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1. POV ???


«Comprare droga è come comprare un biglietto per un mondo fantastico, ma il prezzo di questo biglietto è la vita.»
- Jim Morrison


Assaggiai la carezza del vento fresco che mi sferzava i capelli, che mi toccava le guance; presi le briglie fra le mani e con un colpo fulmineo le sbattei sul manto del cavallo, incitandolo a correre ancora più veloce; strinsi i talloni sui fianchi del destriero più saldamente e assecondai il ritmo dei suoi salti a colpi di redini. Quando qualche metro più avanti sulla pista scorsi il bersaglio, trattenni la postura china e sfilai la mia arma dalle spalle. Raddrizzai la schiena, il cavallo rallentò, il bersaglio si avvicinò. Poi incoccai due frecce e tesi l'arco, il vento che muoveva le ciocche di capelli spostandole davanti agli occhi, il cavallo che perdeva velocità. Non appena il bersaglio mi fu di fronte, tirai.

Centro perfetto.

Strattonai le briglie e con l'aiuto della mia voce, il cavallo rallentò fino a fermarsi. Poi, con un movimento rapido delle gambe smontai dalla sella, il corpo indolenzito dal prolungato esercizio. Mi liberai dal peso dell'arco di legno e dalla faretra d'avorio, e li gettai con noncuranza nella rastrelliera delle armi situata all'ingresso della pista ippica. Poi mi sgranchii le spalle, fasciate da una fastidiosa camicia rossa di seta aderente. Scostai il colletto rigido che mi saliva fino a metà collo, slacciando i primi bottoncini di seta.

Non appena udii l'applauso secco di qualcuno, mi voltai verso le lucide scale rosse all'ingresso della pista. I miei occhi incontrarono due cavità scure attraverso una maschera di ceramica dipinta di un rosso fiammante. Iniziai a salire le scale, senza curarmi della ragazza che veniva verso di me. Quando mi fu di fronte, rimasi a fissare le zanne bianche che la smorfia della sua maschera mettevano in mostra.

«Ottimo come sempre, ragazzo.» esordì la donna, spostandosi la maschera ad un lato della faccia, rivelando i tratti marcatamente femminili. La ignorai, continuando a salire le scale per allontanarmi sempre di più da quella zona, ignorando un po' tutto quanto. Afferrata la maschera che mi ero lasciato appeso al collo, me la alzai sul volto, coprendolo come se non mi piacesse mostrare la mia faccia. E forse era vero, non mi piaceva. Tuttavia, la ragazza si frappose fra me e il prossimo scalino, piantandosi le mani sui fianchi. «Ehi, non ignorarmi!» si lamentò, afferrandosi i lembi del vestito di seta che gli arrivava a metà coscia.

«Ciao, Herminia.» la salutai, annoiato, girandole attorno pronto per superarla e continuare a salire. Quell'insistenza mi ricordava il passato, e quelle ragazze che un tempo non mi si scollavano di dosso nemmeno quando facevo chiaramente capire che non mi servivano le loro attenzioni. Che non m'interessavano.

«Ah, sei sempre il solito! E' questo il modo di parlare a colei che ti ha salvato da chissà quale destino?» disse, portandosi una mano al petto con un fare teatrale. Corse dietro di me, cercando di stare al passo. Superammo le grandi porte della pista d'allenamento, decorate da intagli d'oro e affreschi rosso scarlatto di dragoni e crisantemi, poi iniziammo a camminare sul ponte sopra il fossato che collegava le palestre alla pagoda principale. Sfiorai con una mano il parapetto laccato di rosso, godendomi la sensazione del fresco sulla pelle. Certe volte non mi capacitavo del calore di essa, o dei respiri nel petto. Mi sembrava tutto un sogno lunghissimo. Poi, mi fermai ad osservare il panorama.

«Allora, mi stavi cercando per qualche motivo in particolare, o solo per darmi fastidio?» esclamai, con un ghigno involontario sul viso. Poggiai i gomiti sulla ringhiera dipinta di rosso, studiando il paesaggio della città galleggiante.

Il cielo, un eterno tramonto rosso e dorato, spargeva la sua luce aranciata fra i canali che svettavano e circumnavigavano tutta la città, rendendoli simili a correnti di lava fresca, piuttosto che bollente. Pagode grandi, piccole e di tutte le dimensioni, di un carico color vermiglio, galleggiavano nell'acqua quasi senza peso, formando un reticolato fitto fra edifici rossi e canali dorati. 

Ogni tanto si scorgeva il silenzioso viavai delle gondole, guidate da cittadini indaffarati dal viso celato dalla maschera rossa. Accanto alle pagode, alberi di ciliegio carichi di fiori si ergevano alti, così belli da togliere il fiato. Mi sollevai la maschera, giusto per assaporare la sensazione del tramonto sulle palpebre e sugli occhi, a macchiarmi la pelle chiarissima.

A volte il desiderio di vedere quel cielo colorarsi di un delicato color azzurro, proprio come quello dei suoi occhi, era così forte da farmi dolere il petto, ma sapevo che questo era impossibile, perché in questo posto il cielo avrebbe avuto per sempre questo tramonto.

«Che crudele!» Arricciò le labbra in una smorfia offesa. «Sono venuta per parlarti di qualcosa di molto, molto importante.» spiegò, riacquistando un'espressione seria. Poi mi squadrò da capo a piedi, ed io mi risistemai sul viso la maschera. «Aspetta... ma dove hai lasciato la tua lanterna?» domandò, facendo un cenno con la testa al bastone che lei stessa stringeva nella mano sinistra. La lunga mazza di un legno scarlatto portava appesa all'estremità una lanterna di carta rossa. Al suo interno, potevo veder baluginare delle luci arancio, in costante movimento.

«L'ho lasciata nella mia stanza.» risposi seccamente, seguendo con lo sguardo il motivo a fiori di ciliegio del suo vestito cremisi.

«Non devi lasciare incustodite cose così importanti!» mi sgridò, scuotendo la testa, esasperata. Incrociai le braccia sul petto muscoloso, facendo increspare la camicia aderente.

«Allora, avevi qualcosa da dirmi o sbaglio?»

«Sì, in effetti sì.» iniziò, fissandosi la punta dei sandali di legno. Rialzò il viso verso di me. «A dir la verità si tratta solo di una diceria, ma è comunque una diceria molto... clamorosa.»

«Diceria?» Aggrottai la fronte.

«Sì. Ecco...» Si sollevò la maschera e si fece più vicina. I suoi occhi verdi si piantarono nei miei, mentre i sonaglini dorati che portava alle caviglie iniziavano a tintinnare piano. «In giro, si dice che Red Mask stia pensando di lasciare il trono.» Inclinai la testa, con un vago interesse che mi si accendeva nello sguardo.

«Lasciare il trono? Perché adesso, se ha sempre regnato?» chiesi, perplesso. Si passò una mano nei folti capelli castani, sospirando.

«No, in verità c'era un altro prima di lui e metteva i brividi, ma comunque... Sono passati talmente tanti secoli!» Sembrava sempre saperne troppo, quella ragazza. Forse era per questo che tolleravo i suoi continui inseguimenti. «Avere quel ruolo per così tanto tempo diventa sfiancante. Immagino voglia prendersi una pausa, sai, visitare i regni degli altri Signori...» Non era poi così sorprendente, se ci pensavo. Portare sulle spalle il peso di un intero regno per secoli e secoli, o pensare di portarlo per l'eternità... Sì, il gesto dell'imperatore era più che plausibile.

«D'accordo. Ma perché lo stai dicendo a me?» domandai, ritornando a camminare. Le mie mani sfiorarono una colonna rossa che si innalzava dal parapetto del ponte e sosteneva la tettoia. I miei sandali di legno non emisero alcun rumore, a contatto con il pavimento ligneo.

«Perché qualcuno sta già cercando un aspirante imperatore.» chiarì, con un sorriso che le apriva le labbra dipinte da un rossetto rosso, così grande che quasi le arrivava da un orecchio all'altro. Non ci misi molto a fare due più due.

«E fammi indovinare, uno degli aspiranti imperatori potrei essere io?» esclamai, alzando le sopracciglia, con un ghigno che si allargava sempre di più. Lei annuì con vigore, mentre gli occhi verdi le brillavano speranzosi. Scoppiai a ridere, stroncando sul nascere la sua stupida idea. «Non esiste proprio.»

«Oh, ma insomma!» Sbatté un piede a terra, infastidita. «Ci sarà solo un duello fra i contendenti al trono, niente di troppo esilarante!» Strinse la presa sul bastone della sua lanterna. «Cosa ti costa?!» Mi costava eccome. Non volevo espormi troppo, il mio compito era restare vivo. Anche se essere vivi qui, era piuttosto relativo.

«Herminia, sono arrivato da appena un anno, so poco e niente su questo posto! Figuriamoci governarlo!» sbottai, continuando a camminare, lasciandomela alle spalle. Doveva aver intuito la mia irritazione, ma non accennò a mollare neanche per un secondo.

«Appunto! Quale miglior modo c'è di conoscere un regno e i suoi cittadini, se non quello di stare al potere?» continuò, camminando velocemente per starmi al passo. «Fermati a pensarci un attimo! E' una grossa possibilità quella che ti sto proponendo.»

Inalai un profondo respiro. «Non mi interessa. La mia vera vita non è qui, ma da tutt'altra parte.» Improvvisamente mi sentii trascinato da un turbine di ricordi, di luoghi, di visi, di emozioni. Non volevo vivere in un regno di chissà dove. Volevo solo avere la possibilità di ritornare alla vita che avevo un tempo, volevo solo tornare da lui, volevo solo tenerlo fra le braccia, solo quello.

«Lo dici perché sei ancora legato al tuo passato. Te l'ho detto quando sei arrivato, sei una persona nuova, adesso. E in quanto tale devi andare avanti!» Sentii la rabbia ribollire nelle vene. Non volevo lasciarmi nessuno di quei momenti alle spalle. Volevo conservarli e tenerli stretti sempre, perché erano l'unico tesoro che possedevo e che valeva la pena di custodire. Buttai fuori quel respiro, prendendone un altro ancora, cercando di calmarmi.

«Sarà anche come dici tu, ma i sudditi e il consiglio di Red Mask non accetteranno mai uno appena arrivato. E poi perché io?»

«Sì che ti accetteranno. Vedranno le tue capacità durante il duello e ne rimarranno estasiati.» continuò. Sembrava una bambina che supplicava il padre di comprarle una bambola. Poi, si fece più vicina e interruppe la camminata, piantandomi una mano sul petto per indirizzarmi verso il muro. «E poi devi essere tu.» Mi guardò, sbattendo le ciglia. «Ti ho osservato durante tutti i tuoi allenamenti.» Insinuò l'indice fra il colletto sbottonato e la gola, iniziando a tracciare col dito una linea immaginaria fino al petto. «Sei così forte, così valoroso... Mi chiedo chi sia stato nel tuo passato.» mi sorrise, alzandosi sulla punta dei piedi per avvicinare il suo volto al mio. Rimasi impassibile. «E sei così bello...»

«Herminia.» sbottai, secco, per poi posare una mano sulla sua spalla e allontanarla da me. «Non provo alcun interesse per te.» sentenziai, riprendendo a camminare.

«Cos'è, speri ancora di rivedere la tua fidanzatina venuta miracolosamente dal passato?!» inveì, alle mie spalle. Riprese a camminare furiosamente, i ticchettii dei sandali che riverberavano per tutto il ponte. Rimasi in silenzio. «Forse non hai ancora capito che non la rivedrai mai più!» sibilò, mentre tentava di raggiungermi ed io superavo le enormi porte dorate per entrare nella pagoda principale. «E se ci fosse anche la minuscola possibilità che lei venga qui, in questo posto pieno di gente scomparsa da anni, non riuscirai mai a rivederla! Questo luogo fa di tutto per tenere lontani coloro che si conoscevano già in passato!»

Entrati nella pagoda, sbattei gli occhi per il brusco cambiamento di luce, dal tenue aranciato del tramonto al luminoso dorato delle candele. Le statue di dragoni fatti di avorio bianco e di corallo scarlatto rimasero a fissarmi, con occhi vuoti e in qualche modo torvi. Mi avviai verso le mie stanze, i sandali che risuonavano silenziosi sui meravigliosi mosaici che decoravano il pavimento. «Non vi rivedrete mai più!» La mia mano si chiuse intorno alla maniglia a forma di testa di dragone. La aprii con uno scatto.

«Ci si vede in giro.» dissi, chiudendomi la porta alle spalle. Poi posai la schiena sulla porta e mi tolsi la maschera dal viso, scagliandola a terra.

Non avevo bisogno che me lo dicesse per capire che non lo avrei rivisto mai più.


Slegai la gondola dalla riva e posai la lanterna ai miei piedi, mentre afferravo il lungo remo ed iniziavo ad accarezzare l'acqua. La corrente era tranquilla e accompagnava la barca nel suo percorso, aiutandola a scivolare più velocemente per gli stretti canali. All'inizio usare quelle gondole mi era sembrato difficile, ma con il passare del tempo, si era rivelato sempre più facile, finché non avevo ormai imparato a maneggiarle con maestria.

Svettai a destra, superando una piccola pagoda color rosso carminio. Qui tutto sembrava esageratamente rosso. Un ramo di ciliegio era così lungo che mi sfiorò la maschera, e i fiori mi scivolarono fra i capelli. Curvai il remo, finché non riuscii a spostare la gondola sulla sinistra, sorpassando una grande pagoda dai toni del vermiglio e dell'arancio, che doveva appartenere a qualcuno di importante.

Continuai ancora per qualche miglio, finché i canali non divennero più ampi e si aprirono in un piccolo lago. Il mio sguardo si posò sull'unica pagoda galleggiante al centro della distesa d'acqua color tramonto, piccola e rossa come il resto degli edifici.

Remai più lentamente, per poi legare la gondola alle scalette della struttura, che scendevano nell'acqua e si perdevano nelle profondità di quel ristretto lago. Afferrata la lanterna di carta, posai i sandali di legno sulle scalette pericolosamente scivolose e iniziai a salire, uno scalino dopo l'altro, una sensazione di pesantezza e allo stesso tempo d'eccitazione che mi pervadeva il petto e mi faceva battere il cuore a mille.

Quando superai la porta, ornata da piccoli e lucidi frammenti di coralli rossi, l'odore mellifluo d'incenso mi carezzò le narici. I miei occhi si posarono sui grossi cuscini colorati e ricamati con fili d'oro, ben posizionati sul pavimento. Poi corsero a cercare il negoziante, che se ne stava immobile dietro al bancone, la maschera rossa perfettamente posizionata in modo da celargli l'intero volto. Mi sfilai i sandali e li lasciai all'ingresso, mentre le piante dei piedi sentivano la sensazione morbida e al contempo ruvida dei tappeti.

«Sei tornato ancora.» disse la voce seria ma estremamente infantile del negoziante, gli occhietti piccoli e scuri che mi osservavano da dietro alla maschera.

«Sì. Ho bisogno di un'altra dose.» esclamai, facendo dondolare fra le dita il manico della lanterna di carta. Dentro, piccole sfere di luce di un carico arancio baluginavano e si scontravano con la carta, come per implorare di uscire da quella gabbia. Era come vedere delle lucciole molto più grosse che si dimenavano dentro ad un barattolo di vetro, solo che la lanterna era di carta. Il negoziante rimase ad osservarmi per qualche istante, immobile, poi si spostò dalla sua postazione e camminò silenziosamente nel retrobottega, scomparendo per diversi minuti.

Nell'attesa, mi fermai ad osservare tutto ciò che mi era sfuggito la prima volta che ero stato in quel singolare negozio. Dal soffitto di legno rosso pendevano una decina di gabbiette per uccelli, coperti da stoffe rosse o da fiori. Dal silenzio che facevano, sospettai fossero vuote, ma non ne fui tanto sicuro quando vidi qualcuna muoversi all'improvviso.

Sulla parete destra del negozio si ergeva una vetrina piena zeppa di maschere rosse, di tutti i tipi: alcune dai tratti femminili, altre con corna lunghissime, altre ancora ornate da lunghe ciocche di capelli neri, mentre altre con lingue biforcute e tratti bestiali. Dietro il bancone, gli scaffali straripavano di boccette, bottiglie, barattoli, ripieni di semi dalle forme strane, liquidi fosforescenti e polveri colorate, oppure di biglie colorate e strani occhi galleggianti.

Sul lato sinistro della stanza invece, non c'era altro che un'immensa distesa di libri, grossi e piccoli, alcuni che erano solo un gruppo di fogli cuciti insieme alla bell'e meglio, altri invece che erano adornati da particolari copertine di cuoio e fili colorati. Ne presi uno dall'innocua copertina bianca e lo aprii ad una pagina a caso, incuriosito. Ma non appena gettai uno sguardo alle pagine, le lettere cominciarono a staccarsi dalla carta e a vorticare sul foglio. Richiusi immediatamente il libro e lo rimisi al suo posto. In quel momento, il negoziante emerse dal retrobottega con una bustina in mano.

«Quanto?» chiese, fissandomi.

«Mi bastano cinquanta grammi.» dissi, osservandolo mentre trafficava con dosatori e bustine di carta. Me ne porse una.

«Fanno sei anime.» esclamò, mettendo sul bancone la sua lanterna di carta.

«Sei anime... E' parecchio. Hai aumentato il prezzo, volpe?»

«Recuperare papaveri dal giardino di Morfeo si sta rivelando un'operazione sempre più pericolosa.» mi rivelò la voce del ragazzino. Fece un cenno della testa alla lanterna. «Sei anime.» Sorrisi, con un solito ghigno.

«Tre anime, che ne dici?»

«Cinque, prendere o lasciare.»

«E cinque sia!» Ridacchiai, affondando una mano nella mia lanterna per prendere cinque anime e trasferirle nella sua. Al contatto con la mia pelle, quelle sfere erano quasi impalpabili come l'acqua, ma calde, e non mi sfuggivano dalle dita. Agguantai il pacchetto di carta e con un cenno della testa a mo' di saluto, uscii dal bizzarro negozio di cui ormai mi ero abituato. Poi fissai all'interno del pacco che avevo fra le mani. Oppio.

Ero pronto a farlo, una seconda volta.


Mi lasciai cadere sul letto a baldacchino della mia stanza, accarezzando l'elaborata struttura in legno rosso e oro. Presi fra le dita la lunga pipa d'avorio che avevo già riempito, per poi passarla sulla fiamma della grossa candela, sul comodino. Poi posai di nuovo la testa sul cuscino e presi una grossa boccata di fumo, fissando il soffitto scarlatto come un po' tutto ciò che mi circondava. Non appena sentii la vista sfocarsi e i pensieri annebbiarsi e confondermi, per poi prendere totalmente il sopravvento, chiusi gli occhi, lasciandomi completamente rapire dagli eventi.

Non appena i miei occhi scorsero una testa dorata, corsi verso di lui e gli afferrai il polso, facendolo ruotare su se stesso. Poi mi impadronii della sue labbra, un bacio imperioso che esigeva e donava tutto. Un fremito di passione mi lambì la spina dorsale, mentre sentivo un senso di bisogno divamparmi dentro. Lui si tirò delicatamente indietro, sottraendosi con riluttanza al mio bacio.

«Aspetta...» sussurrò, mentre mi allungavo a mordicchiargli i lobi dell'orecchio, a succhiargli la pelle diafana del collo. La morbidezza del suo corpo e il suo profumo di gelsomino mi erano indispensabili, non potevo non desiderare di divorarlo e allo stesso tempo riempirlo di me. Ebbi a malapena il tempo di notare un letto, che lo scaraventai su un mucchio di cuscini e lenzuola di seta. «Fermati...»mi pregò la sua voce, dolce e leggera, come una musica armoniosa.

«Non posso e non lo farò.» ammisi con un ghigno beffardo, mentre iniziavo a togliergli gli stivali e i calzini con un tocco gentile. I miei gesti si fecero più bruschi quando arrivò il momento di sfilargli i pantaloni e l'intimo. Prima che riuscisse ad obiettare, abbassai la testa e gli presi il membro in bocca con un unico movimento fluido, mentre un'ondata di desiderio dopo l'altra mi scuoteva fin dal profondo del mio essere.

Gli afferrai i fianchi con le mani, impedendogli di sottrarsi, per poi iniziare a muovere la bocca su e giù. Mi godetti il piacevole suono dei suoi gemiti, mentre lui stringeva fra i pugni le lenzuola e mi implorava di fermarmi. Aumentai la velocità, gustandomi il suo sapore vagamente salato. Inarcò la schiena, e nel momento in cui capii che stava per venire, mi staccai, con un ghigno sulle labbra.

«No... Ti prego... Non ti fermare!» Per l'aria risuonò la mia risata bassa mentre mi allontanavo e mi sfilavo molto lentamente la maglietta, scoprendo il torace muscoloso. Poi mi tolsi rapidamente i pantaloni, con un sorriso che mi si allargava sempre di più.

«Ah, adesso vuoi che continui?» mormorai, con un ghigno sadico sul viso. Rimasi a guardare il suo corpo perfetto, il suo viso angelico e bellissimo. Il desiderio per quel ragazzo mi si agitava dentro come un mare in tempesta. «Hai voglia, non è così?» Adoravo stuzzicarlo con le mie domande.

«Sì... Prendimi. Ora.» biascicò, gli occhi luminosi e pieni di una lussuria che amavo sempre far emergere nei modi più lascivi che potevo. Mi piegai in un mezzo sorriso, scoprendo i denti bianchi, per poi passare un dito sulla sua pelle, partendo dalle clavicole fino ad arrivare allo stomaco. «Ti prego.» implorò.

«Oh, certo che lo farò.» esclamai, abbassando gli occhi sulla bellezza sdraiata sul letto. Per quanto adorassi giocare con lui e torturarlo dolcemente, non riuscivo a resistere un minuto di più. Gli infilai due dita fra le labbra, lasciandomele leccare e succhiare finché non fui soddisfatto. Poi le inserii all'interno del corpo snello ed elegante che si contorceva sotto di me.

«Ahh!» gridò, sollevando d'istinto le gambe per facilitarmi il compito. Colpito e affondato. Sogghignai, leccandomi le labbra. Toccai di nuovo quel preciso punto, godendomi il suo gemito successivo. «Sei... sei un pervertito!»

«Lo so, lo so.» esclamai, il ghigno sornione che si ampliava man mano che le mie dita affondavano dentro di lui. Subito dopo, le tolsi e le sostituii con il mio membro, penetrando il suo corpo caldo con una spinta prima lenta e poi sempre più veloce. Qualche lacrima gli scivolò dagli occhi chiari, ed io mi allungai a leccarla, per poi scendere verso le sue labbra. Assaporai la morbidezza della sua bocca, poi il sapore caldo della sua lingua e quel vago sentore di gelsomino che adoravo. Mi staccai, ansimando.

«Ehi.» sussurrai, e lui alzò lo sguardo di cristallo verso di me, mentre continuavo a spingere. «Io ti...»


La visione sfumò all'improvviso, così come era arrivata. Sbattei le palpebre più volte, cercando di riprendermi da quello stato di torpore e quella sensazione di delusione che si faceva pian piano strada nel petto. Non ero riuscito a dirglielo. Non ero riuscito a dirgli quanto lo amavo. O quanto lo desideravo. O quanto lo volevo.

Mi sorpresi a sentire una goccia bagnata rigarmi la pelle. Mi toccai la guancia, e solo allora mi accorsi di star piangendo.








  ❖❖  

*NDA - Un angolo puntualissimo*

Hola!

Ora vi starete chiedendo: cos'è successo a Lotty? (E io che volevo postarlo più tardi...) Il miracolo è avvenuto? Be'... No. L'avevo già scritto tanto, ma tanto tempo fa, questo capitolo. Ma tipo più di un anno fa, e finalmente è arrivato il tempo di usarloH! Non potete capire che emosciiion! Be', per chi mi segue dall'inizio se lo ricorderà, forse, perché l'avevo già pubblicato secoli e secoli fa. Insomma, anche questa "pista" è tornata. Per chi invece non ha idea di cosa sia... Chissà!
p.s. vi aspettavate di sapere che cosa è successo ad Helias ehhhh? E invece no! Ma lo scoprirete presto...

Alla prossima! ^^

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