21. L'Assassino e la libertà
Le calamite si scontrano e si allineano velocemente.
Avevo fatto vagare la mia mano sul petto di Yul e adesso le dita spingevano sul suo corpo, all'altezza del suo cuore, sentendolo palpitare come indemoniato fra le mie dita. La sinistra ancora poggiata contro la sua guancia liscia e le mie labbra sulle sue.
Due meteore in collisione: l'esplosione che stavamo generando rischiava di incendiare anche il fiume alle mie spalle. Questo bacio era migliore perfino del primo che c'eravamo scambiati in carrozza verso il Ballo dell'Orchidea. Questo era un bacio consapevole. Potevo sentire, sedimentati contro le labbra favolose del rosso, tutti i sentimenti che aveva cercato di trattenere e che adesso erompevano con la forza di un vulcano.
E io ricambiavo con altrettanta intensità. Gli stringevo le mani addosso, le dita circumnavigavano nel tentativo disperato di toccarlo di più, di sentirlo di più, di stringerlo fino all'anima.
La sua lingua serpeggiò contro la mia, mentre ci allontanavamo solo per respirare, guardarci negli occhi e rituffarci ancora in quell'infinita sequela di baci. Non ne ero mai sazio, né mai abbastanza ebbro. Cosa diavolo avevo aspettato, per tutto questo tempo, prima di rendermi conto che lo amavo?
Amavo Yul. E volevo urlarlo, cantarlo, scriverlo e suonarlo da qualche parte, per quanto mi sentissi brillo d'amore. Del resto aveva smesso di importarmi. Della missione, della Gilda, di Alaister... Tutto si inchinava di fronte alla nostra improvvisa presa di consapevolezza. Ci amavamo entrambi.
Si strofinò contro di me, premendomi forte contro al parapetto di pietra affacciato sul Tibor, soffiando una risata sulle mie labbra. Una risata gioiosa, sollevata, ancora incredula. Mi veniva voglia di ridere con lui: tutta la rabbia e tutta l'angoscia che mi avevano attraversato erano state spazzate via.
Quando si staccò era ansante, con gli occhi luminosi di lussuria ed emozione e i capelli scompigliati come un nido di rondini. «Helias.» bisbigliò, ad un soffio dal mio viso. Si protese sulle mie labbra, lasciandomi un altro bacio ardente.
«Si, Yul?» sospirai, non prima di godermi appieno la sua lingua. Era inebriante.
«Ascoltami.» Mi prese il viso fra le mani, guardandomi a fondo, come a voler calmare entrambi con quel solo gesto. Ma ottenne il risultato opposto, perché mi rituffai nuovamente sulla sua bocca: dolce e fresca, menta e caramello e sua, come se fosse una qualità acquisita, che gli appartenesse e basta.
Volevo assaporare ogni centimetro delle sue labbra e riscoprirle ancora. Dopo un ultimo bacio si allontanò per recuperare fiato. Posò la fronte contro la mia e immerse le sue mani fra i miei capelli dorati. «Vorresti essere libero?»
Drizzai le orecchie, che fino ad allora si erano limitate ad udire i miei gemiti soffocati, pur curvando le labbra in un sorrisetto. Non era il momento per gli scherzi. «Di che stai parlando?» mi sentii mancare davanti al suo sguardo serio. Perché mi chiedeva una cosa del genere, adesso?
«Sto parlando di saldare il tuo debito con Alaister.» soffiò, i suoi occhi blu notte fusi nei miei. Non sapevo se fosse più naturale ridere a crepapelle o rimanere semplicemente a bocca spalancata.
«Cosa? Stai... Stai scherzando, vero Yul?» iniziai, con gli occhi strabuzzati e un'espressione incredula che mi affiorava sulla faccia. Scosse la testa.
«Nessuno scherzo, Helias Bloomwood. Perché credi ci abbia messo tanto a racimolare denaro?» E un ampio sorriso gli si dipinse sul volto, mostrando le fossette. Ci misi qualche minuto per registrare le sue parole e permettere che il mio cervello le assorbisse.
Aveva raccolto anche i soldi per estinguere il mio debito, realizzai. «Avevi pianificato tutto, eh?» esclamai, sempre più sbalordito. «Sei un gran bastardo, Yul Pevensie!» E sentii i miei occhi riempirsi di lacrime di commozione. Ora il debito che avevo verso di lui diventava impagabile.
Ma adesso non mi importava più nulla, non avremmo più avuto rapporti basati su debiti e favori.
Lui ghignò e nei suoi occhi vidi scintillare la felicità per la mia reazione. «Diciamo che ho fede nei miracoli.» soffiò, lo sguardo vibrante di passione e felicità. Mi strinse di nuovo il volto fra le mani, posando con dolcezza le sue labbra sulle mie. «Possiamo essere liberi, Helias.» mormorò.
«Ti amo, Yul.» mormorai in risposta, con le lacrime agli occhi.
***
Il dolce malanno dell'amore ci aveva stordito al punto che avevamo perso la cognizione del tempo: sarei rimasto a baciare Yul per tutta la notte, anche sotto alla pioggia, anche irrorato dall'umidità del fiume. Ma ad un certo punto era arrivato il momento di affrontare il mondo reale, perciò tornammo verso la Fortezza. Durante il tragitto lui non aveva fatto altro che guardarmi e sfiorarmi quasi fossi un miraggio o una sua fantasia. Dal canto mio, ogni tanto mi ero inclinato per rubargli qualche bacio.
Una volta arrivati mi trascinò verso l'ufficio di Alaister e avvenne l'inevitabile. Trill non ci bloccò ed entrammo indisturbati nella stanza appartata del Re degli Assassini. Yul era al settimo cielo, io un po' meno.
Era difficile non avere paura, in quella situazione. Alaister fece scorrere un lungo sguardo sulle nostre figure, indagatore.
«Helias...» iniziò, con voce suadente. «Mi sorprende vederti fuori dalla tua stanza. O dalla vasca da bagno.» disse, ed io tentai di non ribattere in modo aspro. Strinsi la mano di Yul, che era ancora nella mia; piccolo dettaglio che ad Alaister non doveva essere sfuggito, ma lui non lasciò trapelare nulla dalla sua espressione imperturbabile. Deglutii.
Ricordati perché sei qui, Helias. Sarai libero. Libero.
Tu e Yul.
Non c'era più nessuna ragione per muoversi in punta di piedi, intorno al Re degli Assassini, non dopo che mi aveva gettato di proposito nel pericolo, non dopo tutto quello che avevo dovuto passare per colpa delle sue sadiche punizioni.
Mi limitai a sorridere, mentre Yul apriva la porta di servizio riservata ai domestici e faceva entrare, trasportati da alcuni facchini, una pesante cassa dopo l'altra.
«Posso chiedervi cosa sta succedendo?» domandò allora Alaister, con gli occhi color topazio che guizzavano da me a Yul, da Yul a me. Finalmente decideva di rivolgersi anche a lui, che fino a quel momento aveva ignorato platealmente. Inarcò un sopracciglio.
I facchini si affrettarono a lasciare la stanza ed io chiusi la porta dietro di loro. Senza dire una parola, il ragazzo dai capelli cremisi schiuse il coperchio di una delle casse. L'oro luccicava alla luce delle candele.
Strabuzzai gli occhi. Pensavo che Yul avesse racimolato un po' di denaro, tanto quanto bastava per saldare il nostro debito, ma tutto quell'oro... Chissà come se l'era guadagnato!
Ci voltammo verso Alaister ed io mi sentii gelare il sangue nelle vene, dalla paura. La faccia del Re degli Assassini era impassibile.
«E' più che sufficiente a saldare il nostro debito. Tieni il resto.» esclamò Yul, permettendosi anche un ghigno. Alaister rimase seduto, immobile. Deglutii, sentendomi improvvisamente male. Come avevo fatto a pensare che fosse una buona idea?
L'aria si era fatta all'improvviso gelida, quasi potessi vedere stalattiti scendere dal soffitto. «Potrei parlare da solo con il mio protetto?» domandò Alaister, in un tono che non sembrava affatto pensare ad una domanda. Rivolse un sorriso freddo e studiato all'indirizzo di Yul, che per tutta risposta si limitò a stringermi la mano, in ansia, per poi guardarmi, come a chiedermi il permesso di fare qualsiasi cosa. Strinsi la mascella.
All'improvviso sentivo la bocca talmente arida da credere di essere tornato nel Deserto Rosso.
Lasciai scorrere un fugace sguardo negli occhi gialli di Alaister, poi mi concentrai su un paio di iridi blu. Annuii, l'unica cosa che potessi fare. Yul mi lanciò in risposta uno sguardo eloquente, come a dire: "Se osa anche soltanto sfiorarti, butto giù la porta e lo ammazzo". Lasciò la mia mano, che sentì improvvisamente un senso d'abbandono, ed io mi ritrovai completamente solo.
Solo con Alaister. Mi costrinsi a voltarmi verso la figura affascinante e glaciale seduta alla scrivania. Attimi di silenzio interminabile. Mi schiarii la gola.
«Potrei continuare a lavorare per te, comunque.» dissi, con cautela. Se avessi continuato a fare l'assassino e a vivere a Skys Hollow, era logico rimanere comunque collegato alla Gilda, perché Darlan era territorio di Alaister. Come sapevo, nessun sicario poteva uccidere sul suolo del Re degli Assassini, se non aveva la sua approvazione. Altrimenti... Poteva dire addio alla testa.
Alaister non mi aveva mai fissato con quegli occhi. Quegli occhi che sembravano furia cieca, rabbia liquida.
«Ma da adesso non ti appartengo più.» dissi quelle parole come una liberazione. Lo sguardo luminescente del Re degli Assassini passò dalle casse d'oro a me. Rimase immobile e in silenzio per un attimo che sembrò durare una vita. Poi, lasciandomi completamente sbigottito, sorrise mestamente.
«Puoi biasimarmi se ti dico che speravo di non dover mai vivere questo momento?» Quasi mi accasciai a terra per il sollievo.
«Ero serio quando dicevo che vorrei continuare a lavorare per te.» Capii all'istante che non potevo riferirgli la mia brillante idea di vendere la mia giumenta Harpax per comprarmi un appartamento e viverci lì con Yul. Non ora.
Dovevo procedere a piccoli passi. Oggi il debito. Forse fra qualche settimana avrei potuto dirgli che me ne andavo. Forse ad Alaister non importava affatto che volessi prendere una casa tutta per me e Yul.
«E io sarò sempre lieto di lavorare con te.» disse, alzandosi in piedi. Fece il giro della scrivania, venendo verso di me, che me ne stavo fra la porta e le casse ricolme d'oro, rigido come una statua di pietra. Si avvicinò ancora.
Feci un passo indietro e deglutii, trovandomi spalle al muro. Il Re degli Assassini con un'ultima ampia falcata colmò la distanza che ci separava e in un istante mi ritrovai fra le sue braccia.
«Non andare, Helias.» soffiò, a qualche centimetro dalla mia faccia. Sentii l'impulso di sciogliermi dalla sua forte presa e scappare dall'ufficio a gambe levate, ma rimasi lì dov'ero, congelato. Il Re degli Assassini non mi aveva mai parlato con quel tono carezzevole e allo stesso tempo seducente, non mi aveva mai fissato con gli occhi roventi che aveva adesso.
«Se ti allontanerai da me, la vita sarà molto più difficile. Con me vivrai nell'agio e nel lusso... Non ti conviene forse molto di più?» Le sue labbra si fecero improvvisamente troppo vicine, per i miei gusti. Tentai di divincolarmi, ma la presa era troppo forte. Non ebbi il coraggio di spiccicare parola. «Resta con me, Helias...» sussurrò il mio nome con una voce mielosa e soave, nel tentativo di ammaliarmi. Poi la sua bocca si impadronì della mia.
Aveva labbra calde, anzi, bollenti. Forse un tempo mi sarebbe piaciuto. Peggio, non avrei aspettato altro che quel bacio. Ma quella bramosia risaliva a circa un anno prima. Adesso sapevo solo una cosa: non era Yul.
Non aveva le sue labbra morbide, il suo profumo avvolgente, le sue spalle larghe e perfette, le sue fossette divertenti, i suoi capelli rossi come il sangue, i suoi occhi blu notte, il suo tono beffardo, la sua tenera preoccupazione per me. Non aveva il suo meraviglioso sapore di menta e caramello.
Era sbagliato. Era quasi... disgustoso.
Piantai le mie mani sul petto del Re degli Assassini e, con tutta la forza di cui ero capace, lo spintonai lontano da me.
«NO!» mi ritrovai ad urlare. Nonostante avessi usato il massimo della mia forza, Alaister si era allontanato solo di qualche passo.
Per un attimo, una singola frazione di secondo, vidi spuntargli negli occhi uno sguardo di pura rabbia animalesca. Uno sguardo talmente privo di umanità da farmi sbiancare, da farmi gelare il sangue nelle vene. E all'improvviso lo seppi con certezza: lui me l'avrebbe fatta pagare.
Ma tutto durò solamente un attimo.
Yul spalancò la porta dell'ufficio, accompagnato da Trill che tentava di bloccarlo, invano. Alaister tornò a sorridere, gelido, e senza neanche degnare d'uno sguardo l'incursione del giovane dai capelli color sangue, si sedette di nuovo sulla sua poltrona.
«Che sta succedendo?!» Yul piantò i suoi occhi meravigliosamente blu sul Re degli Assassini, che scrutava lui e Trill con un sorriso compassato sul volto. Gli afferrai un braccio, tentando di calmarlo. Lui ricambiò il mio sguardo cauto e sperai afferrasse il mio leggero cenno con la testa, che lo invitava ad essere prudente. Si calmò un pochino.
«Posso sapere da dove arriva questo denaro?» chiese allora Alaister, con un fintissimo sorriso cortese sulle labbra. Mi si attorcigliò lo stomaco dal panico. Yul si era guadagnato quei soldi con alcune missioni all'infuori della Gilda degli Assassini. Il che era vietato.
Il rosso aprì la bocca, pronto a dire non sapevo quale idiozia, ma lo bloccai con un cenno della mano. «Posso dirlo anche da solo, Yul.» Incrociai le braccia con un sorriso stampato in volto e, in quel momento, sperai che le mie doti d'attore non mi tradissero. «Ho rubato il tesoro del Re dei Pirati.» annunciai, in un falso tono trionfante. Il Re degli Assassini si versò un po' di tè in una raffinata tazzina di porcellana, di nuovo impassibile.
«Be', permettetemi di farvi le mie congratulazioni.» Sorseggiò un sorso della bevanda e ci guardò da sopra la sua tazza con freddo sussiego. «Siete uomini liberi, adesso.»
Tentai di non sorridere. Forse non eravamo ancora liberi nel vero senso della parola, perché eravamo ancora nella Gilda, ma almeno Alaister non avrebbe più potuto ricattarci con l'arma del debito che ci legava a lui. Per il momento era più che abbastanza.
«Buona fortuna con Martin, domani.» aggiunse. «Fammi sapere se hai bisogno di aiuto.» disse, rivolto unicamente a me.
«Basta che non sia a pagamento.» ribattei, con un sorriso trionfante, ma appena accennato sulle labbra. Alaister non me lo restituì, questa volta.
«Non ti farei mai una cosa del genere.» I suoi occhi furono attraversati da quella che mi parve un'ombra dolente. Strinsi la presa sul braccio di Yul, lottando a fatica contro l'impulso di scusarmi. Serrai i denti.
«Buonanotte, Alaister.» E ci piombammo fuori dall'ufficio.
Avevo immaginato che sarei saltato dalla gioia, una volta consegnato il denaro. Pensavo che avrei guardato Yul con aria trionfante, e che insieme ci saremmo aggirati a testa alta per tutta la Fortezza. Ma ripensare al modo in cui Alaister mi aveva guardato, rendeva tutti quei soldi inspiegabilmente... Privi di valore.
E potevo ancora sentire il suo sguardo gelido sulla schiena, quell'istinto omicida primordiale che aveva pervaso per un solo secondo il Re degli Assassini. Rabbrividii.
Ma alla fine Yul intrecciò la sua mano fra la mia, e tutta la paura scomparve in un attimo. Non avevo notato che eravamo già arrivati davanti alle mie stanze. Si fermò e mi fissò a lungo con un ghigno malizioso.
«A dir la verità, mi piacerebbe molto festeggiare ed intrufolarmi nella tua camera, in particolar modo nel tuo letto...» Esibì uno sguardo ammiccante. «Tuttavia, domani abbiamo un uomo da uccidere e ti voglio in condizione di camminare.» Allargò il suo sorriso perverso.
Arrossii violentemente, ma alzai gli occhi al cielo. «Sei il solito!» Ed entrai nei miei appartamenti non prima di avergli rivolto un sorriso, felice.
Solo nel silenzio della mia stanza, avvolto dai veli del baldacchino, piuttosto che ripetere mentalmente il piano per intrufolarmi in casa di Martin e assassinarlo, continuai a fantasticare su quella giornata. Su di me e Yul. Sulla sua dichiarazione: mi amava da anni. Da quando c'eravamo incontrati al mercato di strada e io non ero Sfavillo, ma uno sporco ladruncolo dagli occhi ribelli.
Quando mi faceva quegli stupidi dispetti durante le lezioni private, quando mi fissava nel bel mezzo dell'addestramento, quando mi rivolgeva furbi ghigni dall'altra parte del corridoio, anche nel bel mezzo di una giornata normalissima, mentre camminando lo incrociavo dentro alla Fortezza... Quando faceva tutto quello, lui era consapevole di amarmi.
Mentre io, invece, avrei potuto anche fargli del male senza pentirmene in alcun modo. Esattamente come tutt'ora non avrei esitato a mettere fuori gioco uno dei tanti assassini della Gilda, se mi avessero messo i bastoni fra le ruote.
Era una situazione incredibile e ora eravamo anche liberi, nessun debito a gravare sulle nostre spalle e a dare potere ad Alaister. Restava la missione contro Joseph Martin: una volta portata a termine, avremmo pensato alla prossima mossa. Perciò, mi augurai che filasse liscio.
Di sicuro, se qualcuno osava sfiorare Yul Pevensie doveva prima passare sul mio cadavere.
***
Quella mattina avevo fatto una colazione davvero abbondante: mi servivano energie per portare a termine una missione complicata come quella che si profilava di lì a qualche ora. Mi consolavo pensando che domani, a questa stessa ora, mi sarei coccolato con un po' della paga guadagnata comprandomi qualcosa di bello, anche solo una sciocchezza.
Comunque, avevo mangiato più del necessario perché sin da metà mattinata mi ero recato nelle fogne insieme a Yul per sorvegliare la porta blindata in attesa che qualcuno la aprisse: avremmo dovuto aspettare fino a quella sera e volevo evitare di distrarmi per i morsi della fame. In quel momento però, in trepidante attesa, me ne pentivo. L'agitazione talvolta mi faceva venire la nausea: difficile mantenere il sangue freddo, quando tutta la missione si basava su un'intuizione.
E se nessuno fosse arrivato per aprire la porta? Magari, la servitù avrebbe gettato tutta l'immondizia il giorno dopo. Oppure avrebbe scelto di farlo dopo le sette e mezza, quando ormai Martin e il suo socio dovevano aver concluso il loro affare. E non avevo contato l'evenienza che qualcuno scoprisse il nostro tentativo di intrufolarci dalla fogna.
Ma non ero un pivello. Se un servo ci avesse scoperto, gli avrei tagliato la gola ancora prima di sentirlo urlare, gettandolo poi nelle fognature, in pasto agli stessi ratti che avrebbero potuto mangiare me solo due giorni prima.
Yul era lì con me e la sua presenza era rassicurante: il suo compito era di far scoppiare un incendio nella cantina per attirare l'attenzione delle guardie mentre io uccidevo Martin, capivo cosa fare del suo socio, rubavo i documenti e poi fuggivo. Sarebbe fuggito anche lui, dallo stesso tombino da cui eravamo usciti il giorno prima, che sboccava vicino al fiume.
Secondo i calcoli, avevamo ancora un po' di tempo a disposizione durante l'attesa, ed anche se ci fissavamo rivolgendoci mezzi sorrisi e sguardi languidi, nessuno dei due osava avvicinarsi all'altro e rischiare di distrarsi. Qualcuno sarebbe potuto arrivare ad aprire la porta in qualsiasi momento.
Secondo l'orologio da taschino infilato in uno dei tanti scomparti della tuta, accadde poco dopo l'ora di pranzo. Una ragazzina con un grosso sacco in spalla aveva fatto scattare la maniglia con un rumore metallico e adesso avanzava oltre la porta aperta con l'intenzione di lasciar ricadere il contenuto dell'immondizia dentro al canale di scolo.
Yul si era già nascosto, io invece ero velocemente sgattaiolato nello spiraglio lasciato socchiuso, sgusciando veloce come un pesce fra le maglie di una rete. La cantina era un banale luogo di deposito, con sacchi e scaffalature ricolme di merci che sarebbero state smaltite sicuramente con le ultime bancarelle di Malescot. Mi acquattai fulmineo dietro agli scaffali e aspettai che la serva rientrasse.
In fondo alla cantina, una stretta scala a chiocciola saliva verso l'alto: vidi da uno spiraglio la fanciulla che si allontanava senza accorgersi di niente. A quel punto, andai ad aprire la porta al mio partner di missione e il rosso mi rivolse un ghigno soddisfatto quando mi raggiunse all'interno, nascosto anche lui fra le chincaglierie sparse.
Avrei voluto sfruttare le ore rimanenti per salire, studiare la casa dall'interno e capire dove nascondermi per colpire, ma muoversi alla luce del giorno era pura follia, perciò mi costrinsi ad attendere fino alle sette meno dieci, inalando il profumo di Yul.
«Non farti ammazzare.» sussurrò, mentre mi apprestavo ad allontanarmi dalla nostra nicchia buia.
«Lo stesso vale per te, Pevensie.» mormorai in risposta, prima di sgusciare su per le scale, pentendomi di non avergli dato almeno un ultimo bacio. Significava che avrei dovuto per forza trionfare e rivederlo. Insomma, che diavolo mi prendeva? Ero Sfavillo, maledizione!
Preoccuparmi non era da me. Era solo che, adesso, c'era di più in ballo. Avevo qualcosa da perdere.
Mi obbligai a silenziare i pensieri per restare concentrato, mentre mi facevo scivolare la maschera dorata sul viso e sgusciavo rapido come un lampo fra le cucine che comunicavano con la cantina. Ogni qual volta il mio cammino rischiava di incrociarsi con quello di una guardia, cambiavo strada o mi nascondevo dietro ai tendaggi di raso color mandarino.
Salii in fretta la seconda rampa di scale e raggiunsi il primo piano tutto intero: da lì fu facile orientarsi, conoscevo la strada dopo averla studiata dalla gargolla all'esterno. Dan, quello stupido idiota, avrebbe fatto meglio ad ammazzarmi subito. Invece, mentre scivolavo all'interno dello studio, avrebbe pagato le conseguenze della sua superbia.
Volevo poter accertarmi che lo studio fosse vuoto - non mi aspettavo che Martin fosse già lì ad aspettare il suo socio, piuttosto lo avrebbe atteso ai cancelli della sua residenza per pavoneggiarsi - ma quando intravidi un movimento verso il fondo del corridoio, mi fiondai all'interno senza esitazioni.
Esalai un sospiro di sollievo quando mi trovai solo nella stanza silenziosa, immersa nel buio. Anche le tende erano tirate, per garantire riservatezza quando il padrone di casa e il suo socio avrebbero parlato lì dentro. Sbattei le ciglia per abituarmi all'oscurità, mentre camminavo a passo felpato sul tappeto persiano e mi guardavo intorno.
Dove potevano trovarsi i dossier che Alaister e la Smetanova volevano che recuperassi? Di certo non sulla scrivania, in bella vista. Aprii di poco le tende in modo da far filtrare la luce della luna all'interno e con l'ausilio di quel bagliore iniziai ad aprire i cassetti in cerca dei documenti.
Niente.
Feci scivolare le mani sotto alla scrivania, alla ricerca di uno scomparto nascosto, il doppiofondo di un cassetto magari. Invece, le mie dita incontrarono una protuberanza metallica che scattò con un click. Un pannello di legno spuntò in avanti dallo scrittoio, all'altezza del mio petto se mi fossi seduto sulla poltrona di pelle imbottita.
I dossier mi guardavano dal basso. Mappe, nomi, una cospicua lista di luoghi sicuri e di persone in grado di ospitare schiavi fuggiaschi e ribelli dal dominio del Re. Quel verme disgustoso di Martin avrebbe barattato quelle informazioni in cambio di soldi, prestigio, forse anche schiavi per se stesso. Gliel'avrei impedito a tutti i costi.
Proprio mentre mi impadronivo delle carte, udii delle voci all'esterno della porta. Cazzo. Arrotolai i documenti per infilarli nelle tasche interne della tuta e, in una totale assenza di nascondigli, mi appiattii contro al muro, proprio accanto all'ingresso, fuso con le ombre.
«Scommetto che non vedi l'ora che tutto questo sia finito, eh?» sogghignò Martin dall'esterno, mentre le sue dita si fermavano sulla maniglia. Potevo vederla girare.
«Già.» ribatté l'altro, asciutto e di poche parole. «I miei uomini hanno l'ordine di venirmi a cercare fra mezz'ora se non dovessi fare ritorno.»
«Oh, rilassati. Siamo circondati da tutti i miei uomini migliori.» ridacchiò nervosamente il mio obiettivo, senza sapere dove fossi. «E poi, sarà una cosa veloce. Stasera devo andare a teatro e ho tanta voglia di rivedere un bel faccino...» Parlava di me, ovviamente.
Poi aprì la porta e l'anta cigolò ruotando su se stessa, verso la mia faccia. Trattenni il respiro, quando quella si fermò ad un palmo dal mio naso. Sentii il legno combaciare proprio contro alla punta. Nessuno dei due si accorse di niente mentre i loro passi risuonavano all'interno.
«Prego, mio caro.» Martin aveva fatto avanzare prima il suo socio. Pochi secondi e sarebbe entrato anche lui, chiudendo la porta. Così mi avrebbe notato. Estrassi silenziosamente un lungo pugnale.
«Mi piacerebbe passare il nostro tempo a parlarvi degli ottimi bordelli che Skys Hollow offre» proseguì, ricordandomi che la Cerimonia dell'Offerta di Lysandro si sarebbe svolta proprio quella sera. Feci una smorfia. «ma visto che avete i minuti contati, gradirei vedere subito i vostri documenti. Mi interessa l'entità dell'offerta in ballo...»
I minuti contati li avevano entrambi, in verità. Come previsto, Martin girò su se stesso e con la mano sulla maniglia si chiuse la porta alle spalle. Quando l'anta si ritirò, io e il mio obiettivo ci trovammo faccia a faccia. Non ebbe neanche il tempo di sussultare: un singolo movimento del braccio e gli ficcai il pugnale in gola. Il sangue mi zampillò truculento sulla mano, mentre lui cadeva a terra, tenendosi lo squarcio senza poter far niente per fermare la colata scarlatta.
Dall'espressione che aveva fatto prima di morire, doveva aver compreso chi fossi. Una bella sorpresa, per il povero maniaco con la passione per i giovanotti, eh? Piegai le labbra in un ghigno, mentre il socio di Martin mi fissava con gli occhi sgranati, terreo in volto. Era un tipo di mezza età dalla barba incolta e gli occhi nocciola, basso e dozzinale come qualcuno che avresti incrociato per strada dimenticandoti della sua esistenza dopo averlo sorpassato.
Avanzai verso di lui, letale come la Morte. Poi... BANG!
La casa tremò violentemente su se stessa. Non sapevo che cosa diavolo avesse fatto Yul in cantina, ma aveva certamente funzionato. Tuttavia, aveva distratto anche me: il socio si era fiondato a tutta velocità verso la porta, con la prontezza di qualcuno abituato a sfuggire.
Mi catapultai oltre la soglia dello studio, ignorando lo sciame di guardie in fondo al corridoio, che scendevano le scale per andare a vedere cosa fosse successo senza fare caso a me. Estrassi un coltello da lancio da uno scomparto nascosto all'altezza della vita e lo puntai verso la schiena del fuggitivo che stava correndo dall'altro lato rispetto agli uomini di Martin.
Avrei potuto facilmente centrargli la nuca e farla finita lì. Ma poi Dan spuntò da una porta e si piazzò fra me e l'uomo: quello continuò a scappare indisturbato verso il piano inferiore, mentre l'omaccione mi affrontava. «Tu.» Finalmente aveva capito, grazie alla maschera che oggi indossavo, che fossi sia il ragazzo della fogna, sia quello del ballo.
«Ciao, dolcezza.» gli feci il verso, caricandolo come una furia: non avevo tempo per lui, non adesso.
«Che cazzo hai fatto?!» ringhiò, notando il mio pugnale insanguinato e facendo due più due con la fuga del socio di Martin. Era chiaro che l'uomo per cui lavorava avesse fatto una brutta fine. «Ti sventro, stronzo!» Era furibondo. Evidentemente era più fedele di quanto pensassi al suo padrone.
«Avresti dovuto uccidermi prima, caro.» cinguettai, mentre iniziavo a bersagliarlo di colpi e lui parava goffamente con la sua spada: c'era troppo poco spazio di manovra per usarla, mentre io riuscivo molto facilmente a combattere col pugnale, svelto come una lepre che fuggiva da una tagliola. «E di sicuro avresti dovuto evitare di mostrarmi la porta.» Sorrisi, angelico, sfruttando un'apertura per pugnalarlo allo stomaco. «Muori, tu e i tuoi merdosi amici schiavisti!»
Lo pugnalai ancora, mentre lui agitava il braccio armato nel tentativo di liberarsi da me, boccheggiando. «Non hai idea... Dell'errore che hai commesso...» ansimò, mentre il sangue mi imbrattava le mani e lui cadeva in ginocchio. Sorrisi. «Stupido ignorante...» sussurrò.
Gorgogliò sangue, mentre appoggiava pesantemente la schiena contro al muro. «Martin... Amava la sua gente...» Esalò l'ultimo respiro, con l'odio e la tristezza sedimentata dentro agli occhi vitrei. Morto. Si meritava una morte ben peggiore, visto ciò che aveva provato a fare nelle fogne.
«Tsk.» schioccai rumorosamente la lingua, cercando di non farmi confondere da quelle parole strane, che avevano lasciato dentro di me un insolito turbamento, superando con un balzo il suo cadavere. Corsi al piano di sotto, incappando in altre guardie che caddero sotto il lancio impietoso dei miei coltelli, fino ad emergere dalla porta principale.
Una grande folla di curiosi si era raccolta attorno ai cancelli, attratti dal chiasso e dalle fiamme alte che consumavano una casa fra quelle lussuose lungo la via. Quando mi videro, con la tuta scura e la maschera dorata, iniziarono ad urlare, conoscendo perfettamente la leggenda legata intorno al mio nome. Nessuno osò mettersi fra i miei piedi: le guardie di città sarebbero state allertate presto, ma prima del loro arrivo il socio sarebbe morto ed io e Yul lontani.
Si aprirono a ventaglio con la paura di intralciarmi e io li superai appena in tempo per vedere l'uomo svoltare in un vicolo: corsi così veloce che a malapena ricordai di prendere fiato. Praticamente volavo sul lastricato, il corpo pronto a scattare verso ogni stradina e nascondiglio.
Fui piacevolmente colpito nello scoprire, quando oltrepassai la traversa in cui l'individuo si era infilato, che si trattava di un vicolo cieco. Il poveraccio si stava aggrappando al muro alto, cercando di infilare le dita negli interstizi fra le pietre per arrampicarsi dall'altra parte, ma senza successo.
Sguainai i pugnali da entrambi i polsi con uno scatto: il suono metallico e il voluto rumore minaccioso dei miei passi lo portarono a girarsi angustiato. La mia ombra incombeva verso di lui come quella di un gigante pronto a schiacciarlo. «Fine dei giochi.» sibilai.
Fu la frase che lo fece capitombolare a terra, seduto, schiena contro la parete che lo intrappolava lì con me. Estrasse rapidamente delle carte dall'interno della giacca e, senza esitazione, accese un fiammifero.
«Fottiti, tu e il tuo Re.» ringhiò, dando i documenti in pasto alle fiamme. Prima che potessi fare qualcosa, aveva già estratto una fialetta dalla tasca dei pantaloni per vuotarla completamente. Un solo sorso che gli fece rovesciare gli occhi all'indietro.
Era andato. Finito, stecchito, morto. Era morto ed io ero rimasto inebetito a fissare la scena, le labbra spalancate, incredulo e confuso davanti a quel sacrificio tanto rabbioso e privo di alcun tipo di esitazione. Perché aveva nominato il Re? Perché bruciare dei documenti con cui avrebbe guadagnato?
Tutto puzzava in quella situazione e niente aveva più senso. Stupido ignorante, aveva detto Dan. Aveva ragione: io non ne sapevo molto. Eliza Smetanova voleva fermare a tutti i costi la tratta di schiavi ma voleva i documenti, mentre l'uomo di fronte a me si era ucciso per far sì che non arrivassero nelle mie mani.
Cercai di spegnere i documenti calpestandoli frettolosamente, ma si era salvato solo un lembo delle pagine. Altri nomi. Altri luoghi, altri indirizzi. Erano documenti pieni di dettagli e per averli stilati così precisamente il tizio doveva aver fatto un gran lavoro, quindi perché distruggerli? Perché uccidersi?
Un presentimento oscuro si fece strada dentro di me - come sempre, quando si parlava del Re dello stramaledetto Impero - perciò bruciai gli ultimi rimasugli di quei fogli e mi sforzai di dare dignità alla morte del socio di Martin chiudendogli gli occhi e sistemandolo composto.
«Scoprirò cos'è successo...» gli sussurrai, quasi fosse ancora vivo, in grado di sentirmi. Poi uno scalpiccio di passi improvviso mi fece scattare in piedi. Il sollievo mi inondò quando vidi Yul spuntare dall'imboccatura della stradina.
«Avevo sentito dire dalla folla che eri venuto da questa parte...» Aveva il volto sporco di fuliggine e una mano sulla spalla: la tuta già nera pareva più scura in quel punto, sicuramente insanguinato. «Meglio sbrigarci, le guardie potrebbero arrivare da un momento all'altro.» continuò, col respiro pesante.
Mi precipitai verso di lui, allarmato. «Oddio, stai bene?»
«Sì, sì, non preoccuparti. Le guardie sono arrivate in massa dopo lo scoppio e levare le tende è stato un po' problematico.» Intanto, il vento stava portando una pioggia di cenere anche dentro a quella traversa, mentre vedevo il cielo brillare d'arancio. Sperai che i domestici fossero scappati in tempo. «Non mi aspettavo che quella roba esplodesse così. Piuttosto scenografico, non trovi?» sogghignò, mentre io mi lasciavo andare ad un risolino liberatorio.
I nostri occhi si incrociarono. «E anche questa storia è finita.» dissi.
«E ora possiamo stare insieme.» sussurrò anche lui, con un sorriso sulle labbra, chinandosi sulle mie per farle combaciare. «Finalmente.»
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