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14. L'Assassino e il porto

«Tutti i marinai di ogni sorta sono più o meno volubili e infidi: vivono tra il mutar degli elementi, e ne aspirano l'incostanza»

- Herman Melville

Buio.

Non quel genere di tenebra vorticante che t'assale poco prima di svenire, dopo un bel pugno ben piazzato sulla tempia. Non quel genere di oscurità che ti avvolge dietro alle palpebre poco prima di morire di asfissia. Ed io ne sapevo qualcosa, visto che un tempo un vampiro mi aveva quasi strangolato nelle profondità del suo castello, prima che lo impalettassi dritto nel cuore.

Era quel genere di buio claustrofobico che ti si abbarbica addosso anche se hai gli occhi aperti, cucendosi sul tuo viso quasi fosse una maschera senza fori. Assieme a quella sensazione di aria soffocante e nero negli occhi, c'erano le braccia di Ezrael, attorcigliate intorno al mio busto, il suo petto contro la mia schiena, il mento incassato nella curva del mio collo, le labbra che mi solleticavano i capelli, il suono del suo respiro. Poi, i gemiti.

«Aaah! Più forte! Fottimi! Porco schifoso...!»

Mi impietrii, sentendo una qualche donna urlare lascivamente, ovunque fosse, ovunque fossimo noi, in quell'istante di profonda confusione dopo il teletrasporto. Mi ci vollero cinque minuti buoni in cui la mia mente rimetteva insieme i pezzi degli istanti, anzi dei giorni, che avevo vissuto prima: dopo le caverne di Astrea, la neve, le valanghe, mi ero nascosto in una scuola per ricchi rampolli della nobiltà di Darlan, finché gli uomini del Re e le guardie di Ender non erano venuti a prenderci. Finché il mio incontro col capitano della Guardia Reale non aveva suscitato in me qualche ricordo di un imprecisato tempo mai vissuto. Finché Tracy, mio vecchio amico nella Gilda degli Assassini, non mi aveva passato un messaggio di cui avevo a malapena carpito il contenuto.

"Alaister in realtà è m..."

Qualsiasi cosa volesse dire, mi maledissi mentalmente per non essere riuscito a leggere tutto. Poteva voler dire qualsiasi cosa. Mio padre? Lo esclusi da subito - di rivelazioni famigliari ne avevo fin sopra i capelli e dubitavo che a Tracy importasse qualcosa di farmi sapere una sua parentela. Malato? Ecco, quella sarebbe stata sicuramente un'informazione interessante. Con la recente ondata di tisi forse anche il Re degli Assassini aveva fatto un passo falso infilando il suo prezioso quanto letale attrezzo nel posto sbagliato.

«Ancora! Sbattimi come...» continuò la voce, ovattata rispetto a dove ci trovavamo, riportandomi alla realtà.

«Andiamocene.» sussurrò Ezrael all'orecchio, spingendo le mani in avanti, solo per scoprire che a gettare le tenebre sul mondo intorno a noi erano un paio d'ante chiuse. Ci eravamo teletrasportati dentro ad un armadio vuoto, in una camera da letto priva di orpelli, lurida come un ostello della peggior specie. E proprio mentre un tizio palesemente orrendo e una donnetta vestita nei classici colori delle prostitute ci davano dentro su un letto cigolante e sporco di quella che sperai fosse birra, ma a giudicare dall'odore valutai fosse altro.

Non appena la donna si accorse di noi, si mise subito ad urlare. «Te l'ho detto mille volte! Per farlo in gruppo il prezzo è più alto! Sono stanca di te!» Un ceffone al viso del bruto e la cortigiana fu fuori prima di noi, subodorando qualche guaio finanziario che tutto sommato non c'era.

«Troia! Ti ho pagata per farmi venire! TORNA QUA!» Il tizio aveva già acciuffato una sciabola nascosta ai piedi del letto mentre si voltava verso di noi. Ma prontamente Ezrael mi aveva trascinato per un polso fuori dalla stanza.

Mi accorsi che mi ero sbagliato: nessun ostello. Dovevo capirlo prima, visto che il mondo oscillava leggermente. Mi trovavo nella stiva di una nave. L'albino mi trascinò lungo un corridoio tutto oblò, legno e cigolii. Gettando un'occhiata sfuggente oltre le finestre, mi accorsi che il porto era proprio lì fuori: un buon segno, la nave non era in mare aperto, ma ormeggiata ovunque fossimo arrivati. Allungammo frettolosamente il passo, avvertendo alle nostre spalle improperi, scontri e piccole zuffe, segno che forse il nostro inseguitore ci stava alle calcagna, oppure aveva già cambiato vittima. 

Salita una scaletta mezza marcia, uscimmo su un pontile affollato di uomini che pulivano cannoni, tiravano cime, legavano funi e chiudevano vele, spazzando via grandi cumuli di neve oltre il parapetto del veliero, che affondava nell'acqua salina morbida come ovatta in una bacinella. Era un pessimo periodo per affrontare il mare: la brezza ghiacciata raschiava le guance come rasoi e l'umidità appiccicosa ma fredda faceva lacrimare gli occhi. Nuvole di fiato condensato si sollevavano fra le cime tese e il legno umido di brina dalle labbra dei marinai.

Ognuno era preso dal proprio lavoro o i propri improperi serali per preoccuparsi di noi, che scendevamo dalla passerella per arrivare sul molo. Nonostante fosse inverno, c'era un numero esagerato di navi attraccate al porto puzzolente. E nonostante avesse ancora un aspetto più sudicio di quanto ricordassi, nonostante non avessi mai visto questo posto immerso nelle luci della sera, non fu difficile capire dove mi trovassi.

«La Baia del Teschio...» sussurrai. La missione che mi aveva portato a scontrarmi contro il Re dei Pirati, a disfarmi dei documenti sulle tratte di schiavi e a fregarli, abbandonandoli su una isola deserta oltre il Mare dei Mostri. Poi avevo scoperto che il Capitano Uruj stava lavorando contro la schiavitù e tutto quello che avevo fatto era stata una grossa manipolazione di Alaister Noir. Il senso di odio e struggimento che mi scuoteva il petto fu simile ad un'ondata di nostalgia per la mia vecchia vita. Per Yul, che a quel tempo avevo lasciato nella Gilda, a soffrire punizioni peggiori delle mie, che me la spassavo ovunque andassi mentre lui si prendeva le percosse.

«Me ne sono accorto.» replicò l'uomo accanto a me, la voce leggermente sprezzante.

Doveva essere ancora adirato per quello che era successo alla Casa di Sapienza. Tutto quel... Gran Casino. E non stavo pensando al fatto che i poteri di trasmutazione avessero smesso di funzionare facendoci saltare la copertura: parlavo della sua promessa di proteggermi. Il giorno prima di saltarmi letteralmente addosso cercando di forzarmi nel fare qualcosa che, in altri tempi, sarei stato piuttosto felice di ricambiare. Ma con lui stava andando sempre tutto malissimo. Facevamo un passo avanti e tre indietro: adesso, ci ritrovavamo lontanissimi. Era stato molto più facile dopo la fuga fuori da Ender, quando non lo conoscevo, anzi, quando non dicevo una parola e l'unica cosa ad importarci era di uscire dai boschi, sfuggire alle guardie e sopravvivere alla giornata.

«Pensavo fossimo troppo lontani per arrivarci.» sbuffai, arricciando il naso in un modo che sembrava facessi il verso alla sua faccia. Era quello che mi aveva detto lui. La cosa strana, però, è che ci avevo provato io stesso: teletrasportarmi di nascosto per arrivare qui o direttamente nei Regni del Caos. Non aveva funzionato.

«Non lo so.» fece spallucce, senza guardarmi, gli occhi rivolti sulla strada scivolosa di birra e ghiaccio, puzzolente d'urina e di improperi, se gli insulti avessero potuto sporcare le strade come le cacche di gabbiano. «Spesso le cose non vanno come ce le aspettiamo.» E qui abbassò lo sguardo su di me. Gli occhi viola che lampeggiavano eloquenti, un'allusione a... Cosa? Ciò che si aspettava e non era successo? I piani che si era fatto su di noi? Il Guardiano e il Protetto, destinati all'amore eterno, come lo erano state mia madre e la sua guardiana? Alzai gli occhi al cielo. Era lui quello in torto. Non certo io.

«Be', siamo un passo più vicini alla nostra missione. Trovare la spada. Ammazzare lo stronzo.» Non era solo il mio compito, quello, ma il mio desiderio. Aveva ucciso mia madre. I suoi uomini avevano ucciso l'uomo che amavo. Mi aveva destinato ad una morte lenta, atroce ed umiliante. E lo aveva fatto con milioni di persone. Lo avrei ucciso con le mie mani, spada o no.

Ma prima di tutto avrei ritrovato Yul. Fosse anche l'ultima cosa che facevo.

Sbuffò, come se quella sintesi lo scocciasse. «Non farla così semplice.» E perché lui doveva renderla sempre così complicata, la faccenda?

«IO non la faccio semplice! Sei tu che... » Scossi la testa, camminando più in fretta per superarlo senza aggiungere nient'altro. Ma lui si mosse più velocemente di me, mettendosi in mezzo al mio cammino, così che sbattessi contro al suo petto. Indossava ancora la divisa da studente della Casa di Sapienza, camicia e giacca che gli stavano ridicolmente strette, tirandogli sul petto, con tanto di bottoni che parevano sul punto di saltare da un momento all'altro.

«Io cosa? Avanti. Dillo.» Affilò le palpebre. La tensione poteva tranquillamente essere tagliata con un coltello, in quel momento.

«Che fai lo stronzo. Stai continuando a giudicarmi da quando mi hai conosciuto, ma non sai fare altro che guardare e fare da spettatore.» Feci un passo avanti, gli occhi di ghiaccio che mi brillavano d'oro alla luce fioca delle lanterne fuori dalle osterie, il fiato che mi si condensava davanti alla faccia arrossata dal gelo. «Perché allora non la vivi un po', questa vita?!»

Gli occhi d'ametista gli si accesero di una tale ardente collera che pensai potesse sciogliere un po' di quell'aria invernale che ci avvolgeva. Qualsiasi fosse la sua risposta, venne soffocata dal singhiozzare ubriaco di un tizio appena uscito da una locanda, che mi venne incontro con un'espressione stravolta dai fumi dell'alcol, sghignazzando.

«Bel completino... Te lo lasci sfilare per un paio di pezzi d'argento?» Mi sarei limitato ad ignorarlo, ma Ezrael lo mandò a tappeto con un singolo pugno, ringhiando qualcosa fra le labbra prima di ricominciare a camminare, dandomi le spalle.

«Pensiamo prima di tutto a procurarci una sistemazione e dei vestiti che diano meno nell'occhio.» Fu tutto quello che disse, senza più voltarsi a guardarmi, come se avessi perso l'importanza che mi aveva attribuito quando aveva scelto di salvarmi da Ender. Il mio orgoglio e quel lato vanitoso che se n'era andato in letargo da tanto tempo e solo ultimamente dava qualche sprazzo d'esistenza non ne furono molto felici, ma il resto di me poteva tranquillamente conviverci. Feci anch'io finta che non esistesse.

Un paio d'ore dopo, grazie ad una manciata dei pochi soldi che ci erano rimasti - quel che Ezrael era riuscito ad acciuffare prima che lo catturassero nella Scuola di Sapienza - ci ritrovammo in una stanza doppia nella classica bettola vicina al porto, quelle che puzzano di pesce, con le lenzuola bucate e nemmeno molto pulite, con l'unico privilegio di avere una bella vista sul mare. Se fosse stata estate. In inverno, faceva sì che gli spifferi gelati entrassero molto più facilmente oltre gli spiragli del balconcino. Ma non mi ero lamentato come avrei fatto sempre. Soltanto quella mattina avevo sfidato un idiota a scherma, pavoneggiandomi con mezza scuola. Soltanto quel pomeriggio avevo combattuto contro uno dei migliori spadaccini del Regno. Ero stanco, fisicamente ed emotivamente. Tutto ciò che volevo era scivolare sotto alle coperte, fingere che non puzzassero e che non facesse più freddo di quanto ricordassi e poi sprofondare in un soddisfacente sonno senza sogni.

Ovviamente non riuscii a far nulla di tutto ciò che mi ero ripromesso. Passare dagli agi della Casa di Sapienza ad una schifosa osteria per ubriaconi era uno sviluppo drastico, ma senza dubbio migliore di dormire in un buco in mezzo alla neve. Eppure la stanza puzzava così tanto di pesce che rischiai di soffocarmi premendo la faccia contro al cuscino, solo per scoprire che era quello il vero problema, così da ritrovarmi a dormire su un materasso nudo e ruvido, con una coperta di lana addosso, in preda ai tremori e agli incubi. 

Sognai Strappa-Scoiattoli, il Capitano di Ender, seduto davanti all'ingresso delle caverne di Sale di Ender, mentre sbucciava un piccolo roditore quasi fosse una banana, scarnificandolo mentre era ancora vivo e si dibatteva. E mentre la sua carcassa spellata gli si agitava ai piedi, quella lentamente si ingrandiva prendendo il mio aspetto, poi quello di mia madre. E l'uomo lì seduto non era più Strappa-Scoiattoli ma il Re in persona. Si era mangiato la pelle di mia madre e ora si stava leccando le dita insanguinate.

Mi svegliai soffocando a malapena un grido, con la stanza che era già immersa dalla calda luce mattutina e la consapevolezza consolatoria che avessi superato la notte e non mi servisse più dormire, rischiando di rivivere quelle immagini dietro alle palpebre. Mi tirai a sedere, aprendo e chiudendo i pugni, le mani intorpidite dal gelo e il sudore freddo che mi appiccicava i capelli alla nuca e alla fronte. Lanciando un'occhiata al mio fianco, mi resi conto che Ezrael non c'era, ma non lasciai che la cosa mi preoccupasse.

Invece, mi permisi di dedicare quella mattinata a me stesso, senza fare assolutamente niente. Oziai per qualche secondo in camera fissando il soffitto, poi mi decisi a scendere verso l'osteria tranquilla, che al mattino non brulicava di ubriaconi come alla sera - anche se le eccezioni non mancavano affatto. Chiesi una tinozza d'acqua bollente per potermi lavare e la richiesta venne accolta dopo un bel po', costringendomi anche a rivedere la mia definizione di "bollente". Immergendo uno strofinaccio pulito dentro all'acqua tiepida, mi diedi una rapida lavata, cercando di asciugarmi in fretta per non raggelare, poi tornai ad avvolgermi con la lana, fissando il mondo fuori dal balcone chiuso.

Avremmo trovato una nave valida per condurci fino ai Regni del Caos? Un equipaggio disposto a rischiare fino a tanto? E saremmo riusciti a beccarla entro primavera? Ci erano rimasti giusto i soldi necessari per un veliero: pernottare a lungo nella Baia del Teschio in attesa della bella stagione avrebbe consumato notevolmente le nostre risorse. Ma se avessimo trovato una nave subito, allora avremmo anche potuto alloggiare lì, prendendoci il tempo necessario per ingaggiare un equipaggio di uomini coraggiosi e anche scellerati, favorevoli a mettersi nei guai per pochi soldi e tanta fame d'avventura. Non c'era molto altro che io ed Ezra potessimo offrire.

Ad interrompere le mie elucubrazioni fu proprio lui, che entrò nella stanza con un'espressione decisamente più distesa rispetto alla sera precedente. Se avessi detto tranquilla, mi sarebbe sembrato un miraggio, un'allucinazione tutta mia. Non indossava più la divisa stretta, ma un paio di pantaloni di cuoio bruno stringato lungo le cuciture laterali, una casacca pesante color cobalto e un paio di stivali di pelle nocciola al ginocchio. Roba di pessima fattura, per un occhio esperto e critico come il mio, ma gli donava. Aveva portato con sé, sotto al braccio, una pila di abiti e sull'altra mano teneva in bilico un vassoio con un pasto frugale.

«Vestiti puliti, grazie al cielo!» E anche la colazione. Non mangiavo da... Non me lo ricordavo nemmeno. Il cibo che avevo rubato dalla Casa di Sapienza era finito schiacciato, spappolato o perso fra combattimenti e teletrasporti, ad attutire i morsi della fame erano state le briciole.

Mi fece un vago sorriso, giusto un incresparsi degli angoli delle labbra, appoggiando il vassoio sul suo letto e porgendomi gli abiti. Sul piatto c'erano diverse fette di pane raffermo, una ciotola di qualche salsa fumante e - novità! - una zuppiera colma di qualcosa che odorava di pesce. La colazione dei veri marinai, eh?

«Che schifo...» Non che fossi nella posizione di lamentarmi, ma lo feci lo stesso.

«E' l'unica cosa che sono riuscito a trovare. Pare proprio che i croissant fumanti siano rimasti nella scuola fra le montagne.» replicò, mostrandomi di nuovo quell'espressione di abbozzata serenità, che mi stupì parecchio. Aveva gli occhi di un bel glicine lucente, alla luce del giorno che filtrava dai vetri e i capelli nivei, tagliati all'altezza della mascella, erano scompigliati in un modo che lo rendeva affascinante.

Sbuffai, infilando un pezzo di pane nella zuppa e poi tirando un morso: si rivelò meno peggiore di quanto mi aspettassi. «E tu?» indicai al piatto con un cenno del mento.

«Ho già mangiato qualcosa mentre facevo commissioni.»

Mi limitai ad annuire, mettendomi a mangiare in silenzio: la salsa al formaggio era tremenda insieme alla zuppa di pesce, ma i singoli elementi, insieme al pane, potevano sicuramente aiutarmi a tenere a bada lo stomaco gorgogliante. Sì, mi stavo decisamente focalizzando troppo sul cibo per non pensare al fatto che dopo tutto quel che era successo sedevamo sullo stesso letto, con un vassoio soltanto a separarci, i volti troppo vicini. Così mangiai più in fretta.

«Senti... Lo so che abbiamo cominciato col piede sbagliato.» iniziò all'improvviso, facendomi alzare il viso lentamente.

«Ma davvero?» borbottai, col mio solito tono arrogante, che in genere non aiutava mai. Lui non si scompose.

«Non volevo darti del ragazzo facile. Né era mia intenzione comportarmi in quella maniera... Ti devo delle scuse.» Forse ero impazzito, oppure non mi ero nemmeno svegliato, perché non era possibile che mi stesse dicendo quello. Dovevo avere una faccia particolarmente espressiva, perché continuò: «Mi sono fatto delle idee sbagliate. Su di noi, sulla missione... Su tutto. Ricominciamo da capo.» Mi sembrò una casualità abbastanza strana da farmi chiedere se non ci fosse qualche doppio fine dopo, ma la sua pareva una sorta di richiesta, più che un'affermazione. Che richiedeva mia risposta.

Mi pulii le labbra con un tovagliolo. «Mmmh... Mi è un po' difficile fare finta di niente dopo che mi hai aggredito in quel modo, nemmeno troppo tempo fa.» Aggredire era un eufemismo. Aveva cercato di violentarmi e, se non fossi stato ciò che ero, probabilmente ci sarebbe anche riuscito. Il mio viso doveva aver assunto una piega particolarmente dura, perché lui decise di tagliare corto, perdendo parte di quella compostezza.

«Mbe', allora prova a farlo.» borbottò, un pelo spazientito, alzandosi in piedi. Mi issai su anch'io, acciuffando i vestiti piegati ed incominciando a spogliarmi proprio davanti a lui. La giacca della divisa a terra, la camicia che bottone dopo bottone rivelava il mio petto glabro, privo di peli o di cicatrici, ma ornati solo da un paio di boccioli rosati a destra e sinistra, i capezzoli. Lui mi osservava e così facevo anch'io, ma non si mosse. 

Invece, si appoggiò contro alla parete, incrociando le braccia sul petto, senza dire niente. Mi slacciai la cintura, aprii i diversi bottoncini sul cavallo dei pantaloni e lasciai calare tutto sul pavimento. Poi, lasciai anche che l'ultimo pezzetto di stoffa mi abbandonasse, restando nudo sotto ai suoi occhi, glutei alti e soldi e pube punteggiato appena d'oro, dove l'intimità scivolava fra le cosce come un frutto maturo da raccogliere e risvegliare. Il modo, la fissità con cui mi guardava, mi fecero contrarre lo stomaco, desiderando di distogliere lo sguardo. Ma non lo feci.

Piuttosto mi infilai lentamente la biancheria e i pantaloni scuri, aderenti, abbinati ad una camicia a sbuffo candida e ad un poncho verde smeraldo da indossare con manicotti nascosti all'interno. Infine, stivali al ginocchio senza particolari fronzoli, semplicemente neri. In tutta la vestizione, Ezrael non aveva fatto niente. Aveva superato l'esame, in effetti. Io invece ignorai lo strano formicolio che mi aveva invaso le gambe e piegato leggermente le ginocchia ad ogni sua occhiata. «Va bene. Ricominciamo. Ma» alzai un dito «attento a quello che fai.» Era una sensazione piacevole, avere il potere in mano. Una buona vendetta, dopo quante ne avesse dette e fatte. Nonostante non mi fossi affatto dimenticato che lui mi avesse salvato la vita, durante la fuga da Ender.

Ezrael annuì una sola volta, poi si girò ed uscì dalla stanza, mentre lo tenevo ancora d'occhio. Eppure, non notai nemmeno il bozzo che si era formato nei suoi pantaloni, ritornando a mangiare dalla zuppiera.


***


La giornata si era trascinata lentamente in avanti senza che io avessi fatto nulla: dopo un po' di tempo nella Casa di Sapienza mi ero abituato a quel ritmo, al sapore di una routine ripetitiva. Non avere mai le mani in mano, un obiettivo sempre pronto, libri da leggere, stupidi appunti da studiare, anche solo qualcosa da fare. E il pianoforte. Quella creatura magica e silente che sembrava vibrare della mia stessa tensione, paura e meraviglia. Che riusciva ad esprimere molto meglio delle lacrime tutto il mio dolore.

Dovevo dimenticare l'ultimo mese nella Casa di Sapienza. Non sarebbe stata certo la prima volta che venivo catapultato in altre realtà, in situazioni più complesse del previsto. Di solito però costruivo un piano o due. Mi informavo preventivamente sull'ambiente, quando non era Alaister stesso a darmi le informazioni. Adesso mi giravo letteralmente i pollici, il terreno fertile per qualche soliloquio interiore in una stanza vuota e puzzolente. Nessuna informazione. Solo il freddo e il puzzo.

"Alaister è m..." non avrei mai scoperto il contenuto di quello stupido messaggio. Il solo ripensarci mi faceva impazzire. Cosa poteva esserci di così impellente da spingere Tracy a mettersi a rischio per comunicarmelo? E poi c'era la questione della profezia. Recuperai dalla giacca della divisa appallottolata su una sedia il pezzetto di carta, ove mi ero appuntato il ritornello bizzarro che narrava un ipotetico destino e le mie ultime riflessioni.

"Solo il figlio della Corona (io?) il Signore dell'Oltretomba (il Redivivo) potrà ingannare, se dentro al suo regno riuscirà a scivolare, (bisogna cercare la porta dell'Oltretomba nei Regni del Caos, ma come? Dove?)
La pelle del caos sventrare, (dovrei scorticare qualcuno?)
La testa del buio afferrare, (da quando il buio è tangibile?)
La piuma del capro strappare, (un capro dovrebbe avere una pelliccia, perché si parla di piume?)
La mela delle fiamme salvare,
La maschera di sangue svelare,
E sulle unghie, (che significa sulle unghie? Come si dovrebbe impugnare una spada? Non sarà mica grande quanto una limetta!) la spada della sorella impugnare, (si riferisce alla leggenda di Qiana che ha creato la spada in quanto sorella di Yaakov, non ci sono dubbi)
Finché dopo il nono fiume il giusto sacrificio dovrà pagare (qualcuno dovrà morire?) e dai vivi tornare per trionfare."

Guardai i versi sul foglio stropicciato, ancora e ancora, accigliato abbastanza per capire che non sarebbe arrivata nessuna illuminazione. Mi limitai ad appuntare altre cavolate, le labbra graziosamente imbronciate mentre scrivevo "trovare un meleto" accanto alla frase su quella mela da salvare dalle fiamme. La matitina consumata dalla punta di grafite spugnosa cigolò appena, trucioli secchi sulla carta. Valutai di temperarla con la lama dei miei falcetti di cristallo, ma prima ancora che potessi raggiungerla con una torsione del busto, recuperandone una da sotto al letto, un forte trambusto fuori dal mio balconcino mi fermò.

Trascinando con me la coperta di lana, avvolta dalle spalle ai piedi, mi parai davanti al balcone cercando di ignorare il pavimento gelato contro la pelle nuda e gli spifferi di vento che mi alitavano dritto in faccia, portando con sé il fetore del porto. Era un odore estremamente particolare, quasi indescrivibile, ma assolutamente nauseante: pesce vecchio, sudore, l'odore marcescente e dolciastro della carne putrefatta, alghe secche, qualche spezia simile alla curcuma o al curry e... Sangue. Il che era strano, perché da quando ero arrivato nella Baia del Teschio, tutto mi era sembrato abbastanza tranquillo.

La mia precedente visita, uno, anzi quasi due anni fa, in piena ed afosa estate, era stata breve ma molto intensa: c'era un mercato davanti al porto, un via-vai intenso di marinai e pirati, grida intorno alle navi ancorate al molo e uomini appesi al sartiame come equilibristi. Monelli di strada pronti a ficcare le mani nelle tasche dei passanti e prostitute ciondolanti davanti alle porte dei bordelli intente a cercarsi la clientela direttamente dai marciapiedi.

Stavolta, c'era qualcosa di molto strano nella Baia del Teschio: forse era l'inverno, che rendeva tutto molto più immobile e silenzioso, le acque grigie dell'Oceano quasi in attesa di una gelida tempesta. Eppure le navi ormeggiate erano tanto numerose da affollare il porto, un fatto già di per sé strano, visto che la bella stagione, il momento migliore per la navigazione, non era questa. Se avessi potuto descriverla, avrei detto che si trattasse di un'aria colma di... Violenza latente. Segni rossi di mani intorno al collo della locandiera, macchioline di sangue ancora incrostate sul pavimento vicino alla soglia della porta della stanza in cui alloggiavo. Un po' tutto lasciava presumere che quel posto non se la passasse bene. E non parlavo dell'osteria, ma della stessa Baia del Teschio.

Ne ebbi la totale conferma quando, fermo davanti alla finestra, osservai il breve quanto intenso alterco fra due uomini: con la finestra chiusa, il sibilo del vento e i metri di distanza a separarci, non potevo sapere su cosa discutessero. Ma ad un certo punto, il più basso dei due, cacciò fuori un coltellaccio affilato dalla mantella scura e ficcò la lama dritto in faccia all'altro. Tagliandogli la testa a metà come un cocomero. Il sangue schizzò sulla stoffa dell'assassino, che continuò ad infierire sulla faccia dell'altro finché non divenne una disgustosa poltiglia informe che mi fece distogliere lo sguardo.

Quando riportai gli occhi sulla scena, il tipo aveva già finito di derubare l'altro dei suoi averi: soldi, armi, gioielli, mantella e perfino gli stivali. Poi, con un gesto di noncuranza totale, un movimento laterale della gamba, e lo buttò giù dalla banchina, facendolo sparire oltre la pietra grigia e scheggiata schizzata di sangue.

Doveva essersi accorto che qualcuno lo stava fissando, perché girò la faccia verso il mio balcone: era un uomo piuttosto orrendo, con un mento sfuggente e un naso appiattito da un probabile numero esagerato di pugni in faccia. Feci un passo indietro levandomi dalla sua vista, ma non abbastanza in tempo per perdermi il suo sorriso, tutto denti dorati e scintillanti a parte gli incisivi centrali, che mancavano all'appello. Disgustoso.

«Questo posto è...» la voce di Ezrael parlò alle mie spalle, mentre chiudeva la porta con un tonfo appena percettibile. «... la fossa più nera di ladri, assassini e stupratori.»

Mi voltai a guardarlo. La luce dell'inverno gli donava particolarmente: gli zigomi affilati, la pelle così dannatamente liscia e bianca da sembrare cesellata nell'avorio. Occhi che sembravano fiordalisi e capelli scompigliati come del ghiaccio gettato in faccia dopo una lotta a palle di neve. Be', qualche lotta doveva esserci stata sicuramente, a giudicare dal livido violaceo che si abbinava davvero bene al colore del suo sguardo, a circondargli tutto l'occhio destro.

«Che è successo?!»

Lasciai cadere a terra la coperta di lana, affondando un fazzoletto dentro alla bacinella dell'acqua con cui mi ero lavato, ormai gelata.

«Mmphff.» borbottò, palesemente corrucciato.

«Dai, vieni.» dissi, il tono più calmo, trascinandolo per una manica. Aprì abbastanza le ginocchia in modo che potessi restare in mezzo a lui, in piedi, a tamponargli il livido con una delicatezza che mi era conosciuta solo quando dovevo scassinare una casa, costruire un ordigno esplosivo o lanciare un coltello ad una distanza notevole. Avevo il viso davvero molto vicino al suo, tanto che riuscivo a contargli le ciglia, a distinguere le venature sulle sue palpebre. Ma non mi stava guardando: stringeva i pugni sulle ginocchia.

«... Mi fai male.» ringhiò, senza che io rendessi il mio tocco più delicato. Anzi, la mia mano diventò casualmente più pesante.

«Allora?» incalzai.

«Già quando sono andato a comprarci i vestiti hanno provato a derubarmi. Due volte.» borbottò, muovendo lentamente gli occhi su di me. Mi stupii ancora una volta della vicinanza. «Poco fa, mentre ci procuravo da mangiare, due stronzi alle mie spalle hanno iniziato a dire che ero troppo alto. Che stavo togliendo loro la visuale e che per farmi perdonare dovevo pagarli. Tsk.»

Sospirai, scostando la mano dal suo viso. Ci voleva del ghiaccio. Dubitai che l'osteria ne producesse o fosse disposta a darcene un po' senza sborsare qualche cifra. Solo per un po' d'acqua tiepida contrattare era stato più simile ad una disputa.

«Quindi ti sei rifiutato e ti hanno picchiato?»

«Non mi hanno picchiato.» mi freddò, spazientito, alzandosi in piedi. La vicinanza lo spinse a girarmi intorno quasi fossi uno scoglio con una barchetta, per andare a sedersi sull'altro letto, quello libero, dove possibilmente non c'ero io. «E' solo volato un pugno. Poi me ne sono andato.» Incrociai le braccia, un sopracciglio alzato. Un tipo come me avrebbe davvero gongolato a rinfacciargli che non se ne era andato, ma molto più probabilmente era scappato. La situazione però era già abbastanza difficile così... Il "ragazzo facile" qui presente però voleva prendersi la sua rivincita.

«Ah, quindi sei corso via. Vero?» esibii il mio miglior sorrisetto da arrogante. La luce che pulsò nei suoi occhi mi fece capire che avevo colto nel segno. Fece un passo avanti, verso di me, minaccioso. Però incrociai le braccia e alzai il mento. «Non puoi battermi a questo gioco.» Voleva minacciare l'Assassino di Darlan? Ex Assassino di Darlan, e va bene! In ogni caso il suo tentativo era troppo buffo, quasi patetico, per uno come me.

«Aaah, mangia e stai zitto.» fu invece la sua risposta spazientita, lanciandomi contro una bustina di carta che afferrai al volo. L'involucro era ancora unto d'olio, per avvolgere una focaccina al rosmarino ripiena di quello che mi sembrò sgombro e qualche alga aromatica. Ezra si era già seduto schiena contro la testiera del letto e gambe stese sul materasso, mordeva il suo panino con l'aria imbronciata fissando il muro davanti a sé senza dire una parola.

«Novità?» domandai quindi, dopo qualche minuto, aprendo la focaccina con un'occhiata schizzinosa per assicurarmi che non ci fosse nient'altro di orrendo dentro. Morsi un pezzetto d'alga, la scartai schifato nella carta, poi mi ricordai che niente - assolutamente niente - era scontato in quel viaggio, che non avevo quasi mangiato per un anno intero, e la rificcai dentro al panino addentando. Nell'insieme non era poi così terribile...

«Non ti piacerà.» bofonchiò, deglutendo poco dopo il boccone. Lui pareva non fare storie sul cibo. Certo, se vivevi di strambi licheni, funghi e muschio colorato dal sapore bizzarro, c'era poco su cui fare gli schizzinosi. Oh, ma perché pensavo a cose così futili?

«Inizia dalle cose migliori, allora.» Cosa poteva esserci di peggio della situazione in cui ci trovavamo? La vita mi aveva già dato un gigantesco calcio in culo l'anno scorso. Non c'era più nulla che potesse farmi male.

«Non ho visto guardie di nessun tipo in giro. Non devono essere molto gradite da queste parti. Quando ho provato a chiedere mi hanno guardato come si guardano i pazzi.» Un bel problema in meno! «Ho indagato un po', per questo.» si pulì le labbra con un angolo della carta, torcendo appena il busto per guardarmi. «Da quando il Re dei Pirati è scomparso questo posto è totale anarchia. Vige la legge del più forte.»

«Mmhh..» Nulla di sorprendente in uno schifoso covo di pirati. La cosa strana è che ero stato io a rendere quel posto ciò che era adesso: la scomparsa del capitano Ren Uruj, della sua nave - la Iron qualcosa, se la memoria non mi ingannava - e del suo equipaggio, avevano cambiato la giurisdizione della Baia del Teschio. Chissà quante persone avevano sofferto per colpa mia, dopo che pirati senza legge erano stati sguinzagliati liberi per la città. Quanti schiavi erano finiti in posti come Ender o Treblin, perché avevo distrutto i documenti di contraffazione sulla tratta degli schiavi. Forse gente che avevo incrociato nell'ultimo anno. Forse persone che erano state frustate accanto a me. Forse qualcuno che era morto nella stessa fossa che era protagonista di moltissimi dei miei incubi. All'improvviso il mio boccone diventò più amaro e la fame passò.

«Non ci sono più Re, ma Capitani di diversi equipaggi che si contendono il controllo della Baia, sfidandosi in lotte feroci e sanguinose.» Ecco spiegato il perché di tutte quelle navi ormeggiate. «Non so dove, ma la prossima si terrà fra poco meno di tre settimane da oggi.» Il mio cervello si stava frettolosamente mettendo in moto. Pericolosamente.

«Ezrael...» Doveva averlo capito, lui, dal modo in cui mi scintillavano gli occhi. «Mettiamo che il Capitano di un equipaggio vince.» Una pausa. Un po' febbrile, un po' emozionata. Un po' troppo temeraria. «Ottiene il controllo della Baia del Teschio. Quindi può avere tutto quello che vuole...» Una nave robusta per arrivare in posti mai esplorati dall'uomo. Un equipaggio di uomini disposti a seguirlo. Soldi per gestire tutto quanto. E per i vestiti, diamine! Un pensiero frivolo potevo pure concedermelo. «Devo assolutamente partec-!»

«Puoi scordartelo.» mi interruppe bruscamente lui. Aggrottai la fronte, girandomi a guardarlo completamente confuso.

«Eh?!»

«No. Quella è gente pericolosa.»

Mi venne quasi da ridere per l'assurdità di ciò che stavo sentendo. «Ma che cazzo stai dicendo?! Sono l'Assassino di Darlan! Ho ucciso due degli esponenti più importanti di Costantinopoli, ho messo fuori gioco il Re dei Pirati stesso e ho ammazzato un...»

«Oh, non attaccare con la manfrina. So cosa hai fatto.» ringhiò. Mi alzai in piedi, fra la frustrazione e la totale incomprensione. Se c'era qualcosa in cui ero tagliato, quello era l'omicidio. Anni passati ad allenarmi, a subire le mille angherie di Alaister, e per cosa? Non sfruttare le mie capacità proprio quando ci serviva a sopravvivere? «Ma non sono disposto a rischiare. Non è gente che gioca pulito.»

«Sono un assassino.» Lo guardai come se fosse stupido. E diamine, era proprio così. «Niente di me è pulito.» Ormai ero in piedi, al fianco del suo letto, a sbracciarmi con aria furiosa. Perciò si alzò anche lui.

«No, prima di ogni altra cosa tu sei il mio principe. Ed io il tuo guardiano.» disse, la voce freddamente calma, fissandomi occhi dentro agli occhi, le palpebre sottili come la lama di uno stiletto.

«Strano! Non mi sembrava che i ruoli fossero questi fino ad un giorno fa!» la mia voce sprizzava sarcasmo e fastidio, cosa che lo portò ad infilarsi le mani fra i capelli, frustrato. Ma io continuai: «E questa è tutta una grossa cazzata!»

«Senti, mi sono già scusato abbastanza. Abbiamo deciso di ricominciare. E ora, col tuo consenso o meno, sarò io a partecipare a quel dannato combattimento. Non sono disposto a rischiare la tua sicurezza per una grossa cazzata.» Intelligente, usare le mie parole contro di me. Stava usando uno dei miei trucchetti? «La missione è troppo importante perché tu fallisca ora.» aggiuse poco dopo, il tono della voce più basso, calmo e lucido.

Ah, quindi si trattava della missione. Non del fatto che fossi il suo principe o chicchessia. Stronzo.

«Non sai nemmeno combattere.» sibilai, fissandolo dalla testa ai piedi come un verme caduto nel mio piatto preferito. E una volta tanto, lo straeliano, quell'uomo troppo alto e dalla bellezza esagerata, arricciò i lembi delle labbra in un sorriso.

«Ma tu sei l'Assassino di Darlan. Hai ucciso due degli esponenti più importanti di Costantinopoli e tutto il resto...» Oh no. Oh nononono. Scossi la testa ancora prima che lo domandasse. «Chi meglio di te può insegnarmi?» Mi appoggiò una mano sotto al mento, le dita che scorsero leggere lungo la mascella, depositando sulla mia pelle una scia di brividi leggeri ma assolutamente percepibili.

«Sono solo tre settimane.» bofonchiai. Il mio addestramento era durato... In realtà non era mai finito. Non c'era una soglia limite oltre il quale non potessi imparare o affinare l'arte dell'assassinio.

«Non sei un comune sicario. Vuoi dire che non ne saresti capace, in poco tempo?» mormorò, incurvato su di me. Era un sorriso, quello? Lo era? Digrignai i denti, scostando il viso dalla sua presa con un'aria accigliata. Piccata, anzi.

«Certo che lo sono. Potresti non esserne capace tu, invece.» Quella era una minaccia, ma anche un'affermazione. Se l'allenamento di Alaister diluito negli anni era estremo e a dir poco folle, l'ABC che avrei dovuto insegnargli, in modo assolutamente intensivo, sarebbe stato... Notevole. E mi sarei vendicato ancora un po' per come si era comportato negli ultimi giorni. Inoltre, continuavo a vederla come un'assurdità. Un novellino contro una banda di pirati, fra cui Capitani, da cui mi aspettavo delle abilità notevoli? Era fuor di dubbio che avrebbe perso.

«Non preoccuparti per me.» disse, tornando a sedere con aria sicura, mentre io scuotevo la testa. Stupido, stupido straeliano idiota. Non aveva nemmeno idea di cosa lo attendeva.

Mi buttai sul letto dopo aver recuperato i falcetti di cristallo, steso sulla schiena, le mani sollevate ed intente ad affilare le lame con gesti ripetuti e nervosi, il sibilo tintinnante delle armi che sfregavano fra di loro letali. «... Non mi hai ancora detto che cos'è che non mi piacerà.» Ipotizzai che fosse la questione della sua partecipazione, e non della mia, al combattimento fra i pirati. Ma dovevo esserne certo.

Seguì un silenzio protratto e snervante, che mi esortò a girare la testa verso l'albino. Lui, che adesso stava fissando il suo panino come la cosa più interessante di tutta la stanza. «Ezra?» Il tono della mia voce era diventato acuto, mentre lentamente mi rimettevo a sedere, una molla pronta a scattare, i muscoli in tensione.

«Hai presente i Capitani che partecipano alla lotta?» Non dissi una parola. Mi limitai ad un minaccioso cenno del capo, qualche boccolo dorato che si frapponeva davanti al mio campo visivo, le narici dilatate, la mascella indurita. Lo prese come un segnale per continuare. «Uno di loro dice di essere appena sfuggito da Ender.» Il mio stomaco si annodò all'improvviso. «E di chiamarsi Sfavillo, l'Assassino di Darlan.»

E quello, quello cambiò i miei piani.



***

*NDA - L'angolo estivo di un'autrice pigra come poche*

Hola a tutti lettori!
Ogni volta che scompaio e poi ricompaio sono sempre lì a sperare che voi non siate spariti e non abbiate perso la speranza una volta per tutte... Ormai essere scostante è la prassi, anche se non vorrei affatto che fosse così, bruh. La cosa assurda è che magari non posto per secoli, poi all'improvviso mi torna l'ispirazione, scrivo il capitolo nel giro di due giorni e via, pubblico. MA DICO IO, FARLO PRIMA NO?! Mannaggia a me. 
Ciancio alle bande, questo è stato un capitolo di... discussioni ed intermezzi? Di nuovi sviluppi nel rapporto fra questi due? Il prossimo sarà sicuramente più avventuroso e dinamico. E dire che secondo i miei piani non siamo ancora a metà degli sviluppi di questa storia XD ho troppo in mente e ci metto TROPPO tempo per attuare tutto!
Mi auguro sempre che voi restiate qui per seguire nuovi sviluppi, armati di pazienza! Per cui, ci vediamo al prossimo capitolo <3

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