Trappola
~Note di inizio capitolo~
Se vi state chiedendo a che canzoni mi riferivo durante il ballo, la prima è "Dmitri Shostakovich - Waltz No. 2" e la seconda (capirete in quale parte la musica cambia, perché sarà scritto) è "Camille Saint-Saëns - Danse Macabre"
Lettere tanto arricciate e arzigogolate da sembrare una camicia a volant, così mi pareva il modo di scrivere di Sophia. Una donna astuta quanto malvagia, elegante quanto eccentrica, cosa che traspariva perfino dal modo di scrivere. Ed io riflettevo, facendo questi piccoli paragoni, mentre tenevo fra le mani una lettera, la carta intrisa dal profumo di rose del bordello. Una lettera di raccomandazione, compilata unicamente con il nome del mittente e del destinatario. Non ero a conoscenza di ciò che conteneva o diceva, l'unica cosa che sapevo era che, quella sera, avrei dovuto accompagnare la marchesa Glave ad un ballo in una tenuta nobiliare nel centro di Skys Hollow. Nient'altro.
Quel giorno, al bordello, Sophia mi aveva squadrato con i suoi grandi occhi da volpe e mi aveva semplicemente detto che la cliente aveva espressamente richiesto la mia compagnia. Non erano stati aggiunti altri dettagli, tuttavia, ero stato cortesemente invitato in una carrozza, che adesso mi stava portando verso la tenuta della marchesa. Dopo averla raggiunta, insieme saremmo andati verso il ballo.
In realtà, ero piuttosto stupito dalla richiesta. Non piacevo alle donne, non ero un grande accompagnatore nei balletti e non ero neanche abile ad aprire un dialogo. Praticamente piacevo agli uomini solo per il mio aspetto esteriore. Una verità triste quanto piuttosto ovvia. Ma in fondo, la cosa che contava di più in un cortigiano era la bellezza.
Appoggiai un gomito al bordo della finestrella, mentre la carrozza rivestita in velluto sobbalzava ad ogni tratto di strada e le tendine rosse ondeggiavano al venticello estivo. Rimasi a guardare l'esterno, posando il mento sul dorso della mano con indolenza e una lievissima, impercettibile punta d'ansia. Mi chiedevo il perché di quell'invito, di quella richiesta, mi chiedevo se sarebbe servito davvero a ribellarmi ad Alaister. Mi chiedevo che cosa sarebbe successo se lui, prima o poi, l'avesse scoperto. Ma soprattutto mi domandavo il perché del gesto di Sophia. Era contro la morale del bordello lasciare che un cortigiano, ormai divenuto proprietà di un cliente, vagasse con altri. Si veniva anche puniti, per questo. Però poi riflettei sull'eventualità che la donna fosse un'amica di Sophia, che lei volesse esaudire una sua richiesta, e così mi tranquillizzai. Avrei scoperto quanto mi sbagliavo solo a fine serata.
Con una dolce frenata, la carrozza s'arrestò di fronte al grande portone intarsiato, dipinto di verde e circondato da statue di marmo che reggevano colonne, con la funzione di delimitare in modo maestoso l'entrata, e con un risultato davvero maestoso. I cavalli sbuffarono ed io sporsi la testa oltre la carrozza per intravedere l'arrivo della marchesa. E, quando la vidi uscire, non mi stupii di vederla accompagnata.
La donna era sui trent'anni, dall'incarnato pallido, truccata con un abbondante strato di cerone per coprire le imperfezioni, trucco che si notava perfino da lontano; le ciglia e gli occhi erano appesantiti da linee di khol nero, mentre le labbra erano dipinte di rosa acceso, un colore che si abbinava perfettamente all'abito. Il vestito, di un rosa pallido, era mastodontico, con una gonna a palloncino decorata da balze e ornata da roselline di seta; il bustino rosa le stringeva la vita con una morsa che pareva micidiale, un fiocco enorme le stava sulla schiena e le maniche corte e morbide scendevano a contornarle le spalle, lasciando la pelle scoperta. Infine, guanti di seta le coprivano le braccia fin sopra i gomiti e un pettine decorato da fiori di un candido rosa le acconciavano i boccoli castani in uno chignon morbido. Era di sicuro una bella donna, eppure tutti quei decori, tutto quel rosa e tutto quel trucco, le conferivano un'aria stranamente sgradevole. Se c'era un aggettivo che poteva descriverla, quello sarebbe stato: troppo.
Al suo fianco spuntò un uomo. E non mi stupii affatto di vederlo, anzi, capii finalmente il motivo della sua richiesta. Non sembrava ci fosse nulla di sentimentale in loro, non si toccavano, si tenevano a distanza, però parlavano e sorridevano in modo abbastanza amichevole. Soffermai la mia attenzione su di lui: un uomo interessante. Doveva avere all'incirca la sua età, forse anche di meno. Era un uomo molto elegante: portava un completo gessato nero e stivali al ginocchio lucidi e neri; non indossava alcuna giacca, scelta comprensibile dato il caldo, e le maniche a sbuffo della camicia di seta uscivano dal suo panciotto color carbone; un fazzoletto argentato gli cingeva il collo e un fiore dipinto dello stesso colore era disposto ordinatamente all'occhiello. Tuttavia, ciò che lo rendeva inaspettatamente interessante era il viso. I capelli lucidi e neri erano leccati all'indietro col gel e un solo ricciolo sfuggiva dalla piega perfetta, accarezzandogli la fronte; le ciglia erano naturalmente lunghe e folte, gli orlavano lo sguardo chiaro, ma da lontano mi era impossibile vedere precisamente il colore dei suoi occhi. Non c'era un solo pelo sulla sua pelle bianca, ma sopra le labbra carnose un unico paio di baffetti sottili, neri e arricciati all'insù, gli davano quell'aria sofisticata. Enigmatica, brillante, intelligente. L'aria di un filosofo importante, o di un nobile che sa il fatto suo. L'aria di uno che si sarebbe trovato facilmente nel circolo del Re degli Assassini.
Distolsi lo sguardo, mentre sentivo lo stomaco contorcersi per l'ansia. Eppure, quando con la coda dell'occhio scorsi un movimento di stoffa verde proveniente dall'ingresso, tornai a guardare e mi maledii per averlo fatto. Se prima non ero sorpreso, ora lo ero.
Era appena uscito dal portone, col braccio teso verso quello della marchesa Glave, che in un attimo si appiccicò come la spira di un polipo al suo. Se era bello, la sua espressione faceva capire che lui ne era esattamente consapevole. I capelli corti biondo scuro, di un caldo color del grano, coglievano la luce proveniente dalle candele nei lampioni e rilucevano di mille sfumature dorate. Senza contare che i suoi abiti mettevano in risalto ogni punto forte della sua corporatura. Le spalle ampie erano fasciate da una camicia di seta bianca e un panciotto verdino in broccato, con rifiniture zigzaganti di uno scintillante dorato; i pantaloni beige attillati e gli stivali di cuoio con i rinforzi d'oro lo facevano sembrare un principe pronto a smontare dal cavallo bianco. E il candore della camicia spiccava sulla carnagione bronzea della sua pelle.
Mi lasciai affondare contro i divanetti in velluto della carrozza, sperando che non vedessero la mia espressione spaesata e il mio colorito pallido dalle finestrelle. Presi un grosso respiro e lo mandai giù deglutendo, come se potessi affrontare quei tre solo grazie al potere di quel fiato trattenuto nei polmoni. Li sentii avvicinarsi, sentii lo scalpiccio dei loro passi contro la ghiaia che delimitava il sentiero della tenuta, sentii le voci e il chiacchiericcio che si intensificavano, si facevano più vicine, le parole più chiare. Parlavano di politica: delle imposte che aumentavano e di come il Re di Darlan avesse bisogno di fondi per ampliare gli orizzonti del regno. Tutte questioni che con me non avevano nulla a che fare.
Poi la portiera della carrozza venne aperta dal cocchiere e la marchesa fu la prima ad entrare, sollevando le pompose gonne grazie all'aiuto dei due uomini e anche del cocchiere. Mi si sedette di fronte e mi sorrise, mentre io le consegnavo la lettera di raccomandazione di Sophia.
- Lysandro, che piacere! Avete accettato il mio invito. - disse, aprendo le labbra dipinte di rosa in un grande sorriso che le disegnò delle spiacevoli rughe al lato della bocca. Cosa di cui doveva essere consapevole, perché in fretta tornò seria. - Sophia mi ha parlato tanto di te. - continuò, mentre Axe prendeva posto accanto a lei e il moro al mio fianco. Rimasi per un momento in silenzio, come aspettandomi che dicessero qualcosa, invece non lo fecero.
- Il piacere è mio, madame Glave. - risposi, anche se nella mia mente avevo tutt'altri pensieri. E' per Alaister, è per Alaister. Per ribellarmi ad Alaister.
Soffermai i miei occhi su Axe, ma lui non mi degnò di uno sguardo. Guardava la marchesa, accarezzava, con i suoi begli occhi nocciola screziati di verde giada, il volto della donna, i boccoli castani. Si allungava verso il suo orecchio e le sussurrava qualcosa con le labbra carnose contro la sua pelle. E lei alzava gli occhi verso di me e ridacchiava in modo fastidioso. Sembrava mi stessero prendendo in giro, mentre lui neanche mi guardava in faccia. E la cosa mi fece inaspettatamente male. Anche per lui, non ero nient'altro che un'ombra. Nient'altro che il nulla, mentre continuava a sussurrare frasi spezzettate alla dama, con un lieve sorriso sulle labbra e uno sguardo ammaliatore. Cavalier Serventi, si chiamavano quelli come lui. Uomini che si apprestavano ad accompagnare belle donne sposate, che le vezzeggiavano con chiacchiere frivole e anche con altri generi di intrattenimenti che lasciavano poco spazio all'immaginazione.
- Lui è mio cugino. - ritornò a parlare la bruna, schiarendosi la voce, mentre indicava con la mano guantata di seta l'uomo al mio fianco. - Edgar. - Voltai gli occhi verso di lui, incuriosito, e lo ritrovai a guardarmi con la stessa curiosità e una punta di furbizia miscelata a malizia. In quel modo potei vedere i suoi occhi. Di un azzurro chiarissimo come il ghiaccio, freddi, tanto freddi da ricordarmi una landa ghiacciata. Mi sembravano simili a quelli di Helias. Ma non avevano quello strato di viola a circondare la pupilla, né quelle pagliuzze argentate che accendevano il suo sguardo, e neanche tutta quella ferocia disumana. C'erano solo i suoi occhi, chiari, freddi, ma lasciavano intravedere una strana furbizia e un certo fascino.
Sbattei le palpebre più volte. Perché avevo pensato ad Helias?
Quel pensiero mi ricordò l'errore che avevo fatto, mi ricordò che dovevo riparare e che non avevo il coraggio per farlo, e mi sentii all'improvviso sprofondare.
- E lui è Axel. - esclamò, spostando gli occhi e la mano al suo fianco, per posarla sul petto dell'uomo con una carezza. - Ma immagino vi conosciate già, dato che fate lo stesso lavoro. - E ritornò a guardarmi, per poi coprirsi con una mano la bocca ed iniziare a ridacchiare. Affilai lo sguardo. Ci stava prendendo in giro? Detto da una cliente risultava ridicolo. Ma non dissi nulla, nonostante morissi dalla voglia di risponderle per le rime. Axe neanche prese le nostre difese. Fece finta che fosse una battuta e rise con lei.
Fui sul punto di sibilare qualcosa di spiacevole, quando una mano mi toccò la gamba e mi fece quasi sussultare per la sorpresa.
- Siete molto bello. - sussurrò il moro al mio fianco. Edgar. In effetti, quella sera Sophia si era premurata di prepararmi a dovere. I pantaloni aderenti erano semplici e neri, così come i lucidi stivali al ginocchio; la camicia di seta era di un bordeaux cupo e drappeggiato in un volant che fuoriusciva dal panciotto nero, scurissimo, con dei ricami a forma di camelie, impreziositi da perline rosse, verdi e dorate. Un capo che doveva essere molto costoso. Inoltre, le domestiche si erano impegnate tanto per modificare i miei capelli castani, lisci e non molto lunghi, in un'acconciatura riccia, spostata verso un lato del viso in un ciuffo mosso ed elegante. Mi avevano perfino spalmato qualcosa sul volto, perché quando mi muovevo sotto una luce, la mia pelle, bianca e ornata da qualche spruzzata di lentiggini, scintillava. Fissai i miei occhi nei suoi, cercando di decifrare quello sguardo ghiacciato ma enigmatico.
- Vi ringrazio. - risposi, semplicemente. Poi mi irrigidii perché la sua mano rimase lì, sulla mia gamba, le dita serrate intorno ad un punto impreciso della coscia poco sopra il ginocchio. Nonostante quella mossa, la marchesa e Axe non diedero a vedere il loro interesse, anzi, ci ignorarono e continuarono a sussurrarsi frasette snocciolate alle orecchie, e a ridere come se solo loro potessero capire. Quella fusione di imbarazzo e disagio mi mandarono in bestia. Eppure, deglutii mandando giù il groppo di rabbia e guardando sottecchi Edgar, il nobile.
A quel punto, mettendo fine a quel viaggio tremendo, i cavalli nitrirono e la carrozza si fermò. Poi, quando la porta venne aperta, ciò che vidi fu una lunghissima distesa di cespugli di gelsomino che si arrampicavano su infiniti colonnati di marmo. Si concludevano fino ad arrivare alle imponenti scale di marmo dell'ingresso, dove un grande portone blu notte era spalancato e cinque inservienti per ogni lato dell'entrata davano il loro benvenuto.
Uscì per primo Axe che porse la mano alla marchesa; dopo di loro Edgar che mi offrì cortesemente la mano. Inutile dire che mi sentii niente meno che aria invisibile sotto al naso del cortigiano abbronzato.
Tuttavia, abbassai lo sguardo e camminai al fianco del nobile corvino, seguendo la schiena di Axe e della marchesa, stretti l'uno all'altro, a braccetto, parlando continuamente, ridendo senza fermarsi. La carrozza partì alle nostre spalle.
- Irrita soltanto me? - proruppe all'improvviso il moro, a bassa voce, verso di me, mentre lanciava uno sguardo alla coppia che avanzava tutta allegra davanti a noi. Aprii le labbra in un mezzo sorriso.
- Dipende da cosa vi riferite. - replicai, con il sopracciglio impercettibilmente alzato.
- Oh, mia cugina è una donna estremamente egocentrica, non esiste nulla a parte lei e ciò che le interessa. - disse, mentre si arrotolava un ricciolo dei baffetti attorno ad un dito. - Ci ignorerà per tutta la serata. - E poi mi si fece vicino, azzardandosi a prendermi la mano. - Ma è molto meglio così, in fondo. - aggiunse, mentre mi lanciava un'occhiata ambigua e maliziosa, alla quale non ebbi il fegato di rispondere. Però continuò a tenermi la mano.
Superata l'entrata, un maggiordomo guidò noi e altri invitati arrivati nello stesso momento verso la sala da ballo. Percorremmo un androne maestoso: pavimenti di marmo a scacchi neri e bianchi, pareti verdi e distese infinite di candelabri di ossidiana che occupavano tutta l'ampiezza dei muri.
Ma lo sfarzo di quella tenuta raggiunse il suo culmine una volta arrivati alla sala da ballo. A pianta quadrata, le pareti erano completamente rivestite d'oro, così come il soffitto, di un oro intagliato in milioni di bassorilievi curati, che parevano iniziare da un punto della sala e raccontare man mano che le incisioni andavano avanti, una storia. Gruppi di lampadari di cristallo scendevano dal soffitto, le candele facevano scintillare ogni frammento di quel vetro pregiato e trasparente facendolo assomigliare a tante piccole stelle. E il soffitto pareva un cielo stellato e dorato in miniatura, dove qua e là balconcini erano costruiti in modo da dare, a chi si rilassava in quella zona, un'ampia visuale su tutta la sala. Effettivamente, diversi invitati stazionavano lassù guardando verso il basso mentre si sollazzavano con aperitivi e compagnia di vario genere.
La sala principale, quella nella quale mi trovavo, era tanto gremita di gente che, se avessi dovuto cercare qualcuno, sarebbe stato impossibile. Nel centro campeggiava la pista da ballo quadrata, a tutti i lati lunghi tappeti di velluto rosso la circondavano; ai lati estremi della stanza si alternavano tavoli di dolci e tavoli di stuzzichini salati; c'erano perfino tavoli ricoperti da composizioni di frutta modellate in animali e fiori.
Il ballo era già iniziato da parecchio, per cui la musica era al suo culmine: il pezzo era una di quelle tipiche composizioni orchestrali che venivano riprodotte ogni volta ad ogni festa, ma che nonostante questo riuscivano a non essere mai ripetitive. Era un trionfo di violini, flauti, violoncelli, e chi più ne ha, più ne metta. E la sala era un'esplosione di colori, di piume, di scie di profumo che andavano dalla rosa al sandalo, di tessuti dalla seta allo schiffon.
- Oh, la mia preferita! - ululò la marchesa. - Andiamo a ballare! - E senza né parole di saluto o, per dirla tutta, di commiato, dato che non l'avrei sicuramente più rivista, sparì fra la folla, trascinandosi con sé Axe. E, solo allora, lui si voltò a guardarmi.
Un solo sguardo che pareva una miscela di qualsiasi cosa: tristezza, amarezza, desiderio, disperazione, rassegnazione e un qualcosa che non riuscii a decifrare. E quella miscela mi fece sentire una sorta di dolore al petto, una fitta di struggimento, che mascherai mordendomi l'interno della guancia.
E poi anche lui sparì, senza che dicesse nulla o avesse bisogno di parole per salutarmi. Quell'occhiata mi bastava.
Rimasi a fissare un punto imprecisato fra la folla, il punto in cui erano scomparsi per mescolarsi ai ballerini in pista. Ma poi mi riscossi quando il nobile accanto a me mi mise una mano sulla spalla.
- Una serata davvero piacevole, non credi? - esordì, lanciandomi un'occhiata languida, abbassando le ciglia nere per affilare lo sguardo. Uno sguardo che sapeva di volpe e di inchiostro; sembrava uno scrittore alla ricerca del suo protagonista per la prossima storia che avrebbe scritto.
- Avete ragione. - replicai, una risposta breve e concisa che cancellava ogni possibilità di conversazione. Sapevo che avrei dovuto fare il mio lavoro di cortigiano, sapevo di dover sfoderare una delle mie arti di seduzione. In fondo era quello che volevo, disobbedire ad Alaister, andare contro alla sua contorta idea di fedeltà. Eppure, per qualche ragione, tutti quei propositi mi sembravano effimeri ed in qualche modo rivoltanti. - Voi non ballate? - proseguii dunque, la voce che si era fatta di qualche tono più alta, di sicuro più civettuola.
- Preferisco fare da spettatore sorseggiando del buon vino. - rispose, aprendo le labbra rosse che si intravedevano dai baffi in un sorriso affascinante. La sua mano si abbassò dalla spalla alla schiena, in una scia che sembrava volesse quasi lisciarmi il panciotto. - Mi farete compagnia? - domandò, con quell'occhiata maliziosa che traspariva dagli occhi azzurro ghiaccio, che erano freddi solo all'apparenza.
- Direi proprio di sì. - tubai, facendomi più vicino a lui, mentre inclinavo la testa e sbattevo le ciglia più volte. L'avevo voluto io, ed io andavo fino in fondo. Edgar parve in un primo momento lievemente stupito per quel cambio repentino d'umore, ma presto la sorpresa si trasformò in un sorriso compiaciuto.
- Andiamo, prendiamoci da bere. - propose, prendendomi la mano e trascinandomi verso i tavoli dei drink. Orde di inservienti in frack si spostavano da una parte all'altra della sala camminando sui tappeti di velluto rosso leggeri come ballerini, trasportando flute di champagne; eppure il nobile doveva aver in mente qualche altro tipo di drink, fra quelli che stazionavano sul tavolo coperto da una tovaglia di seta rossa.
Costeggiammo il perimetro della pista da ballo quadrata, sfiorando con il dorso delle gambe gli orli delle gonne vaporose e colorate delle dame. Dopo, arrivammo al tavolo e dovetti alzare la testa per vedere la punta dell'enorme piramide di calici di cristallo che troneggiavano su di esso. Una sola mossa brusca e sarebbe tutto crollato in una cascata di frammenti scintillanti.
Edgar prese un calice per me e per lui e, indicando una bottiglia, ci fece servire da un cameriere dall'aria anziana vino bianco e frizzante, per poi ordinare di riempire il bicchiere fino all'orlo. Mi chiesi se la vera intenzione del nobil uomo baffuto non fosse quella di farmi ubriacare. Sull'onda di quel pensiero, buttai giù in un solo sorso il contenuto del calice, incitato dall'occhiata del corvino, che mi esortava a bere con lui con uno di quei sorrisi astuti ed affascinanti che facevano presagire una serata diversa dal solito.
- Un vino di ottima annata, indubbiamente. - commentò, riempiendoci nuovamente i calici per poi far girare più volte il liquido nel proprio bicchiere, osservandone il movimento circolare e il luccichio che il cristallo catturava dalle candele nei lampadari.
- Ve ne intendete di vini? - chiesi, il tono che ormai aveva tutt'altro tono rispetto ad inizio serata, mentre finivo di svuotare il secondo bicchiere e già mi sentivo girare terribilmente la testa.
- Sì, nella nostra tenuta possediamo una cantina piuttosto antica. - rispose, con un tono colmo d'orgoglio, mentre mi riempiva il terzo bicchiere. Feci un cenno con la testa per palesargli la mia falsa ammirazione, dato che di vini non me ne poteva importar di meno, e buttai giù, questa volta molto più lentamente, il terzo bicchiere. Quando lo finii, la testa venne colta da un improvviso capogiro e dovetti reggermi alla tovaglia del tavolo alle mie spalle.
Proprio il tavolo con la piramide di calici di cristallo.
Fui quasi sul punto di trascinare la tovaglia di seta con me e far crollare tutto, ma, per fortuna, Edgar mi allontanò circondandomi per la vita con un braccio e dandomi un minimo di equilibrio.
Alzai il viso verso di lui, per ringraziarlo, e così mi accorsi che si era fatto inaspettatamente vicino e che i suoi occhi avevano uno scintillio strano.
- Venite con me. - mi sussurrò all'orecchio, con le labbra e i baffi che mi sfioravano la pelle. Il suo alito sapeva di vino e in qualche modo di mimosa. Forse era il profumo che portava addosso. Non feci nulla per oppormi, quando intrecciò le dita alle mie e mi trascinò fuori dalla sala da ballo, verso i giardini.
Scendemmo delle scale di marmo, mentre la musica si allontanava diventando un soffio lontano trasportato dal vento estivo. Concluse le scale, superammo un gazebo di legno bianco, calpestammo l'erba fresca e profumata, come appena bagnata, e da lontano vidi una grande cupola di vetro e legno dipinto di bianco.
- Non è la prima volta che visito questa tenuta. - dichiarò, mentre camminava a grandi passi verso quella cupola, che si avvicinava sempre di più, permettendomi di capire attraverso i vetri cosa ci fosse all'interno.
- Una serra... - sussurrai, mentre notavo un cespuglio di rose rosse che si arrampicava lungo una vetrata cercando di arrivare fino alla punta della costruzione di vetro e legno.
- E' il mio luogo preferito. - disse, mentre si avvicinava alla grande porta a vetro e la apriva con uno scatto rapido della mano. Non era chiusa a chiave, per cui non fu difficile varcare la soglia.
L'interno era gigantesco, forse ancora più grande della sala da ballo. C'erano vasche piene di fiori, rampicanti di rose, grandi cespugli di gelsomino che spargeva un profumo soave e così tante altre piante di cui non conoscevo il nome che potevo perdere il conto solo guardandole. E, posizionate in punti strategici, fontane di diverse forme e misure, decorate da statue e fiori, emettevano uno scroscio lento che faceva da sottofondo all'eco lontano della musica. L'enorme cupola di vetro lasciava entrare la luce della luna, che non era l'unica illuminazione, poiché ai lati della serra piccole lanternine di ferro battuto bianco tinteggiavano di dorato le foglie delle piante. Mi voltai verso il nobile per esprimere la mia meraviglia.
- E' davvero... - Ma non ebbi il tempo di concludere la frase che mi si gettò addosso, stringendomi le mani sulle guance e portandosi il mio viso al suo, per baciarmi con così tanta foga che mi fece piegare le ginocchia. Colto alla sprovvista, lo spintonai per allontanarlo, ma riuscii solo a fermare il bacio. - Aspettate! Cosa... - Tuttavia, le sue braccia mi circondarono in una presa troppo stretta a cui oppormi, la sua bocca premette contro la mia, i suoi denti mi morsero le labbra per incitarmi a schiuderle. Girai il viso. - Lasciatemi! - boccheggiai, cercando di sfuggire alla sua stretta, invano. In tutta risposta, lui mi stritolò le guance con una mano, tanto forte da farmi male. Gli occhi azzurri erano pieni di derisione.
- Non fare il prezioso. - Si inclinò sul mio collo e lo morse, forte, facendomi storcere la bocca. - Ti ho pagato e adesso fai quello che dico io. - Fece un passo in avanti ed io incespicai e caddi a terra, e probabilmente era proprio quello che Edgar voleva. Non solo, lui aveva ragione. Aveva versato una somma di denaro a Sophia ed ora doveva lasciarmi manovrare come un burattino e adempiere felicemente ad ogni sua perversione. Ma io non volevo. Mi faceva schifo tutto quello.
Eppure mi ero infilato da solo in quel pasticcio, con le mie mani. Volevo ribellarmi ad Alaister, ma quella non mi sembrava una ribellione. Certo, tradirlo, far in modo che qualcun altro usasse il suo giocattolo personale non poteva andargli a genio. Ma il punto era che, il giocattolo personale, ero io. Ed io non volevo quello che stava succedendo, provavo un profondo ribrezzo, non volevo.
- Lasciatemi, vi prego. - mormorai, con la schiena a terra, sotto di lui.
- Zitto, sei solo una puttana. - disse in tutta risposta, tappandomi la bocca con una mano e strappandomi via il volant dal panciotto, per poi aprirlo tanto ferocemente da far saltare i primi bottoni. Ed io non potei far altro che chiudere gli occhi e lasciarlo fare, tuttavia desiderando che qualcuno mi salvasse.
❃ ❃ ❃ ❃ ❃
Da un'altra parte...
Ormai in seconda serata, l'atmosfera nella sala da ballo era cambiata. Molti ballerini avevano lasciato la pista per riposarsi sui divanetti di velluto situati in piccole alcove ai lati del salone, altri avevano pensato bene di salire sui balconcini per godersi l'intera panoramica dello stanzone. La musica iniziale, ritmata e trionfale, aveva lasciato il posto ad un pezzo più basso, cupo, un ballo più tranquillo che i danzatori oltre la mezzanotte potevano aver piacere di condurre. Era una danza macabra, un sottofondo in cui Sophia e il suo interlocutore, dall'alto dei balconcini d'oro, potevano tranquillamente dialogare.
La donna era appollaiata come un avvoltoio sulla poltroncina, le gonne del suo maestoso vestito sparse per quella seduta in velluto rosso. L'abito che indossava era di un cupo rosso sangue, un rosso succoso come quello di una ciliegia, pareva che lì dove gli orli sfioravano il pavimento lasciasse una scia di sangue. Il corpetto era foderato in pizzo rosso e si apriva in una vertiginosa ma stretta scollatura che arrivava a mostrarle la linea dei seni ed anche la pelle fin sopra all'ombelico. Una fascia di schiffon le circondava la vita e si chiudeva con un decoro a rose al lato destro del fianco, lasciando poi spazio ad una gonna dall'ampiezza esorbitante, di seta rossa. Infine, i capelli erano stati portati tutti ad un lato del viso, acconciati in una cascata di boccoli rossi tenuti fermi da una spilla d'oro, intrecciata ad una grossa e fresca rosa rossa. La tenutaria del bordello non era solo una bella donna, ma trasudava fascino, il fascino astuto e pericoloso di una rosa piena di spine.
Sorseggiava da una flute dello champagne frizzante, macchiando gli orli di vetro del bicchiere di rossetto rosso carminio, con le gambe accavallate sotto la gonna e uno sguardo divertito all'indirizzo del suo interlocutore.
- Avevi ragione. - esordì, allontanando il bicchiere dalle labbra. - Il nostro piccolo Lysandro ha abboccato all'amo ed è caduto nella trappola. - continuò, piegando la bocca in un ghigno che le conferiva quell'aria da volpe in procinto di infiltrarsi nel recinto delle galline per divorarle una ad una e lasciarne solo le piume. Gli occhi si posarono per qualche istante di sotto, per rivedere il punto in cui il cortigiano dai capelli castani e il nobile baffuto erano scomparsi. - Non dici nulla? - chiese, continuando a sorridere mentre ritornava a scrutare l'interlocutore, sebbene non ci mettesse la stessa astuzia maligna con cui guardava la sala sottostante. Anzi, pareva un filo più remissiva. Dopo qualche attimo di silenzio, Lui parlò.
- Sophia. - soffiò quel nome, che, detto fra quelle labbra, prendeva la connotazione di una minaccia. - I miei piani funzionano sempre. - disse, la voce che era bassa e cavernosa, fredda e dura come un diamante infrangibile, eppure tanto melodiosa da essere simile ad una musica. Si mescolava con il brano che gli faceva da sottofondo, fondendosi in un tutt'uno con quella danza macabra. - Sempre. - ripeté, aprendo le labbra carnose in un sorriso cattivo.
- E ora cosa farai? - domandò quindi Sophia, sinceramente incuriosita dalla sua reazione. L'uomo piegò le labbra in un sorriso divertito, un sorriso che era in grado di far crescere stalattiti di ghiaccio sul soffitto, tale era la sua freddezza.
- Gli servirà una punizione adeguata. - rispose, facendo seguire alle parole una risata bassa, cattiva, elegante. Una risata che avrebbe fatto ghiacciare il sangue nelle vene a chiunque.
- Hai preparato tutto questo solo per poterlo punire. - esclamò la rossa, reclinando la testa all'indietro per lasciarsi andare ad una risata graffiante. - Come sei cattivo, Alaister. -
Ed Alaister Noir sorrise compiaciuto, uno di quei sorrisi che avrebbero steso dalla paura perfino il più coraggioso fra le guardie del Re di Darlan. Quella sera, il Re degli Assassini non era solo bello: era pura eleganza, era fascino ultraterreno ed agghiacciante, era bellezza micidiale, che non poteva non fare paura.
Quella sera il suo completo era nero come la pece, le scarpe lucide, la giacca allungata in una coda di rondine; non c'era alcun panciotto, ma portava semplicemente una camicia con un motivo plissettato sul petto e il colletto corto; al posto del solito fazzoletto, un nastro di seta dorata era annodato in un fiocco morbido; lo stesso nastro gli legava i capelli corvini in un piccolo codino sulla nuca e, mentre la punta sporgeva su un lato della spalla destra, le ciocche ondulate gli incorniciavano il volto conferendogli un'aria sensuale; infine, all'occhiello portava un fazzoletto di seta color oro e, poco sopra, teneva appuntata sul bavero della giacca una spilla davvero molto piccola, raffigurante un teschio d'argento con due topazi gialli al posto degli occhi.
- Mi lascia perplesso che tu te ne stupisca ancora, Sophia. - ribatté, con le labbra carnose e rosse increspate in uno dei suoi micidiali sorrisi, come se il fatto che fosse cattivo fosse alla portata di tutti: il che, in effetti, era proprio così. Al contrario della rossa, non sorseggiava champagne, ma teneva le spalle larghe e muscolose abbandonate con indolenza contro al divanetto di velluto, le braccia allungate sulla spalliera. Eppure non sembrava che ci fosse mollezza o pigrizia nei suoi gesti: anzi, sembrava che ogni suo movimento fosse calcolato, come se non sprecasse neanche una sola azione ma fosse tutto il prodotto di anni di studi, di allenamenti. In una delle sue mani teneva un calice pieno a metà di vino rosso che riluceva alla luce delle candele, ma non accennava ancora a sorseggiarlo. Le gambe invece erano incrociate in una posizione rilassata, eppure sembrava che il suo corpo, che i suoi muscoli possenti nascosti sotto gli abiti eleganti, fossero tesi, pronti a scattare, spaccare il bicchiere ed usarlo come arma. Ma la cosa che era più affascinante di lui, la cosa che era più terrorizzante, erano i suoi occhi: da coccodrillo, l'iride di uno scintillante giallo-dorato, la pupilla più stretta del normale, affilata, proprio come quella di un pericoloso coccodrillo, e le lunghe ciglia a fare da merletto a quei due topazi scintillanti e duri.
- Oh, ogni volta sei una sorpresa, Alaister. - disse lei, muovendo una mano dalla perfetta manicure per dare enfasi alle sue parole, con un fare quasi civettuolo, eppure che non aveva alcun secondo fine. Un tempo si pensava che fra i due ci fosse una relazione, ma nessuno ne aveva mai avuto una certezza, e di certo entrambi lavoravano molto meglio come soci.
La musica poi raggiunse il suo culmine, ed allora Alaister si alzò dalla poltrona, con uno scatto da felino, fluido, fulmineo, come se fosse pronto a danzare su quelle note macabre e incalzanti.
- Lo prenderò come un complimento, Sophia. - Commento sarcastico e soffiato, mentre posava il calice sul tavolino con la stessa grazia con cui una tigre si sarebbe fatta le unghie sul legno. - Ora è tempo di andare. - disse, e si allontanò a passi felpati e così silenziosi che neanche la coda della sua giacca oscillava.
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Mentre sentivo lo strappo della camicia sotto alla sua presa, strinsi un pugno e provai a scalciare, ma lui mi avviluppò le gambe fra le sue e fu tutto inutile. Gli morsi la mano che mi tappava la bocca ed il nobile abbandonò la presa sulla mia bocca.
- Lasciatemi andare! - gridai, urlo che in fin dei conti era del tutto inutile. E poi ero stato io a seguirlo fino a lì, era stata una conseguenza alle mie azioni. Io che volevo ribellarmi, che mi ero fatto comprare, io che ero diventato un cortigiano. Alla radice di tutte le mie sventure, c'erano comunque le mie scelte. Così smisi di urlare e mi abbandonai sotto a quelle mani, lo lasciai vincere.
Rimasi con gli occhi fissi su una rosa bianca, mentre sbottonava il bottone d'argento dei miei pantaloni. Deglutii.
- Aspettate, aspettate, vi prego. Sono stato comprato. Io non posso, ho padrone! - cercai di fare appello a qualsiasi stupidaggine pur di fermarlo, ma lui emise una bassa risata cupa, mentre infilava una mano dentro ai miei pantaloni ed io mi divincolavo. Mi guardò con evidente derisione. - No. - sussurrai. Le sue mani mi tastarono, mi strinsero, senza alcun pudore.
- Oh, che ragazzo ribelle! - mi canzonò, mentre mise mano ai suoi pantaloni, cominciando a slacciarsi il primo bottone, e poi il secondo. - E sentiamo, chi sarebbe il padrone che staresti tradendo? - Aspettavo che me lo chiedesse. E così strinsi i denti e affilai lo sguardo.
- Alaister Noir. - sibilai, mentre tenevo gli occhi assottigliati in una fessura. E, a quel nome, non ci fu un attimo di esitazione: saltò letteralmente all'indietro.
- Cosa? E' una fandonia! - sbottò, guardandomi con occhi letteralmente sgranati. Ed io sfruttai quell'uomo che tanto odiavo per proteggere me stesso, e forse quella fu l'unica ribellione davvero avvenuta: usare chi mi faceva del male per farmi del bene. Anche se c'era comunque qualcosa di squallido, nel nascondersi dietro al nome di qualcuno. Come perdere la propria identità: non importava chi fossi, bastava il solo nome "Alaister" per suscitare vero e proprio terrore.
- Oh, non lo è affatto. - Scossi la testa, mentre lo guardavo, grave. - E quando scoprirà che mi hai messo le mani addosso... - Non feci in tempo a finire la frase che lui si alzò in piedi, senza neanche abbottonarsi i pantaloni, ed uscì di corsa dalla serra, lasciandomi completamente solo.
Solo allora mi accorsi che avevo le guance bagnate, che avevo pianto dalla paura senza neanche accorgermene, e così me le asciugai col dorso della mano, ancora seduto a terra. La musica ormai si era tramutato in un assolo di violino, vibrante e triste, che faceva da sfondo a quell'atmosfera patetica: la camicia stracciata, il panciotto senza più i bottoni, i capelli scompigliati, i pantaloni sbottonati e le labbra gonfie.
Posai i palmi a terra per rialzarmi, eppure le gambe mi tremavano troppo. Così rimasi lì, a sentire lo scroscio dell'acqua, le ultime note che venivano trasportate dal vento e un profumo che era una mescolanza di così tante piante da essere quasi spiacevole. Presi un grosso respiro.
E poi all'improvviso qualcuno, dietro di me, mi mise una mano sulla spalla. Sobbalzai, mi voltai verso l'ingresso, convinto che il baffuto fosse tornato. Ma ciò che vidi fu ben più spaventoso.
- Molto astuto, Lysandro. Un vero peccato che non sia lui quello nei guai. -
Alaister Noir mi sorrise ed io, invece, tremai.
L'ennesimo angolino notturno dell'autrice nottambula~
Hoola!
Lo so che è passato un mese, non me ne vogliate, ma in compenso ho scritto un capitoletto grande grande °w° che spero vi sia piaciuto! (In tutto questo ho scritto - e corretto - invece che "in compenso" "in compensolo"... è l'ottavo nano di Biancaneve, basta.) Detto questo, vi lascio per scappare alla mia meritata nanna.
Alla prossima! ^^
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