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17. L'Assassino e la festa d'estate - p.1

Volai giù per le scale di marmo, ricoperte da tappeti pregiati. Avevo le mani completamente immerse nel sangue, la camicia ormai strappata pareva essersi dimenticata del colore bianco che aveva in precedenza, e ora sfoggiava un impetuoso color cremisi. E il sangue non si era ancora seccato, ne sentivo l'impronta umidiccia e viscida sulla pelle.

Oh Dio, che avevo fatto?

Gli avevo ficcato il tagliacarte nel collo, ecco cosa. E quell'uomo che mi sovrastava con la sua imponente mole era caduto, schiacciandomi contro il letto a baldacchino, spalmando il suo collo reciso, aperto, sbrindellato, sui miei vestiti altrettanto stracciati. Il sangue era colato e si era prepotentemente insinuato fra i miei vestiti, sulla pelle. Mi aveva intriso le mani per ricordarmi che io lo avevo fatto sgorgare.

Che io avevo ucciso.

Non ricordavo cos'era successo dopo. C'erano state delle urla, sicuramente. Almeno mi pareva di averle sentite, perché era tutto ovattato. Ma qualcuno era entrato e aveva visto. Aveva visto ciò che io aveva fatto. Ciò che un semplice ragazzino di appena tredici anni era stato in grado di fare.

Ed erano seguite le urla, forse anche qualche svenimento. Io ero scivolato via da sotto al corpo grasso dell'uomo, che se ne stava col tagliacarte nel collo, le mani ancora sulla cintura, colto nell'atto impudico a cui si preparava, la faccia schiacciata contro il materasso, il sangue che continuava a sgorgare e riversarsi sulle lenzuola. Avevo iniziato la mia corsa.

Mi strinsi le mani sulla bocca, cercando di trattenere un conato di vomito, che si scatenò ancora più violentemente quando mi accorsi che avevo le mani inzuppate di sangue e che me lo ero accidentalmente spalmato sul viso. Sulle labbra.

Ma lo ricacciai nel fondo della gola e continuai a scendere, a correre, ad ansimare, a chiedermi cosa avevo fatto. Le guardie reali stavano arrivando. Le grida imperversavano, le serve svenivano alla vista del sangue che mi imbrattava persino il volto, i servi urlavano di acciuffare il maledetto assassino. Perché questo ero, adesso.

Un assassino.

Ed era stato maledettamente facile diventarlo. Mi erano bastate due azioni. Solo due azioni. Prendere il tagliacarte e ficcarlo nel flaccido collo del nobile. Due azioni.

Facilissimo, no?

Strinsi le palpebre, convincendomi a non ricordare. Capitava a volte, non mi servivano neanche gli incubi. Succedeva quando mi annoiavo, mi incantavo, quando facevo vagare il mio sguardo per aria. Arrivavano così i ricordi, mi sovrastavano. E io non potevo fermarli in alcun modo perché erano come un fiume in piena e la mia fragile mente, la diga, cadeva e si frantumava in mille pezzi.

Saldai la mia presa intorno alla gargolla di pietra, che mi offriva un ottimo nascondiglio e riparo da occhi indiscreti. Spostai il peso del corpo da una gamba all'altra, mentre affilavo le palpebre per evitare che la  pioggerellina che continuava a cadere incessantemente mi accecasse. Con la mia destrezza, era difficile che scivolassi sulla pietra umida, ma non abbassai la guardia.

Ero su quel tetto per un tempo tanto lungo da aver smesso di tenerlo a mente. Volevamo fare un sopralluogo, perciò l'attività mattutina era controllare come aquile quell'elegante appartamento su due piani dal lato opposto del marciapiede rispetto a dove ci trovavamo. Proprio di fronte. Non si trattava che della dimora temporanea di Martin, per il tempo che gli sarebbe servito a svolgere i suoi affaracci sporchi. 

Per essere una sistemazione momentanea, era decisamente sfarzosa: i tetti verde smeraldo, gli stucchi e gli architravi bianchi, i colonnati curati e le maniglie della porta d'ingresso tutte luccicanti. Era quasi scontato che fosse così perfetta, visto che l'appartamento godeva di una posizione favorevole. Il quartiere migliore di tutta Skys Hollow, dove abitavano i cittadini più abbienti e anche qualche nobile che preferiva la vita di città, piuttosto che un maniero o una tenuta nelle campagne. 

Il giardino era sapientemente curato con aiuole fiorite e cespugli a forma di cavalli impennati verso il cielo. Nei dintorni sciamava il personale della casa, che scaricava merce a profusione dall'esterno verso l'interno, senza fermarsi, mentre guardie dalle espressioni minacciose esaminavano ogni loro gesto. 

Spostai gli occhi dabbasso ad un punto scoperto del tetto su cui mi ero piazzato per spiare con la migliore visuale: il suono dei passi di Yul aveva richiamato la mia attenzione. Era andato a sorvegliare la situazione dall'altro lato della casa e ora era venuto a farmi rapporto, ma incominciai io per primo.
 
Io invece avevo tenuto d'occhio ogni spostamento di Martin. Ore prima si era allontanato per recarsi chissà dove: avevo visto la sua guardia personale, un omaccione brutale con la faccia rabbiosa, controllare ogni anfratto della carrozza, prima che il suo padrone ci salisse sopra. Senza dimenticarsi di esaminare il cocchiere, facendogli il terzo grado. Poi era salito insieme a lui: l'impressione era che non si separassero nemmeno per andare al bagno.

Costituiva un problema, ma avremmo trovato ugualmente la falla nell'abile sistema di protezione che illustrai rapidamente a Yul, mentre scivolava solerte al mio fianco. «E dalle tue parti com'era la situazione?» esordii in un mormorio, gli occhi affilati verso l'appartamento di lusso.

«Sorveglianza da maestri. Due guardie ad ogni punto cieco, anche nelle stalle. A nessuno di loro importa che diano nell'occhio, anzi, credo sperino di incutere minaccia e tenere lontano i curiosi.» spiegò, mentre la sua voce sensuale si mescolava al ticchettio incessante della pioggia. «Nessuno di loro sembra uno sprovveduto.»

«Nemmeno noi lo siamo.» ammiccai verso di lui, un gesto a cui lui rispose sollevando il lembo destro delle labbra. Tornai rapidamente serio. «L'intervallo fra un cambio e l'altro è pressoché nullo. Ogni tre ore uno dei sorveglianti si scambia con un altro, ma invece di allontanarsi entra in casa.» Quello significava che l'appartamento era un nido di vespe.

«Notizie di Martin?» Scossi la testa, mentre mi facevo un po' più vicino a lui, un micromovimento quasi impercettibile. Adesso l'afa estiva sembrava aver finalmente ceduto sotto il fresco della pioggia e tutto pareva essersi infreddolito. Le nostre spalle si sfiorarono e soffocai con forza un brivido elettrico lungo il braccio. Anche lui si era impercettibilmente avvicinato.

Ignorai e tornai a fissare come un falco quella casa avvolta dal mistero e dall'opulenza. C'era un numero impressionante di dettagli di cui avevamo preso nota, durante la nostra ispezione certosina: serrature di porte e finestre, distanze fra una casa e l'altra, affluenza di passanti; perfino la routine dei vicini. Dai movimenti della servitù era facile comprendere che al piano superiore ci fossero delle camere dal letto, ma non al pianterreno. Dalle luci che filtravano all'interno dell'ingresso con scaloni ampi, facile da vedere attraverso le vetrate, si intuiva che l'unico nascondiglio fosse il ripostiglio sotto alle scale o eventuali passaggi secondari per il personale.

Avevo notato però un particolare andirivieni dai corridoi del piano terra: prima un servo che portava una pila di giornali, poi uno spazzacamino ed infine una fanciulla con un fazzoletto fra i capelli, che portava un secchiello di ghiaccio e vino, insieme ad una tabacchiera. Lo studio privato in cui si sarebbe effettuato lo scambio? Probabilmente, benché non fosse certo: poteva essere uno studio ufficiale, mentre gli affari più delicati si svolgevano in punti ben nascosti dell'appartamento. Scelsi però di affidarmi all'intuizione avuta: se quella stanza era giusta, mancava solo l'orario dello scambio.

Le mie elucubrazioni vennero arrestate quando Yul mi fece gomito e con un cenno del capo indicò la carrozza di Joseph Martin che svoltava nella traversa e si fermava davanti al giardino. La sua granitica scorta uscì per controllare quale fosse la situazione, poi fu la volta del nostro obiettivo.

Mi morsi le labbra. Avrei potuto ucciderlo anche adesso con una freccia ben piantata in mezzo alla gola. Sarebbe stato possibile. Un lavoro rapido e pulito in un breve istante. Ma servivano anche i documenti: quella era la missione.

Per un momento, né io né Yul dicemmo nulla: fui piuttosto sicuro stesse pensando la stessa cosa su cui riflettevo io. In quei brevi momenti si apriva una finestra accessibile nell'attento protocollo di sicurezza di Martin. Invece, portare a termine tutto secondo i piani sarebbe stato molto più ostico.

«Sarà andato ad ultimare i preparativi per la festa?» chiese Yul, molto vicino al mio orecchio. Averlo accanto mi faceva venire una terribile voglia di avvicinarmi di più, di toccarlo. Ma mi costrinsi a trattenere quei pensieri e a soppesare quanto aveva detto.

La festa di inizio estate. Si sarebbe tenuta quella sera, donandoci un'ottima possibilità per studiarlo o indagare ulteriormente sulle sue mosse. Scoprire l'ora dello scambio, per esempio. In realtà, spasimavo per partecipare ad una festa da ballo come quella: sarebbe stata piena di stranieri, novità, musica, alcol e bei vestiti... E ci sarebbe stato anche Yul.

«Magari a fare quello che i farabutti come lui fanno...» borbottai, alzando gli occhi al cielo. Sogghignò piano e quel gesto portò le nostre spalle a sfiorarsi ancora. Tornò il silenzio. La pioggia picchiettava lentamente la pietra, l'unico suono percepibile fra noi, insieme al nostro respiro. Finché.

«Quindi, con questo Re dei Pirati...» si umettò il labbro inferiore, mentre io mi irrigidivo. «... quanto è andata avanti la cosa?» Fingeva nonchalance, ma aveva la mascella contratta.

«Ecco...» Mi sentii stringere un nodo in gola. Quanto potevo essere stupido? «Non... Non molto.» Mi grattai la nuca, stranamente imbarazzato. C'era stato uno scambio di baci alquanto passionale e la bocca di Ren Uruj aveva esplorato zone del mio corpo che invece avrebbero dovuto restare private... Però non era arrivato dove era giunto Yul. «Non molto.» ripetei, cercando di non incontrare il suo sguardo.

Rimase in silenzio per qualche secondo. «Che vuol dire, non molto?» mi rivolse un'occhiata torva e io mi ritrovai a deglutire. Spostai il peso del corpo sugli stivali, guardando la casa di Martin finché, sotto la tensione delle sue iridi blu, non mi girai a guardarlo.

«Vuol dire non molto!» sussurrai in un sibilo. Mi squadrò con fare indagatore, il sopracciglio sollevato. Sapevo di essere arrossito, ed anche violentemente, perciò fu dura sostenere il suo sguardo. Restò ancora in silenzio, studiandomi.

«Capisco.» sbottò infine, in tono secco e imperturbabile. Poi, in un gesto improvviso e totalmente imprevedibile, si pose dietro di me e mi circondò le spalle, in un abbraccio. Sussultai, sentendo subito il calore del suo petto contro la mia schiena, della sua guancia liscia contro i miei capelli dorati. Il mio mantello cadde a terra. Deglutii, sentendo la pelle fremere sotto i vestiti.

«Che-che... Che stai facendo?!» biascicai, imbarazzato, mentre sentivo le sue mani spostarsi dalle mie spalle e concentrarsi sul collo, lì dove stavano i bottoni che chiudevano la tuta. Lo sentii ridere sommessamente nel mio orecchio - un suono nonostante tutto imbronciato - e questo mi provocò un'ondata di calore nella pancia.

«Ti punisco.» Deglutii una seconda volta, a quelle parole.

Le sue dita iniziarono a giocherellare con il primo bottone, sfiorandomi la pelle sulla nuca, infreddolita dalla pioggia. Quel contatto mi mandò un lungo brivido elettrico sulla pelle, fino al basso ventre.

«Aspetta...» Già ansimavo, anche se non aveva fatto ancora nulla. «Non... Non qui. Stiamo lavorando...» sospirai. Mi ignorò totalmente e lo sentii strusciarsi contro i miei glutei, in modo volutamente lascivo. Ghignò.

«Sai cosa penso, Helias?» mormorò il mio nome allungando la esse in modo decisamente sensuale. «Queste tute sono molto sottili...» ridacchiò facendomi sentire un principio di durezza che premeva contro i miei glutei: la miccia che fece eccitare anche me.

«Sei..sei un pervertito, Yul Pevensie!» Per fortuna non poteva vedere il colore della mia faccia, perché eravamo di spalle ed era tutto intento a giocherellare coi bottoni. «Un gran pervertito!» Ringraziai la cosa, altrimenti si sarebbe accorto anche della mia erezione che premeva contro i vestiti per uscire. Ridacchiò di gusto.

«E lo sei anche tu a quanto pare...» mi sussurrò nell'orecchio con puro divertimento, mentre le sue mani passavano dalla mia schiena, ai fianchi, fino all'inguine, per poi arrivare inevitabilmente in mezzo alle mie gambe, premendo sul rigonfiamento nella tuta.

Se ne era accorto.

«Nnh... Piantala...» digrignai i denti, convincendomi a non gemere quando iniziò a puntellarmi con un dito la durezza, avvolta da troppi vestiti. Poi, sfruttò la fenditura aperta sulla schiena, lì dove i bottoni si erano separati dall'asola, e senza smettere di muovere le mani, iniziò a baciarmi la pelle. Molto, molto lentamente, cominciò a scendere, seminando lenti ed umidi baci sulle mie vertebre.

Piantò le mani affusolate sui miei fianchi e si inginocchiò per arrivare alla fine dei bottoni, sul mio posteriore. Strinsi la presa sulla gargolla quando la sua lingua iniziò a tracciare piccoli cerchi appena sopra l'orlo dei boxer. Era incredibile come mi sentissi: il cuore galoppava, il respiro si affrettava e la pancia si affollava di farfalle. E il desiderio.

Lo volevo. Quanto lo volevo! E subito, con un'urgenza che mi strappava il fiato.

Non importava che fossimo nascosti dietro ad una statua, sul tetto di un palazzo, sotto la pioggia, con l'uomo che dovevamo uccidere lì in basso. No. Lo volevo.

Salì dal fondo della schiena fino al centro, poi dalle scapole fino al collo. Sentii mordicchiarmi sotto l'orecchio.

«Mmm...» mi morse il collo, non troppo forte, ma con una certa pressione, quella che serviva per farmi bramare d'essere nella mia camera da letto, nella Fortezza, insieme a lui.

«Anche con Lysandro non è successo molto.» bisbigliò al mio orecchio e ridacchiò, tornando a perlustrare con la lingua ogni centimetro del mio collo. «E non molto sta per assolutamente niente.» sbuffò. «E non succederà mai.»

«Tanto non m'importa...» Volevo un bel tono strafottente, ma la mia voce era troppo ansimante, troppo carica di desiderio e non riuscii a ritenermi soddisfatto. Ancora una volta, ecco quell'insopportabile ghigno.

«Ah no? E dire che ci ritenevo due grandi amici...» Rise di gusto, consapevole che non fossimo amici neanche lontanamente. «... E degli amici ci si interessa.» Mi lasciò un grosso succhiotto sulla spalla destra.

«Che fine ha fatto... quello che... ngh... voleva spaccarmi la faccia... in allenamento?» Insinuò le mani fra i bottoni aperti e la tuta, facendo scorrere le dita sulla schiena nuda.

Sarebbero apparse frasi sicuramente accattivanti, se non fossero inframezzate dai gemiti, per colpa sua. Il colpevole rise sommessamente, un suono divino che mi riecheggiò nei canali uditivi.

«Mi annoiavo un po', all'epoca.» Fece scorrere le mani fino al petto, iniziando a stuzzicarmi i capezzoli con un sorrisetto beffardo. «Ora che mi diverto.» sussurrò, con un tono gongolante e concupiscente. «Chissà se questa missione svolta insieme mi farà ottenere qualche bonus speciale...» Non sapevo di che bonus stesse parlando, con quella voce colma di perdizione. «...Tipo, un posto ai vertici nella Gilda quando sarai tu a capo della baracca.» chiarì ghignando, mentre io curvavo le labbra in un sorriso fra il divertito e l'esasperato, rifilandogli una gomitata che non lo spostò di un millimetro. Poi notai un movimento verso la casa.

«Guarda!» Mi scrollai le sue mani calde di dosso, anche se lo volevo ancora, anche se desideravo mi prendesse proprio lì, in quel momento. Indicai la guardia del corpo, che era uscita senza il suo padrone e parlava con austerità col resto degli uomini assunti a protezione di Martin, prima di allontanarsi.

«Seguiamolo.» sussurrò Yul, che si era frettolosamente ricomposto: alla velocità della luce aveva già richiuso buona parte dei bottoni e quella scia di dita produsse un ultimo brivido lungo la spina dorsale.

Annuii, tentando di calmare il rossore sulle guance per concentrarmi nuovamente sulla missione. Mi calai il mantello scuro sulle spalle e abbandonai l'ombra sicura della gargolla. Procedendo con zelante rapidità lungo il cornicione tenevamo d'occhio sia le guardie della casa che l'omaccione che andava via via ad allontanarsi, le mani nelle tasche e l'espressione indaffarata ma perennemente brusca.

L'uomo svoltò diverse volte, per poi giungere in una stradina sottile quanto un fiume, che consentiva di poter spostarsi con un salto da un davanzale all'altro, guizzando come gatti fra i tetti, per proseguire senza intoppi, sebbene fosse estremamente facile scivolare. Se non fossimo stati i migliori, sarebbe accaduto. Yul emise un felpato scalpiccio di passi quando saltò al mio fianco con agilità, anche se era molto più massiccio di me. Gli era stato insegnato come ammortizzare il peso del suo corpo atterrando sui punti giusti.

Dopo averlo marcato senza sosta, infine ci inoltrammo in una grande strada gremita di locali ed osterie, che rendeva impossibile la camminata sui tetti. Scivolammo con cautela lungo i tubi di scolo e, atterrati in un vicolo, svoltammo nella strada principale con assoluta nonchalance, le mani nelle tasche, come due amici - gli stessi che Yul aveva nominato prima - che passeggiavano in fretta, in cerca di un posto dove infilarsi per combattere la pioggia.

Non c'era un affollamento esagerato, ma il mercato di Malescot rendeva comunque la città più popolata del normale, in barba al cattivo tempo. Non perdemmo di vista l'obiettivo del nostro pedinamento, facendo attenzione a non calpestare troppo la spazzatura che le bancarelle avevano causato, affogando i canali di scolo.

Riuscii a cogliere stralci di conversazione, mentre camminavamo: a quanto pare i netturbini di Skys Hollow avevano in programma di ostruire i canali per farli riempire d'acqua piovana, così che, una volta riaperti il giorno successivo, avrebbero potuto spazzare via tutti i rifiuti verso il fiume. Se i canali di scolo non venivano svuotati in quel modo, ogni tanto, la sporcizia cominciava a puzzare. Ero certo che durante l'apertura dei canali mi sarei trovato in un posto molto, molto lontano, evitando di camminare per le strade. Chi voleva nuotare fra i rifiuti di scarico della città? Bleah.

Rallentammo il passo fino ad arrestarlo quando l'omaccione alle dipendenze di Martin s'addentrò in un pub dall'aria malfamata: si riusciva a vedere attraverso i vetri impolverati quanto schifo stava tracannando. Un boccale che ne seguiva un altro, senza preoccuparsene.

«Se alza facilmente il gomito, potrebbe tornarci utile...» mormorai, con una smorfia di disgusto in viso, per la zona della città in cui ci trovavamo. Sembrò d'accordo con me, eppure per un attimo si fece distante, riflessivo.

«Dici che Eliza Smetanova ce la farà a convincere il Re per il finanziamento della strada?» Non attese la mia risposta, perché proseguì: «Perché ci tiene così tanto, se vuole che la tratta degli schiavi stia lontano da Malescot?» Era un controsenso, lo sapevamo entrambi. Ed era strano. Ma non potevo entrare nella testa di tutti coloro che mi commissionavano un omicidio: la gente ammazzava per i più disparati e stupidi motivi.

«Evidentemente è convinta che basti mettere fuori gioco Martin e i suoi affari.» Era l'unica spiegazione, riflettei, mentre il tempo passava e quello stupido omaccione restava lì a gozzovigliare, facendoci perdere tempo.

Non seppi dire quanti minuti dopo, finalmente pagò ed uscì dal locale, con un'andatura normale, segno che l'alcol sapeva reggerlo molto bene. Ci obbligammo a fare il percorso a ritroso, in caso la guardia andasse da qualche altra parte, invece tornò in casa di Martin, usando la porta principale piuttosto che un'entrata secondaria per la servitù.

Quella era la battuta d'arresto che ci servì per deciderci a tornare alla Fortezza. Cercai di soffocare il senso d'abbattimento che saliva dentro di me: non avevamo ottenuto alcuna informazione di importanza rilevante e il tempo stringeva. Mi chiesi se Yul se ne preoccupasse, ma lui era imperscrutabile. Si limitò ad eclissarsi con un sorrisetto sornione, all'ingresso della Fortezza, dicendo di aver qualcosa di importante da fare.

«A dopo.» mi ricordò: saremmo andati alla festa della Smetanova insieme. Anch'io dovevo sbrigarmi, se volevo tirarmi a lucido per stasera, cercando di dimenticare quanta fatica mi sarebbe costato invece trovare altre informazioni sulla missione. Dannato Alaister e dannata la sua idea di regalo!

***


Avevo passato così tanto tempo dentro alla vasca da bagno che mi erano venute le grinze sulle dita, ma finalmente la sensazione di gelo che si era abbarbicata alle ossa se n'era andata. Grazie a Dio, Alaister aveva fatto costruire un impianto d'acqua calda così futuristico che qualcuno avrebbe potuto gridare alla "magia", quando in realtà era solo un'opera ingegneristica costosa quanto... Chissà.

Forse avevo consumato l'acqua calda per tutti. La mia parte più dispettosa ne era lieta. Ormai avevo lasciato quella culla d'acqua accogliente e sedevo davanti alla specchiera a pettinarmi i capelli, domando il cespuglio dorato una spazzolata dopo l'altra e rinfrancato dall'abbraccio di seta azzurra che era la vestaglia che indossavo. Un altro regalo di Alaister. Un altro che non gli sarebbe servito a farsi perdonare: quando ricordavo quello che aveva fatto a Yul mi si intrecciavano le budella.

Comunque, distolsi lo sguardo dallo specchio per prestare finalmente attenzione a ciò che un servitore mi aveva lasciato sul letto mentre mi facevo il bagno. Erano... Carte? No, non esattamente.

Un plico di fogli ordinatamente legati da un nastro blu. Il biglietto campeggiava sopra di essi come se smaniasse per farsi notare. Respirai molto lentamente, quando lo sollevai per leggere quelle parole. Il mio volto variò senza che io lo controllassi. La mia espressione si snodò dalla confusione, alla sorpresa e poi alla felicità.

"Lo so, davvero misericordioso da parte mia. Quindi abbine cura, i miracoli accadono una volta sola!"

Schioccai le labbra, esasperato, finché non mi resi conto di che si trattava.

Spartiti. Note nere spiccavano sul pentagramma mentre io ci facevo scorrere le dita, traducendo quei simboli nel motivetto che io avevo cercato in tutti i modi di riprodurre, fallendo. Quella musica che mi aveva ammaliato e ricordato mia madre.

Scandagliai nuovamente quel bigliettino e non mi servì studiare quei caratteri chiari e precisi, quelli qualcuno che doveva aver ricevuto un'istruzione da nobile, per capire che non fosse opera di Alaister. Mi azzannai il labbro inferiore, nel blando tentativo di trattenere un sorriso raggiante. Era stato Yul.

Con tutto quello che avevamo fatto in giornata, mi chiesi quando aveva trovato il tempo per ottenere gli spartiti. Era questa la cosa importante che doveva fare?

Sorpreso, allibito quasi, ma in maniera assolutamente positiva, mi sedetti davanti alla specchiera per controllare ogni singola pagina, avidamente. Era incredibile. Non c'era modo che quelle partiture fossero in circolazione, di dominio pubblico. Anzi, era pressoché impossibile, a meno che lo spettacolo non si fosse dimostrato la rivelazione teatrale dell'anno.

E invece eccola lì, quella musica. Fra le mie mani. Non riuscivo proprio a smettere di sorridere. Quello scemo di Yul! Mi strinsi al petto la pila di fogli, con un sorriso a trentadue denti che si allargava sulla faccia, mentre mi sentivo scoppiare il cuore da un sentimento che non riuscivo proprio a descrivere.


***

Anche se il Re aveva bandito la magia da tempo, i balli e le feste di Skys Hollow riuscivano a regalare qualcosa di magico, con le loro atmosfere al limite del possibile. Il confine fra la normalità e lo stupore si assottigliava lasciando spazio a quell'immensa sala da ballo, che dall'alto dell'imponente scalinata di marmo centrale assomigliava ad una graziosa foresta.

Felci, tralci di salici piangenti e rami imponenti di querce costeggiavano le pareti della sala, lasciando appena lo spazio per le vetrate da cui si vedeva il giardino. Lunghi specchi bordati d'oro erano strategicamente posizionati in modo da moltiplicare quei decori e dare, per l'appunto, l'idea di essere all'interno di un bosco.

I lampadari di cristallo a bracci erano stati abbassati in modo da toccare le fronde e se gli invitati più alti allungavano un braccio, potevano quasi riuscire a sfiorare le gocce diamantine. Camerieri e cameriere erano coperti da poco e niente, con lingerie su cui erano applicati fiori e foglie, in maniera studiata per far sembrare che indossassero soltanto quelli. La vegetazione s'infilava fra i loro capelli e i trucchi variopinti li rendevano simili a ninfe e creature del bosco.

Gli ospiti erano tutti travestiti: fra balze, crinolina, pizzi e ventagli, si potevano notare maschere inquietanti ricavate da animali impagliati, lussuose perché fatte in pietre preziose o semplicemente stravaganti, binomio fra un cliente eccentrico e uno stilista con strane idee. Sorvolai sul quartetto d'archi che pareva intrecciato fra gli alberi e su una cantante lirica dalla voce così melodiosa da sembrare un angelo, oltrepassai la pista da ballo gremita di persone e completai la mia panoramica visiva guardando semplicemente un punto imprecisato di fronte a me.

Scesi la scalinata, lentamente, gustandomi il peso degli sguardi che mi restavano incollati addosso. Ed era il minimo. Ero vestito completamente di bianco: panciotto, camicia, pantaloni; solo gli stivali erano di uno scamosciato chiaro. Sugli abiti sembravano intrecciarsi ghirigori dorati e luminosi, che mettevano ancora più in risalto il colore dei miei capelli e soprattutto quello della maschera. A contornarmi gli occhi c'era una semplice e luminosa mascherina dorata, non era una qualunque, bensì quella che portavo quando uccidevo e diventavo Sfavillo.

Potevo comprarmene una qualsiasi, ma avevo deciso che per quella sera, sarei stato l'Assassino. Accanto alla maschera, dietro all'orecchio, avevo infilato un magnifico giglio bianco, che mi conferiva una sorta di innocenza candida e si accostava perfettamente al resto dell'abito.

Al mio fianco, con una mano appoggiata al mio braccio, Yul scendeva la scalinata insieme a me. Come al solito, era stupendo.

Indossava abiti neri, dagli stivali alla giacca, tranne che per la camicia di seta bianca. Un mantello scuro gli svolazzava sulle spalle e all'occhiello teneva una rosa rosso sangue, che s'abbinava ai capelli. Sul volto, invece, portava una maschera bianca che gli copriva metà viso e solo fino alla bocca. Riconobbi subito il personaggio da cui si era vestito: Il Fantasma dell'Opera.

Alaister teneva la mia sinistra e come sempre era avvolto da quella sua aria impeccabile e gelida, benché mi trattenesse il braccio come a volermi strappare dal mio lato destro, da Yul. Vestiva pantaloni scuri accompagnati da un panciotto sui toni del bronzo, capo che s'intonava agli occhi color topazio, contornati da una maschera di pizzo nera. Poteva sembrare un accessorio femminile, eppure appesantiva ancora di più quell'aria da elegante e pericoloso predatore. Invece, e per fortuna, Lysandro non era con noi. Sarebbe arrivato più tardi con i diversi membri del suo bordello. Trattenni una risata nervosa quando simultaneamente, sia Yul che Alaister mi strinsero le braccia.

Quando raggiungemmo l'ultimo gradino, Alaister aveva già scorto la figura raffinatamente vestita di Eliza Smetanova: il suo abito rosso scarlatto, che sarebbe stato ritenuto audace in circoli dabbene, pudici e dimessi, spiccava violentemente sullo scenario di ospiti strizzati in completi stretti, luccicanti o succinti. I capelli nocciola erano intrecciati in un'elaborata acconciatura e la maschera cremisi punteggiata di petali di rosa le contornava gli occhi, corredata al rossetto.

Gli occhi d'oro del Re degli Assassini parvero lampeggiare al suo indirizzo, mentre ella s'avvicinava. «Eliza, cara.» esordì, prendendole la mano per baciarne educatamente le nocche.

«Ah, il mio marchese preferito!» esclamò, sbattendo le lunghe ciglia segnate da un pesante strato di mascara, il tono vellutato di chi non poteva permettersi di civettare con l'uomo che aveva di fronte ma cercava ugualmente di lusingarlo. «Sei riuscito a venire, allora.» Si davano tranquillamente il tu, quasi fossero amici di lunga data.

«Non sarei potuto mancare al tuo momento.» disse, pacato, un sorriso gelido che curvava quelle labbra senza mai arrivare agli occhi. Il suo momento: Malescot stava ricevendo attenzioni incredibili dagli abitanti di Darlan e lei era la prima a favorirne. «Permettimi di presentarti...» Si girò nella nostra direzione, un passo indietro per non darci le spalle. La sua mano si mosse elegantemente verso di me. «Valentine, mio nipote.»

Era da sempre la nostra copertura, ma l'idea di passare per il parente di un uomo che aveva il ghiaccio al posto del sangue mi straniva e al contempo affascinava. Non eravamo simili nemmeno un po', comunque. «E Cain, lo stimato figlio del mio socio in affari.»

Entrambi ci inchinammo, mano sul petto, schiena in avanti e capo leggermente chino. Eliza sbatté gli occhi, osservandoci con un'espressione compiaciuta. Mi chiesi se sapesse che ero io colui che si stava occupando della sua missione. A giudicare dal luccichio nel fondo delle pupille altrui, immaginavo di sì.

«Tuo nipote è incantevole.» snocciolò quelle che immaginai fossero frasi pompose, costruite per riempire una conversazione senza alcun costrutto, visto che doveva conoscere le nostre vere identità. «Ma parlami dei tuoi affari.» Dopodiché lo prese sotto braccio e si allontanarono insieme, sparendo oltre la folla di ospiti mascherati. Restammo ad osservare le loro schiene finché non sparirono del tutto dalla nostra visuale, facendoci perdere le loro tracce.

Spostai il peso del corpo da una scarpa all'altra, mordicchiandomi il labbro inferiore. «E ora?» sussurrò Yul, praticamente leggendomi nel pensiero.

«Potresti anche avere l'incredibile onore di essere invitato a ballare da uno come me, Cain...» iniziai, allungando le labbra in un sorrisetto appena accennato, lanciando uno sguardo tentato alla pista: le persone ballavano ad un ritmo sfrenato anche se la festa era iniziata da poco, in maniera del tutto diversa dai soliti balli composti e lenti che erano tipici di Skys Hollow.

Mi ci ero infilato in feste strane, un po' grazie a mia madre, quando ero molto piccolo; ma anche superati i quindici anni: debuttare nel mondo era stata un'esperienza piuttosto interessante. Tuttavia, il party della Smetanova le superava tutte. Ti coinvolgeva a tal punto che volevi unirti ai festeggiamenti a tutti i costi.

«Ma non siamo venuti qui per questo.» sospirai, vedendo Yul poggiarsi le mani sui fianchi, insoddisfatto, quasi avessi bloccato il flusso di qualche battuta succeduta da uno dei suoi irresistibili ed insopportabili ghigni. «Troviamo Martin. Dividiamoci e ritroviamoci davanti alla scalinata fra cinque minuti.» Supponendo che sarebbero bastati.

Annuì e ci separammo per immergerci nella ressa, uno a destra e l'altro a sinistra. Mentre camminavo, una ragazza mi afferrò per il polso, desiderosa di trascinarmi a ballare, ma io mi divincolai e sgusciai rapido come una lucertola nella folla. Martin non si vedeva da nessuna parte: c'erano buffet imbanditi, origami appesi ai rami degli alberi che adornavano la sala da ballo e un buon numero di camerieri che diffondevano alcolici a profusione.

Ritornai alla scalinata senza risultati, al contrario di Yul. «Da quella parte ci sono dei privè. Quarta colonna.» Mi fece un cenno al lato destro della sala, dove lunghi colonnati segnavano una fila di salette improvvisate, rese private da tendaggi di velluto che le dividevano l'una dall'altra, ma anche dal resto della sala. Camminammo con nonchalance a braccetto lungo il sentiero di privè, come un duo di amici un po' alticci che si sorreggevano l'un l'altro.

Ad un certo punto, da una tenda scostata, vidi Joseph Martin. Era stravaccato su una dormeuse di velluto verde smeraldo, con una cortigiana semisvestita seduta sul suo grembo e un cortigiano dall'aspetto efebico al suo fianco, che gli avvolgeva le spalle con un braccio e posava il viso nella curva del suo collo. Altri due lì nelle vicinanze, ai suoi piedi, aggrappati ai suoi polpacci e con le guance poggiate sulle sue ginocchia.

«Senza vergogna...» sussurrai. Solo la vista mi fece venire il disgusto. Non era difficile immaginare che fosse uno schiavista. E lo faceva in casa della sua ex moglie? Una bella faccia tosta. Certo, se gli piaceva la compagnia dei ragazzi giovani, la cosa sarebbe tornata molto utile. Osservai il suo energumeno di buttafuori, piazzato in piedi dietro al divano, che versava da bere al suo padrone da una bottiglia di vino che teneva lui stesso, evidentemente già controllata.

«Ho la netta sensazione che voglia farsi notare.» rifletté Yul, visto che le tende fra i colonnati erano aperti e Martin aveva quell'aria da spaccone a cui sembrava essere concesso tutto ciò che voleva. «Credi che incontrerà stasera il suo socio?» Strizzai le labbra. Non avevamo pensato a quell'eventualità.

«E se fosse uno dei cortigiani?» Qualcuno sotto copertura. Qualcuno che non potevamo prevedere. Mi morsi il labbro inferiore. «No, lo scambio dei documenti dev'essere per forza fra tre giorni...» Dovevo scoprirlo e avevo soltanto stasera a disposizione. Mi appropinquai verso la saletta, ma Yul mi bloccò stringendomi il polso.

«Che intenzioni hai?» aggrottò la fronte. Gli sfiorai gentilmente la mano.

«Ho un piano. Fidati di me, Yul...» Allentò la presa fino a lasciarmi andare. Poi, dopo avergli rivolto un sorriso che tentava di rassicurarlo, mi avviai verso il privè di Martin. 

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