[Speciale] L'Assassino e il Natale
Nell'inverno prima del Ballo dell'Orchidea...
«Auch! State attento con quegli spilli!» sussultai, quando il garzone del mio sarto preferito mi punzecchiò il fianco con l'ago per l'ennesima volta. Non capivo se fosse distratto da me, visto il modo in cui mi mangiava con gli occhi, o se fosse semplicemente goffo. Fece scivolare le dita intorno ai miei fianchi, demarcandoli col metro a nastro, il tessuto che scivolava contro alle sue dita spesse e tozze, poco adatte al mestiere per cui serviva delicatezza e precisione certosina.
Però era carino. E, adesso che ci pensavo, non avevo nessun accompagnatore per la festa di Natale organizzata da Alaister, nella Fortezza dell'Assassino. Non che ne avessi bisogno per essere al top, ma l'idea di far morire d'invidia Lysandro era troppo irresistibile per lasciarsela sfuggire. Perciò sfarfallai leziosamente le ciglia all'indirizzo del garzone, spostando il peso del corpo da una gamba all'altra, in piedi sulla pedana di fronte ad un ampio specchio.
Poi il sarto scostò il suo aiutante con un gesto svolazzante della mano e finì di mettere a punto le ultime cuciture, prima di poggiarmi le mani sulle spalle e farmi ruotare meglio in direzione della superficie riflettente, a rimirare la mia immagina avvolta nel velluto e nella seta. Spalancai le labbra in un sorriso meravigliato e compiaciuto. Avrei fatto sfigurare qualsiasi sicario della Gilda e qualsiasi cortigiano del gruppo di Sophia, invitato al banchetto natalizio.
«Che cosa ne pensate?» chiese il sarto, mentre il garzone dal suo angolo e con le mani avvolte dal nastro mi sorrideva con un'espressione totalmente inebetita. Ce lo avevo in pugno.
«E' semplicemente perfetto.» soffiai, lanciando un occhiolino al ragazzo. Chissà che potesse aiutarmi ad ottenere uno sconticino... Insomma, le missioni pagavano bene, ma coi contributi da versare al Re degli Assassini e gli ultimi regali che mi restavano da comprare, sarei nuovamente tornato sul lastrico.
Sfortunatamente, l'aiutante non aveva voce in capitolo. Quando mi liberai da quello splendido completo e mi recai al bancone per pagare, fui costretto a sborsare una somma esorbitante, che mi ripulì ben bene. Arreso ma al contempo soddisfatto dal capolavoro che il sarto aveva confezionato sulle mie misure, raccolsi tutti i sacchetti per infilarli nella piega del gomito e in un crepitio di carta e di stoffa uscii dal negozio.
Ero già passato dalla drogheria più fornita di Skys Hollow, passeggiando per le strade cosparse di neve - grigia agli angoli dei marciapiedi - fra i lampioni decorati con festoni di nastri rossi e sonagli d'oro e panchine coi braccioli agghindati da ghirlande. Mi ero riempito di ogni tipo di caramelle e portavo con me una tale quantità di zucchero da poter far venire le carie a tutti i bambini del paese.
Ed era perfetto così.
❖ ❖ ❖
Le volte in cui mi ero infiltrato nelle cucine della Fortezza si potevano contare sulle dita di una mano. Non ero proprio un asso nella pasticceria - e chi diavolo aveva il tempo, durante le missioni, di mettersi a cucinare? - ma ero sicuro che col ricettario sotto mano avrei potuto preparare i biscotti allo zenzero migliori di tutto il Continente Magico.
Rovesciai il contenuto delle buste sul tavolo sgombro e presi dalle dispense un numero esagerato di ciotole. Meglio partire preparati. Sarebbe stata una missione ardua e se volevo che dei mocciosetti antipatici mangiassero dovevo assicurarmi che fosse tutto buono: sapevo che i bambini erano spietatamente sinceri. Se si trattava poi dei bambini che vivevano per le strade di Skys Hollow, sarebbero stati molto più che sinceri: brutalmente crudeli, piuttosto. Li conoscevo, sapevo com'erano fatti. Io ero stato parte di loro, meno di dieci anni prima.
A volte avevo ancora la sensazione di quel sudiciume di strada addosso. Avevo l'impressione che si fosse sedimentato sotto l'epidermide e che, anche dopo tutte le volte che mi ero lavato nell'acqua bollente, nella comoda vasca da bagno della Fortezza, non se ne fosse andato più via. Un po' come il sangue: alcuni dicono che sia rosso apposta perché possa rimanere sulle mani di chi l'ha versato. Indelebile.
Scossi la testa, rimboccandomi le maniche della camicia a sbuffo e poi rompendo le uova in una ciotola, attento a non far cadere la stola di lana drappeggiata sulle mie spalle dentro agli albumi. Ogni tanto cadeva qualche guscio, che recuperai in extremis nella speranza che i biscotti che stavo preparando non fossero croccanti nel modo sbagliato.
Alla fine, avevo infilato nel forno a legna una teglia abbondante di biscotti di pan di zenzero a forma di omini, fiocchi di neve e alberelli. Quanto sarebbero dovuti rimanere dentro? Quaranta minuti? Mi sembrava troppo poco, non abbastanza per permettere alla magia di compiersi. Mi permisi di mangiucchiare qualche caramella e di perdermi fra le pagine di un romanzo licenzioso nell'attesa.
Nemmeno mi accorsi che qualcosa stava bruciando finché la puzza di biscotti carbonizzati non mi arrivò alle narici. «No, no, dannazione!» sibilai, correndo ad afferrare il manico di metallo della teglia: era rovente. Sussultai, tirando la mano indietro con uno strattone per tenerla contro al petto. «Merda...» bofonchiai, soffiando sulle dita dove già stavano comparendo le vesciche.
Una risata bassa riverberò fra il fumo e il silenzio della cucina. Avrei riconosciuto quell'ignobile sogghignare anche in mezzo ad una folla in fermento. Mi faceva venire i nervi come poche cose al mondo. «Che diavolo hai da ridere, Pevensie?!» sbraitai, girandomi a guardarlo con la fronte corrugata.
L'assassino dalla chioma scarlatta se ne stava con le spalle appoggiate allo stipite della porta, le braccia incrociate contro al petto, i capelli appena arruffati e un'espressione da smargiasso alla "ho tutte le buone intenzioni per ridere di te e non devo nemmeno venirtele a dire". Quel maledetto. Era talmente invidioso della mia posizione come primo sicario della Gilda che trovava ogni singola occasione per punzecchiarmi. Sperava che un giorno, facendomi vacillare con le sue idiozie, mi avrebbe scalzato e superato. Povero illuso. Tuttavia, il fatto che fosse molto più alto, muscoloso e avesse quattro anni in più rispetto a me, gli facevano credere che avesse qualche asso nella manica.
Si sbagliava e io glielo dimostravo dicendogliene quattro ogni santa volta.
«Niente. Mi stavo giusto chiedendo perché metà Fortezza puzzasse di bruciato...» Fece ciondolare gli occhi blu sul forno di pietra incassato nel muro, ancora con quell'accenno di fossette sensuali sulle guance. «Non potevi essere stato altri che tu.» gongolò. Alzai un sopracciglio, piccato.
«Che cosa stai cercando di insinuare?» Era una provocazione bella e buona. Lui spirò una risata a labbra strette, facendo qualche passo all'interno della cucina. Indossava una blusa scamosciata blu cobalto che donava particolarmente al colore delle sue iridi. Il fatto che fosse così avvenente era davvero un inganno del destino: bello fuori, irritante dentro. «Vattene! Ho da fare e non ho tempo da perdere con te.» brontolai.
Mi afferrò il mio polso, quello che mi stavo ancora stringendo contro il petto, rimirando le vesciche che si erano arrossate particolarmente. «Ti sei anche bruciato.» Le mie dita erano così vicine alle sue labbra che pensavo stesse per baciarle.
«E con ciò?!» Strappai la mano dalla sua presa, in maniera anche piuttosto brutale, mentre sentivo le guance arrossire: non volevo certo fargli capire che ero negato in cucina. Non bisogna mostrare alcuna debolezza al nemico. «Non posso essere mica il migliore in tutto.» esclamai, inarcando le sopracciglia.
Si mise a ridere - che odio, quella risata, il modo in cui ti riecheggiava dentro! - ed io avvampai ancora più forte di prima. «E proprio perché non puoi essere il migliore in tutto, Valentine, dovresti accettare l'aiuto dell'umile secondo qui presente.» Si appoggiò una mano sul cuore, in una parodia di cavaliere senza macchia. Lo sondai con uno sguardo sospettoso.
«Dov'è il trucco, Yul?»
«Nessun trucco, nessun inganno.» Alzò le mani in segno di resa. In realtà, adesso che avevo guastato tutti i biscotti e che la sera si era fatta inoltrata, avevo davvero bisogno di una mano. L'indomani mattina era la vigilia di Natale: avrei dovuto consegnare tutti i biscotti e poi prepararmi per il banchetto di Alaister. Non avrei potuto farcela da solo.
«E te la sai cavare in cucina?» proseguii, stringendo le palpebre.
«Sono abbastanza bravo.» rispose, accennando un sorrisetto. «In fondo, per essere migliori di te ci vuole poco.» Mi fece l'occhiolino ed io strinsi i denti, pronto a saltargli alla gola.
«Ho cambiato idea, dannato idiota. Faccio da solo!» borbottai, ma lui mi ignorò rimboccandosi le maniche ed iniziando a versare lo zucchero in una ciotola.
«Sì, sì, certo...» Lanciò un'occhiata al ricettario. «Biscotti di pan di zenzero, quindi.» Ruppe le uova sul bordo della vaschetta di porcellana. «Posso chiederti perché lo stai facendo?» Arricciai il naso.
«No, non puoi.» tagliai corto, con asprezza. Preferivo mangiarmi la lingua piuttosto che raccontarlo a qualcuno. Figuriamoci a lui.
«D'accordo, rilassati signor Sfavillo.» disse, il tono beffardo mentre allungava un dito e mi strisciava il naso con l'indice intinto di farina. Rimasi a bocca aperta.
«Brutto...» Mi rimangiai l'insulto colorito: dovevo dimostrare di essere più maturo di lui. «Non sono qui per giocare!» Afferrai una manciata di farina dal sacchetto di iuta e glielo lanciai in faccia. Al diavolo la maturità. I suoi capelli rossi vennero nascosti da una patina di bianco, mentre sbatteva le palpebre e si strofinava gli occhi col dorso della mano. Sogghignai. «Chi è rilassato, ora?»
«Questa» Una pausa, mentre infilava le mani nel sacchetto. «non dovevi proprio farla.» E mi lanciò contro una nuvola candida che schivai nascondendomi sotto al tavolo: mi cadde su tutti i vestiti, al punto che sembravo un fantasma.
«Cielo! Questa camicia costa più di te!» brontolai, rispondendo al fuoco col fuoco: prese una pentola dalla dispensa sopra alla sua testa e la usò come scudo. La farina s'infranse come nebbia cadendogli sugli stivali.
«Allora dovevi evitare di metterla per pasticciare in cucina!» esclamò, lanciando un'altra manciata di polvere bianca che mi centrò proprio in faccia. Sibilai un'imprecazione, pulendomi il viso con una manata.
«Piantala! Non avremo più farina per la pasta frolla! Cretino!» strepitai, tornando in piedi per incrociare le mani ad X davanti alla faccia, come a fargli capire che era meglio darsi una calmata.
«Ricordo male, o sei stato tu ad iniziare?» continuò, con un sorriso sghembo e un sopracciglio alzato. «Ma d'accordo, come vincitore ufficiale di questa battaglia ti concedo una tregua.» gongolò, pesando la quantità sufficiente di farina sulla bilancia, i due piatti che si allineavano mentre calibrava i piccoli pesi di ferro. Abbassai le palpebre in uno sguardo seccato. Ma quando aveva vinto?
«Ti stai divertendo proprio un mondo, vero Pevensie?» sbuffai, ironico ed imbronciato, mentre lui faceva spallucce ma non smetteva di sorridere nemmeno per un istante. In un batter d'occhio aveva già creato la pasta frolla: formò una palla che poi stese con un mattarello. Avevo comprato delle formine graziose da un artigiano, perciò non ci rimase che creare i biscotti: ogni volta che provavo a stampare la giusta forma, il biscotto veniva sformato e storpio. Sbuffai.
«Devi imburrare e infarinare lo stampo... E di certo non devi premere così leggermente!»
Alzai gli occhi al cielo. «Scusa maestro. Perché non lo fai tu, visto che sei tanto bravo?» In effetti, lui aveva già riempito tutta una teglia. Ridacchiò, imburrando una formina per poi mettermela fra le mani: le sue dita ruvide premettero sulle mie mentre tutta la sua mano copriva la mia. Premette il palmo contro la mia pelle, spingendo lo stampo dentro alla pasta stesa, con decisione. Non stava succedendo niente di strano, ma quel contatto pronunciato mi fece avvampare.
Gli schiaffeggiai la mano con un borbottio. «Non prenderti tante confidenze. Non è che siccome mi stai aiutando, all'improvviso siamo amici!»
Adesso fu il suo turno di roteare gli occhi al cielo. «Figuriamoci. Non lo penserei mai. Un comune mortale come me, amico di Sfavillo? Ptf.» Sarcastico, mentre impilava biscotti sulla teglia spostandoli dal bancone per poi infilarli dentro al forno a legna. I relitti bruciati dei biscotti che avevo precedentemente preparato erano già stati buttati.
Toccava aspettare e, in quell'attesa, mi sedetti su uno sgabello, fingendo disinvoltura mentre giocherellavo con un boccolo biondo che mi penzolava sulla fronte. Nemmeno lui sapeva cosa fare, mentre mi osservava di sottecchi e non diceva una parola. Ad un certo punto si mise a riscaldare del latte e cacao e senza nemmeno chiedermelo mi servì una cioccolata calda con una bella spruzzata di cannella. Sentivo che tutta questa generosità doveva essere sintomo di qualche favore che avrei dovuto pagare dopo.
Ma dannazione, la cioccolata era cioccolata!
Presi con delicatezza il manico della tazza, inspirando il profumo della cannella, le volute di vapore che mi salivano nelle narici. Non lo ringraziai, però. «E' strano trovarti qui a fare i biscotti.» esordì lui, dopo minuti interminabili di silenzio. Si era seduto accanto a me, ma ad una distanza di sicurezza. «Non avevi quella missione da portare a termine?» Corrugò la fronte. «Il trafficante di oppio... Anders?»
«Ambers.» corressi, strizzando le labbra in una smorfia. Preferivo tenere i miei lavori privati, ma essere il migliore nella Gilda comportava spesso una fuga d'informazioni. A volte Alaister era il primo a condividerle, se poteva servirmi un supporto. Non molti accettavano, considerato che ero io quello a cui necessitava il supporto. La maggior parte dei miei colleghi sicari mi volevano fuori dai piedi. Un ragazzino che diventava il protetto del Re degli Assassini prima di molti altri? Semplicemente ridicolo, per loro.
Presi un lungo sorso di cioccolata, prima di continuare. «Sai, quel tipo ha dei figli. Posso anche aspettare ad ammazzarlo, che si goda l'ultimo Natale della sua vita.» Yul sorrise dietro all'orlo della tazza. Mi accigliai. «Togliti quell'espressione della faccia!»
«Non sto facendo nessuna espressione...» Ma continuava a sorridere, il dannato bastardo.
«Invece sì! E so cosa stai pensando!»
«E cosa sto pensando, sentiamo?» mi sfidò, alzando appena il mento.
«"Sfavillo mostra un briciolo di pietà, come un debole!" Ecco cosa.» brontolai, sulle guance un accenno di rossore dovuto all'imbarazzo. In un assassino non c'è posto per la compassione, lo sapevo anche io. Yul però sospirò, levando lo sguardo blu notte verso il forno, da cui veniva un bel tepore.
«Non era affatto quello che stavo pensando.» concluse, con il volto serio, a parte gli angoli delle labbra sollevati verso l'alto in un'espressione che non aveva niente di derisorio. Prima che potessi chiedergli cosa diavolo ci fosse nella sua testaccia, finì il contenuto della sua tazza e si alzò per andare a sfornare i biscotti.
«Aspetta, così presto?!» Lo inseguii, curioso di vedere all'interno del forno.
«Sì, a meno che tu non voglia creare altri pezzi di carbone.» ammiccò con un ghigno, appoggiando la teglia sul bancone e levandosi le presine dalle dita. «Aspettiamo che si raffreddino e li decoriamo, che ne dici?» Annuii. «Hai preso una marea di caramelle... Devi sfamare un esercito?»
Mi lasciai andare ad un mezzo sorriso, almeno per questa volta. «Qualcosa del genere.»
❖ ❖ ❖
Alla fine, ce l'avevo fatta.
La mattina della vigilia avevo consegnato un pacchetto di biscotti a tutti i bambini di strada di Skys Hollow che ero riuscito a trovare, senza l'aiuto di nessuno e senza fermarmi dall'alba fino all'ora di pranzo. Era stato strano vedere le espressioni di quei selvaggi monelli mutare dalla furbizia - pensando di potermi derubare - al sospetto - capendo di non poterlo fare - ed infine alla felicità.
Quando ero un bambino che vagava, sporco, infreddolito e solo, in mezzo a quelle strade, non c'era niente per me. Nessuno a cui importasse di un ragazzino senza una famiglia, senza un tetto, senza un vestito e senza cibo. A Natale avevano tutti qualcuno a cui fare ritorno, ma non io. Ero solo al mondo, da quando mia madre era morta. E in quei momenti volevo soltanto che qualcuno facesse qualcosa per me. Anche una piccola cosa.
Mi chiesi se preparare questi biscotti sarebbe stato abbastanza per loro. O abbastanza per espiare il sangue che mi si era accumulato sulle mani negli anni di servizio sotto l'ala protettiva di Alaister. In fondo, avevo sempre ucciso per eliminare la feccia dal mondo e renderlo un posto più sicuro. Non importava che sterminarli non mi rendesse tanto migliore di loro.
Finché non trovavo chi aveva fatto del male a mia madre, avrei anche potuto sguazzare nel sangue fino ai gomiti. E poi, donare i biscotti ai bambini che ne avevano bisogno non era un atto di egoismo: non lo facevo per sentirmi migliore. Solo, speravo che la cosa mi aiutasse a restare umano. Umano, come mi aveva cresciuto mia madre.
Scossi la testa, allontanando quel nugolo di pensieri per entrare nella sala delle feste della Fortezza. Indossavo l'abito che il sarto aveva confezionato per me: di un rosso così intenso e pieno da ricordare il colore del sangue arterioso. Cuciture e ghirigori a filo d'oro, bottoni in scintillanti zirconi verde smeraldo - non avevo soldi per pietre più costose - stivali al ginocchio di lucente vernice nera. Un fermaglio d'oro e smeraldi, a forma di nota di violino, mi riportava una ciocca di riccioli dietro alla testa, scoprendomi un po' la faccia.
Ero così elegante che gli occhi di molti si posarono su di me quando feci il mio ingresso nella sala. Mi limitai ad un sorrisetto, sfilando poi lungo il tavolo del banchetto in cerca del mio nome sul segnaposto. Alaister era a capotavola, circondato dai suoi ospiti più facoltosi e le sue amicizie, fra cortigiani, letterati e pericolosi uomini d'arme. Era immerso nella conversazione, perciò non mi avvicinai. Presi posto circa al centro della tavolata, lì dov'era scritto "Valentine".
Fu un vero stupore alzare gli occhi e ritrovarmi seduto di fronte a Yul Pevensie. «Ugh-» sospirai. Ultimamente ne avevo di sfortuna.
«Non essere troppo felice di vedermi, mi raccomando.» sbuffò una risata beffarda, masticando una pagnotta ripiena che aveva appena preso dal vassoio posto sul tavolo, fra di noi. Era bello anche lui, avvolto nel raso e nel velluto blu notte, con un nastro d'argento intorno al collo. Se non fosse per quell'aria di sorridente saccenteria...
«Sono sempre felice di vederti, Yul.» il mio tono trasudava sarcasmo e fui grato dell'interruzione che arrivò quando un servitore mi chiese se volevo del tacchino dal piatto di portata, che portava con sé girando intorno alla tavolata. Annuii cortesemente e lasciai che la serata scivolasse lentamente fino alla mezzanotte, mentre mi ingozzavo di cibi prelibati che non avrei avuto l'occasione di assaggiare per il resto dell'anno.
Intanto, il rosso non aveva fatto altro che dimostrare la sua maturità lanciandomi uva passa mediante il cucchiaio usato a mo' di fionda. A volte prendevo i chicchi al volo, altre li afferravo direttamente con la bocca. Poi mi colpì in un occhio e, dopo avergli tirato un calcio sotto al tavolo, intimai ad un sicario dall'altro capo del tavolo di far cambio di posto. Avrei risposto anche io a quella battaglia, ma non volevo fare brutta figura sotto allo sguardo attento di Alaister: ero certo che Yul sperasse in una mia defaillance. Invano.
Poi la mezzanotte giunse e fu finalmente la notte di Natale. Tutti alzarono i calici per brindare, a cominciare dal Re degli Assassini, che fece gli auguri ai suoi ospiti e si congratulò per il lavoro fatto con tutti i suoi sottoposti, senza esporsi o aver bisogno di dire esplicitamente che quel lavoro fosse l'omicidio. Tintinnii di bicchieri e di risate, mentre io sorseggiavo lentamente lo champagne frizzante.
Il cuore della serata si spostò nei pressi del grande albero: era immenso, illuminato da piccole candele contenute in bocce di vetro ed appese ai rami. Decorato con fiocchi dorati, guarnito da palline scintillanti, sfere di velluto rosso, bacche e globi verdi, aveva in cima una grossa stella di stoffa. Il camino di marmo crepitava lì vicino, facendo sfavillare le confezioni regalo elaborate, le coccarde setose e i nastri di raso. C'erano talmente tanti doni che bisognava sgomitare per raggiungere i propri e consegnarli ai destinatari. Davanti al focolare poltroncine imbottite ospitavano Alaister e gli ospiti che avevano scelto di trattenersi a dialogare anche dopo.
Consegnai i miei obbligati regali di circostanza ad alcuni cortigiani e ad altri assassini in delle buste da lettera - erano tutti buoni per massaggi, spa o palestre di qualche tipo. A Tracy però avevo regalato una graziosa confezione di legno intarsiato dentro cui poter inserire i suoi pennelli. Poi, mi azzardai ad avvicinarmi al Re degli Assassini: avevo scelto con cura il suo regalo e speravo di riuscire almeno a consegnarglielo. O quanto meno, a trovare il coraggio.
«Buon Natale, Alaister...» mormorai, con le guance rosse e non per il calore del camino lì vicino. «Il mio dono per te.» Allungai un pacco rettangolare avvolto in stoffa dorata. Senza saperlo, si abbinava a come si era vestito: camicia a sbuffo nera come i suoi pantaloni e un panciotto dorato a motivi damascati. Era pericolosamente avvenente, seduto su quella poltrona come una pantera acquattata e sul punto di scattare.
Mi prese la mano libera per portarsi le nocche alle labbra. Sfiorò la mia pelle con un bacio leggero, che mi fece fremere dalla punta dei piedi a quella dei capelli. «Buon Natale a te...» Helias. Pronunciò col labiale, mentre mi guardava negli occhi, i suoi d'oro lucente come un sole incastonato fra le palpebre. Gli bastò allungare un braccio per prendere il suo regalo da sotto l'albero e consegnarmelo.
Poi, mentre scartava il suo, io facevo lo stesso. Non disse nulla davanti alla scatola piena di sigari aromatizzati in gusti particolari, ma notai un accenno d'approvazione nello sguardo. «Oh mio...» sospirai di meraviglia, quando scoperchiai la scatola e mi trovai davanti un bellissimo orologio da taschino bagnato nell'oro, col coperchio dipinto a mano che raffigurava un paesaggio, boschi del nord sembrava. «Grazie, Alaister.»
Mi allontanai in fretta per lasciarlo ai suoi affari, su di giri per il regalo, che già avevo sistemato nel taschino. Ancora gongolante, mi feci rovinare il buon umore da Lysandro: ovviamente, dove c'era Sophia, c'era anche lui. Mi chiesi chi gli avesse dato quell'abito, perché indossava una ridicola tonalità di salmone, che non gli stava affatto bene.
«Sai, quest'anno Sophia ci ha educato al dono della carità.» cinguettò, con quel suo tono insopportabilmente petulante. «Quindi, ecco a te il mio regalo...» Storsi le labbra: glielo avrei ficcato in gola, piuttosto.
«Ma come sei gentile, caro.» risposi, emulando la sua vocetta odiosa in maniera caricaturale. Era per semplice apparenza che accettai e aprii il pacco davanti a lui. Si trattava di un braccialetto d'oro, semplice, un'unica fascetta da infilare intorno al polso, con una goccia color acquamarina che penzolava. Era un dono insolitamente grazioso e delicato. «Be', spero gradirai il massaggio.» feci, allungandogli la stessa busta da lettera che avevo dato agli altri.
Poi mi allontanai. Mi restava un ultimo regalo, ma lui mi trovò per primo. Posò una mano sulla mia spalla e ruotai su me stesso per incontrare i suoi occhi blu. «Sappi che la mia prima idea regalo era una targa su cui incidere "L'Eterno Secondo".» ridacchiai, perfido.
«Ma ti prego. Sarebbe un po' imbarazzante mandarla ad aggiustare, visto che l'anno prossimo verrai superato da me. Non credi?» gongolò, mettendomi fra le mani il suo dono: una scatola color crema quadrata e schiacciata, avvolta da un nastro azzurro.
«Non accadrà neanche nei tuoi sogni.» Feci spallucce, consegnandogli invece il mio. Non era un percorso benessere o un massaggio, avrebbe certamente colto la palla al balzo per prendermi in giro. Già lo sentivo dire "regali da nonnetto" o "perché non mi fai tu un bel massaggino?". Conoscevo quella faccia da schiaffi di Pevensie.
«Consideralo pure come il miracolo del Natale.» rise, mentre apriva il suo pacco. Alzò un sopracciglio davanti ad un set di pietre perfettamente rettangolari. «Un nuovo metodo per ammazzarmi?» domandò, aggrottando la fronte.
«Idiota... Sono per affilare i pugnali!» borbottai, mentre lui rideva e io scartavo il suo regalo. Mi ritrovai a guardare con sorpresa un paio di guanti: non invernali, ma da arciere. Erano azzurri, con raffinati ghirigori argento e viola lungo le dita. Sembravano rifarsi a tutti i colori dei miei occhi.
«Sai, ho pensato che con quelle bruciature ne avessi bisogno. Sarebbe un po' difficile incoccare una freccia, altrimenti.» si strinse nelle spalle, mentre io li provavo. Non dissi che le vesciche erano già quasi guarite, grazie alla strana abilità di recupero che aveva il mio corpo. Mi limitai a sorridere, stupito.
«E' un bel regalo. Grazie.»
Mi rivolse anche lui un sorriso, che mostrò quelle due fossette irriverenti. «Buon Natale allora, Valentine.» mi augurò, mettendosi le mani in tasca e allontanandosi, soddisfatto. Che strane feste, queste. Io e Yul non eravamo affatto amici, né lo saremmo diventati tanto presto. Ma almeno, iniziavo ad apprezzarlo un po' di più.
❖ ❖ ❖
Il Natale successivo
uno era ad Ender
e l'altro era morto.
Eppure, nella straziata disperazione della sua follia, Helias Bloomwood coltivava un sogno. Un regalo richiesto al destino. Vivi o morti, non importava come, né importava dove... Ma prima o poi sperava che si sarebbero ritrovati.
O meglio, lo sapeva.
❖ ❖ ❖
*NDA - Angolo Natalizio is coming*
Hola a tutti!
Intanto vi auguro buone feste, finalmente la vigilia è arrivata e spero che il Natale (e l'anno nuovo) sia il migliore per tutti! Nel mio caso, quando deve succedere qualche casino, succede sempre durante le feste, matematico xD
Parlando del capitolo: quanta nostalgia nel scriverlo! Mi sono divertita molto a farlo... I ricordi del primo libro sono arrivati più intensi che mai! (I bei tempi in cui Helias ancora non sopportava Yul ahah). Spero che vi sia piaciuto, vi mando un bacio e un grosso augurio ancora!
Alla prossima ~
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