20. L'Assassino, il gelo e l'ardore
«Il desiderio è ancora più forte
quando è appeso a un filo.»
- Miguel Ángel Arcas
Nessuno aveva detto che sarebbe stato facile.
Questo lo sapevo perfettamente anche io. E nella consapevolezza di ciò, avevo accuratamente evitato di vedere Scilla all'opera: qualsiasi cosa avesse fatto, non ne rimaneva alcuna traccia, se non punti del ponte mezzi disciolti, immaginai per colpa della bile dell'essere, schizzata fuori da una delle sue dozzine di bocche. Secondo un libro che tanti anni prima avevo letto - un libro d'avventura, chi se lo immaginava che prima o poi avrei affrontato una simile bestia? - i serpenti che si innalzavano dal suo corpo potevano vomitare i loro intestini dalla bocca e avvolgerci dentro l'intera preda, che si sarebbe cucinata nel loro acido, prima di ingoiarla tutta. Ovviamente, gli intestini avevano un diametro tanto ampio da poter catturare, in media, venti uomini insieme.
Inutile dire che del mio equipaggio, lassù, non ne rimaneva nessuno. I sopravvissuti si contavano sulle dita di una mano: il cuoco, che al momento di entrare nel Mare dei Mostri stava cucinando la cena. L'affascinante Nostromo dalla chioma sale e pepe, che era impegnato a calcolare rotte ed esaminare instancabilmente mappe nei suoi alloggi insieme al viscido segretario di rotta. E infine, un altro paio di pirati che erano corsi al ponte di batteria per mettersi ai cannoni. Un gruppo davvero sparuto, che rendeva le minacce ai miei danni praticamente nulle. Non che me ne preoccupassi, prima. Io ero il Re dei Pirati e loro... semplici corsari. Sì, stavo iniziando ad affezionarmi ad un titolo che non mi apparteneva per nulla. Ma me lo ero guadagnato combattendo, ed era giusto che lo sentissi mio.
Il problema dei pochi sopravvissuti, però, era che la "carne da macello" si era esaurita e dalle seguenti minacce dovevamo uscirne illesi, in un modo o nell'altro. Mi servivano tutti i pirati possibili per navigare nelle acque impervie del Triangolo delle Bermuda e non potevo lasciare altri uomini a morire sul ponte mentre io mi giravo i pollici nella stiva. Bisognava restare a combattere e a proteggere la nave.
Il primo attacco fu il prevedibile canto delle Sirene: ci ero già passato, per cui avevo raccomandato a tutti di gridare sopra alle voci melliflue di quelle orrende creature, praticamente mummificate sul loro isolotto, a furia di aspettare marinai che in nessun modo sarebbero riusciti a superare il varco di Scilla e Cariddi. Non erano certo in molti ad arrivare dov'eravamo giunti noi. Il secondo attacco partì da un drago marino: un gigantesco mostro verde e squamoso più simile ad un serpente che alla creatura alata delle tradizioni - forma in cui poteva mutare anche il Redivivo, secondo i ricordi di mia madre. Sconfiggerlo non era stato in alcun modo possibile, ma metterlo in fuga con una serie di attacchi ben mirati aveva dato i suoi frutti.
Stavo incominciando ad imparare come usare il resto dei poteri: per poco non avevo dato in pasto alle fiamme l'intera nave, tuttavia, indirizzare le palle di fuoco verso l'obiettivo, dopo un paio di tentativi, non era stato poi così complesso. Avevo cotto buona parte della coda del mostro marino, che era scappato portandosi dietro la testa del segretario di rotta - non una perdita poi così grave... - insieme all'albero di trinchetto - una perdita ben peggiore.
Inutile poi parlare degli attacchi di squali oltre la normale misura, delle acque infestate da murene e di improvvise tempeste che arrivavano fulminee per il tempo di sballottarci e confonderci per poi sparire inspiegabilmente con la stessa rapidità. Giorno dopo giorno, ci eravamo abituati alle condizioni in cui versava il nostro viaggio e stavamo imparando a reagire ai guai provando addirittura ad anticiparli per tempo.
Difatti, mi ero piazzato di vedetta in cima all'albero maestro, un cappello piumato di blu a ripararmi dal sole e un cannocchiale alla mano. Visto che volevo Ezra lontano dai problemi, gli avevo imposto di rimanere a studiare i libri nelle nostre stanze. Quando non era lì, ciondolava sul ponte per prendere una boccata d'aria o svolgere altre mansioni di breve durata. A volte lo beccavo che mi fissava dal basso, gesto a cui io rispondevo in maniera contrastante: a volte lo salutavo con brevi cenni del capo, altre volte sentivo il rossore affiorare sulle guance e distoglievo frettolosamente lo sguardo. Non sapevo nemmeno io come reagire.
Ogni volta che lo guardavo mi veniva voglia di toccarlo e di essere toccato... Ed era piacevole e logorante insieme, specialmente perché temevo che intuisse il desiderio che provavo. Forse lo provava anche lui. Magari il mio era un riflesso della sua brama.
«Non è possibile...» le mie elucubrazioni terminarono quando la lente del cannocchiale puntò verso l'orizzonte, sull'ombra scura di qualcosa di enorme che si agitava nell'acqua. Qualcosa che assomigliava molto alla polena della mia nave, da cui prendeva il nome. L'Idra. «VIRATE TUTTO A DESTRAAA!» urlai dall'alto, congratulandomi ancora una volta con me stesso per aver avuto l'ottima idea di piazzarmi sull'albero maestro. Nessuno di noi voleva un incontro ravvicinato con la mascotte del veliero pirata più temibile del Continente Magico. Del resto, eravamo rimasti in sei ad affrontarlo, cuoco compreso. Riuscimmo facilmente ad aggirarlo e proseguimmo verso la meta indisturbati.
Il concetto di tempo stava iniziando a perdere senso: nonostante le lancette dell'orologio confermassero che fossero le quattro di pomeriggio, il sole era tramontato da un bel pezzo e il cielo vantava spettacolari costellazioni. Il fatto che bisognasse arrivare ai confini del mondo per godersi quello scenario magnifico era una malsana ironia. Le stelle brillavano ed erano talmente grandi sulla sommità della volta scura, che parevano mele gialle da rubare, allungando semplicemente la mano verso dei rami troppo alti.
Non mi ci ero mai soffermato, durante i vari viaggi navali che avevo compiuto, ma nei momenti di ozio, quando era ormai calato il buio e non c'erano pericoli all'orizzonte, mi chiedevo se il mio viaggio nel Continente Meridionale potesse essere così. Se tutto fosse andato bene, se non avessimo mai partecipato a quella falsa missione ad Ender, che cosa ci avrebbe aspettato? Avremmo visto stelle meravigliose come queste, stretti l'uno all'altro contro al parapetto di un veliero, fantasticando sul nostro destino? Sarei davvero diventato l'acclamato pianista che mi divertivo ad immaginare? O ci saremmo uniti ad una nuova Gilda, superando il mio orgoglio e il senso di dipendenza e dovere che mi legava ad Alaister?
Poi mi accorgevo che pensare al passato mi faceva soltanto male. I rimpianti mi piombavano addosso insieme al cordoglio e al dolore. Se solo fossi stato più attento... Se solo mi fossi reso conto della trappola di Ciril Crow. Se solo non fossi stato così accecato dall'orgoglio e dalla prospettiva di una vita libera... E poi arrivava il senso di colpa. Me lo sono meritato. Per aver trattato male Yul per anni. Per aver creduto di essere più intelligente degli altri. Per aver sperato che il mondo non fosse così cattivo come mi aveva sempre dimostrato di essere. Ogni tanto mi chiedevo come andassero le cose nella Gilda. Come se la passavano le persone a Skys Hollow. Spesso ripensavo al bigliettino che Tracy mi aveva dato nella Casa di Sapienza e che avevo fatto cadere.
"In realtà Alaister è m..."
Non l'avrei mai saputo. Ma immaginai che fosse meglio così. Era meglio non pensare a quello che era stato, un tempo, il mio protettore. Che mi aveva ingannato nel peggiore dei modi facendomi lavorare a favore della tratta di schiavi, che aveva picchiato Yul, che non era mai venuto a salvarci sul patibolo come aveva promesso di fare. Era meglio che dimenticassi quell'uomo, che dimenticassi quello che era accaduto solo due anni - circa - prima. Anche se avevo ancora intenzione di vendicarmi.
Alla fine, scacciai tutti i pensieri per sfruttare quel momento di calma: chiamai Ezra telepaticamente e lo invitai a raggiungermi sul ponte per allenarci un po'. Era bello soffocare quello che mi frullava nella testa menando le mani. Quando arrivò, appese un paio di lanterne agli appositi uncini e si preparò prima di fronteggiarmi. Si legò la chioma argentea in un codino alto sul capo, con qualche ciocca che era scivolata sulla fronte, ondeggiando vicino agli occhi ametista, poi si liberò della giacca, rimanendo solo in camicia. Era particolarmente aderente sul suo busto e non c'erano abbastanza bottoni per chiuderla sul petto, per cui un generoso scorcio lasciava intravedere muscoli torniti tanto bianchi da sembrare fatti di marmo. Sarebbe potuto tranquillamente passare per una statua, fra i labirintici giardini di qualche tenuta nobiliare di Skys Hollow.
«Pronto.» avvisò, impugnando la sciabola per puntarla davanti a me, ma non prima di averla fatta mulinare nell'aria, che sibilò, un gesto che facevo spesso anche io per caricare un colpo. Era stranamente sensuale, quel suo modo di padroneggiare l'arma.
«Ptf, ti ho insegnato solo un paio di cose e già fai il gradasso?» cinguettai provocatorio, e fu il mio turno di togliermi la giacca, calciandola ad un lato del ponte per non trovarmela fra i piedi. Lui sbuffò, pur incurvando le labbra in un sorriso, e non aggiunse altro prima di caricarmi contro. Compì i movimenti giusti: era notevolmente migliorato, specialmente perché usava i trucchi che gli avevo consigliato. Puntare sulla sua forza e caricare il colpo sentendolo vibrare lungo tutta la lama. Fu difficile pararlo: dovetti tenere l'elsa dei miei pugnali a mezzaluna tanto forte da sentire le impugnature scavarmi nel palmo. Poi lo distrassi con un calcio ben piazzato allo stinco. Sussultò e arretrò rapidamente.
Non parlammo ulteriormente: ci attaccammo a vicenda senza un attimo di respiro. Provò un fendente, con la lama che arrivava dall'alto dei suoi due metri, ma io lo schivai così rapidamente che gli ero già arrivato alle spalle, tagliandogli la camicia dalla spalla sinistra al fianco destro, un lungo taglio in diagonale. Girò su se stesso, indignato, tentando invece con un montante, la punta della sciabola che saliva dal basso per infilzarmi, solo che io deviai la traiettoria e lo colpii in faccia con l'elsa di un falcetto.
Sembravamo un colibrì che punzecchiava uno stallone, ed ogni volta che quello cercava di addentare rabbiosamente le ali, il rapidissimo uccellino si era già spostato. Continuai a roteargli attorno, colpendo a volte coi pugni, a volte con la lama, fino a ridurgli la camicia uno straccio inutilizzabile. E lui non si stancava di provare a prendermi: se non con la sciabola, cercava addirittura di acciuffare l'aria con le mani, sperando di riuscire a strattonarmi per i riccioli. Ad un certo punto sentii le sue dita fra i capelli, ma mi scostai troppo in fretta perché potesse afferrarmi.
«Quasi.» ridacchiai. Vidi i suoi occhi viola lampeggiare, come un toro davanti al rosso, ma non per forza di rabbia, la mia sfida sembrava piuttosto attecchire come una scintilla sulla paglia. In un istante sarebbe divampata. E non si sarebbe per forza spenta dopo qualche secondo.
Tornò alla carica, impetuoso, e quando parai la lama incrociando ad X le mie, molto più piccole e maneggevoli, il suo volto si sporse verso di me, spingendosi proprio sopra l'incrocio di lame, pericolosamente. «Ora che ti guardo così da vicino, sai che hai proprio dei begli occhi?» sussurrò, facendomi arrossire all'improvviso. Un attimo di distrazione che mi costò caro. Esercitò una pressione decisa sulle mie lame, facendomi piegare le ginocchia, finché con uno strattone della mano libera non mi spinse a terra, piombandomi addosso.
Mi bloccò le mani armate, immobilizzandole sopra alla mia testa, le sue dita ferme a circondarmi i polsi per tenerli bloccati contro il pavimento. Incombeva sopra di me, un ginocchio fra le mie gambe e uno accanto al fianco, qualche ciocca di capelli che si allungava verso di me e mi sfiorava la guancia. Ci fu un attimo di intenso silenzio e il suono scrosciante del mare in sottofondo pareva annegare qualsiasi tentativo di proferire parola. Un attimo in cui i nostri occhi si soppesarono, sondarono e i nostri nasi quasi si sfiorarono... E poi un bagliore luminoso e colorato catturò i nostri occhi.
Ezra sollevò la testa verso il cielo oltre il parapetto della nave ed io lo imitai, restando a bocca aperta davanti a quella scena senza eguali. L'avevo già vissuta ma restava comunque pazzesca. Un'intera orda di meduse fluttuava dolcemente nel cielo, colorate e soffici, si gonfiavano e poi ondeggiavano verso l'alto, illuminando il blu notturno di un bagliore che emettevano da sole. Nuotavano nell'aria e niente disturbava il loro librarsi senza peso. Era un momento magico e né io, né Ezra, lo guastammo dicendo qualcosa.
Mi offrì una mano che io accettai, tirandomi su: restammo in piedi a guardare quella scena, col suo braccio che mi avvolgeva la vita e mi teneva stretto a sé in una specie di abbraccio, mentre io per riflesso gli avevo poggiato le dita sul petto. Sentivo il suo cuore battermi fra la punta dei polpastrelli e fu ciò che mi spinse a sollevare gli occhi verso di lui. Non ci fu alcun messaggio mentale a coordinarci, ma abbassò le iridi nello stesso momento in cui io le alzavo. Sentii la sua mano indirizzarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio, gesto che mi investì di brividi lungo tutto il collo.
Mi alzai in punta di piedi proprio quando lui curvò la testa verso il basso, sentendo l'aria fra le nostre labbra crepitare. Prima che potessero toccarsi, però, il suono malinconico di un flauto di pan ci frenò. I nostri occhi scattarono verso la fonte del suono: era un pirata, seduto ai piedi dell'albero di mezzana, che suonava lo strumento ad occhi chiusi. Probabilmente quello scenario aveva evocato qualcosa in lui, forse aveva maturato la consapevolezza di essere sopravvissuto al contrario dei suoi compagni. Non restava che lui, uno dei suoi compari, il nostromo e il cuoco. Sarebbe sopravvissuto fino all'arrivo nei Regni del Caos? Forse. Sarebbe sopravvissuto una volta lì? Meno probabile. Anche perché, la nave era mia e non era ammesso che tornassero indietro finché la mia missione non si fosse conclusa con successo. Certo, potevo anche morire nel frattempo: ciò implicava aspettarmi all'infinito.
«Tu balli, uomo delle caverne?» domandai, con un leggero sorriso, mordendomi il labbro inferiore. «Ho vissuto le vostre strane feste.» E avevo capito che gli straeliani sapevano baciare bene. Questo mi era chiaro. «Ma non sembri il tipo da danzare con qualcuno.»
«Infatti non lo sono.» borbottò, mentre io gli prendevo le mani e me ne posavo una sul fianco, l'altra dritta alla nostra destra, intrecciata alla mia. Appoggiai la sinistra sulla sua spalla.
«Per stasera lo diventerai.» I miei occhi di ghiaccio, tempestati di viola e d'argento, scintillarono. «Lo faresti per il tuo principe?» chiesi, divertito. Strano, finire per ballare su una nave pirata, avvolti da meduse volanti, sulle note di un flauto di pan suonato da un criminale. E stavo ballando con un membro di una civilità apparentemente estinta che mi riteneva il suo principe. Se non fosse tutto così reale, mi sarei messo a ridere. Lo straeliano, invece, strinse un poco le labbra. «Avanti... Lasciati andare.»
E così... Fece. Strinse la presa sul fianco e sulla mia mano, facendo un passo in avanti, iniziando a condurre. Mi adattai facilmente, dosando il ritmo quasi fosse un valzer lento, seguendo le note del flauto. «Perché proprio ballare?»
«Partecipavo a tanti balli, ai tempi di Skys Hollow.» Quasi mi pestò un piede, ma io riuscii a schivarlo e a continuare a danzare aggraziato. «E' strano, ma mi manca quella vita. Avevo un obiettivo, dei compiti, direttive da seguire. Non ero libero, nemmeno lontanamente, e la vita mondana era piena di maschere e falsità. Ma adesso, viaggiare verso una meta ignota, inconsapevole di chi o cosa dovrò affrontare... Mi fa sentire smarrito.»
Lui mi sorrise, corrucciando la fronte in un'espressione di amara comprensione. «Lo dici a me? Fino a poco tempo fa non avevo mai visto il mondo in superficie.» Doveva essere scioccante, per lui.
«E' davvero un peccato che nessuno di voi abbia mai avuto la possibilità di uscire da quelle caverne.» osservai, il mento sollevato, la testa reclinata per guardarlo negli occhi a distanza così ravvicinata.
Si rabbuiò. «E' inevitabile. Il Redivivo ci percepisce.»
«E' per questo che quella volta, quando stavi cercando di avvisarmi su Ender, ho sentito la nostra.. Connessione disturbata? Tua sorella sembrava ti avvisasse di un pericolo imminente.» Mi riferivo quando ancora la mia vita non era stata distrutta. Quando era tutto in ballo e il futuro sembrava un orizzonte carico di possibilità. Quando Yul era stato avvicinato con un'offerta vantaggiosa: liberare schiavi ai cancelli di Ender. Ezra aveva cercato di avvisarmi che fosse un inganno parlandomi telepaticamente, ma qualcosa si era messo in mezzo.
Sembrò fare mente locale, poi capì a cosa mi riferivo. «Ci cerca spesso, specie nel luogo dove siamo sprofondati. Quella volta il vecchio ha creduto che stessero per scoprirci.» Storse le labbra. «Lo sai, perché esistono posti come Treblin, o Ender? Posti come i campi da lavoro?»
«Perché così può impartire una lezione esemplare ai suoi nemici?» E perpetrare la sua violenza senza mai stancarsi. Odioso bastardo.
«Anche. Ma la verità è che usa gli schiavi per scavare dei tunnel verso le viscere della terra e trovarci. Finge che sia per estrarre sale o carbone, perché la gente non capisca che sta cercando qualcosa.» spiegò, lasciandomi profondamente turbato. Ancora una volta ero stato complice di qualcosa che andava contro ogni mio principio ed ogni mio interesse, senza saperlo. Proprio come quando avevo sabotato il vecchio Re dei Pirati, Ren Uruj, o quando avevo ucciso Joseph Martin, entrambi a favore dell'abolizione della schiavitù. «Ehi... Non potevi saperlo.» mi consolò, stringendo leggermente la presa sul mio fianco.
Per qualche minuto rimasi in silenzio: appoggiai il capo contro alla sua spalla e mi limitai a muovere le gambe in un lento ondeggiare sul posto. «Mi sono sempre chiesto una cosa..» sussurrai alla fine, senza rialzare la testa.
«Cosa?»
«Perché la gente vi ritiene una leggenda? Perché nessuno si ricorda di voi?» Mi morsi l'interno della guancia. «Tu sei nato quando Astrea è caduta. E non sembri avere molti anni... Non dovrebbe essere passato tempo sufficiente perché le persone vi dimenticassero.» Mi fermai, alzando quindi il capo per studiarne l'espressione.
«Potrei avere un po' di anni in più di quanto credi...» piegò le labbra sottili in un sorriso, mentre io sgranavo gli occhi. «.. Forse.» aggiunse con un fil di voce.
«Ti prendi gioco di me, vecchio signore incartapecorito?» pungolai, cosa che lo spinse improvvisamente a farmi roteare fra le sue braccia, lasciandosi andare ad un plateale casquet che quasi mi fece toccare il pavimento coi riccioli dorati. Sospeso a mezz'aria, guardai il mondo a testa in giù: le meduse enormi e luminescenti che galleggiavano nell'aria, le vele che si gonfiavano e poi lisciavano ad ogni alito di vento, le corde tese, i suoi occhi viola come il glicine in primavera. Ecco. Adesso avevo voglia di baciarlo di nuovo.
«Un vecchio sarebbe capace di fare questo?» sussurrò, curvato verso il basso, a qualche centimetro dal mio viso. Non risposi. Sentivo il suo fiato caldo solleticarmi le labbra come un invito, che io quasi colsi, protendendo il collo in sua direzione. Eppure, poco prima che il bacio avvenisse, mi tirò su, in piedi contro al suo petto. Avevamo smesso di ballare definitivamente e ce ne stavamo l'uno nelle braccia dell'altro senza un motivo in particolare.
«Sì, ho un po' di anni in più rispetto a quanto ne dimostro davvero... Quelli come noi invecchiano in maniera diversa.» rivelò, accarezzandomi lentamente un braccio, dalla spalla al gomito, e poi lungo tutto l'avambraccio fino al polso. «Nessuna cifra esagerata, comunque. Ciò che pensano le persone di Astrea è frutto della magia e degli inganni del Redivivo. Non ricordano come lui sia arrivato ma credono che ci sia sempre stato.» Era dannatamente vero. Mi chiesi come facesse a saperlo, ma non volli interrompere il suo discorso, immaginando che fosse stata opera del saggio di Astrea averlo messo al corrente.
«Ha spacciato la nostra esistenza come una bella storiella e poi la censura, la messa al bando della magia e la paura hanno fatto il resto.» proseguì, sfiorandomi il dorso della mano. Abbassai gli occhi, pensieroso. Un prima c'era eccome. Il regno di mia madre. La pace. Non esistevano i campo di prigionia. Non esisteva la schiavitù. Forse non esistevano nemmeno le gilde di assassini, assoldati per ripulire il mondo dallo schifo che era... O renderlo un posto anche peggiore, quando venivano pagati da chi il male lo perpetrava. Ad Alaister non importava della giustizia, non gli importava di rendere Darlan un posto migliore dove vivere. Gli interessavano solo i profitti.
Sentii delle labbra appoggiarsi sulla mia mano. «Non pensarci.»
Ancora una volta mi aveva letto nella mente. Mi persi per qualche attimo nei suoi occhi: avevano abbandonato il loro bagliore d'ametista quasi magico perché, mi accorsi, le meduse avevano smesso di scintillare nel cielo ed erano scomparse. Ora era tutto buio e, mentre parlavamo, anche il pirata aveva cessato di suonare il suo flauto di pan.
«Non senti...» Mi guardai intorno, rabbrividendo dalla testa ai piedi, staccandomi da lui solo per strofinarmi le braccia fra le mani. «... Freddo?» Il mio fiato si condensò in una nuvoletta bianca, spazzata via da un refolo di vento gelido che mi sferzò le guance e i capelli dal viso.
«Meglio tornare sotto coperta.»
***
Lui sostiene che dovrei cambiare identità ancora una volta. Forse è vero, Hēi è un nome che mi lega troppo al passato. All'Oltretomba. Non che io mi penta di come siano andate le cose, ma non sono fatto per comandare i morti. Preferisco i vivi. Sono malleabili abbastanza da causare altre uccisioni... E forse posso insegnare agli altri come si fa a mietere la morte così bene quanto lo faccio io. E quanto lo fa Lui. Il mio compito non è mai cambiato da quando Lui mi ha fatto conoscere il caos. - Hēi
«AH-HA!» esclamai, quasi saltando dalla poltrona, quando i miei occhi si posarono sulla scritta "Oltretomba". Le mie supposizioni si erano rivelate esatte e questo mi fece gongolare tanto da alzare il mento altezzoso, sogghignando verso Ezrael, gambe accavallate sulla poltrona e diario dritto in una mano.
Un'ora dopo il ballo sul ponte ci trovavamo davanti al camino acceso, avvolti rispettivamente in una coperta, accomodati sulle sedute di velluto a godere del tepore delle braci scoppiettanti mentre il freddo si faceva via via più pungente e rigido. Avevo il volto arrossato per la vicinanza al calore delle fiamme ma le estremità del corpo - naso, orecchie, mani e piedi - quasi gelate. Non avevamo smesso di esaminare i libri e le mappe dei Regni del Caos. I primi non davano grandi risultati e le seconde erano... caotiche, per l'appunto. Le carte rappresentavano i Territori Sconosciuti come un arcipelago con caratteristiche morfologiche completamente diverse fra loro. Il fatto che ci fossero doppioni, e che in ognuno di quelli si raffigurassero cose completamente diverse, non aiutava.
«Che c'è?» brontolò lo straeliano, sporgendosi verso di me oltre il bracciolo della poltrona.
«Guarda un po'.» mostrai il rigo sulla pagina seguendo le parole scritte in rosso sangue con la punta dell'unghia. Aggrottò la fronte, non capendo dove volevo arrivare, finché non lesse la parola che mi stava facendo sorridere. «Capisci che vuol dire?? Forse la Grotta dei Segreti è veramente un ingresso per il mondo dei morti!»
Si ritrasse, tornando ad appoggiare il busto contro lo schienale, gomiti sui braccioli e mani intrecciate premute contro alle labbra, pensieroso. «Forse...»
«Hēi... Mi chiedo chi sia quest'uomo.» riflettei, picchiettandomi il labbro inferiore col dito. Il mio istinto diceva che fosse un'informazione importante. Quel genere di informazione così importante da essere praticamente cruciale. «Ti dice niente?» Tanto valeva provare a chiederlo.
«No...» rispose, con un'alzata di spalle, il tono monocorde, quasi annoiato, come se fosse una domanda inutile. Se fossi stato una persona normale ci sarei passato sopra. Ma ero un assassino. O meglio, lo ero stato: rimanevo ad osservare un obiettivo per ore ed ore, anche per giorni, se serviva al mio compito. Avevo imparato ormai ad osservare il mio guardiano e mi ero accorto di quel micro movimento, quell'irrigidire leggermente le spalle.
Battei le palpebre, perplesso. «Ezra... Mi stai mentendo?» Aggrottai la fronte, senza smettere di fissarlo: era talmente assurdo che provasse a mentirmi da rendere la situazione quasi divertente. In maniera non proprio positiva, però. Serrò la mascella, prima di strofinarsela contro il palmo della mano, accarezzandosi il mento, senza guardarmi.
«Ma no!» Scosse la testa, spostando finalmente gli occhi dalle pagine del libro fra le sue mani a me. «E' che mi dice qualcosa, effettivamente. Credo si tratti di una lingua antica... Deve avere qualche significato, come nome, ma non saprei dirti di più.» spiegò, sotto il mio sguardo indagatore. Sentivo che c'era qualcos'altro, era un presentimento sottile come un foglio di carta, ma c'era. Solo che non ebbi il tempo di pretendere ulteriori chiarimenti, perché qualcuno bussò alla porta dei nostri appartamenti e a quel punto lui scattò in piedi, seguito a ruota da me.
«Chi è?» gridai per farmi sentire oltre alla porta.
«Il Nostromo, signore.» Lanciai un'occhiata verso Ezrael, che la ricambiò, annuendo in silenzio. Mi avviai verso l'uscio, lasciando la coperta sulla poltrona, nonostante tremassi di freddo, cosa che contenni quando girai la maniglia e aprii. L'uomo brizzolato era avvolto da pellicce, affascinante come l'avevo conosciuto.
«Ebbene?»
«Sono venuto ad avvisarvi.» Mi scandagliò dalla testa ai piedi, prima di proseguire. «Secondo i miei calcoli manca approssimativamente un giorno all'arrivo. Sarà meglio prepararsi.»
«Bene.» Contenni a stento un sorrisetto. C'eravamo. Mancava pochissimo fra me e l'Oltretomba: pochissimo fra me e il mio obiettivo. La spada per uccidere il Re. E soprattutto Yul. Sempre se fossi riuscito a trovarlo... E sempre se fossi sopravvissuto per farlo. C'erano troppi se sulla strada, perciò preferii non assecondare nessun dubbio nella mia testa.
«Se il mio Capitano lo desidera, potete trascorrere la notte nelle mie stanze.» mi indirizzò uno sguardo inaspettatamente lascivo. «Potremmo parlare dei vostri progetti una volta arrivato... E di molto altro ancora.» La sua mano si mosse verso di me, ma prima che potesse toccarmi, un braccio si allungò oltre la mia spalla e gli trattenne il polso a mezz'aria.
«No, il Capitano non lo desidera.» rispose Ezra alle mie spalle, impassibile, prima di chiudergli la porta in faccia. Mi voltai a guardarlo con le sopracciglia alzate, divertito. «Avrebbe potuto essere una scusa per assassinarti. Devo ricordarti io che tutti i pirati di questa nave desiderano la tua testa?»
Sapevo di avere un sorriso furbo stampato sulla faccia. Me lo sentivo tirare ai lati delle guance. «Fortunatamente sono tutti morti.» O quasi. «Davvero premuroso da parte tua, comunque...» Risi vezzoso, sfiorandogli il petto con le dita, prima di aggirarlo. «Sarà meglio fare i bagagli.»
Nel giro di un paio d'ore avevamo riempito due sacche di tutto il necessario: provviste, armi, due bussole, un paio di ricambi e le mappe. Ne avevamo anche approfittato per cenare insieme al cuoco, ingozzandoci di tutto ciò che non avremmo potuto portare con noi una volta scesi dalla nave, non tanto per paura dello spreco, quanto più per l'esigenza di tenerci in forze in vista di un'impresa complicata.
Quando tornammo nelle stanze destinate al Capitano del veliero, tornai a sedermi sulla poltrona dinnanzi al camino, avvolto dalle coperte, che tuttavia erano diventate inutili. Il freddo si era tramutato in qualcosa di terribile: le finestre si erano ricoperte di ghiaccio e il fuoco si era ormai spento, lasciando solo qualche brace a brillare. Ogni volta che respiravo il mio fiato si condensava in piccole nuvolette bianche e avevo la pelle gelata.
«Cavolo... Siamo in piena primavera...» brontolai, strofinandomi le mani per raccogliere un po' di calore, alitando sulle dita rosse. Quasi stavano perdendo sensibilità.
«Più ci avviciniamo ai Regni del Caos, più le cose si fanno strane. Non è solo il tempo ad avere qualcosa di sbagliato, anche il clima.» disse l'albino, prendendomi le mani fra le sue per cercare di riscaldarle, invano. Anche le sue dita erano gelide.
«Proviamo a riaccendere il fuoco?» domandai, notando che anche i tizzoni stavano perdendo colore. La legna però non ne voleva sapere di ardere, per quanta carta sacrificassi in favore delle fiamme: era un baluginio momentaneo, il fuoco guizzava per un secondo e poi si spegneva. C'era decisamente qualcosa di strano. «Merda.» Girai una perlina del braccialetto cercando di evocare il fuoco dentro ai palmi: fu un sollievo momentaneo, un calore che si espanse dalle mani lungo tutto il braccio, terminando nelle spalle. Poi le fiamme si spensero. «E dai!»
Ezra scosse la testa, andando poi a recuperare tutte le pellicce di lupo e le coperte che trovava nei cassettoni, negli armadi e perfino nelle stanze comuni dei pirati che erano morti. Io, invece, usai qualche vestito per tappare gli spifferi dalle finestre: così mi accorsi che in mare galleggiavano veri e propri blocchi di ghiaccio. Mi accorsi così che la quiete dai mostri aveva un prezzo: davvero pochi animali sarebbero sopravvissuti a questo gelo. O almeno credevo.
Quando Ezrael tornò con una pila di coperte fra le braccia che gli nascondeva anche il volto, lasciò cadere tutto sul letto. «Spogliamoci, veloce.» Capii subito cosa voleva fare e non esitai anche se battevo i denti e tremavo dalla testa ai piedi.
Ci ficcammo sotto a strati e strati di pellicce e sfruttammo il tepore dei nostri corpi nudi per stringerci l'uno all'altro, braccia e gambe avvinghiate alla ricerca dell'ultimo brandello di calore rimasto. «N-n-non ho la m-m-minima i-i-intenz..ione..d-di mo-morire.. co-così!» biascicai, senza smettere di battere i denti. Avrei potuto uccidere piovre giganti e draghi acquatici, ma il gelo era un nemico imbattibile. E non ammettevo una morte simile. Mi rifiutavo categoricamente di lasciarci le penne, ancora prima di arrivare nei Regni del Caos. Ancora prima di provarci, a tentare anche l'assurdo. Il terribile Sfavillo, ucciso dal freddo! Faceva ridere. Con tutti i nemici che avevo combattuto e tutte le sventure che avevo sopportato, mi meritavo una morte almeno più gloriosa. Come minimo.
«He..Helias..» sussurrò l'uomo che mi stringeva. Aveva degli occhi spettacolari, visti da così vicino, mentre sentivo il suo corpo combaciare col mio, ogni punto in contatto, ogni muscolo premuto contro al mio corpo, spalle ampie contratte in un abbraccio, mani che continuavano a strofinarmi la schiena. Sentii le sue labbra scorrere sulla mia gola e quel gesto mi regalò qualche brivido caldo che corse lungo il corpo, fino a ciò che avevo fra le gambe.
Sospirai, sentendo le sue mani spostarsi dalla schiena al posteriore per afferrarmi le natiche fra le mani e stringermi contro di sé. Il bacino si spinse contro il mio, le nostre intimità si toccarono, le sue labbra proseguirono a lasciarmi una scia di succhiotti lungo le clavicole, facendomi sussultare. Non sapevo se lo stava facendo perché voleva aumentare il calore fra i nostri corpi e farci sopravvivere, o perché la vicinanza di noi due, nudi, aveva risvegliato qualcosa in lui. Sapevo però che sentivo il desiderio guizzarmi dentro alle vene e scintillargli negli occhi, non appena sollevò il viso dall'incavo del mio collo per guardarmi. L'interruttore scattò di nuovo fra di noi, mentre l'aria da gelida si faceva elettrica: mi tuffai a baciarlo e ci incontrammo a metà strada, perché lui fece lo stesso.
Mi seminò la bocca di baci, lappate e piccoli morsi, mentre le mani mi sistemavano le cosce intorno ai suoi fianchi, spingendo l'erezione fra i glutei per strofinarsi in cerca di sollievo. Gemetti, inarcando la schiena, le mani fra la lunga chioma argentea e la lingua impegnata a disegnare cerchi concentrici intorno alla sua.
«Aah... Asp..etta..!» ansimai, serrando le dita intorno alle ciocche, quanto sentii la punta del suo pene puntellarmi il cerchietto di muscoli. Ancora riuscivo in qualche modo a riflettere e a capire che un passo simile con lui avrebbe complicato le cose. Il mio corpo lo desiderava con un ardore indescrivibile, lo sentivo, ma non sapevo se era giusto farlo. Erano ormai passati due anni, non ne ero nemmeno più abituato, eppure... Potevo fare qualcosa di simile, nonostante amassi un altro?
Certo, lo avevo già fatto in passato durante le mie missioni, ma allora ancora non avevo realizzato i miei sentimenti. Stavolta era diverso.
«Dobbiamo farlo... Vuoi... vivere?» sospirò, senza smettere di accarezzarmi, pizzicandomi i capezzoli inturgiditi fra le dita: altri brividi mi facevano arricciare le dita dei piedi e mordere le labbra. Fra la nebbia del desiderio, capivo che lasciarci andare e fare sesso ci avrebbe tenuti abbastanza in movimento e abbastanza al caldo da farci sopravvivere alla notte di freddo, tuttavia... Avremmo potuto stringerci l'uno all'altro come avevamo fatto in questi ultimi giorni e ce l'avremmo fatta lo stesso. Non era tutta una scusa?
«Non... non...» mugolai, incerto, nonostante la brama mi incendiasse le viscere anche solo a guardarlo: il corpo scolpito, le spalle larghe, il taglio affilato degli occhi che sembrava divorarmi, le iridi viola che scintillavano e i canini leggermente più lunghi che si torturavano il labbro inferiore, mentre le ciocche color mercurio lunghe fino al mento gli incorniciavano sensualmente il volto. Mi guardava come qualcuno che vuole mangiarti.
Avvicinò il volto al mio orecchio, lappandomi il lobo, rivelando finalmente la verità. «Ti voglio.» Mi baciò la gola, scivolando fino al petto, mordicchiandomi i capezzoli, perdendo poi a leccarmi la linea dello sterno, che scivolava giù fino agli addominali, fino all'inguine, fino a...
«AH!» sussultai, quando la sua bocca s'impadronì della mia virilità, soltanto per qualche istante, prima di infilarsi fra le cosce per morderne l'interno, segnandolo con qualche altro succhiotto. E poi risollevarsi, appoggiando la fronte contro alla mia, inondandomi del suo profumo di pino.
«Ti voglio. Adesso.»
Il trillo lascivo della lussuria risuonò prepotentemente dentro di me e il modo in cui lo guardai, ammorbidendo il suo corpo fra le mani, gli fece capire il messaggio fra le righe. Cedetti all'ardore e lui mi entrò dentro, lentamente, guardandomi negli occhi centimetro dopo centimetro. Annaspai, aggrappandomi alle sue spalle, le gambe allacciate dietro alla sua schiena e le mani strette a pugno fra le pellicce e i suoi capelli: dopo tutto questo tempo e senza nessuna preparazione faceva un po' male, ma perfino quella sensazione era appagante.
Quando mi fu completamente dentro ringhiò di piacere, a denti stretti, stringendomi le cosce tanto forte che fui sicuro mi lasciasse l'impronta delle sue dita sulla pelle. Rimase per un attimo fermo, come a godersi il momento, il sapore di quella conquista, di quell'attimo che nessuno dei due avrebbe mai creduto possibile, fino a qualche mese prima. Eppure.
«Aahhn.. Ez...ra.. Muovi...ti..» boccheggiai, reclinando la testa all'indietro. Non fu delicato, d'altro canto non era nemmeno qualcosa che gli avevo chiesto: iniziò a martellarmi con colpi sempre più decisi man mano che proseguiva, arrivando a toccare con la punta del membro posti del mio corpo che non ricordavo fossero così piacevoli. Roteai gli occhi all'indietro, implorandolo di andare più veloce, di fare più forte.
«Helias...ngh.. Sei mio... Finalmente..» gemette, spingendo fino all'elsa, spostandomi sopra al suo corpo, steso sopra di lui, il petto appiccicato al suo e le labbra che si sfioravano, facendo riecheggiare i nostri gemiti sulle rispettive bocche.
Ero suo solo in quell'istante. In quel momento che bruciava mentre fuori infuriava una tormenta gelida. Suo per quella notte, ma non oltre. E lasciai che mi toccasse, che mi stringesse, che credesse quello che voleva. Dopo tutto quel tempo, la mancanza di qualcuno che mi desiderava nel modo in cui faceva lui, rendeva quelle parole simili a miele su una ferita. Piacevoli.
«Aah.. uhm.. Ez-! Aah!» venni prima di lui, sporcando i nostri corpi e qualche minuto dopo lui fece lo stesso. Ma non bastò: dopo i mesi passati a guardarci, sfiorarci, odiarci e in qualche modo volerci, ne voleva ancora. Forse ne volevo anche io. Era ancora duro dentro di me e fuori faceva ancora troppo freddo.
Perciò continuammo per tutta la notte, continuammo finché non stramazzai fra le sue braccia, stremato ma accaldato, addormentandomi, ancora con lui dentro di me e le sue labbra che mi sfioravano il viso, in una strana specie di buonanotte.
Quando mi risvegliai, ore dopo, fu soltanto perché la nave si arrestò bruscamente, tremando su se stessa in maniera preoccupante. Saltai a sedere sotto alla pila di pellicce, solo per rendermi conto che il posteriore mi faceva davvero male. Pessimo tempismo. Trascinandomi le coperte dietro, mi accostai alle finestre per avere un'idea di ciò che era successo: il mare si era ghiacciato e aveva bloccato la nave nel bel mezzo del nulla.
Poi lo notai. Proprio in lontananza: un agglomerato di isole, simili a tanti puntini sparsi nell'orizzonte e una coltre di nebbia grigia simile a fumo che li avvolgeva. Rimasi a bocca aperta e, quasi come uscito dal mio corpo, mi sentii urlare allo straeliano che si stava appena svegliando: «Siamo... siamo arrivati.. Siamo arrivati. SIAMO ARRIVATI!» L'urlo riecheggiò per tutta la stanza e mi colpì le orecchie, riempiendomi di consapevolezza.
Il Regno del Caos era lì di fronte a noi. Ed era ufficialmente qui che iniziava la vera impresa.
***
*L'angolo notturno di un'autrice stranamente puntuale*
Hola a tutti!
Lo so, lo so, nemmeno io mi capacito di questo miracolo... Eppure ho aggiornato in tempi normali! Ultimamente sono molto ispirata nei riguardi di questa storia. E ho tante cose da dire! Dal prossimo capitolo le cose si faranno molto più movimentate, probabilmente molto più R18 (specialmente dal punto di vista sanguinolento.. tutto ciò promette già bene!). Sinceramente non vedo l'ora, la mia mente fantasiosamente sadica si scatenerà ben bene. E poi, il ragazzo nell'immagine ad inizio cap. è praticamente Helias! Non trovate? A parte ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ci vediamo al prossimo ~
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