non c'era più traccia. Né del barista o dei ballerini. La sala era impolverata, piena di ragnatele, con la carta da parati stracciata e il piano bar pieno di bottiglie rotte o colme d'insetti; tutto completamente diverso rispetto a come l'avevo visto. Non mi soffermai a guardare oltre: corremmo fuori dalla stanza, catapultandoci nell'androne. Il silenzio si era fatto pesante, colmo di tensione. Sentivo brividi di paura scorrermi dalla testa ai piedi, per questo fu un sollievo raggiungere la porta d'ingresso per spalancarla.

Solo che quella non si aprì.

«Ezra! Aiutami qui!» lo chiamai. Si piazzò sull'anta sinistra, mentre io sulla destra, e ci mettemmo a spingere. Nulla. «Al mio tre, spingi più forte che puoi.» Lo avvisai, ricevendo in risposta un cenno d'assenso. «Uno...» poggiai per bene tutta la mano contro la porta. «Due...» Presi un bel respiro, preparandomi. «... Tre!» Spingemmo. Digrignai i denti e corrugai la fronte, facendo appello a tutte le mie forze.

Niente.

Un terribile senso di déjà vu mi avvolse come delle corde intorno al collo. Quello che era successo nel Castello del vampiro, il suo ricordo, mi colpì come un pugno nello stomaco. «No. Non stavolta.» gemetti, correndo ad afferrare una delle poltroncine piazzate strategicamente nell'atrio, lanciandola contro alla finestra per cercare di sfondare il vetro e aprirci una via d'uscita. La sedia si spaccò contro il vetro e cadde a terra, lasciando la finestra illesa ed intatta.

Ezra ringhiò, investendo di calci e pugni la porta d'ingresso, più per la furia che per ottenere qualche risultato. Provai a scaraventare altre poltrone verso le finestre, ma non ottenni altro che imbottitura e legno rotto. Dovetti prendere un profondissimo respiro, per poter affermare, senza urlare o mettermi a ridere in preda all'isteria: «Siamo in trappola.»

E intuii che trovare un modo per uscirne non sarebbe stato per niente facile.




***
*NDA - Un angolo terribilmente assonnato dell'autrice fiera di se stessa*

Hola!
Tutta questa puntualità... Sta scioccando perfino me. Sono fiera di me stessa, ma anche un po' sconvolta, sto praticamente pubblicando quanto farei in un anno intero. Fra poco gli asini voleranno (e sto delirando per il sonno, magnifico finire un capitolo a quest'ora e sperare di non aver scritto castronate, ma essere troppo in hype per aspettare una revisione e voler pubblicare subito. Ha senso quello che ho scritto?). Comunque, è venuto fuori un capitolo davvero lungo, cavoletto. Ormai abbiamo superato il numero di capitoli che aveva Sfavillo (sì, sono conteggiati come trenta, ma cinque non sono narrativa), quindi questo secondo libro si dimostra sicuramente pi
ù lungo... Ancora un bel po' di cose devono accadere! E spero di riuscire a pubblicare anche altro prima di agosto, che sarà per me un mese fitto fra un paio di vacanze e impegni universitari. Intanto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! 
Alla prossima ~ 

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